BPM, ARPE SI SCHIERA CON LA FABI: ?IL MODELLO COOPERATIVO FUNZIONA?
Il Presidente di Banca Profilo Matteo Arpe d’accordo con Sileoni, a proposito della trasformazione di BPM in SPA: “Sileoni ha ragione: oggi il modello cooperativo funziona bene mentre sulle grandi banche SPA c’é un tema di azionariato che è importante”
Matteo Arpe, banchiere e Presidente di Banca Profilo, difende il modello di governance delle popolari e si schiera apertamente con il Segretario Generale della FABI, Lando Maria Sileoni.
"Oggi il modello cooperativo funziona bene", ha detto Arpe, a margine dell'assemblea di Banca Profilo, commentando l'esito dell'assemblea BPM di due giorni fa, che ha bocciato la proposta di voto a distanza del Presidente del consiglio di gestione Andrea Bonomi.
Il banchiere ha poi sottolineato che condivide in pieno le critiche della FABI al progetto di trasformazione in SPA della Popolare di Milano. “Le dichiarazioni di Lando Sileoni sono molto convincenti” ha affermato Arpe, precisando che “oggi il modello cooperativo funziona bene mentre sulle grandi banche SPA c’é un tema di azionariato che è importante”.
In un’intervista a Il Giornale proprio il leader della FABI, all’indomani dell’assemblea BPM, aveva infatti dichiarato che la SPA ibrida è un’invenzione concettuale priva di oggetto, “un piano funzionale a consentire agli attuali responsabili gestionali di abbandonare un progetto industriale che non sta avendo successo, ricavandone un profitto”.
“Non é utile alla banca ma ad alcuni azionisti”, aveva rimarcato Sileoni, “la trasformazione in SPA con una necessità di ricapitalizzazione e un azionariato così debole e frastagliato significa far sparire la Popolare di Milano. Non lo merita” aveva concluso il leader della FABI.
Che Arpe sposi la linea di Sileoni non è, tuttavia, una novità. Già nel 2011 il banchiere si era candidato alla guida dell’istituto di piazza Meda, apertamente appoggiato da FABI e FIBA Cisl, in contrapposizione ad Andrea Bonomi, sponsorizzato dagli Amici della BPM, e attuale fautore della trasformazione della banca in SPA.
Milano 29/04/2013
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MF-MILANO FINANZA martedì 30 aprile 2013
Entro pochi giorni dovrebbe finire l’ispezione avviata dalla vigilanza a fine 2012Su Pop Milano palla a Bankitalia L’esito dell’assemblea di sabato avrebbe confermato l’esistenza di un forte blocco di potere interno Ora più concreta l’ipotesi del congelamento. Spuntano progetti alternativi. Il nodo del 5% dei profitti
di Luca Gualtieri
L’assemblea di sabato ha aperto scenari del tutto nuovi per la Bpm. La bocciatura quasi plebiscitaria del voto da casa suona infatti come una sconfessione del progetto di trasformazione in spa voluto dal presidente Andrea Bonomi.
Con esiti ancora tutti da decifrare, visto che quel progetto era stato caldeggiato, se non addirittura ispirato, dalla Banca d’Italia nel tentativo di normalizzare la governance di Piazza Meda. Da anni infatti la Vigilanza stigmatizza l’indebita influenza esercitata dai dipendenti-soci sulle strategie di Piazza Meda, anche se l’intervento di Bonomi e della sua squadra aveva parzialmente risolto l’anomalia. Con l’assemblea di sabato per ò il problema è riemerso con tutta la sua urgenza, mettendo in allerta via Nazionale. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, gli uomini della Vigilanza starebbero concludendo proprio in questi l’ispezione avviata nella seconda metà del 2012. Sotto la lente, oltre a tecnicalità come gli add-on, c’è proprio il funzionamento della governance e l’esito dell’assemblea potrebbe incidere non poco sul verdetto finale degli ispettori. Se insomma un intervento di Bankitalia viene dato da molti per scontato, non ci sono ancora certezze sulle modalità di intervento, che potrebbero andare dal processo sanzionatorio fino al congelamento del voto dei dipendenti-soci.
Nel frattempo i sindacati, apparentemente rafforzati dalla vittoria di sabato, potrebbero presto tornare alla carica sul progetto spa. Da Fabi e Fiba-Cisl arriva una chiusura netta sull’abbandono del modello popolare che, secondo il segretario della Fabi Lando Sileoni, rischierebbe di «destabilizzare il sistema bancario italiano» e «far passare la banca in mano agli stranieri». Insomma le due sigle sono disposte a sedersi al tavolo con il management, ma non promettono sconti. Più moderata è la linea della Fisac-Cgil, che sulla partita ha finora mantenuto una posizione di basso profilo. Il segretario Agostino Megale propone ora una «terza via, capace di mantenere il meglio dell’esperienza di partecipazione della cooperativa» per risolvere il muro contro muro che si è creato tra i sindacati e Bonomi ed evitare che la situazione precipiti. «La banca deve valorizzare la partecipazione, costruire il clima per la condivisione del progetto e rilanciare un modello di relazioni industriali», spiega Megale, ritenendo comunque «doveroso che l’azienda ritiri e cancelli i sette provvedimenti disciplinari emessi la scorsa settimana».
Le strade aperte per intavolare una trattativa sono diverse. è possibile del resto che contropartite economiche più consistenti rispetto a quelle attuali ammorbidiscano la contrapposizione tra sindacati e azienda. Non vi è dubbio, ad esempio, che se la banca decidesse di lasciare ai lavoratori il 5% degli utili attualmente percepito, la via verso la spa si presenterebbe meno irta di ostacoli. Nei corridoi di Piazza Meda circolano poi indiscrezioni su veri e propri progetti alternativi a quello di Bonomi che potrebbero pervenire direttamente a Bankitalia nelle prossime settimane. Ad esempio si fa strada l’ipotesi di un piano che mantenga lo status di cooperativa, ma impedisca ai dipendenti-soci di votare in assemblea.
Mentre insomma la partita è ancora in alto mare, l’incertezza deprime il titolo Bpm che ieri ha perso il 3,89%, anche sulla scia della diluizione di Capital investment trust, il fondo di Raffaele Mincione, sceso dall’8,26 al 6,9%. (riproduzione riservata)
IL SOLE 24 ORE martedì 30 aprile 2013
Bpm, ecco il piano alternativo alla Spa – Nel progetto «Idea» resiste il modello cooperativo, agli azionisti le nomine del Cdg IL PUNTO CONTESTATO Dopo il «no» dell’assemblea di sabato al voto online, anche Matteo Arpe si schiera con i sindacati: «Il modello cooperativo funziona bene»
Paolo Paronetto
Il mercato presenta il conto alla Banca Popolare di Milano, mentre si fa sempre più complicata la corsa a ostacoli verso l’assemblea di giugno sulla trasformazione in spa. Sabato i soci hanno bocciato a larghissima maggioranza la proposta di introdurre il voto elettronico da casa, visto dagli ambienti sindacali come un grimaldello per favorire l’approvazione della spa, e ieri la Borsa ha subito reagito, punendo Bpm con un calo del 3,89% a 0,507 euro, che l’ha relegata in coda al paniere principale di Piazza Affari.
Le quotazioni sono state penalizzate anche dalla discesa nel capitale dell’istituto di Raffaele Mincione, secondo azionista della banca. In base alle comunicazioni Consob sulle partecipazioni rilevanti, il Capital Investment Trust di Mincione ha tagliato la propria quota al 6,999% dall’8,267% detenuto in precedenza. La correzione è avvenuta il 23 aprile e cioè all’indomani delle dimissioni dell’ex presidente del consiglio di sorveglianza, Filippo Annunziata. L’attenzione degli investitori si concentra tuttavia proprio sulle probabilità che ha la Bpm spa immaginata dal presidente del consiglio di gestione, Andrea C. Bonomi, di vedere effettivamente la luce nell’assemblea straordinaria del 22 giugno. Bonomi e il consigliere delegato, Piero Montani, dovranno cercare di abbattere il muro formato dai sindacati, ricompattati dopo le recenti divisioni proprio dalla battaglia contro la spa. A tenere banco nelle prossime settimane sarà poi la proposta alternativa, presentata il 4 aprile scorso da tre consiglieri di sorveglianza, per rivedere la governance della banca senza rinunciare alla cooperativa e al voto capitario. Il piano «Idea!» firmato da Maurizio Cavallari, Ruggiero Cafari Panico ed Enrico Castoldi, i cui dettagli sono stati riferiti ieri da Radiocor-Il Sole 24 Ore, prevede un cds da 15 componenti, eletto con il voto per testa. Otto consiglieri tratti dalla lista di maggioranza, due da quella di minoranza, due i rappresentanti di Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Credit Mutuel, mentre gli ultimi tre sarebbero espressione degli azionisti di capitale. Questi ultimi, più il presidente del cds senza diritto di voto, sarebbero i soli componenti del comitato nomine, cui spetterebbe il compito di proporre i nomi da eleggere in consiglio di gestione. Il cdg avrebbe tra i cinque e i nove componenti. I tre consiglieri “dissidenti” puntano ora a verificare la possibilità di presentare il piano alla Banca d’Italia e, se dovesse arrivare l’ok della Vigilanza, a raccogliere le firme necessarie (2mila soci) per convocare un’assemblea in cui metterlo ai voti.
Quello di Palazzo Koch, notano molti osservatori, appare tuttavia un nodo difficile da sciogliere, soprattutto per quanto riguarda un aspetto rilevante: il bilanciamento dei poteri tra cds e cdg. Il progetto «Idea!» prevede infatti di assegnare alla sorveglianza più forti poteri di controllo sulla gestione, ipotesi che negli ultimi mesi Bankitalia ha più volte dimostrato di vedere come fumo negli occhi, leggendoci il tentativo di tornare a pratiche di commistione tra proprietà (soprattutto per quanto riguarda i dipendenti soci) e gestione già censurate in passato. Rischio che, da parte loro, i tre consiglieri escludono, parlando di equilibrio tra i due consigli e di una gestione affidata al 100% ai soci di capitale grazie alla composizione del comitato nomine.
In attesa di sviluppi sui diversi fronti aperti, la partita Bpm ha visto ieri la discesa in campo di un giocatore inatteso: Matteo Arpe, nell’ottobre 2011 candidato alla guida di Bpm e sconfitto da Bonomi, si è schierato apertamente con i sindacati e contro la trasformazione in spa. Arpe appoggia in particolare le posizioni del segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, giudicate «molto convincenti». Pur ribadendo di non avere «interesse a tornare indietro e a guardare» il dossier Bpm, Arpe ha dichiarato «le banche popolari non si stanno trasformando in spa». «Oggi il modello cooperativo funziona bene – ha aggiunto – mentre sulle grandi banche spa c’è un tema di azionariato che è importante».
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