I banchieri sono pronti a disdettare anticipatamente il Contratto Nazionale. Sileoni: "attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, a cui risponderemo con la massima determinazione. Non escludiamo lo sciopero". Leggi il servizio de Il Sole 24 Ore e Affari Italiani.it">

CONTRATTO NAZIONALE, ABI VERSO LA DISDETTA

I banchieri sono pronti a disdettare anticipatamente il Contratto Nazionale. Sileoni: “attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, a cui risponderemo con la massima determinazione. Non escludiamo lo sciopero”. Leggi il servizio de Il Sole 24 Ore e Affari Italiani.it
CONTRATTO NAZIONALE, ABI VERSO LA DISDETTA

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I banchieri sono pronti a disdettare anticipatamente il Contratto Nazionale. Sileoni: “attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, a cui risponderemo con la massima determinazione. Non escludiamo lo sciopero”. Leggi il servizio de Il Sole 24 Ore
IL SOLE 24 ORE giovedì 12 settembre 2013
Contratto bancari, Abi verso la disdetta – Sileoni (Fabi): «Attacco ai diritti dei lavoratori, non escludiamo il ricorso allo sciopero»
L’articolato prevede che la naturale scadenza del contratto nazionale del credito sia a giugno 2014, tra dieci mesi
Cristina Casadei
Abi verso la disdetta unilaterale del contratto collettivo nazionale di lavoro. Nell’esecutivo di luglio era emersa una posizione favorevole all’ipotesi di disdettare il ccnl ma data l’importanza della decisione e la sensibilità della categoria era stata decisa una ulteriore ratifica. Dall’esecutivo dell’Associazione bancaria italiana di ieri, a Milano, per ò, è uscito un documento votato all’unanimità in cui si dà mandato al Presidente del Comitato sindacale e del lavoro e vicepresidente di Abi, Francesco Micheli, di utilizzare la disdetta anticipata del contratto.
I sindacati sono stati convocati lunedì 16 settembre e si aspettano soltanto in quell’occasione di ricevere la lettera di disdetta formale. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni considera la decisione «un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, a cui dovremo rispondere unitariamente con la massima convinzione e determinazione, non escludendo nemmeno il ricorso allo sciopero». Giulio Romani, segretario generale della Fiba Cisl parla di «un futuro di tensioni e di conflitti che archivierebbe definitivamente la stagione concertativa». Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil osserva che «una scelta dell’Abi in questa direzione è un grave errore a cui risponderemo, se necessario, con uno sciopero, da decidere unitariamente. Avrei immaginato che sull’onda anche del patto per la crescita e l’occupazione sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria l’Abi decidesse di valorizzare il patrimonio di relazioni industriali, mettendo al centro con noi la difesa dell’occupazione e della crescita con la riapertura dei rubinetti del credito per gli investimenti. Quel che vedo affacciarsi è invece una scelta di drammatizzazione che guarda unicamente a far saltare il contratto nazionale».
L’articolato prevede che la disdetta venga data 6 mesi prima se non si vuole rinnovare automaticamente il contratto. I sei mesi quindi rappresentano un termine ultimo, altrimenti il contratto si rinnova tacitamente. La scorsa tornata contrattuale il contratto era stato disdettato «tre mesi prima, d’intesa con i sindacati», ricorda Sileoni. Dunque altra modalità e altri tempi. La naturale scadenza del ccnl del credito sarebbe infatti giugno del 2014. Mancano quindi dieci mesi. La decisione è «quanto mai inopportuna in questo momento così delicato – osserva Romani -. Lunedì doveva essere una giornata dedicata all’ammortizzatore sociale del settore, il Fondo di solidarietà, dove ci sono una serie di problematiche a trasformarlo secondo la legge Fornero. Il rischio è mescolare i piani e in ogni caso non ci stiamo a far entrare la discussione sull’ammortizzatore dentro una logica di scambio con il contratto nazionale. Non siamo disposti a barattare la sicurezza del posto di lavoro di migliaia di lavoratori con questioni connesse agli aumenti salariali». Certo è, riflette Romani, che «le aziende sono in difficoltà, hanno carenza di progetto e di innovazione. Per fronteggiare questa situazione decidono quindi di ridurre il più possibile i costi. La sensazione è che si voglia recuperare il costo del lavoro dalla struttura del contratto, rimettendone in discussione l’impianto». Ma un’operazione del genere, secondo Romani, «si realizza rinviando il rinnovo e portando avanti l’eventuale riconoscimento degli aumenti contrattuali che si pagano a scadenza. L’anticipo con cui si agisce non si deve ad altro se non al fatto che si vuole agire su un negoziato rispetto all’aumento contrattuale».
Il numero uno della Fabi, Sileoni, annuncia battaglia anche a fronte di un approccio più soft e cioè nel caso in cui la delegazione Abi si presenti dicendo che si tratta di un atto politico e che il contratto è stato disdettato ma nell’immediato non ci sono ripercussioni concrete. «Non ci stiamo a sederci a un tavolo di confronto per ridefinire un contratto alle condizioni di Abi, ipotizzando due binari per la parte economica, prevedendo un trattamento diverso per chi è nelle agenzie e chi è negli uffici. E poi ancora azzerando gli inquadramenti». Fonti Abi spiegano che la disdetta formale non c’è.
AFFARI ITALIANI.it mercoledì 11 settembre 2013
Banche italiane nella tempesta – I sindacati sul piede di guerra
di Giulio Genoino
Banche nella tempesta: al fronte della crisi finanziaria e della severità dei diktat europei se ne sta per aggiungere uno sindacale. L’Abi è in procinto di disdettare il contratto nazionale di lavoro, con sette mesi di anticipo sui termini che l’accordo prevedeva proprio per la disdetta. Un segnale “politico” chiaro ai sindacati: siamo in emergenza, si cambia. E subito. La notizia – secondo quanto comunicato da Lando Sileoni, segretario nazionale della Fabi, il più importante sindacato della categoria (primo per rappresentanza anche rispetto a Cgil-Cisl e Uil), in un video trasmesso ieri dalla tv della stessa Fabi – dovrebbe essere formalizzata lunedì prossimo dall’Associazione bancaria italiana e la ragione di una disdetta così anticipata risiederebbe nella determinazione degli istituti di credito – o almeno dei molti, tra essi che, come Unicredit, propendono per una linea “dura” – di riscrivere interamente le regole entro la scadenza del contratto in vigore, per non dover trattare il rinnovo in regime di proroga, mantenendo quindi in essere tutti i vantaggi dell’attuale accordo.
La materia è incandescente, perché da più parti si stima un’eccedenza occupazionale di almeno il 10% sui 330 mila lavoratori inquadrati con quel contratto. Un’eccedenza esplosiva da gestire, perché la categoria – tradizionalmente considerata, in Italia, molto avvantaggiata – non gode per questo di alcuni istituti, come la Cassa integrazione, che sono l’ammortizzatore sociale più efficiente per molte altre categorie. Inoltre, da oggi alla scadenza dell’attuale contratto, decorrono ancora altre due tranche di miglioramenti salariali, riconosciute dall’Abi ai sindacati quando la crisi c’era già, eccome, che la disdetta potrebbe voler disconoscere: ma in tal caso, la categoria si mobiliterebbe.
Dalle indiscrezioni che filtrano negli ambienti sindacali, i banchieri vorrebbero scardinare l’attuale logica degli inquadramenti, trasferire dai ruoli organici a quelli commerciali meno protetti (i promotori finanziari) molte figure oggi intermedie ma ancora inquadrate come dipendenti e distinguere nettamente sul piano retributivo le figure a contatto con la clientela, che sarebbero premiate, da quelle di back-office, che lavorano negli uffici, e che dovrebbero restare al palo. Su tutto aleggia poi lo spettro di un piano-tagli di categoria che, senza arrivare alla severità del Monte dei Paschi, che pianifica di ridurre l’organico di oltre il 20 per cento in tre anni, permetta per ò a tutti gli istituti di tagliare massicciamente il personale. Probabilmente si tratta anche di risparmi ormai resi indispensabili dalla profondità e dalla durata della crisi, ma resta singolare che appena due anni fa le stesse banche abbiamo firmato un contratto che prevedeva 170 euro di aumento a regime, restituendo alla categoria tutta l’inflazione che aveva eroso nel triennio precedente il potere d’acquisto dei salari.
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