BANCARI, TUTTI I NUMERI DELL?INGIUSTIZIA
Dal 2000 al 2020 68mila posti di lavoro in meno nelle banche. Intanto aumentano le differenze tra banchieri e bancari e sulla categoria pesa l’incognita Contratto. Sileoni: ABI vuole riportarci indietro di almeno 30 anni. Leggi il servizio de Il Sole 24 Ore
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Dal 2000 al 2020 68mila posti di lavoro in meno nelle banche. Intanto aumentano le differenze di salario tra banchieri e bancari e sulla categoria pesa l’incognita Contratto. Sileoni: “ABI vuole riportare le lancette indietro di almeno 30 anni sui diritti dei lavoratori”. Leggi il servizio de Il Sole 24 Ore
IL SOLE 24 ORE venerdì 23 gennaio 2015
Banche, il contratto si riduce – Meno istituti e 13.500 addetti di back office a rischio esternalizzazione
Cristina Casadei
#sono bancario. e mi piacerebbe fare banca. Non vendere elettrodomestici. sono bancario. banchieri due più due fa ancora quattro i bancari vogliono il contratto. #sono bancario. e non banchiere. sono bancario. usurato da continue fusioni. Il mood dei lavoratori del credito si misura anche attraverso le migliaia di tweet partiti dagli sportelli dopo l’hashtag lanciato dai sindacati in vista delle sciopero del 30 gennaio. Così come attraverso le assemblee che per alcuni banchieri sono più significative delle adesioni allo sciopero. Da un lato e dall’altro il messaggio è chiaro: i bancari vogliono il contratto e avanzano per difendere conquiste del passato e aumento futuro. In piazza ci saranno Fabi, Fiba, Fisac, Uilca, Dircredito, Ugl credito, Sinfub, Unisin, ma anche i segretari generali di Cgil Cisl e Uil. «è il segno di una battaglia più generale, non di categoria, per la crescita e il lavoro che sta nel nuovo modello di banca e nel bancario al servizio del paese – dice il segretario generale della Fisac, Agostino Megale -. Abi si pone come apripista del fronte imprenditoriale, di chi vuole smantellare i contratti nazionali. Ma un settore senza contratto è come un paese senza costituzione».
Con il 30 gennaio alle spalle, Abi e i sindacati dovranno sbloccare una situazione che vista dal basso racconta una certa insofferenza rispetto ai cambiamenti di questi anni come dice chi chiede di fare banca e non vendere elettrodomestici. O chi è stufo delle ripercussioni delle fusioni. Dal 2000 ad oggi, secondo un calcolo della Fabi, sono usciti dal settore 48mila lavoratori. Da luglio 2014 fino a tutto il 2020 altri 20mila volontariamente andranno in prepensionamento o in pensionamento per effetto degli ultimi accordi. Sommando dal 2000 al 2020, 68mila lavoratori usciranno dalle banche. Non solo. C’è infatti anche l’incognita, in futuro, per i 13.500 che lavorano nel back office e che il sindacato considera a rischio: la spinta delle aziende verso le esternalizzazioni è forte, di qui la forza con cui i sindacati difendono l’area contrattuale. E il salario. Le diseguaglianze, così le definisce uno studio della Fisac Cgil, fra bancari e banchieri aumentano: se nel 2000 la retribuzione di fatto media di impiegati e quadri era 47.459 euro, nel 2014 è diventata di 46.649 euro, con una perdita di 810 euro. Il contratto che difende il salario dei bancari dall’inflazione non riesce a difenderlo anche dall’aggressività del fisco. Diversa la situazione dei top manager (sono stati considerati i fissi e i variabili dei primi 5 amministratori delegati dei grandi gruppi) che invece sono passati da 3,1 milioni di euro del 2000 a 3,7 milioni di euro del 2014, con un incremento di 600mila euro. Secondo lo studio della Fisac mediamente, dal 2000 al 2014, un banchiere ha guadagnato 42mila euro in più all’anno. La forbice si allarga, i sindacati chiedono che i banchieri diano il buon esempio e si riducano lo stipendio. La risposta di alcuni è: non fate del populismo. Quella di altri: guardate alla produttività, siamo agli ultimi posti in Europa.
Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, dice che «una posizione così rigida e chiusa nella storia dei rinnovi dei contratti nazionali non c’è mai stata. è vero che c’è la crisi e che le banche non guadagnano più come un tempo, ma è evidente l’intenzione di sfruttare la confusione politica del momento per riportare le lancette indietro di almeno 30 anni sui diritti dei lavoratori. Non vogliono pagare l’inflazione e, soprattutto nel caso di Unicredit, vogliono alleggerire il contratto nazionale per sostituirlo con il contratto aziendale dove per ò si creerebbero le condizioni per un trattamento diverso tra un lavoratore e l’altro». Il dibattito sul contratto che nelle ultime settimane di negoziato era stato ridotto alla questione del blocco degli scatti per il segretario generale della Fiba, Giulio Romani, ha spostato l’attenzione dalla vera questione. «La partita è un’altra – sostiene Romani -. Gli scatti valgono lo 0,60%, il costo del lavoro è pari a 25 miliardi di euro: quindi stiamo parlando di 150 milioni di euro all’anno a livello di sistema, quando abbiamo fatto piani industriali che hanno consentito risparmi maggiori. è chiaro che non pu ò essere in 150 milioni di euro il centro dello scontro. La verità è che le banche non sono più interessate a fare sistema come lo erano invece negli anni ’90, e non sono più interessate a un contratto nazionale forte». © RIPRODUZIONE RISERVATA Cristina Casadei
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