RESPONSABILITÀ ETICO-SOCIALE DELL’IMPRESA
E RUOLO DEL SINDACATO
di Carlo Giorgetti
Sommario: 1. Premessa - 2. Il
bilancio sociale fra obbligo e potenzialità per le imprese - 3. Il codice
etico: una nuova frontiera per la
partecipazione del sindacato - 4. Conclusioni.
1. Premessa. Ringrazio gli organizzatori per l’opportunità datami di intervenire a
questo Convegno su un tema tanto importante e discusso.
Di “Bilancio Sociale” si
parla da tempo.
Da un punto di vista
sindacale – ad esempio – negli anni ’70 questo tema era stato portato avanti
per giustificare la concertazione sociale, l’esigenza di partecipazione dei
lavoratori alle scelte economico-finanziarie delle imprese; ma, superata
l’unilaterale prospettiva partecipativa, la vera spinta in accelerazione v’è
stata a partire dagli anni ’90 con l’esigenza stessa del mercato unico di
recepire le iniziative comunitarie di coesione sociale e di tutela ambientale.
L’esigenza di standardizzare
le metodologie produttive ed operative delle imprese anche per evitare fenomeni
di dumping, infatti, ha costituito la
base principale per lo sviluppo di pratiche etiche approvate e validate dalla
Comunità.
Se si guarda il versante
legislativo interno, si scopre che tali problematiche sono state affrontate da
un progetto di legge (S 2849 - Sen. Manconi)
che riguarda la Certificazione di
conformità sociale circa il mancato impiego di manodopera di bambini nella
fabbricazione e produzione di beni o prodotti importati, che già da alcuni
anni è in discussione in Parlamento (1997). Ciononostante, manca un intervento
più completo ed organico, che obblighi insomma le imprese a progettare e
mettere in pratica la propria responsabilità sociale.
Senz’altro gli impegni
assunti dal Governo italiano nell’ambito dell’attività da portare avanti nel
prossimo semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea contribuiranno a
modificare tale assetto.
Attualmente per trovare
iniziative organiche in materia occorre spostarsi in campo comunitario.
A tale proposito un ruolo
importante è infatti svolto dal Libro Verde per la promozione di un Quadro europeo per la responsabilità sociale
delle imprese presentato dalla Commissione Europea nel luglio 2001. Tale
documento, che offre una definizione comune di cultura di impresa responsabile
nei confronti della società e dell’ambiente, può servire dunque da stimolo per
il Governo e per le parti sociali al fine della predisposizione di una organica
ed articolata disciplina in materia.
2. Il bilancio sociale fra
obbligo e potenzialità per le imprese. Come si sa l’impresa è un’azienda di
produzione sottoposta al rischio di concorrenza e fonda la sua sopravvivenza
sulla capacità di successo nel mercato e sul mantenimento dei giusti equilibri
fra costi e ricavi.
La domanda da porsi dunque è
questa. Può il bilancio sociale entrare a far parte degli equilibri consolidati
senza alterarli e senza impedire all’impresa di progredire nel proprio
successo?
Anzitutto occorre dire che
non esiste un obbligo di legge per la redazione del bilancio sociale. Esistono
ovviamente norme che consentono la deducibilità dal bilancio contabile di
donazioni e/o comunque di attività sociali svolte dall’impresa e, in
quest’ottica, il bilancio sociale può essere considerato il mezzo migliore per
contabilizzare organicamente l’utilizzo dei fondi spesi per tali finalità.
Si osserva tuttavia come il
bilancio sociale non sia tanto uno strumento contabile ma sia piuttosto un
metodo di “rendicontazione” sulle quantità e qualità di relazioni fra impresa
ed i gruppi rappresentativi della collettività mirante a delineare un quadro
omogeneo, puntuale e trasparente del complesso intreccio fra fattori economici
e socio-politici al fine di dare giustificazione delle scelte fatte. Il
bilancio sociale è insomma un potente strumento di comunicazione per le imprese
con gli stakeholder ed un importante
mezzo di pubblicità.
Ci sono infatti modi diversi
per rispondere alle esigenze dei propri clienti: oggi più che mai il
cittadino-consumatore non fa solo una scelta di costo / beneficio, ma valuta
criteri più globali; insomma il consumatore fa una scelta di appartenenza,
premia l’azienda con cui si identifica, di cui approva le scelte sociali,
culturali o addirittura ecologiche, oppure di cui condivide la politica
economica, e, magari, anche quella sindacale.
L’azienda insomma trova
all’esterno una sua rappresentazione ed interagisce con il tessuto sociale in
un percorso di avvicinamento che spesso travalica il semplice marketing; basti pensare al boicottaggio
di imprese che fondano la propria attività produttiva sull’uso di bambini per
ottenere una produzione a basso costo, oppure l’impatto emotivo suscitato
nell’opinione pubblica da imprese che licenziano centinaia di lavoratori per
portare avanti politiche aziendali non sempre chiare e condivise dalla
collettività, oppure inquinano l’ambiente, creano danni alla salute dei
lavoratori e della collettività, impiegando sostante nocive e/o pericolose,
oppure ancora utilizzano i soldi del consumatore per investire in attività a
lui contrarie in termini etici.
Insomma il bilancio sociale
offre all’impresa la possibilità di dare visibilità e trasparenza al proprio
pubblico di riferimento sui metodi e sugli obiettivi della propria “missione” e
costituisce un valido mezzo di fidelizzazione
dei soggetti che ne condividono gli impegni.
Quello che allora emerge
come elemento importante è l’aspetto della certificazione dei bilanci ed
occorrono a tale proposito interventi concreti e seri da parte di soggetti
“terzi”. Le associazioni di consumatori, ad esempio, hanno talvolta evidenziato
come spesso la certificazione sia “autoprodotta”, essendo la stessa di
emanazione dello stesso mondo delle imprese.
Mancano insomma norme
codificate dallo Stato ed agenzie c.d. accreditate
da un istituto pubblico. Per questa ragione, pertanto, si resta molto spesso
perplessi sulla genuinità della certificazione e degli accreditamenti etici
delle imprese che attualmente vengono propagandati.
Sono state a questo
proposito presentate da parte di alcune associazioni di consumatori delle
proposte per creare un’istituzione pubblica comune ed autorevole, magari a
livello europeo, in cui concorrano tutte le parti sociali interessate, che non
si limiti a recepire le norme ed i certificati attualmente esistenti, ma che
elabori norme e certificati europei di riferimento in tema di responsabilità
sociale dell’impresa.
Nel frattempo, comunque,
sarebbe opportuno che si cominciassero ad accreditare gli enti di
certificazione attraverso la partecipazione nelle commissioni di valutazione di
rappresentanze “esterne” (in tutti i sensi) all’impresa, quali le associazioni
sindacali di categoria e le associazioni dei consumatori.
3. Il codice etico una nuova
frontiera per la partecipazione del sindacato. Come s’è detto il bilancio
sociale comporta l’assunzione di un impegno-etico sociale per l’impresa – la
c.d. “missione” – che viene attuato attraverso i collaboratori della stessa. Il
codice etico è dunque l’altra faccia del bilancio sociale, poiché è rivolta non
tanto al controllo delle politiche dell’impresa quanto ai comportamenti
individuali.
Insomma, in base alla tesi
più accreditata, il codice etico dovrebbe costituire il metodo per definire in
maniera chiara ed esplicita le finalità etiche dell’impresa, assegnando a tutti
i collaboratori (ivi compreso il management
oltre che tutti i lavoratori) le regole per porre in essere comportamenti
responsabili ed in linea con le finalità della missione.
Ora, detto questo, si può
comprendere come la struttura del codice etico si articoli perlomeno su quattro
livelli: il primo, che introduce i principi etici generali, come l’indicazione
della missione aziendale ed il metodo per realizzarla; il secondo, che delinea
le norme etiche per le relazioni dell’impresa con i vari stakeholder
(consumatori, fornitori e dipendenti); il terzo, che individua gli standard
etici di comportamento dei vari soggetti (moralità, equità, diligenza,
trasparenza, onestà ed altro); il quarto, che prevede le sanzioni interne per
la violazione delle norme del Codice ed un Comitato Etico per vigilare
sull’attuazione dei principi nello stesso indicati.
Appare pertanto evidente la
portata dirompente del codice etico nelle relazioni di lavoro ed in quelle
sindacali. Se infatti il primo livello di intervento appare del tutto neutro,
definendo i principi etici generali che l’impresa intende realizzare nella
propria missione, gli altri tre livelli introducono norme etiche, obblighi di
comportamento e controlli sui lavoratori che vengono certamente ad insistere
sulla regolamentazione dei rapporti di lavoro.
Ma non è tutto. Accade
talvolta che non sia esattamente compreso dagli attori del sistema il contenuto
e la funzione da attribuire a tali documenti. Sicché si può notare al loro
interno una contaminazione con aspetti che non riguardano direttamente la
finalità etica della missione. Ad esempio, in qualche caso, viene fatto divieto
al personale di svolgere attività che
possa condurre a conflitti di interesse con l’azienda (Codice Etico
applicato nella Banca delle Marche). Questa
regola si può senz’altro classificare come divieto di svolgere attività in
concorrenza e, dunque, non ha alcun riflesso sulla missione etica aziendale;
anzi, per la sua genericità, esprimendo un divieto di tutte le attività che possano condurre e non che in concreto
conducano ad un conflitto di interessi si rivela molto più restrittiva delle
norme di legge e di contratto collettivo attualmente applicate nelle aziende di
credito.
E ancora si afferma che: “(…) il
singolo addetto deve rispettare e salvaguardare i beni di proprietà della banca
nonché impedirne l’uso fraudolento o improprio”. Anche questa disposizione
non si spiega da un punto di vista etico ed anzi introduce obblighi di
controllo su terzi a carico del dipendente, che non fanno parte dei generali
obblighi di diligenza.
I riflessi di questo codice
sulla vita lavorativa interna non sono del tutto calcolabili, visto che – come
è previsto – “(…) il sistema premiante
tiene in opportuna considerazione l’osservanza delle norme del presente codice”
e visto che il Comitato Etico ha la possibilità di imporre sanzioni – non si
capisce con quale forma di autorità – in capo ai soggetti che violino tali
disposizioni.
Tale stato di cose, dunque,
genera perplessità e rischia di causare incomprensioni nell’ambito delle
relazioni industriali, nonostante il clima di serenità instaurato dall’intesa
di recente raggiunta fra ABI e Sindacati (v. intesa di Milano del 12.12.2002) e
malgrado la condivisione dell’impegno etico espressa anche in forma propositiva
dai medesimi Sindacati con il protocollo per lo sviluppo socialmente
sostenibile.
In sostanza occorre una
preventiva discussione interna fra le parti sociali per la individuazione dei
principi etici generali da perseguire e delle norme etiche da applicare per le
relazioni dell’impresa con i vari stakeholder
di riferimento.
Tale esigenza è soprattutto
avvertita in banche in cui la partecipazione dei lavoratori tramite l’azionariato
diffuso rende tali soggetti partecipi anche delle finalità della “missione”.
Con forti implicazioni in tutto il settore, vista la disponibilità mostrata dal
sindacato ad aderire al programma di coinvolgimento dei lavoratori nei
risultati di bilancio dell’impresa attraverso la corresponsione di parte di
salario attraverso stock option.
Insomma, la condivisione dei
principi etici con i vari soggetti con cui l’azienda interagisce, oltre che la
formazione etica dei medesimi finalizzata all’assimilazione dei contenuti, sono
elementi fondamentali ed imprescindibili.
Insomma, occorre che le
imprese consultino il sindacato sugli obiettivi del bilancio sociale, al fine
di un concreto coinvolgimento dei medesimi nelle pratiche etiche da adottare. E
ciò almeno per due fondamentali ragioni:
q il codice etico, che appare
come controfaccia del bilancio sociale, deve essere compreso ed accettato da
tutti i dipendenti, evitando sovrapposizioni e confusioni rispetto alle
normative legali e contrattuali in essere nell’ambito della regolamentazione
del rapporto di lavoro;
q il codice etico non dovrebbe
dare l’impressione ai lavoratori di
introdurre “nuovi” controlli e “nuove”
responsabilità in capo ai medesimi; e, soprattutto, la valutazione degli
eventuali comportamenti da sanzionare dovrebbe essere svolta da un comitato
etico a composizione paritetica.
4. Conclusioni Una corretta gestione del
bilancio sociale, in conclusione, passa attraverso il coinvolgimento e la
partecipazione del sindacato e dei lavoratori. Situazione, questa, che non ha
implicazioni “cogestionali” e che comunque non comporta l’intromissione di
soggetti terzi nelle decisioni imprenditoriali, bensì determina la comprensione
e la condivisione degli obiettivi da parte degli attori del sistema.
Il perseguimento di finalità
etiche, infatti, deve essere considerato come un obiettivo giusto e
rispettabile che si propongono attualmente le imprese nell’interesse di tutta
la collettività.
Risulta tuttavia evidente
come lo stesso non determini mai scelte
per così dire “neutre”. Il coinvolgimento dei lavoratori, pertanto, deve essere
fatto nel modo giusto, dando voce alle loro aspettative ed alle loro esigenze
attraverso il filtro del sindacato: solo in questo modo si può garantire che il
bilancio sociale ed i suoi annessi siano conformi agli obiettivi e non
travalichino gli scopi dichiarati, conducendo le imprese verso una loro
inattesa qualificazione etica, forse di
tendenza ed introducendo inopinatamente nuovi vincoli, nuove responsabilità
e nuovi controlli sull’attività lavorativa, su quella extralavorativa e, addirittura, sulla vita privata del lavoratore.
Roma, 11 aprile 2003