PENSIONATI
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La “decontribuzione”
contenuta nella Delega governativa penalizza giovani e pensionati.
Come
ogni anno, alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva, nel
nostro Paese la questione previdenziale ritorna al centro del dibattito
politico, anche in relazione alla definizione della prossima Legge Finanziaria.
Poiché
il capitolo della spesa in materia pensionistica, unitamente a quello della
sanità, rappresenta uno dei cardini dello Stato sociale e del “Welfare”, non è
un mistero che su tale delicata questione si incentra lo scontro per impedire
l’abbattimento della previdenza pubblica, specie a fronte della linea
neoliberista tesa, invece, a tagliare la spesa sociale.
Infatti,
anche nelle scorse settimane il Governo, con la presentazione del DPEF
(Documento programmazione Economica Finanziaria) per il 2003, ha
sostanzialmente confermato quanto già contenuto nella Delega in materia
previdenziale ora all’esame del Parlamento.
Com’è
noto, il punto più contrastato della delega stessa riguarda la
“decontribuzione” da tre a cinque punti per i neo-assunti, richiesta dalla
Confindustria per incentivare la previdenza complementare e la riduzione del
costo del lavoro.
Al
riguardo occorre tener presente che tale operazione, in un sistema
previdenziale come il nostro – che è a “ripartizione” e che la pensione viene
calcolata in base alla contribuzione versata dagli interessati nel corso
dell’attività lavorativa - , comporta una serie di gravi conseguenze negative.
Con
l’abbassamento dell’aliquota contributiva – in prospettiva - si avranno
trattamenti previdenziali molto più bassi per i giovani ed, inoltre, si
determinerebbe un enorme “buco” nell’equilibrio finanziario dell’intero sistema
pensionistico e per lo stesso pagamento delle future pensioni per coloro che
sono già in quiescenza.
Poiché
lo stesso Ministero del Welfare ha ammesso che, allo stato, la delega non ha
relativa copertura finanziaria, ne consegue che il Governo farebbe bene a
riconsiderare il provvedimento e a rivedere completamente la materia in
oggetto.
Del
resto la sostenibilità finanziaria del Disegno di Legge di delega è stata messa
in dubbio non solo dal Presidente dell’INPS Massimo Paci, ma anche dalla
Ragioneria generale dello Stato, nelle competenti sedi parlamentari.
Quest’ultima prevede , che , una volta attuata la suddetta delega di riforma
previdenziale, si aprirà nei conti pubblici un buco di almeno 6,5 miliardi di
euro in soli dieci anni.
Da
parte sua l’INPS, pur prevedendo circa 400 mila nuove assunzioni l’anno, stima
che gli effetti della citata decontribuzione sarebbero devastanti per le casse
dell’Istituto nel medio-lungo periodo (26 miliardi di euro nel 2015, oltre 370
miliardi di euro nel 2040, cioè oltre 720 mila miliardi di vecchie lire).
Ciò
dimostra che la questione non è affatto un semplice problema
tecnico-amministrativo, ma assume, purtroppo, una rilevanza di tale portata da
provocare una vera e propria voragine nel giro di qualche decennio, quando i
lavoratori attuali saranno sostituiti con i nuovi assunti.
A
quel punto la tenuta dell’intero sistema previdenziale sarebbe inevitabilmente
compromessa, non solo con quali conseguenze catastrofiche è facile immaginare,
ma anche perché si andrebbe a scaricare sulle prossime generazioni pesi, come
quelli sopra indicati, assolutamente insostenibili.
Per
queste ragioni, la FABI e le Organizzazioni dei lavoratori intendono battersi
con il massimo impegno e determinazione perché tali disegni non abbiano il
sopravvento e prevalga, invece, una forte linea di riforma vera, di impegno
solidale e non di abbattimento dello stato sociale.
Roma, 11
settembre 2002
FABI PENSIONATI
Antonio Carcano