ASSEMBLEA UBI, LA FABI SULLA STAMPA

Il leader della FABI, Sileoni, all’indomani della trasformazione di UBI in SPA: “No a bagni di sangue in termini di esuberi. Sì alla presenza dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli”. La dichiarazione ripresa da tutti i quotidiani locali e nazionali
CORRIERE DELLA SERA (NAZIONALE) domenica 11 ottobre 2015
Popolari, Ubi si trasforma in Spa «Adesso parliamo con il Banco» – Il ceo Massiah: ma le fusioni non sono facili. Sì dal 99% dei soci alla riforma Renzi
DAL NOSTRO INVIATO BRESCIA Alle 12.39 un voto plebiscitario del 98,88% dei 5.032 soci approva per alzata di mano la trasformazione di Ubi Banca da popolare a società per azioni. Finisce cosi, in poco più di tre ore, senza scontri, la prima assemblea societaria che si adegua alla riforma Renzi. Un’assise veloce, segno che i soci avevano già maturato la convinzione che un mondo cominciato oltre un secolo fa aveva ormai fatto il suo tempo. «Soddisfatto» il ministero dell’Economia, che twitta: «Con spa si rafforzano banche, più credito alle imprese frutto riforme».
Ora comincia una nuova fase, in cui conterà chi ha le azioni e dove si faranno sentire gli investitori istituzionali, che hanno in mano il 45% del capitale. In primavera ci sono da rinnovare i consigli, ma soprattutto ci si avvicina alla fase delle fusioni tra banche, l’obiettivo finale della riforma. «Noi siamo aggreganti», scandisce il ceo Victor Massiah. «Non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche tra cui anche il Banco Popolare». Ma «bisogna essere molto attenti. Si è gridato al lupo da ottobre dell’anno scorso e non è avvenuto niente perché non è ovvio che una operazione di fusione crei valore». Dunque nessun intervento «dirigistico» dall’alto, per esempio per una fusione con Mps: «Escludo che il governo faccia questo. Per quello che ho potuto comprendere dai contatti avuti con la Banca d’Italia e il ministero dell’Economia, sono istituzioni ispirate a non invadere il ruolo del mercato. Possono stimolare, auspicare, ma lì si fermano. Per questo dico: scegliamo noi. Poi se Mps bussa alla porta, non ho motivo di dire che non rispondo a Mps». I rischi sono anche occupazionali, e per questo ieri Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, diceva no a «bagni di sangue» con gli esuberi e chiedeva un posto per i lavoratori nei consigli di sorveglianza. Altra partita sarà la governance. Forte del suo 2,23% in Ubi che ne fa il primo socio dopo i fondi, un ruolo di azionista “stabile” lo rivendica Enzo Falco, presidente della Fondazione Cr Cuneo. Ma anche i soci storici (i bresciani ex Banca Lombarda e i bergamaschi ex Bpu) e la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (all’1,9%) «immagino che vorranno organizzarsi tra loro per suggerire figure per gli organi collegiali», dice il presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, che come pure il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti, è «a disposizione, se serve alla banca». Fabrizio Massaro – © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’ECO DI BERGAMO (EDIZIONE NAZIONALE E SU ALTRE 3 PAGINE)
domenica 11 ottobre 2015
«Più spazio a lavoratori e piccoli azionisti» – Dipendenti nei consigli. La banca: ma la legge dice no – I sindacalisti preoccupati per i futuri esuberi da fusioni
PIERLUIGI SAURGNANI
Un dibattito al cloroformio se confrontato con le scintille delle precedenti assemblee. La trasformazione da banca cooperativa in spa è filata via in modo placido e l’assemblea si è conclusa all’ora di pranzo, giusto in tempo per il tradizionale banchetto offerto ai soci. A dirigere il traffico dei soci parlanti è stato il presidente del Consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, preso di mira per il suo ruolo di presunto fustigatore dei logorroici. Il socio Giuseppe Tocchetti gli ha dato né più né meno dell’«orologio» mentre Elman Rosania ha dapprima inscenato una vivace protesta davanti al tavolo della presidenza e poi, per restare nei tempi (sforati), ha letto il suo intervento alla velocità della luce, un po’ come in un film Luce. In tema invece di deleghe, a Mario Bianchi («Insieme per Ubi») che ha lamentato difficoltà ad ottenerle, Moltrasio ha presentato le scuse per eventuali incomprensioni segnalando comunque che erano più di 2 mila. Quanto al tema centrale della riforma, gli ostili se la sono presa col governo, mentre la dirigenza della banca è stata biasimata per la «fretta» con la quale si è ade- ai voleri politici. «Era meglio aspettare l’esito dei ricorsi al Tar», ha detto il presidente dell’associazione «Ubi, banca popolare!» Antonio Deleuse Bonomi, ma Federico Caffi ha replicato che «non è detto che il 10 febbraio il Tar emetta un provvedimento. Comunque, sia nel caso di accoglimento che in quello di bocciatura, ricorsi darebbero luogo a ulteriori ricorsi alla Corte costituzionale o al Consiglio di Stato. I tempi diventerebbero lunghi. E la banca ne sarebbe paralizzata». Bonomi ha poi messo in guardia dai rischi di un «allontanamento della banca dai territori e dai piccoli soci», ipotizzando maliziosamente che «i vertici della banca abbiano approfittato delle novità legislative per attuare una riforma già pensata». Sulla sponda opposta, Pino Roma, dopo aver censurato l’immobilismo delle altre Popolari che non hanno imitato l’autoriforma di Ubi, ha invece garantito che «Ubi non perderà la sua vocazione territoriale». Per il socio Piero Lonardi «non è la forma giuridica a dare efficienza alle aziende e in ogni caso le Popolari hanno dimostrato di essere più efficienti delle spa. I capitali, poi, vanno nelle aziende che creano valore». Critiche anche all’«autoreferenzialità» delle banche e al voto palese in assemblea, «che non tutela la libertà di voto dei dipendenti». Folta la schiera dei sindacalisti, Lando Sileoni ad Attilio Granelli (Fabi), da Paolo Citterio (Fabi Bergamo) Andrea Battistini (First- da Claudia Dabbene (Uilca) Emilio Contrasto (Unisim). Tutti hanno deplorato il decreto governativo e tutti hanno chiesto una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli della banca, come avviene all’estero Ma Moltrasio li ha stoppati spiegando che «in Italia per il Testo unico della finanza i lavoratori sono ineleggibili». Sileoni ha anche suggerito «la costituzione di comitati dei territori e dei soci azionisti», mentre Granelli e Battistini hanno invitato la banca ad avere «sensibilità sociale» nei con- dei lavoratori (si stimano 20 mila esuberi in Italia in vista delle fusioni bancarie) quindi Citterio ha prefigurato un «futuro pieno di insidie, contro il nuovo capitale da fuori non ci saranno Bergamo o Brescia che tengano». Un po’ imbarazzato dagli elogi sindacali (di Sileoni e Granelli) per il suo ruolo di ex direttore generale Ubi, Graziano Caldiani, oggi presidente degli «Amici di Ubi» ha detto che bi- «favorire la partecipazione informata dei piccoli azionisti alla vita della banca»; e il presidente del Consiglio di gestione Franco Polotti ha replicato a chi ha parlato di «due anime» della banca: «Ubi ha un’anima comune che tutela gli interessi dei territori in cui opera». Infine, Aurelio Marcellini si è detto «depredato del titolo di socio che avevo da 50 anni» e ha chiesto alla banca di rimediare con una medaglia alla semisecolare fedeltà, mentre il socio Dario Foresti è andato dritto al sodo: «Il dividendo 2016 sarà più ricco?». Ma nessuno è stato in grado di rassicurarlo.
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CORRIERE DELLA SERA (EDIZIONE BRESCIA) domenica 11 ottobre 2015
Dopo otto anni Ubi diventa Spa via libera, maggioranza bulgara – Il sì dal 98,87 non votano a favore 5 consiglieri della Sorveglianza
L’esito non era in discussione. Ma la «maggioranza bulgara» con la quale l’assemblea di Ubi ha dato il via libera alla trasformazione in Spa, è il segno di quanto i soci fossero «preparati e consapevoli». Alla fine su 5.032 presenti (nella sede centrale di Brescia e nelle quattro sedi distaccate di Bergamo, Milano, Cuneo e Jesi) voti favorevoli sono stati 4.975 pari al 98,87 solo 25 contrari e 31 astenuti. Un plebiscito che ha fatto piazza pulita dei dubbi sulla riforma (mal digerita da molti, ma alla fine applicata visto che non c’erano vere alternative) ma anche delle critiche sulla tempistica, rispetto alla presunta «fretta» con la quale Ubi ha voluto fare da apripista alla metamorfosi. La legge del 26 marzo scorso impone alle dieci banche popolari con più di 8 miliardi di attivo, di abbandonare il modello cooperativo e diventare Società per azioni entro il 2016. Ubi è stata la prima a farlo per almeno tre motivi, snocciolati dal presidente del Consiglio di Sorveglianza Andrea Moltrasio: garantire stabilità alla nuova governance, arrivando al rinnovo delle cariche del prossimo aprile con un assetto societario già adeguato; eliminare il clima di incertezza legato alla trasformazione, così che la banca possa concentrarsi sull’attività ordinaria; assecondare le indicazioni che arrivano da Bankitalia, Bce e Fondo Monetario. Senza scordare che Ubi aveva iniziato un virtuoso processo di autoriforma già nel 2014. Ma se la trasformazione in Spa può assicurare maggiore stabilità, non viene meno il «dna» della banca, il legame con i territori, il ruolo per la loro competitività. «Non un’icona retorica, ma azioni misurabili» ha scandito Moltrasio. Un’azione di cluster declinata nel sostegno alle comunità locali (impieghi, sviluppo infrastrutturale), nelle iniziative sociali (erogazioni liberali, social bond), nel supporto a istituzioni e associazioni di categoria. Non sono insomma il «vestito» la forma giuridica che cambiano il modus operandi di una banca, ha rimarcato il presidente della Gestione Franco Polotti. soci presenti (2.700 fisicamente, il resto su delega) hanno insistito su due punti: attenzione a eventuali aggregazioni e tempistica della trasformazione. Lando Sileoni, segretario Fabi, sindacato dei bancari, ha criticato la «scelta del governo». Ma visto che ormai i giochi sono fatti e visto che le trasformazioni dovrebbero favorire le aggregazioni, Sileoni ha avvertito: «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi». Donato Corsini, ex funzionario San Paolo, ha chiesto che non si vada in soccorso di Mps («sarebbe un grave errore strategico»). C’è stato chi ha criticato la scelta di applicare da subito la riforma: «Ben si sarebbe operato attendendo gli esiti dei ricorsi» ha spiegato Antonio Bonomi, presidente dell’associazione Ubi Banca Popolare. Invece si è deciso di fare per primi una trasformazione «radicale e irreversibili». Dalla Spa, infatti, non si torna indietro, qualunque cosa accada nei tribunali. Federico Caffi ha però spiegato che attendere voleva dire «paralizzare» la banca «per anni»: se anche il 10 febbraio il Tar del Lazio darà ragione ai ricorrenti, bisognerà poi aspettare la Corte Costituzionale. «Nessuna accelerazione», dunque, ma una «corretta applicazione» per non restare nel limbo. Graziano Caldiani (Amici di Ubi) ha aggiunto che il «no» avrebbe avuto ripercussioni pesantissime, ad iniziare dal valore del titolo; quanto ai tempi serrati, questo consente di avere un quadro certo in vista del rinnovo cariche del 2016. Rinnovo che vedrà non più un’assemblea di soci, ma un’assemblea di azionisti. Bisognerà contare le azioni, ma anche i piccoli azionisti potranno pesare, organizzandosi. In fondo, ha ricordato Mario Bianchi (Insieme per Ubi), questo «per noi è un passaggio naturale». «Una nuova alba». Alla fine i 5mila presenti (in rappresentanza del 20,91 del capitale) hanno dato il loro via libera che, dopo otto anni, pone fine alla storia di Ubi come banca cooperativa e apre la versione Spa. Tra i 25 contrari anche due componenti delle minoranze nel consiglio di Sorveglianza (Agliardi e Cividini), mentre altri tre (Resti, Zucchi e Gallarati) si sono astenuti. Davide Bacca davide.bacca © RIPRODUZIONE RISERVATA
GIORNALE DI BRESCIA domenica 11 ottobre 2015
Gli interventi degli azionisti, pochi i contrari
Il garbo della signora Alma inossidabile 85enne
Gianni Bonfadini – g.bonfadini@giornaledibrescia.it
BRESCIA. Venti interventi poco più, scanditi dal «presidente- come l’ha qualificato un socio contrariato dai tre minuti- assegnati per ogni opinione dal palco. Venti che dicono la loro non sono poi tanti per un’assemblea a suo modo storica. Il risultato finale (ma ovviamente lo si è saputo solo alla fine) dice del sentiment di chi stava in platea nell’ex fiera. Molte le prese di posizione di rappresentanti sindacali. L’incubo per chi rappresenta i lavoratori bancari di questi tempi è una parola semplice che presuppone procedure complicate e, in qualche caso, dolorose: aggregazioni. «Lavoratori nel Cda». «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi e di perdita dei posti di lavoro e non accetteremo alcuna deroga al contratto nazionale di categoria». Una voce per tutti: quella di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari che ha anticipato il no a prepensionamenti obbligati, la richiesta di creare una bad bank per le sofferenze bancarie e una rappresentanza dei lavoratori nel Cda sul modello tedesco ed olandese. «No a Mps». Aggregazioni forse, ma «no a soccorsi» costosi come sarebbe per Mps, dice Donato Corsini. Fra i tanti rischi paventati: se Ubi diventa spa abbandona i territori. Obiezione che Giuseppe Roma respinge dal microfono con valutazione semplice: Ubi vive qui, se non vivono i territori anche la banca muore. Per Ezio Falco (rappresentante della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, azionista di gran peso di Ubi) la trasformazione in spa «è l’auspicabile ritorno al passato», ai tempi della Banca Lombarda- «Abbiamo sempre vissuto con sofferenza l’essere diventati coop». Scenari pesanti quelli ipotizzati da Graziano Caldiani (ex d.g della Popolare di Bergamo) nel caso di mancata trasformazione in spa: blocco dell’attività bancaria sino al pronunciamento della Corte Costituzionale (anni) e titolo a picco. Forti perplessità sulla scelta da Antonio Bonomi e Paolo Citterio («è dura entrare in fiera da popolari e uscirne da spa»). Carlo Maria Braghero si è chiesto perchè non estendere nel tempo il limite al possesso azionario (sarà del 5% per due anni). Favorevoli i soci Giuseppe Tocchetti (da quando è uscito il decreto il titolo ha guadagnato il 12%) e Pierluigi Carollo da Rovereto. E infine il «cordiale saluto» dell’inossidabile signora Alma: 85 anni dichiarati davanti alla platea, «ma sempre combattiva». «Capisco poco di queste cose, ma stimo chi guida questa banca». è il sigillo al- nuova spa.
BRESCIA OGGI (EDIZIONE NAZIONALE E SU ALTRE 3 PAGINE)
domenica 11 ottobre 2015
«Il personale non va tagliato, ma valorizzato» -«Non siamo disponibili a sottoscrivere accordi per altre uscite. Serve grande responsabilità»
è la paura per le possibili ricadute occupazionali a animare gli interventi dei rappresentanti sindacali durante l’assemblea di Ubi Banca, che fanno emergere anche la contrarietà alla riforma delle popolari. Se il passaggio a spa deve essere esserci, che almeno non si trasformi in un «bagno di sangue per effetto delle fusioni» che potrebbero concretizzarsi successivamente, dice il segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni. «Non lo tollereremo», aggiunge sottolineando che tra le priorità ci saranno il mantenimento degli organici nel settore e la creazione di comitati locali che portino una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli di amministrazione. «All’annuncio della riforma la valutazione del mondo bancario fu che la trasformazione avrebbe dato vita a nuova stagione di fusioni e aggregazioni, con circa 20 mila esuberi stimati in conseguenza», gli fa eco il segretario nazionale Fabi, Attilio Granelli, soffermandosi sul «grado di preoccupazione» in un comparto che, tra il 2000 a 2020, vedrà l’uscita volontaria di circa 68 mila addetti. «Oggi non ci sono lavoratori con caratteristiche anagrafiche che possono portare ai numeri degli esuberi prospettati – aggiunge -. Non siamo disponibili a sottoscrivere accordi che stabiliscano altre uscite e mi auguro che, al di là del modello adottato, nella gestione delle risorse umane il capo del personale mantenga la sensibilità sociale sempre dimostrata». Sulla medesima lunghezza d’onda Andrea Battistini, coordinatore della First del gruppo Ubi. «Chiediamo un grande senso di responsabilità e una politica che valorizzi le persone coinvolgendo tutti i livelli gerarchici», esordisce ribadendo che, «per tutti, si apre uno scenario di cambiamento, con responsabilità da affrontare insieme». Se la «squadra è vincente non si cambia», evidenzia Claudia Dabbene, coordinatrice di Uilca Ubi Banca, convinta che sono stati proprio i valori e le persone «a rendere grande Ubi», quindi «non sa saggio abbandonarli per un cambio di abito». Sulla necessità di rimarcare i principi fondanti del credito cooperativo indugia Emilio Contrasto, segretario generale di Unità Sindacale: l’impegno a favore delle Pmi rispetto a grandi gruppi industriali, il sostegno alle famiglie e ai piccoli risparmiatori, la tutela dei dipendenti e delle condizioni di lavoro, il potenziamento delle iniziative di welfare e la tutela dei piccoli azionisti «devono essere il faro intorno al quale orientare ogni scelta». Senza dimenticare, aggiunge, il «coinvolgimento dei dipendenti nella gestione del gruppo». E se Fabrizio Sangalli, vicecoordinatore della Fabi in Ubi si concentra su un breve excursus storico, per il coordinatore nazionale Paolo Citterio della stessa sigla bisogna fare attenzione che un «discutibile provvedimento» non modifichi un equilibrio «capace di dare risultati positivi. Entrare in Assemblea da popolare e uscire da spa è difficile da digerire – spiega – ma l’invito è che nel gruppo si mantenga alto il dialogo». DESS. © RIPRODUZIONE RISERVATA
LA STAMPA (NAZIONALE E SU ALTRE 16 EDIZIONI) domenica 11 ottobre 2015
Ubi, la Popolare diventa Spa – Dai soci una valanga di sì – L’ad Massiah sulle fusioni: parliamo con diversi istituti, anche col Banco
Mesi di polemiche, appelli, ricorsi fatti e minacciati tra Tar e Corte Costituzionale. Ma alla prima storica assemblea che ieri a Brescia ha trasformato l’ormai ex Popolare Ubi Banca in una normale Società per azioni, la riforma passa con un consenso «bulgaro». Alla conta, i contrari si rivelano quattro amici al bar: solo 26 dei 5.032 soci presenti (2.500 fisicamente, gli altri per delega o collegati da Bergamo, Milano, Cuneo e Jesi) alzano la mano per dire di no. In 31 si astengono. Gli altri 4.975 soci (il 98,87 danno un plebiscitario via libera alla prima trasformazione dettata dalla riforma Renzi. A Roma esultano. Dal ministero dell’Economia esprimono «grande soddisfazione» per la prima prova sul campo superata «con un elevatissimo consenso». E si augurano «che questa trasformazione inneschi un processo di rafforzamento del settore». Secondo il presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, il risultato deriva dalla «maturità» di chi era in platea. Dimostra «la preparazione e la comprensione sul tema della trasformazione» da parte dei soci, «frutto di un lavoro di ascolto e condivisione» fatto dalla banca. Anche perché, giunge il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti, «le maggioranze silenziose sono spesso più consapevoli delle minoranze chiassose». 5 Fuori dal coro dei «sì» ci sono anche 5 consiglieri di sorveglianza eletti dalla lista «Ubi, Banca Popolare!»: tra i 25 contrari ci sono infatti Luca Cividini e Dorino Agliardi; tra i 31 astenuti figurano Maurizio Zucchi, Marco Gallarati e Andrea Resti. Ma il seguito in platea è assai scarso. Da giorni si respirava «un’aria di rinuncia», racconta un sostenitore del no. «I più preoccupati della trasformazione erano i dipendenti, ma con il voto palese si sono trovati fuori gioco. Provi lei a fare una sfilata davanti ai colleghi con la carta di identità in mano per registrare il voto contrario…». La prossima assemblea che, in primavera, eleggerà i nuovi vertici sarà molto diversa. Conteranno le azioni (fino al 2017 ci sarà un limite ai diritti di voto al 5%), non le teste. al di là dei soci che «si organizzeranno tra loro», come dice Moltrasio, potranno farsi valere anche i 70 mila azionisti non soci (che non votavano) e i fondi che hanno il 45% del capitale. In assemblea c’è malinconia (anche l’ex presidente Emilio Zanetti, margine, dichiara la sua «emozione») ma pochissima tensione: «Massiah, mi fido di lei, non ci traagsca!», dice una socia 85enne all’ad che si attende un limitato esercizio del diritto di recesso. Intervengono molti sindacalisti, tra loro il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il quale avverte: «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi». Cautela Già le fusioni. L’ad Victor Massiah è cauto: «Non è ovvio che un’operazione di aggregazione equivalga alla creazione di valore», dice. La nomina degli advisor, afferma, «la faremo quando avremo una maggior comprensione di quanto accade sul mercato, che è complesso. Basta vedere che, in tema di fusioni, è gridato “al lupo!” per un anno e non è successo niente». L’ad spiega che comunque Ubi «parla con diverse banche, tra cui il Banco Popolare», anche se «è prematuro qualsiasi tipo di commento». il Monte dei Paschi? «Escludo che il governo possa» imporre a Ubi di intervenire su Siena. «Non possono mettersi loro a organizzare le aggregazioni e non lo fanno. Possono auspicare, sollecitare, ma scegliamo noi». E se Mps bussa alla porta «non ho motivo di non rispondere».
IL RESTO DEL CARLINO (SU 15 EDIZIONI/LA NAZIONE 14 EDIZIONI/IL GIORNO 10 EDIZIONI/LA CITTA’ “Teramo”) – domenica 11 ottobre 2015
Ubi, prima popolare diventata spa «Non saremo noi a salvare Mps» – Plebiscito di sì. L’ad Massiah: il governo non può imporci fusioni
MILANO. TRASFORMAZIONE avvenuta. E salutata da un plebiscito. Come ampiamente previsto e annunciato, da ieri Ubi Banca è la prima popolare a diventare società per azioni. La banca lombarda, con circa 120 miliardi di euro di totale attivo, è seconda per dimensione solo al Banco Popolare. Ora inizia una seconda vita per l’istituto nato nel 2007 dalla fusione per incorporazione della bresciana Banca Lombarda e Piemontese nella bergamasca Bpu. E la nuova vita da spa è partita dall’assemblea dei soci a Brescia. Con numeri da record: tre ore di assemblea, più di cinquemila soci presenti (per la precisione 5.032 in rappresentanza del 20,56 del capitale, di cui 2.767 in proprio) e una valanga di sì. Il 98,9 ha votato a favore della trasformazione: 4.976 sì, 25 no e 31 astenuti. Numeri importanti che infatti i vertici della banca salutano con grande favore: «Questo vuol dire che abbiamo dei soci ultra responsabili», esulta l’ad Victor Massiah. E il presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio è «molto soddisfatto. Tutto si è svolto in un clima sereno, tranquillo. Il risultato è il frutto di un lavoro di ascolto e di condivisione con il corpo sociale di grande rispetto». «Un passaggio storico: cambia il vestito, ma non i valori», commenta infine il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti. MASSIAH si è detto poi ottimista sull’immediato futuro, nel quale si aspetta un esercizio piuttosto limitato del diritto di recesso: lo farà solo una parte minoritaria della banca, coloro che «per convinzione ideologica» sono contrari alla trasformazione in spa. E aggiunge: «è una scommessa rischiosa». Lo stesso ad ha sottolineato «un rapporto estremamente corretto e costruttivo con i sindacati». Ma il principale sindacato di categoria, la Fabi, ha ribadito il suo no a «fusioni che comportino un bagno di sangue pe ri lavoratori» e la contrarietà alla riforma delle popolari, che «distrugge un modello di democrazia economica». Al contrario, prevedibilmente, dal ministero dell’Economia arriva invece il plauso alla scelta dei soci di Ubi Banca: «Grande soddisfazione per la prima conversione in spa, avvenuta con elevatissimo consenso. è il primo concreto risultato della riforma delle popolari promossa dal governo. Ora si inneschi un meccanismo di rafforzamento del settore», scrive il Mef. MA PROPRIO al governo, anche in una giornata così positiva, arriva un messaggio chiaro da parte dei vertici della banca. «Escludo a monte che il governo possa imporre a Ubi di intervenire per mettere in sicurezza Mps – ha dichiarato Massiah -. Non possono mettersi loro a organizzare i merger e non lo fanno, possono auspicare, sollecitare, ma scegliamo noi». Se Siena bussa alla porta, spiega l’ad di Ubi Banca, «non ho motivo di non rispondere». Ma non c’è mi- solo il Monte: infatti «non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche tra cui anche il Banco Popolare».
LA REPUBBLICA (EDIZIONE NAZIONALE) domenica 11 ottobre 2015
Ubi si trasforma in Spa è la prima Popolare che segue la riforma sì dal 99% dei soci – Massiah:”E’ un passaggio storico”
VITTORIA PULEDDA
BRESCIA. «un passaggio storico» lo ha definito victor massiah, consigliere delegato di ubi banca. E per una volta la retorica coincide con la realtà, perché ieri l’as della popolare più forte d’italia ha votato – ed è la prima dopo la legge sulla riforma sul settore – con maggioranza ultra bulgara (il 98,88 dei voti presenti) la trasformazione in società per azioni. Un passaggio sofferto («Sono emozionato», ha detto Emilio Zanetti, storico presidente della popolare di Bergamo, una delle componenti di Ubi) filato più liscio del previsto, con una presenza significativa ma non record (5.000 deleghe comprese) una rappresentanza in sala quantificata – per la prima volta – in circa il 21% del capitale. Contenuti gli interventi critici, tra cui quello di Piero Lonardi, socio Ubi ma più noto come consigliere di Bpm e cofirmatario del ricorso al Tar – rigettato mercoledì sul piano dell’urgenza – dell’associazione Ubi banca popolare (i consiglieri di minoranza si sono astenuti o hanno votato contro) e quelli dei sindacalisti, preoccupati dalle ricadute occupazionali della – più che probabile – fase di concentrazioni che partirà adesso. Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha consigliato «prudenza» in tema di fusioni e ha messo in guardia su operazioni che comportino «bagni di sangue» sul piano dei posti di lavoro. Ma ormai il dado è tratto. I vertici della banca hanno parlato di «soci ultra- «ma- lo stesso presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, ha ricordato che è nello spirito della legge il rafforzamento del settore del credito; ora, sgombrato il campo dalla trasformazione societaria, le energie del gruppo potranno focalizzarsi su questo, con «serenità e tranquillità» ha detto. Con- ripreso da Victor Massiah, che non ha indicato una possibile tempistica («Sono operazioni complesse» – ha detto – è prematuro qualsiasi tipo di commento») ma ha confermato che «non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche, tra cui il Banco Popolare». Senza preclusioni: «Se Mps bussa alla porta ha risposto ai cronisti – non ho motivo di dire che non rispondo a Mps» (ed è probabile che qualche colloquio con l’ad del Monte, Fabrizio Viola, ci sia stato). Il numero uno di Ubi ha però escluso interventi dirigistici, del Tesoro o di Bankitalia, per soccorrere Mps. Ieri fonti del Mef hanno espresso «grande soddisfazione per la prima conversione in spa di una delle più importanti popolari, avvenuta con un elevatissimo consenso». Massiah non s’è detto preoccupato invece da un eccessivo ricorso dei soci al diritto di recesso. I prossimi mesi serviranno anche a coagulare l’azionariato Ubi già conta su un nucleo attorno al 12% (costituito da Fondazi

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