IPOTESI MAXI FUSIONE, LA FABI SI FA SENTIRE
Sileoni: “L’idea di una maxi aggregazione tra Unicredit, Intesa Sanpaolo e MPS sembra spot pubblicitario di qualche banca d’affari per ritagliarsi un ruolo nella partita MPS. Stop a speculazioni”. Leggi la dichiarazione ripresa dai principali quotidiani nazionali e locali
IL SOLE 24 ORE sabato 3 ottobre 2015
Il mercato boccia la maxi-fusione – Gli analisti: troppe sovrapposizioni di filiali e prestiti tra Intesa, UniCredit e Mps
Analisti, osservatori e sindacati bocciano l’ipotesi di un progetto di fusione tra UniCredit, Intesa e Mps. Il dossier preparato da una banca d’affari, secondo le indiscrezioni rivelate ieri dal Sole 24 Ore, prevederebbe una maxi-fusione dei due colossi nazionali tramite scambio azionario e un successivo coinvolgimento della banca di Rocca Salimbeni, che sarebbe accorpata alla parte italiana di UniCredit.
L’ipotesi, come riportato ieri, appare vicina alla fantafinanza ma d’altra parte sta circolando con insistenza ai vertici del mondo finanziario. Dal versante delle banche coinvolte nel progetto, come anticipato ieri, è arrivata una smentita categorica all’ipotesi di fusione. «La banca ha già smentito. Confermo la categorica smentita su tutti i fronti», ha detto il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Analoghe smentite sono arrivate dai portavoce di UniCredit e Mps.
L’ipotetico piano di aggregazione registra nel contempo perplessità da parte degli analisti bancari. Un progetto simile è «difficilmente realizzabile, date le sovrapposizioni territoriali (non solo in Italia), i vincoli Antitrust, la governance e l’impatto occupazionale», notava ieri l’analista di Mediobanca Securities, Riccardo Rovere, nel suo report. Se, aggiunge l’analista, «uno degli obiettivi di questa transazione fosse trovare un partner per Mps come richiesto dal regolatore, riteniamo che questa via sia eccessivamente complicata».
Per Matteo Ghilotti, analista bancario di Equita Sim, «questo progetto ha bassissime probabilità di realizzazione» e «crediamo che porterebbe semplicemente a un trasferimento di valore da un titolo all’altro, senza creazione netta di market cap». Appare evidente che «il maggior beneficiario sarebbe Banca Monte dei Paschi, poi Unicredit mentre Intesa Sanpaolo vedrebbe cambiare sensibilmente la propria equity story». Intesa, aggiunge l’analista «diventerebbe global sifi, probabilmente dovrebbe ridurre il dividend payout» e «avrebbe un profilo di rischio più elevato».
Dubbi arrivano anche da parte di Andrea Resti, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi. Interpellato sul tema dall’AdnKronos, Resti mette in evidenza i pssibili «grossi problemi di Antitrust, con una evidente concentrazione in diversi mercati». Un progetto del genere, spiega il docente, «non pu ò essere una semplice addizione di tre banche e potrebbe configurarsi solo come un’impresa estremamente articolata, non solo con aggregazioni ma anche con scorpori» e, quindi, «con rilevanti ripercussioni anche sul piano occupazionale».
Proprio l’aspetto occupazione è al centro delle attenzioni dei sindacati, che hanno immediatamente fatto muro rispetto allo scenario di una maxi-aggregazione. «Voci su ipotesi di questa natura, che determinerebbero la chiusura di 2mila filiali e 20-25mila esuberi, devono essere stroncate sul nascere», ha affermato in una nota il segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale. Per il numero uno del sindacato dei bancari della Cgil «dopo sette anni di crisi, che hanno determinato nel settore la perdita di 48mila posti di lavoro, deve essere chiaro a tutti che la priorità è la tutela dell’occupazione».
Se «dietro i pareri di talune banche d’affari si nasconde la volontà di qualche banchiere nel voler amplificare l’argomento esuberi, avvisiamo che, come già fatto per il Contratto Nazionale, siamo pronti a scendere nuovamente in piazza e a proclamare altre giornate di sciopero», afferma Lando Sileoni, segretario generale Fabi. Per Massimo Masi, segretario generale della Uilca, la fusione provocherebbe la «completa distruzione del sistema bancario italiano». Per il segretario della First Cisl, Giulio Romani, «si farebbe davvero fatica a comprendere il senso e la sostenibilità di una simile aggregazione».
Ieri in Borsa il titolo Intesa ha chiuso a +0,9%, Unicredit +1,16%, mentre Mps ha messo a segno un rialzo del 4,46% a 1,63 euro, a fronte di un Ftse Mib in progresso dell’1,19%. © RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi
IL SOLE 24 ORE sabato 3 ottobre 2015
Freddezza da parte di Bankitalia e Mef
ROMA. Una smentita categorica da parte dei diretti interessati, ovvero Intesa Sanpaolo, Unicredit e(da ultimo) anche Monte dei Paschi, ha tranquillizzato ieri le autorità di controllo dei mercati sul progetto (anticipato ieri dal Sole 24 Ore) allo studio di una banca d’affari (il nome che continua a circolare con insistenza è quello di Jp Morgan) che ipotizza la creazione del grande campione nazionale italiano del credito .
Un’idea che potrebbe forse avere il pregio di ottemperare alla richiesta dell’Ssm di Francoforte di procedere a un’ aggregazione per meglio delineare il futuro della banca senese. Ma che poi implicherebbe tante di quelle economie di scopo (traduzione: drastici tagli di filiali e personale) da lasciare sul campo molti morti e feriti. Senza contare il fatto che tra i morti o i feriti occorrerebbe considerare anche il principio di tutela della concorrenza nel credito.
Per evitare di travolgere completamente ogni logica antitrust bisognerebbe infatti, come è stato messo in evidenza dagli esperti,considerare, oltre alle aggregazioni, anche degli scorpori (il progetto,rivelato da il Sole 24 Ore prevede in effetti che si scorporino le attività italiane di Unicredit). Ma tutto questo non potrebbe non avere forti conseguenze negative sotto il profilo dell’occupazione . Non è un caso, quindi, che la giornata di ieri abbia visto una generale levata di scudi da parte dei sindacati bancari:«Voci su ipotesi di questa natura, che determinerebbero la chiusura di 2mila filiali e 20-25mila esuberi, devono essere stroncate sul nascere» ha dichiarato ad esempio il segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale».
Mentre per Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, «com’è ormai noto le proposte autoreferenziali e propagandistiche delle società di consulenza e delle banche d’affari non trovano quasi mai riscontro nella realtà. Piu’ che un suggerimento, l’idea di un’aggregazione tra i tre maggiori istituti del Paese sembra uno spot pubblicitario per acquisire milionari contratti di consulenza e ricevere lauti guadagni».
Ma, accanto alle resistenze del mondo sindacale, che ovviamente vanno date per scontate di fronte all’ipotesi di una nuova drastica riduzione dell’occupazione dopo che in sette anni di crisi il settore creditizio ha perduto quasi cinquantamila posti di lavoro, c’è da registrare anche la freddezza che si respira nei palazzi delle autorità monetarie.
C’è freddezza in Bankitalia, che opera in condominio con Ssm sui profili di stabilità creditizia e che continua a vigilare anche sulla concorrenza in campo bancario.
E c’è freddezza al ministero dell’Economia, che ha il compito di vigilare sulle fondazioni. Il motivo è molto semplice : l’economia italiana sta cominciando a recuperare il terreno perduto nei lunghi anni di recessione anche perchè una politica monetaria ultra-accomodante sta facendo riaffluire il credito all’economia, alle imprese e alle famiglie.
Di tutto c’è bisogno in questo momento tranne che di una soluzione “monistica”per l’assetto del sistema creditizio italiano. Il monopolio dell’offerta di credito riproporrebbe quei rischi di asfissia che la stretta ha provocato negli anni scorsi per imprese e famiglie. Inoltre, significherebbe meno concorrenza sui costi e sui servizi per la clientela e comporterebbe il gigantismo anche nei rischi di mercato. Da Palazzo Chigi, intanto, nessun commento. Rossella Bocciarelli
PLUS sabato 3 ottobre 2015
Bpvi ed Etruria imboccano strade diverse
Nicola Borzi
Nella settimana in cui sotto in riflettori della cronaca sindacale del settore creditizio finisce il nuovo piano industriale di Banca Popolare di Vicenza, con le sue pesantissime ricadute occupazionali, in altre zone del Paese si lavora strenuamente per centrare l’obiettivo di messa in sicurezza di altri gruppi entro la scadenza di fine anno. Il 30 settembre BPVi ha comunicato i contenuti del nuovo piano industriale 2015-20: tra questi, la chiusura di 150 sportelli — quasi un quarto della rete del gruppo — già prevista nel precedente piano industriale, e 575 esuberi, dei quali 300 entro il 2016 e 275 entro il 2020, tutti “volontari” tramite il fondo di settore — un decimo dei dipendenti —, con l’obiettivo di arrivare a un notevole rafforzamento patrimoniale (Cet1 oltre il 12% nei 5 anni di piano) e di conseguire il ritorno all’utile: oltre 215 milioni di utile netto nel 2018 e 330 milioni nel 2020. Inutile dire che i sindacati sono insorti: «Il rilancio del gruppo non pu ò partire dal sacrificio esclusivo dei dipendenti: deve essere completata — e la richiesta giunge a gran voce dai bancari — la necessaria opera di pulizia del vertice aziendale», scrivono in una nota congiunta Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil e Unisin.
Intanto per ò, come preannunciato sul numero scorso di Plus24, il Fondo interbancario tutela depositi ha iniziato a controllare la situazione di Banca Etruria. Dal 30 settembre gli ispettori del Fitd, dopo aver raggiunto una intesa con i commissari dell’istituto in amministrazione straordinaria decisa da Banca d’Italia, Riccardo Sora e Antonio Pironti, sono arrivati nella sede generale dell’istituto di Arezzo per la due diligence. Il processo di controllo dei conti dovrebbe terminare nel volgere di quattro – sei settimane. Secondo fonti di stampa, un’analoga operazione sarebbe in corso in Banca delle Marche, altro istituto del Centro Italia commissariato dalla Vigilanza di Palazzo Koch. L’obiettivo del Fondon interbancario di tutela dei depositi sarebbe quello di creare una holding per il salvataggio di Banca Etruria,Banca Marche e Cassa di Risparmio di Ferrara. Ma i tempi stringono perché dal primo gennaio 2016 scatteranno le norme sul bail in e l’intervento del Fitd non sarà più possibile. nicola.borzi@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL GIORNALE (EDIZIONE NAZIONALE) sabato 3 ottobre 2015
Intesa e Unicredit smentiscono la mega fusione per salvare il Mps
Intesa Sanpaolo, Unicredit e Monte Paschi da alcune banche d’affari per arrivare a fusione a tre. «La banca ha già smentito. su tutti i fronti», ha detto ieri il consigliere delegato di Intesa, Carlo Messina. Piazza del Sole 24 ore, Mps ha chiuso in rialzo del 4,46 1,63 Intesa 0,9 Unicredit l’ %. Perché la Borsa sa bene che se non sarà trovata rapidamente una soluzione per Mps ci sarà un problema politico anche per il governo Renzi. A volere un cavaliere bianco a Siena è infatti la stessa Banca centrale europea di Mario Draghi schierate nei consorzi di garanzia per le altre due «malate» del credito nazionale: Popolare di Vicenza e Veneto Banca. «è iniziato il solito balletto all’italiana per accreditarsi con il governo rispetto al futuro di Mps e alla situazione del settore bancario, sia in termini di eventuali chiusure di sportelli sia di esuberi», ha attaccato segretario generale della Fabi, Maria Sileoni nel generalizzato allarme dei sindacati. Intesa fisso sugli equilibri nel libro soci. «Quello che è im di governance che valorizzi al massimo la presenza degli investitori internazionali, che oramai hanno la maggioranza del capitale, ma fondamentale che le Fondazioni hanno svolto», ha detto Messina. Compagnia di Sanpaolo è primo azionista di Ca ‘ de Sass con il 9,8 %, seguita da Fondazione Cariplo con il 4,6 per cento. «Le Fondazioni – hanno garantito una stabilità e una tranquillità e serenità al management unica nel contesto internazionale. Abbiamo garantito ottimi risultati periodo della banca, così come fanno gli investitori internazionali». Quanto alla bozza del nuovo statuto, ha aggiunto Messina, «ci sarà una proposta entro una decina di giorni».
CORRIERE DELLA SERA (EDIZIONE NAZIONALE) sabato 3 ottobre 2015
Risiko, apre la partita per Mps Intesa e Unicredit: nessuna fusione. Le ipotesi sul riassetto dell’istituto di Siena
MILANO Le attese sulla sistemazione della complessa partita di Mps stimolano la Borsa, anche in presenza di indiscrezioni al limite del fanta- Ieri è stata la suggestione di una maxi- a tre fra Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps a riaccendere i riflettori su Siena che ha chiuso in forte rialzo, +4,46 a 1,639 euro, nonostante la «smentita categorica» — pa- di Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo — delle banche presunte protagoniste dell’aggregazione la levata di scudi dei sindacati che temono 25 mila nuovi esuberi e le difficoltà antitrust. Più contenute Unicredit, +1,1 e Intesa, +0,90 A Piazza Affari il rumor ha tenuto banco perché il mercato si attende una soluzione su Mps (magari con una popolare come Ubi), anche se solo pochi giorni fa il neo- Massimo Tononi ha rinviato al 2016 per l’aggregazione richiesta dalla Bce. Il dossier di una banca d’affari citato ieri dal «Sole 24 Ore» ipotizzerebbe una fusione tra Intesa Sanpaolo e Unicredit con successivo scorporo della rete italiana di quest’ultima per fonderla con Mps. Obiettivo finale, la messa in sicurezza dell’istituto guidato da Fabrizio Viola. Secondo Mediobanca Securities, uno degli obiettivi è trovare un partner a Mps come richiesto dai regolatori questa modalità è «eccessivamente complicata». Il Montepaschi ha un serio problema di crediti non performing, circa 42 miliardi lordi di sofferenze. l’assenza finora di una bad bank — nonostante gli sforzi del governo — non consente di alleggerire l’istituto di questa zavorra del passato. è vero che Mps ha chiuso il derivato Alexandria con Nomura rendendo più solido il patrimonio. In più, se sarà superato lo scoglio dello Srep, l’esame prospettico della Bce, non dovrebbe avere problemi di capitale. Sul mercato le opinioni sul Mps sono diverse: c’è chi dice che ora non ci sono problemi sotto il tappeto e chi invece considera inevitabile rinforzarne il patrimonio e dunque il ricorso alla fusione, per far guadagnare a Siena una maggiore redditività a favore dei soci. Tra le ipotesi dei banchieri d’affari ci sarebbe anche quella di una fusione tra le sole Unicredit e Mps, che giustificherebbe quell’aumento di capitale che secondo alcuni il gruppo guidato da Federico Ghizzoni dovrà prima o poi fare. Anche se — obiettano altri osservatori — Unicredit potrebbe avere più difficoltà a giustificare la richiesta di capitali freschi ai soci per una concentrazione tutta italiana che aumenterebbe la zavorra delle sofferenze e il problema degli esuberi. Il leader della Fabi, Lando Sileoni, ieri ha bollato l’ipotesi come uno «spot pubblicitario» di qualche banca d’affari per fare affari e «accreditarsi con il governo rispetto al futuro di Mps». Per Massimo Masi della Uilca sarebbe la «completa distruzione del sistema bancario italiano» mentre per Agostino Megale, della Fisac, «dopo sette anni di crisi e 48mila posti di lavoro persi la priorità è la tutela dell’occupazione Fabrizio Massaro
IL TEMPO (EDIZIONE NAZIONALE) sabato 3 ottobre 2015
Risiko bancario – Energia e appalti Saipem, Scaroni ed Eni prosciolti dall’accusa di tangenti in Algeria Marchio Il cavallino rampante Ferrari sbarca alla Borsa Usa. In vendita il 10% Mps Siena è alle prese con un processo di risanamento finanziario Unicredit- smentiscono il super polo «è solo fantafinanza»
Fantafinanza, probabilmente. Nella migliore delle ipotesi, una delle tante simulazioni su cui si sviluppa il lavoro delle banche d’affari L’indiscrezione pubblicata dal Sole24ore cioè l’ipotesi di una maxi fusione fra Intesa Sp, Unicredit e Mps, è stata prontamente smentita dalle banche direttamente interessate. Eppure, ha fatto immediatamente discutere. Con i sindacati che si sono affrettati a schierarsi contro uno scenario che, inevitabilmente, comporterebbe pesanti ricadute sul piano occupazionale. La creazione di un colosso Intesa- scrive il quotidiano economico, stravolgerebbe lo scenario del settore e porterebbe all’eliminazione di almeno 2000 sportelli e al taglio di 20- posti di lavoro. L’operazione prevederebbe una fusione iniziale tramite scambioazionario tra UniCredit e Intesa Sanpaolo, con un possibile successivo scorporo della parte italiana di UniCredit che poi sarebbe apportata a Mps. Insieme allo schema descritto nel report di una banca d’affari il quotidiano diretto da Roberto Napoletano riporta anche le categoriche smentite sia di Intesa che di Unicredit e ricorda che i piani strategici di questi due istituti escludono ogni crescita ulteriore in Italia e qualsiasi interesse per un’aggregazione con Mps. Peraltro, una simile operazione finirebbe nel mirino dell’Antitrust mentre l’unione delle esposizioni creditizie «farebbe superare i limiti consentiti dalla Vigilanza». Lo scenario viene subito smontato dai sindacati bancari. «Com’è ormai noto le proposte autoreferenziali e propagandistiche delle società di consulenza e delle banche d’affari non trovano quasi mai riscontro nella realtà», polemizza Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Che aggiunge: «Più che un suggerimento, l’idea di un’aggregazione tra i tre maggiori istituti del Paese sembra uno spot pubblicitario per acquisire milionari contratti di consulenza e ricevere lauti guadagni». Più o meno le stesse valutazioni arrivano dal segretario generale della Uilca, Massimo Masi. «Siamo effettivamente di fronte alla fanta- pensare a fusioni di questo tipo, che smantellerebbero tutto il sistema bancario del Paese, è frutto di pensieri che porterebbero alla completa distruzione del sistema finanziario italiano». Dura anche la Cgil. «Voci su ipotesi di questa natura, che determinerebbero la chiusura di 2mila filiali e 20- esuberi, devono essere stroncate sul nascere», scandisce il segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale. Leo. Ven.Leo. Ven.
QUOTIDIANO DEL SUD (TUTTE LE “4” EDIZIONI)/IL PICCOLO DI TRIESTE/
sabato 3 ottobre 2015
BANCHE Ci potrebbero essere dolorose ricadute occupazionali – Possibile fusione Intesa- ma arriva subito la «categorica smentita – Si stimano 20- esuberi su 105mila lavoratori e la chiusura di circa 2mila degli 8.500 sportelli
di PAOLO ALGISI
MILANO- davvero esiste, è già stato seppellito da una valanga di no. Il progetto di una fusione tra le due più grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, con il coinvolgimento in un secondo tempo della claudicante Mps, terzo player del Paese, incontra un fuoco di sbarramento tra gli istituti interessati e i sindacati, preoccupati dalla montagna di esuberi che l’operazione porterebbe con sé. Il piano – «un dossier di poche pagine di una banca d’affari che in questi giorni circola sui tavoli dell’alta finanza», secondo quanto ha riportato il Sole 24 Ore – ha raccolto la smentita dei portavoce delle tre protagoniste, restando per ora confinato nel mondo della fantafinanza. «Confermo la categorica smentita» ha tagliato corto Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, margine dell’Italian conference di Jp Morgan. Poco si sa dell’operazione di cui non si conoscono né gli autori né gli eventuali sostenitori. Le indiscrezioni parlano di una fusione con scambio azionario tra Intesa e Unicredit, le cui attività italiane verrebbero scorporate ed integrate con Mps. E proprio la messa in sicurezza dell’istituto senese – a cui la Bce ha imposto di trovare un cavaliere bianco che non si vede all’orizzonte – sarebbe l’obiettivo finale dell’operazione Proprio questo elemento, secondo qualche osservatore, suggerirebbe di guardare a Roma e alla politica per trovare qualche apertura a una fusione di cui si era già parlato nel 2012, quando spunt ò un progetto che, si era detto allora, avrebbe avuto tra i suoi artefici Claudio Costamagna. L’attuale presidente della Cdp, presente all’Italian Conference, ha preferito non rispondere a domande sulla fusione. «Riteniamo che questa aggregazione sia difficilmente realizzabile in considerazione delle sovrapposizioni territoriali (non solo in Italia), dei limiti antitrust, della governance, degli impatti occupazionali», hanno scritto gli analisti di Mediobanca. Qualora «uno degli obiettivi» sia «trovare un partner per Mps come richiesto dai regolatori, riteniamo questa modalità eccessivamente complicata». Particolarmente dolorose le ricadute occupazionali: si stimano 20- 25 mila esuberi, un totale di circa 105 mila lavoratori delle due banche in Italia, e la chiusura di circa 2 mila degli 8.500 sportelli. Il leader della Fabi, Lando Sileoni bolla l’ipotesi come uno «spot pubblicitario» di qualche banca d’affari «per acquisire milionari contratti di consulenza e ricevere lauti guadagni» e critica il tentativo di «accreditarsi con il Governo rispetto al prossimo futuro del Gruppo Mps». Per Massimo Masi della Uilca la fusione provocherebbe la «completa distruzione del sistema bancario italiano». Le voci vanno «stroncate sul nascere» ha tuonato il segretario della Fisac, Agostino Megale.
BRESCIA OGGI/L’ARENA/IL GIORNALE DI VICENZA sabato 3 ottobre 2015
BANCHE. «Il Sole 24 Ore» cita uno studio – Valanga di smentite sull’ipotesi di fusione Intesa Unicredit Mps – Gli interessati negano l’operazione – I sindacati: «Spot pubblicitario
MILANO. Seppellito dai no. Il progetto di fusione tra le più maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, con il coinvolgimento in un secondo tempo di Mps, terzo player del Paese, incontra un fuoco di sbarramento tra interessati e i sindacati, preoccupati dagli esuberi che deriverebbero dall’operazione Il «dossier di poche pagine di una banca d’affari che circola sui tavoli dell’alta finanza», citato dal Sole 24 Ore, non ha raccolto apprezzamenti. «Confermo la categorica smentita» ha dichiarato Carlo Messina, ad di Intesa. Dell’operazione non si conoscono né autori né eventuali sostenitori. Le indiscrezioni parlano di fusione con scambio azionario tra Intesa e Unicredit, le cui attività italiane sarebbero scorporate e integrate con Mps. La messa in sicurezza dell’istituto senese, cui la Bce ha imposto di trovare un socio che non si vede all’orizzonte sarebbe l’obiettivo Questo elemento, per qualche osservatore, suggerirebbe di guardare alla politica romana per trovare aperture a una fusione di cui si era parlato nel 2012, con un progetto che tra gli artefici avrebbe avuto Claudio Costamagna, presidente della Cassa depositi e prestiti che non ha risposto a domande sulla fusione. «Riteniamo che questa aggregazione sia difficilmente realizzabile» scrive Mediobanca e qualora «uno degli obiettivi» fosse «trovare un partner per Mps come richiesto dai regolatori, riteniamo questa modalità eccessivamente complicata». Dolorose le ricadute: 20- mila esuberi su 105 mila lavoratori delle due banche in Italia e chiusura di 2mila degli 8.500 sportelli. Lando Sileoni, leader Fabi, bolla l’ipotesi come «spot pubblicitario» di qualche banca d’affari «per acquisire milionari contratti di consulenza e ricevere lauti guadagni» e critica il tentativo di «accreditarsi con il governo rispetto al prossimo futuro del Gruppo Mps». Per Massimo Masi, Uilca, la fusione provocherebbe la «completa distruzione del sistema bancario italiano». Le voci vanno «stroncate sul nascere» ha tuonato Agostino Megale segretario Fisac. Nonostante le smentite il riaccendersi dei riflettori su Mps ha spinto il titolo in borsa +4,4 Unicredit +1,16 e Intesa +0,9 non si sono scomposte. Intesa, ha detto Messina al giornale tedesco Boersen- prevede di batter il target di 4,5 miliardi di utile al 2017. «è importante» che la nuova governance, ha detto Messina «valorizzi al massimo la presenza degli investitori internazionali», maggioritari nel capitale, accanto alle Fondazioni.
IL GAZZETTINO (TUTTE LE “7” EDIZIONI) sabato 3 ottobre 2015
Voci di fusione, Mps vola in Borsa Dossier (smentito) di aggregazione tra Intesa- e di gruppo unico con la banca senese
MILANO – Se davvero esiste, è già stato seppellito da una valanga di no. Il progetto di una fusione tra le due più grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, con il coinvolgimento in un secondo tempo della claudicante Mps, terzo gruppo del Paese, incontra un fuoco di sbarramento tra gli istituti interessati e i sindacati, preoccupati dalla montagna di esuberi. Il piano – «un dossier di poche pagine di una banca d’affari che in questi giorni circola sui tavoli dell’alta finanza», secondo quanto ha riportato il Sole 24 Ore – ha raccolto la smentita dei portavoce delle tre protagoniste, restando per ora confinato nel mondo della fantafinanza. «Confermo la categorica smentita» ha tagliato corto Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo. Poco si sa dell’operazione Le indiscrezioni parlano di una fusione con scambio azionario tra Intesa e Unicredit, le cui attività italiane verrebbero scorporate ed integrate con Mps. E proprio la messa in sicurezza dell’istituto senese – a cui la Bce ha imposto di trovare un “cavaliere bianco” che non si vede all’orizzonte – sarebbe l’obiettivo finale. Questo elemento, secondo qualche osservatore, suggerirebbe di guardare a Roma e alla politica per trovare qualche apertura a una fusione di cui si era già parlato nel 2012, quando spunt ò un progetto che avrebbe avuto tra i suoi artefici Claudio Costamagna, attuale presidente di Cassa depositi e prestiti, il quale non commenta. «Riteniamo che questa aggregazione sia difficilmente realizzabile in considerazione delle sovrapposizioni territoriali (non solo in Italia), dei limiti anti- della governance, degli impatti occupazionali», hanno scritto gli analisti di Mediobanca. Particolarmente dolorose le ricadute occupazionali: si stimano 20- esuberi, un totale di circa 105.000 lavoratori delle due banche in Italia, e la chiusura di circa 2.000 degli 8.500 sportelli. Il leader della Fabi, Lando Sileoni, bolla l’ipotesi come uno «spot pubblicitario» di qualche banca d’affari «per acquisire milionari contratti di consulenza e ricevere lauti guadagni». Per Massimo Masi della Uilca la fusione provocherebbe la «completa distruzione del sistema bancario italiano». Le voci vanno «stroncate sul nascere – ha tuonato il segretario della Fisac, Agostino Megale – Dopo sette anni di crisi, che hanno determinato nel settore la perdita di 48mila posti di lavoro deve essere chiaro a tutti che la priorità è la tutela dell’occupazione Nonostante le smentite, il riaccendersi dei riflettori su Mps ha spinto il titolo in Borsa (+4,4 mentre Unicredit (+1,16 e Intesa (+0,9 non si sono scomposte. Proprio Intesa, ha detto ieri l’ad Messina, prevede di superare l’obiettivo di 4,5 miliardi di utile nel 2017.
LA SICILIA (TUTTE LE “8” EDIZIONI) sabato 3 ottobre 2015
BANCA POPOLARE DI VICENZA – Tagli di filiali e addetti pure in Sicilia insorgono i sindacati di Banca Nuova
PALERMO. Un piano di tagli che vale 150 filiali e 575 esuberi, un aumento di capitale con successiva trasformazione in Spa e quotazione in Borsa. Con queste tappe il nuovo A. d. della Banca popolare di Vicenza, Francesco Iorio, intende superare le difficoltà della capogruppo e la “bufera” che ne ha travolto i vertici. Per ò il piano di tagli, come ha confermato lo stesso Iorio presentandolo ai sindacati giovedì scorso, non riguarderà solo le filiali della holding, ma anche la controllata Banca Nuova in Sicilia. Ci ò ha suscitato forti reazioni, considerato che, a differenza della “vicentina”, Banca Nuova è solida e produce utili. In attesa di dettagli ufficiali, lunedì si riunirà l’intersindacale di Banca Nuova e nei giorni successivi Iorio potrebbe convocare un nuovo incontro per svelare anche i numeri che riguardano l’Isola Secondo fonti interne alla banca, le chiusure potrebbero riguardare le poche agenzie, meno di 10, cosiddette “low performing”, quindi con attività in perdita; dipendenti verrebbero assorbiti dalle agenzie che invece soffrono una carenza di personale; gli esuberi riguarderebbero lavoratori vicini all’età pensionabile. Ma i sindacati sono preoccupati. Carmelo Raffa (Fabi) chiede ai vertici di fermare i tagli in Sicilia: «Sarebbe assurdo, come affermano esperti economici siciliani, che il gruppo nella chiusura delle filiali adotti misure uniformi, ci ò provocherebbe danni al personale e alla banca». M. G.
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