Entro febbraio le parti dovranno trovare un accordo sulla seconda fase del piano industriale. In ballo 3.240 esuberi e 1.300 riqualificazioni professionali. Morelli: "No a uscite obbligatorie". Di Cristo: "Rilancio passi attraverso nuova occupazione"
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UNICREDIT, LA TRATTATIVA SUL PIANO INDUSTRIALE ENTRA NEL VIVO

Entro febbraio le parti dovranno trovare un accordo sulla seconda fase del piano industriale. In ballo 3.240 esuberi e 1.300 riqualificazioni professionali. Morelli: “No a uscite obbligatorie”. Di Cristo: “Rilancio passi attraverso nuova occupazione”
UNICREDIT, LA TRATTATIVA SUL PIANO INDUSTRIALE ENTRA NEL VIVO
Entra nel vivo la trattativa tra Unicredit e sindacati per la gestione della seconda fase del piano industriale 2014-18.
Domani si svolgerà l'incontro tra le Organizzazioni Sindacali e il Capo delle Relazioni Industriali del Gruppo, Emanuele Recchia. Il confronto sarà incentrato sui 2.700 esuberi, da "smaltire" nell'arco dei prossimi due anni, tra il 2016 e il 2018, a cui si aggiungono altre 540 eccedenze previste dall'ultimo aggiornamento di piano industriale approvato dal Consiglio d'Amministrazione della banca lo scorso 11 novembre, e circa 1.300 nuove riqualificazioni professionali.
Entro il prossimo mese le parti dovranno trovare un accordo per accompagnare all'uscita 3.240 lavoratori da qui al 2018.
La prima fase del piano industriale Unicredit si è conclusa a giugno del 2014, quando la banca e sindacati hanno sottoscritto un'intesa per 2.400 uscite su base volontaria.
Adesso dunque si apre la seconda fase del piano, per cui è stata avviata una procedura ad hoc nella metà dello scorso dicembre e che dovrà concludersi a febbraio.
Entro il 2018 la banca punta a ridurre gli organici e a tagliare ulteriormente gli sportelli sul territorio, sopprimendone altri 200, che si sommano alle circa 530 chiusure stabilite dai vecchi piani.
In particolare poi è prevista una razionalizzazione dei corporate center, che avrà un forte impatto anche sulle figure manageriali, una ristrutturazione del business del leasing e una ridefinizione della rete commerciale, oltre che un rafforzamento del modello di servizio open e della multicanalità.
In totale con questo piano il Gruppo intende tagliare i costi del personale per circa 738 milioni di euro.
"Riteniamo eccessivi gli esuberi presentati dall'azienda e decisamente poco chiare le modalità fin qui delineate dalla banca per gestirli", dichiara Mauro Morelli, Segretario Nazionale FABI. "L'ipotesi di ricorrere a uscite obbligatorie è impercorribile, come del resto l'imposizione di ulteriori sacrifici ai dipendenti. Chiediamo un'assunzione di responsabilità da parte del management affinché il piano di razionalizzazione dei costi sia attuato con equilibrio, senza ulteriori e ingiuste penalizzazioni per i lavoratori".
"Chiediamo che ci sia un'effettiva ristrutturazione del leasing in un'ottica di sviluppo delle prospettive di business della società in modo tale che ne venga scongiurata la cessione a un soggetto terzo. Il rilancio del Gruppo non pu ò passare soltanto attraverso un taglio dei costi ma deve essere supportato anche dalla creazione di nuovi posti di lavoro", sottolinea Angelo Di Cristo, Coordinatore FABI Unicredit.
Milano 19/01/2016
IL SOLE 24 ORE mercoledì 20 gennaio 2016

UniCredit, in arrivo 3.240 uscite - I sindacati chiedono di ridurre gli esuberi e di garantire la volontarietà

La discussione con il sindacato dei processi di riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo Unicredit entrerà nel vivo oggi e domani: i tempi ormai sono stretti, la procedura scade il 3 febbraio. Dopo l’annuncio dato alla comunità finanziaria lo scorso novembre, adesso il capo delle relazioni industriali, Emanuele Recchia, deve discutere operativamente con i rappresentanti dei lavoratori come realizzare nell’intero arco del piano 2018 le ricadute per circa 7mila posizioni full time equivalent che sono costituite – si legge nella lettera di avvio procedura ricevuta dai sindacati a metà dicembre – da circa 1.360 efficientamenti gestibili mediante processi di riqualificazione professionale e circa 5.640 riduzioni di personale. Quest’ultimo obiettivo, in parte è già raggiunto, perché 2.401 persone sono già uscite nella prima fase – l’accordo è stato siglato il 28 giugno 2014 – attraverso un piano di esodo al momento del pensionamento di tutti coloro che hanno maturato il requisito di pensionamento al 31 dicembre 2018. Da discutere ci sono «2.700 riduzioni riferibili al periodo 2016-2018 già deliberate dal cda dell’11 marzo 2014 a cui vanno aggiunte le ulteriori riduzioni conseguenti agli interventi di aggiornamento al piano 2018 decisi dal cda dell’11 novembre 2015 che possono essere contenute in 540», si legge. In via prioritaria viene valutato l’uso del Fondo di solidarietà. Per l’azienda risulta sostenibile far riferimento all’uscita di personale più prossimo al diritto a pensione, di massima 30 mesi. Per le ulteriori riduzioni richieste dall’aggiornamento del piano 2018 «potrà rendersi necessario in tutto o in parte, anche in ragione della qualità e quantità delle persone coinvolte, individuare forme diverse e specifiche di intervento». Con il piano il gruppo dovrà tagliare i costi del personale di circa 738 milioni di euro.
Sommando, entro il 2018 dovranno quindi uscire 3.240 bancari, mentre verranno chiusi sul territorio altri 200 sportelli, oltre ai 530 chiusi secondo quanto stabilito dai vecchi piani. Viene prevista anche una razionalizzazione dei corporate center che avrà un forte impatto sulle figure manageriali. Delle 3.240 uscite, 470 riguardano infatti dirigenti. La banca ha spiegato ai sindacati la necessità di riallineare la percentuale dei dirigenti alla media nazionale: nel gruppo Unicredit attualmente i dirigenti sono il 2,9% dei 50mila dipendenti, rispetto all’1,9% della media di settore. Le uscite riguardano quindi circa un terzo dei dirigenti.
Per Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi, sono «eccessivi gli esuberi presentati dall’azienda e decisamente poco chiare le modalità fin qui delineate dalla banca per gestirli. L’ipotesi di ricorrere a uscite obbligatorie è impercorribile, come del resto l’imposizione di ulteriori sacrifici ai dipendenti. Chiediamo un’assunzione di responsabilità da parte del management affinché il piano di razionalizzazione dei costi sia attuato con equilibrio, senza ulteriori e ingiuste penalizzazioni per i lavoratori». Elena Aiazzi, segretario nazionale della Fisac Cgil, ritiene che «prima bisognerà capire chiaramente come si arriva ai numeri indicati dalla banca, sia per le aree professionali, che per i quadri che per i dirigenti. Dobbiamo trovare le soluzioni per tutti, non ci sottraiamo alla responsabilità, ma sui dirigenti bisognerà capire di che cosa si tratta». Pierluigi Ledda segretario nazionale della First Cisl spiega che «per le 2.700 uscite che riguardano aree professionali e quadri, annunciate già nel 2014, era stato individuato un percorso che è quello del fondo di solidarietà e della volontarietà. Per i dirigenti, invece, la soluzione non è ancora stata trovata e bisogna individuare un meccanismo che li tuteli. Senza dimenticare che bisogna dare risposte ai lavoratori che rimangono con forti investimenti e che bisogna anche parlare di turnover, non solo di uscite». Mariangela Verga segretario nazionale della Uilca dice: «Siamo contrari all’applicazione obbligatoria del fondo di solidarietà e contestualmente alle uscite riteniamo di dover ragionare di assunzioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA Cristina Casadei
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