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MF-MILANO FINANZA venerdì 5 dicembre 2014
Quello che 346 mila bancari si aspettano dall’Abi sul contratto
di Lando Sileoni*
Il rinnovo del contratto nazionale dei 309 mila bancari, ma che coinvolge indirettamente anche altri 37 mila dipendenti delle bcc, va oltre i rituali che contraddistinguono i rinnovi dei contratti nazionali. La posta in gioco non è quella rivendicata da Abi, tutta genericamente indirizzata a una riduzione dei costi, ma assume connotati di rilevanza politica. Il modello di relazioni sindacali negli ultimi 15 anni è stato innovativo e gli accordi sottoscritti con Abi hanno rappresentato un modello di riferimento anche per altri comparti. Abbiamo fatto scuola. Negli anni 70, 80 e 90, il clima sindacale nelle aziende era pessimo e per rinnovare i contratti nazionali fummo costretti a scioperi ben oltre le 100 ore di lavoro. Dal 2000 a oggi la categoria, in una politica di concertazione con le aziende, non ha mai scioperato, escludendo l’astensione del 31 ottobre 2013. Voglio ricordare che l’Abi esiste come istituzione anche perché esiste il contratto dei bancari e le minacce, neanche tanto velate, di qualche banchiere che «rivendica una categoria senza un proprio contratto» rappresentano un autogoal politico clamoroso.
Creando nel 1999 il Fondo di solidarietà o Fondo esuberi e poi di seguito, negli anni successivi, il Fondo emergenziale e il Fondo per l’occupazione, la categoria ha trovato le risorse per dare risposte concrete alle crisi aziendali, ai lavoratori licenziati dalle banche straniere e non pensionabili, oltre ai circa 9.300 giovani che dal 2012 hanno trovato un sicuro posto di lavoro nei nostri istituti. Il Fondo di solidarietà ha anticipato le previsioni della riforma Fornero, la quale ha reso obbligatorio il modello del nostro Fondo per i settori privi di cassa integrazione. Il Fondo per l’occupazione ha precorso la politica di incentivi di assunzione di giovani a tempo indeterminato del governo Renzi, attraverso lo sgravio dei contributi alle aziende per tre anni. Il Fondo di solidarietà ci ha permesso di prepensionare volontariamente, attraverso anche un incentivo economico, 48 mila lavoratori e consentirà ad altri 20 mila l’accesso alla pensione volontaria fino a tutto il 2020, per effetto dei recenti accordi conseguiti dai sindacati all’interno dei principali 14 gruppi bancari italiani. Come dire: non solo il sindacato ha evitato licenziamenti collettivi, ma l’intera categoria ha risposto nei momenti più difficili con senso di responsabilità. Nei piani industriali, a fronte di prepensionamenti volontari, il sindacato ha sempre ottenuto, da una parte, la stabilizzazione dei giovani precari e, dall’altra, un numero consistente di nuove assunzioni. La posizione di Abi, che dal mio punto di vista non ritengo politicamente corretta, va nella direzione di creare un blocco strutturale di alcune voci legate al Tfr e degli scatti d’anzianità. La richiesta viene giustificata dalle banche con motivazioni piuttosto generiche, definendola necessaria non solo per ridurre i costi, ma per fermare l’insostenibile dinamica di crescita del costo del lavoro. Almeno così rivendicano i banchieri. Una pregiudiziale, quella di Abi, che va nella direzione opposta di una normale trattativa sindacale, dove le pregiudiziali non dovrebbero avere cittadinanza alcuna. Noi vogliamo recuperare l’inflazione, potenziare l’area contrattuale, che rappresenta l’unico strumento che il sindacato ha sia per difendere i posti di lavoro, sia per garantire quei lavoratori eventualmente interessati dall’esternalizzazioni. Insomma, vogliamo difendere quell’area contrattuale che Abi vuole smantellare con la pretesa di avere mano libera, nel caso in cui, tra qualche mese, dovessero ripartire le aggregazioni.
Stando così le cose, l’Abi vuole, da una parte, interrompere la crescita del costo del lavoro e, dall’altra, gestire i prossimi anni di probabili fusioni senza il vincolo contrattuale di accordi sindacali. Insomma: non solo non riconosce l’inflazione, ma vuole destrutturare il contratto nazionale per avere facile accesso ai licenziamenti collettivi. Ci troviamo di fronte, quindi, non solo a un assalto alla diligenza, cioè il nostro contratto di lavoro, ma a un pericolosissimo avvelenamento dei pozzi (aziende e gruppi bancari), che produrrebbe dei danni incalcolabili, in quanto ci troveremmo di fronte a impiegati di serie A e di serie B.
Non credo all’ipotesi che la categoria possa rimanere senza un contratto. Non credo che trasferire alcuni argomenti e alcune competenze del contratto nazionale alla contrattazione di secondo livello, senza una regolamentazione delle stesse prevista all’interno del contratto nazionale, possa risolvere problemi strutturali. Credo, invece, che una liberalizzazione selvaggia creerebbe una competizione sfrenata tra le aziende che limiterebbe i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori bancari. Fino ad oggi l’Abi si è sempre smarcata dalla richiesta d’impegni contrattuali e politici, che il sindacato ha più volte sollecitato sul tema del mantenimento degli attuali livelli occupazionali e su quello dell’occupazione giovanile. Una chiusura inspiegabile.
Dopo l’esito degli stress test, che ha visto importanti istituti italiani in difficoltà, diventa fondamentale per il sindacato proteggere il tema occupazionale. Per potenziare l’area contrattuale sarebbe fondamentale che si creassero le condizioni, in caso di fallimento di un’azienda bancaria, di un intervento degli istituti più in salute a favore di quei dipendenti che correrebbero il serio rischio di rimanere senza lavoro. è auspicabile un impegno contrattuale che andasse in questa direzione, concordato con tutte le organizzazioni sindacali del settore. Sul tema invece dell’occupazione giovanile, l’attuale contributo che i banchieri garantiscono al Fondo per l’occupazione, pari al 4% della retribuzione, dovrebbe aumentare, nel segno di una solidarietà sociale dei super manager. La Fabi è pronta a fare la sua parte e auspico che queste considerazioni possano fornire uno stimolo per un dibattito nell’interesse della categoria.
Per tutte le riflessioni da me esposte e per l’impossibilità di avere uno spiraglio per continuare le trattative, proclameremo uno sciopero probabilmente a fine gennaio, dopo le assemblee dei lavoratori, attuando il blocco delle relazioni sindacali di gruppo dal 29 dicembre. L’Abi non ci ha lasciato alternative e si dovrà assumere la responsabilità, di fronte alla categoria, alla classe politica e all’opinione pubblica, della sua netta e ingiustificata chiusura manifestata alle nostre richieste economiche, alla difesa dell’area contrattuale e dei posti di lavoro. * segretario generale Fabi
IL SOLE 24 ORE venerdì 5 dicembre 2014
Lo sciopero dei bancari il 30 gennaio
Il 30 gennaio disagi allo sportello. Alle assemblee dei lavoratori che inizieranno da metà dicembre i sindacati dei 309mila bancari della galassia Abi proporranno il 30 gennaio come data dello sciopero (nella foto una recente manifestazione) per il negoziato del rinnovo del contratto collettivo di lavoro. Dopo gli incontri di questi giorni i sindacati (Fabi, Fiba, Fisac, Uilca, Dircredito, Ugl credito, Sinfub) hanno deciso anche il blocco delle relazioni nei gruppi a partire dal 29 dicembre. I tempi per il rinnovo del contratto, proprio alla luce di queste decisioni che dovranno essere validate dalle assemblee dei lavoratori, si allungano ulteriormente. (C.Cas.)