Le banche italiane sorvegliate speciali della BCE. Crediti deteriorati e difficoltà di recupero sofferenze preoccupano Francoforte. Sileoni: "Governo dovrebbe agire di più e salvaguardare banche italiane anche verso le istituzioni europee"
Ma il risiko bancario resta bloccato – In bilico la fusione Bpm-Banco
Gianluca Paolucci
Dovrebbe essere la prima di una serie di aggregazioni, il via all’atteso consolidamento del sistema bancario italiano. Ma la fusione tra Bpm e Banco Popolare resta ancora in alto mare. Per sbloccare la partita i vertici dei due istituti saranno oggi in Bankitalia e nei prossimi giorni, forse già domani, Francoforte. Il nodo resta quello delle sofferenze e dell’aumento di capitale che la Bce potrebbe richiedere. Se da Francoforte arrivasse una indicazione tassativa di rafforzare il capitale in tempi rapidi, l’intera operazione tornerebbe in discussione, spiegano varie fonti concordanti. Ma la vicenda dell’annunciata operazione Bpm- rischia di diventare paradigmatica dei limiti e delle debolezze del sistema bancario italiano. Un lunghissimo negoziato, durato mesi. Un accordo basato su una governance complessa (e che non piace a Francoforte). un problema di sofferenze che pesa e peserà anche nella futura entità, se mai nascerà. Il Banco Popolare ha circa 14,25 miliardi di non performing loans (Npl), con un tasso di copertura al 43,7 contro un patrimonio netto tangibile di circa 6,5 miliardi. Sulla base di questi numeri il Texas ratio della nuova realtà, ovvero il rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio netto tangibile, potrebbe spingere la Bce a chiedere un aumento di capitale da 1- miliardi di euro per eliminare l’eventuale deficit di capitale. In totale, nelle banche italiane, sono 337 miliardi, dice la Ue. Uno stock cresciuto a dismisura dal 2008 in avanti che lega insieme vari fattori. monte, c’è l’incapacità del Paese di offrire una piattaforma efficiente per la crescita», dice un banchiere. valle, c’è la necessità di accelerare i tempi di recupero delle garanzie e la lentezza nell’affrontare il tema delle sofferenze con una soluzione di sistema. Due aspetti sul quale il governo è intervenuto «con un’azione positiva – dice Mirko Sanna, che segue il settore bancario per l’agenzia di rating S& -, ma ci vorrà molto tempo per vedere gli effetti». Chi dà voce a un malcontento diffuso è Lando Sileoni che guida la Fabi, il principale sindacato dei bancari. «Il governo dovrebbe agire di più e salvaguardare le banche italiane anche verso le istituzioni europee», spiega. «Invece dopo il provvedimento sulle Popolari, più di un anno fa, è rimasto alla finestra e a livello politico si naviga a vista». D’altra parte spazio per ulteriori «efficientamenti» – leggasi tagli dei costi – non ce n’è Con le successive ristrutturazioni, il settore bancario è passato da 344 mila a 303 mila dipendenti, con un saldo di 41 mila posti lavoro in meno tra il 2007 e il 2014. La previsione della Fabi sulla base dei piani industriali, netto delle fusioni che genereranno altri esuberi, è di altri 23 mila posti in meno da oggi al 2020. Anche sul versante del cambio di modello di business, gli istituti italiano rivendicano gli sforzi fatti: 2620 sportelli chiusi in sette anni. Da ultimo, è arrivata la risoluzione di Banca Marche, Etruria, CariFerrara e CariChieti Con costi a carico delle altre banche che hanno intaccato la redditività degli istituti. Ma «il problema principale è quello della percezione del rischio, che adesso è maggiore», dice ancora Sanna. L’effetto lo si è visto nelle ultime trimestrale, con cali decisi di raccolta in quegli istituti visti come più deboli dai correntisti. Si chiama «fiducia» ed è quello che tiene in piedi le banche da quando esistono.