v style=”text-align: justify”>
IL SOLE 24 ORE venerdì 4 marzo 2016
Banco-Bpm, esame finale in Bce Sindacati dubbiosi sulle nozze
L’ipotesi di fusione tra Bpm e Banco Popolare rimane appesa alle decisioni della Banca Centrale Europea. Ieri, a distanza di qualche giorno dall’invio da parte dei due gruppi italiani del piano di aggregazione rivisto dopo le richieste di Francoforte, il board della Vigilanza unica si è riunito sotto la presidenza della francese Danièle Nouy. Formalmente nessuna decisione sarebbe stata presa dal Consiglio. Che, comunque, per ogni formalizzazione, deve passare attraverso un avallo (“no objection”) del Governing Council, la cui convocazione è prevista per giovedì prossimo (anche se solo per temi di politica monetaria). Ieri dunque, a Fabio Panetta, vicedirettore di Bankitalia e membro del board Ssm, e Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Banca d’Italia, sarebbe toccato il compito di ragionare con il board, presentando tutte le correzioni apportate al progetto di fusione. Obiettivo: trovare il punto di mediazione con le richieste europee e far sì che la fusione tra Milano e Verona prenda il via.
Compito non facile, va detto, visto che a Francoforte non mancano le resistenze rispetto a un progetto che è scandagliato nei minimi dettagli. L’aggregazione tra le due banche sarebbe la prima dall’avvio della Vigilanza Unica. Il deal avrebbe per Francoforte una forte valenza segnaletica in vista delle future, possibili, operazioni di fusione nel Vecchio Continente. Ecco perchè è possibile che la valutazione del dossier possa assorbire ancora altro tempo.
Come noto, la Bce ha espresso perplessità sul tema della gestione delle sofferenze, sulla governance e sull’architettura societaria. D’altra parte le due banche, con la collaborazione degli advisor, ritengono di aver fatto tutto il possibile per venire incontro alle richieste degli ispettori e rimangono in attesa di una risposta finale che dia il via libera (o meno) al deal. Il piano aggiornato e inviato nei giorni scorsi prevederebbe lo smaltimento dei circa 8 miliardi di sofferenze nell’arco di circa 3 anni e mezzo (una parte entro il primo anno e mezzo, la seconda nei due anni successivi), ma senza il ricorso a un aumento di capitale, che è stato escluso sia dal numero uno di Bpm, Giuseppe Castagna, che dall’ad del Banco, Pier Francesco Saviotti. Nel piano di fusione sarebbe previsto anche il mantenimento di Bpm sotto la holding per un periodo di tre anni e la nomina di tre vicepresidenti, così da garantire una rappresentanza a tutti i territori coinvolti nella fusione.
Certo è che l’umore attorno all’operazione non sembra essere dei migliori. Anche le organizzazioni sindacali interne di Bpm, dopo un lungo silenzio, ieri hanno distribuito un volantino intitolato «Il dado non è tratto», esprimendo forti dubbi sull’operazione. Uno «tsunami si starebbe profilando all’orizzonte», scrivono Fabi, First Cisl, Cgil, Sinfub e Uilca. La legge di trasformazione delle Popolari «non obbliga per aggregazioni forzate soprattutto se queste non convincono». Chi trarrebbe vantaggio da questa eventuale operazione? «I soci? I clienti? I territori? I dipendenti? Nessuno». E soprattutto «nessuno ci ha ancora spiegato il perché Bpm, anche in veste di Spa, non possa essere protagonista». © RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi
CORRIERE DELLA SERA venerdì 4 marzo 2016
Bce a Carige: serve un nuovo piano «Ridurre i rischi». Bpm-Banco Popolare, sindacati milanesi contro l’integrazione
MILANO Mentre è ancora in corso a Francoforte l’analisi del piano di integrazione tra Bpm e Banco Popolare — dopo che i due istituti hanno ulteriormente limato il piano per andare incontro alle indicazioni della Bce — i sindacati aziendali della Bpm scendono in campo con un comunicato unitario in cui avanzano dubbi sull’integrazione che «non è un passaggio scontato», dati i «tanti dubbi e gli interrogativi che anche la Bce sembra evidenziare», «non convince». nel frattempo la Bce interviene pesantemente su Carige. La Vigilanza guidata da Danièle Nouy ha inviato al board dell’istituto il 19 febbraio una «draft decision» chiedendo che la banca riduca i rischi e rientri nei requisiti di vigilanza attraverso un nuovo piano di funding entro il 31 marzo, un «piano industriale che tenga conto del deterioramento dell’attuale scenario rispetto alle originarie previsioni» un piano «che rifletta nuove considerazioni sulle opzioni strategiche del gruppo» entro il 31 maggio. La «decisione» Bce è stata resa nota ieri in tarda serata da Carige, dopo che il board ha aggiornato i conti 2015 che si chiudono con una perdita di 101,7 milioni, in peggioramento dai 44,6 milioni comunicati l’ febbraio, causa della svalutazione integrale dell’avviamento di Banca Carige. Ma ha pesato anche il calo nella raccolta diretta. «Nell’attuale situazione di mercato» anche in avvio di 2016, è scritto nella nota del gruppo guidato da Piero Montani (al cui posto il primo socio, Malacalza Investimenti, ha proposto Guido Bastianini) «la banca, al pari di altri istituti italiani comparabili, ha dovuto fronteggiare tensioni inaspettate con interventi tempestivi». Carige precisa che «la svalutazione produce effetti meramente contabili ma non determina riflessi negativi sulla redditività prospettica e sui profili di adeguatezza patrimoniale», «confermati rispettivamente al 12,2 (Cet1 al 14,9 (total capital ratio)». La liquidità oggi è pari a oltre 2 miliardi, con un ratio di oltre 100% (superiore al limite Bce del 90%) e sono stati emessi a febbraio due covered bond per 850 milioni e cartolarizzati crediti «con un effetto positivo sulla liquidità stimato in circa 500 milioni». La pressione della Bce si fa sentire anche sul progetto Bpm- su cui ieri Fabi, First- Fisac- Sinfub, Uilca hanno espresso dubbi, temendo che Bpm con il Banco diventi una «preda succulenta». suggeriscono: «Perché non orientarsi verso realtà meno complesse spostando l’attenzione sulla centralità del marchio Bpm? Si potrebbe valorizzare il marchio nella migliore tradizione popolare e cooperativa». Fabrizio Massaro © RIPRODUZIONE RISERVATA