BEHIND THE LINES, TUTTA LA STAMPA NE PARLA

Presente e futuro del Monte, ricapitalizzazione e proprietà di Unicredit, nuovo Contratto Nazionale dei bancari e prospettive della categoria. Di questo e molto altro si è parlato all’evento FABI. Presenti gli esponenti del settore economico. Leggi gli articoli di oggi

AVVENIRE 02/03/2017
Il tramonto del bancario: 12mila tagli in tre anni
PIETRO SACCO
L’Università di Pisa ha la sua banca e sicuramente è il primo ateneo in Italia (e forse nel mondo) ad averne una. Non è una banca sua di proprietà, ma è sua perché è rivolta esclusivamente ai suoi addetti: ai docenti, agli assegnisti, ai dottorandi, agli impiegati e ai familiari. Si chiama Banca Unipi ed è un progetto che l’università toscana ha realizzato insieme alla Banca di Pisa e Fomacette Credito Cooperativo e a BccForWeb. Banca Unipi è una piattaforma digitale che offre servizi bancari, compreso il tradingonline, la gestione patrimoniale e la consulenza su mutui, assicurazioni e previdenza. Segno di quanto rapidamente si sta evolvendo il mondo del credito, che essendo sempre meno legato alle filiali fisiche (per quanto la Bcc pisana con i suoi venti sportelli sia una classica banca di territorio) pu ò esplorare business nuovi come le banche fatte su misura per le università. Il settore si evolve ma non tutti riescono a restare a bordo. Nell’evoluzione digitale del credito c’è infatti sempre meno posto per il “vecchio” bancario. La Fabi, che è il sindacato di categoria, ha messo insieme i piani di esuberi e ridimensionamento del triennio 2013-2015 peri primi cinque gruppi bancari italiani (Unicredit, Intesa San-paolo, Mps, Ubi e Banco Popolare) ed è arrivato a contare 12.717 dipendenti in meno, con il totale sceso da 183.892 a 171.175 dipendenti. Più della metà dei tagli, 7mila, sono del solo Monte dei Paschi, mentre Intesa Sanpaolo, che conta un saldo tra entrate e uscite negativo per sole 90 unità, è la più stabile. Tra i due estremi ci sono UniCredit (2.195 posti in meno), Ubi (1.554 addetti in meno) e il vecchio Banco Popolare (oggi Banco Bpm) con 1.878 dipendenti in meno. Gli esuberi complessivi, in realtà, sono anche di più di quei 12mila, perché nel conto totale degli addetti rientrano anche le 6.400 assunzioni ottenute «grazie agli accordi con le associazioni sindacali di categoria» rivendica la Fabi. Nell’intero settore bancario tra il 2013 e il2015 sono usciti attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati 32.096 dipendenti mentre sono entrati 21.574 giovani. E chiaro che dalle banche escono professionalità più vecchie, come gli addetti allo sportello (nei primi nove mesi del 2016 sono state chiuse altre mille filiali, il doppio delle 500 chiusure dell’intero 2015), ed entrano ragazzi e ragazze con capacità nuove, per lo più digitali, visto che la preferenza dei clienti per l’online banking è ormai consolidata. Secondo le ultime rilevazioni dell’Abi usano i servizi “a distanza” 25,2 milioni di italiani, mentre 5,5 milioni sfruttano i servizi bancari in “mobilità”, ad esempio attraverso lo smartphone. Davanti a questa evoluzione serve un contratto nazionale diverso da quello attuale, che va in scadenza nel 2018, avverte il segretario del sindacato, Lando Maria Sileoni: per la Fabi occorrerebbe un contratto unico per i dipendenti delle banche e delle assicurazioni, che includa anche gli addetti delle Bcc e i promotori finanziari, dato che gli istituti di credito stanno allargando lo spettro delle loro attività. L’Associazione bancaria è pronta a ragionarci, ha promesso il presidente Antonio Patuelli.
Corriere della Sera 02/03/2017
Intesa, il fondo Harris promuove Messina – Pica Paola
«Carlo Messina? è solido e nella vicenda Generali ha fatto il suo mestiere. Il management ha dato un’occhiata all’operazione: se i rischi sono troppo elevati è bene lasciar perdere. Per me è un’indicazione positiva». La promozione per l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo arriva da David Herro, il capo degli investimenti di Harris il fondo americano azionista con il 3,6% del gruppo bancario italiano. Herro parla alle telecamere di Bloomberg il giorno che Messina arriva a New York per il road show sul bilancio 2016, chiuso con 3,i miliardi di utile netto. In Piazza Affari il titolo guadagna un altro 4% dopo i rialzi seguiti all’addio del dossier Generali, mentre altre parole di apprezzamento per Messina, arrivano dal suo presidente Gian Maria Gros Pietro. «La fiducia in Messina è completa immutata», dice il numero uno di Intesa sottolineando come l’operazione Generali non sia «mai esistita». Nelle stesse ore parla anche l’amministratore delegato di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, primo azionista di Mediobanca che, a sua volta, è il socio di riferimento della compagnia triestina sulla quale Intesa ha studiato per qualche settimana, prima di rinunciare, possibili «combinazioni» per creare un campione italiano di stazza europea nel risparmio gestito. Per Mustier la scelta di Messina è stata «la migliore per il Paese». Prima che tutto iniziasse, afferma il manager francese in margine all’incontro della Fabi a Milano «avevo già detto che per l’Italia è molto importante avere una compagnia assicurativa quotata indipendente e internazionale». Ma anche Unicredit — che ha chiuso con esito positivo la ri-capitalizzazione record da 13 miliardi e ieri è salita in Borsa del 4,2% — «resterà indipendente», dice ancora Mustier, con «futuro luminoso e italiano», ora che che si è «voltato pagina rispetto al passato»: non c’è nessuna intenzione «di diventare un’entità francese». Intanto è emerso ieri che Capital Research è salito all’8% dal precedente 6,796 rafforzandosi così come primo socio singolo di Unicredit. Per il fondo Usa l’investimento è stato di circa 1 miliardo. Mustier è anche tornato sulla cessione della società di gestione del risparmio Pioneer ad Amundi: «E stata vista come esternazionalizzazione ai francesi, per ò non è così. Pioneer è un grande asset senza la giusta dimensione. E poi è il primo esempio positivo delle conseguenze per l’Italia della Brexit: 3oo posti di lavoro in più a Milano». Sempre ieri Mediobanca, attraverso la piattaforma tecnologica Spafid Connect, ha acquistato dal gruppo London Stock Exchange la divisione Information services professional solutions (Isps). Paola Pica
Corriere della Sera 02/03/2017
Panorama – Fabi, nelle banche persi 12 mila posti
Fabi, nelle banche persi 12 mila posti In 4 anni nei primi cinque gruppi bancari sono stati bruciati, al netto delle assunzioni, 12.217 posti di lavoro e chiusi, a livello di comparto, 1.700 filiali. Lo calcola il sindacato Fabi che chiede un nuovo contratto
Corriere della Sera 02/03/2017
Sussurri & Grida – I consulenti della Procura: Mps da nazionalizzare nel 2011
(fmas.) «Spero che lo Stato sia un azionista lungimirante che discuta con i manager gli obiettivi per rivedere quello che ha investito in un arco di tempo ragionevole». Il ceo di Mps, Marco Morelli (foto), ieri al convegno della Fabi, sa di avere pochi margini sul piano industriale, perché deve ascoltare i «suggerimenti» di Ue e Bce e adeguarsi ai loro tempi. In ogni caso tra le due istituzioni la collaborazione «è molto buona», ha assicurato la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, anche se non sempre «si sentono le stesse parole» perché «abbiamo responsabilità differente». Per l’ingresso dello Stato serviranno dunque ancora settimane. Ma forse la storia poteva andare diversamente: secondo i consulenti della procura generale di Milano nell opposizione all’archiviazione per gli ex vertici Fabrizio Viola e Alessandro Profumo nonché per la stessa Mps nell’indagine sulla contabilizzazione di Alexandria e Santorini fino al 2015, la banca avrebbe dovuto essere nazionalizzata fin dal 2011-2012. Per i professori Francesco Corielli e Roberto Tasca, Mps non avrebbe potuto accedere ai Monti Bond perché la sua crisi era legata non ai suoi Btp (tantomeno se si fossero calcolati Alexandria e Santorini come derivati) ma alle perdite su Antonveneta e sui crediti deteriorati. Ma la Ue accett ò le attestazioni dell’Italia e disse sì ai Monti Bond. Per i periti le perdite avrebbero dovuto essere coperte con aiuti di Stato, fino alla nazionalizzazione, ma solo dopo l’azzeramento dei soci, in primis la Fondazione Mps%. Si vedrà. dl vero assassino di Mps è stato una gestione di bassa qualità», ha riconosciuto ieri Profumo a Mix 24 su Radio 24. L’ex presidente invece, ha difeso il tentativo di salvataggio di Mps: non fu fatta fallire «perché il Paese sarebbe stato commissariato».
Gazzetta di Parma 02/03/2017
L’analisi della Fabi
Ultimi 4 anni di tempesta per il settore bancario in Italia con oltre 12.217 posti di lavoro andati in fumo (a fronte di 6.383 le assunzioni) nei primi cinque gruppi ovvero Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi e Banco Popolare. A certificarlo è la Fabi che nella sua analisi evidenzia, tra l’altro, come il dato peggiore arrivi dal Monte che, tra íl 2012 e il 2016, ha contabilizzato 7 mila uscite, perdendo il 22% dei dipendenti. Stabile Intesa Sanpaolo con solo 90 uscite (a fine 2016 i dipendenti sono oltre 62.500). Unicredit, invece, che sta conducendo in porto l’aumento di capitale, segna un -3,5% di posti (poco più di 49 mila in Italia al 31 dicembre 2016). Più ampia la percentuale delle uscite in Ubi (7,9%) e nel Banco Popolare (10%). Guardando l’mtero comparto sono usciti, attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati, 32.096 dipendenti.
Giornale 02/03/2017
Sul palco dei bancari il Monte di Stato e l’Unicredit dei fondi
Conti Camilla
Così vicini, sul palco, eppure così lontani. Da una parte Marco Morelli, ad del Monte dei Paschi che mastica amaro perché costretto a farsi dettare l’agenda da Bruxelles, da Francoforte e dal futuro azionista di controllo – il Tesoro – dopo il fallimento del salvataggio privato della banca senese. Dall’altra, Jean Pierre Mustier che mostra la medaglia conquistata convincendo i soci e il mercato a scommettere 13 miliardi sulla sua ricetta per il futuro di Unicredit. In platea, i bancari riuniti in un hotel alle porte di Milano dalla Fabi, ovvero il principale sindacato della categoria per un evento sulle prospettive del credito. Sul tavolo, la fotografia scattata all’organico del sistema che in tre anni (dal 2012 al 2015) ha perso 12mila posti di lavoro. «E come se le redini di Mps fossero temporaneamente in mano alle istituzioni europee», ha detto Morelli nel corso del dibattito del convegno. Spiegando che il cda senese sta scrivendo il nuovo piano industriale, ma «i tempi sono dettati dalla Commissione europea e dalla Bce». In ballo ci sono anche le remunerazioni dei vertici della banca: «Io resto anche con uno stipendio ridotto», ha detto Morelli, sottolineando per ò che «i paletti» messi dalle autorità europee non dovranno togliere al Monte «la possibilità di camminare». Se lo Stato «è un azionista lungimirante, e spero che lo sia, deve discutere con i manager quali sono gli obiettivi, per rivedere quello che ha investito in un arco di tempo ragionevole». Chi ha invece le mani più libere per riorganizzare la banca è Mustier. Ai presenti al convegno ha assicurato che Unicredit sarà indipendente e, soprattutto, nel suo «futuro luminoso» non ha alcun piano per evolversi «verso un’identità francese». L’ad ha poi evidenziato che tutti gli attuali azionisti hanno sottoscritto la ricapitalizzazione ma, per capire i futuri equilibri dell’istituto che si rifletteranno poi sulla composizione del cda, bisognerà aspettare ancora. Almeno un mese e mezzo per avere nei radar eventuali nuovi soci forti: sarà l’assemblea di metà aprile a certificarne la presenza. Qualche spiffero, per ò, comincia già a filtrare: Capital Research, gestore americano di fondi già primo azionista di Unicredit, avrebbe incrementato la sua quota con l’aumento di capitale salendo sopra l’8%, secondo indiscrezioni rilanciato ieri dal sito web de La Stampa. Prima dell’aumento i fondi che fanno riferimento a Capital Research avevano il 6,75%. II fondo Usa quindi in fase di aumento ha sottoscritto azioni oltre il proprio pro-quota. Intanto, dal convegno della Fabi ieri è arrivata anche la voce del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: «Se la politica non li vuole tirare fuori li tireranno fuori le inchieste giudiziarie», ha detto riferendosi alla sua proposta di rendere pubblici i nomi dei grandi debitori insolventi delle banche salvate dall’intervento pubblico. Ipotesi inizialmente presa in considerazione dal legislatore, ma poi bocciata nel corso dell’iter parlamentare sul dl Banche.
Giorno – Carlino – Nazione 02/03/2017
Profitti & Perdite – Banche nella tempesta A casa 32mila dipendenti
Negli ultimi quattro anni di tempesta per il settore bancario in Italia, sono andati in fumo 12.217 posti di lavoro a fronte di 6.383 le assunzioni nei primi cinque gruppi, ovvero Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi e Banco Popolare. A certificarlo è la Fabi. Guardando all’intero comparto, sono usciti 32.096 dipendenti tra pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati; 1.700 gli sportelli tagliati.
Libero Quotidiano 02/03/2017
Unicredit non sarà francese Il Monte non lo vuole nessuno
De Dominicis Francesco
A uno l’aumento di capitale è riuscito, all’altro no. Ma ovviamente ci sono differenze di fondo non irrilevanti sull’esito delle due operazioni. Fatto sta che se Jean Pierre Mustier, adesso, ha la strada spianata per rilanciare Unicredit (che «non sarà francese», come ha assicurato), lo stesso non vale per Marco Morelli che sta mettendo a punto il piano industriale del Monte dei paschi di Siena per il quale «serve ancora tempo»; serve, soprattutto, l’autorizzazione delle autorità europee che continuano a dialogare non senza frizioni sulla nazionalizzazione della ex banca del Partito democratico. Di fronte a oltre 1.500 dirigenti sindacali della Fabi, ieri a Milano, gli amministratori delegati di Unicredit e Mps hanno parlato per la prima volta in pubblico da quando sono in carica. Su entrambi pesano responsabilità enormi, che vanno ben oltre il recinto operativo dei colossi dei quali hanno in mano le redini. Mustier ha appena archiviato l’aumento di capitale da 13 miliardi di euro e il successo dell’operazione gli consente di dire di «non avere alcun condizionamento esterno»: il riferimento, seppur non esplicito, è alle fondazioni e alla spartizione del potere con la politica locale che in passato ha cagionato più di un danno a Unicredit. Basta pensare all’acquisto di Capitalia che viene incredibilmente rinnegato, a 10 anni di distanza, dallo stesso protagonista del matrimonio: «Oggi non lo rifarei», ha dichiarato proprio ieri a Radio 24 l’ex ad Alessandro Profumo. Abbiamo «voltato pagina rispetto al passato», ha rivendicato Mustier parlando di un «futuro luminoso» e rivendicando l’indipendenza dell’istituto. Tuttavia, qualche spiffero a Piazza Gae Aulenti potrebbe sempre arrivare e allora, per aiutarlo a giocare d’anticipo, il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, gli ha regalato un anemometro, che l’alto dirigente Unicredit ha promesso di mettere sulla sua scrivania. Su quella di Morelli ci finirà invece un barometro: in questo caso il sindacato teme qualche tempesta nella gestione del piano, con tagli extralarge sui costi con effetti e ricadute sul personale. Il numero uno di Rocca Salimbeni ha accettato la sfida, invitando i lavoratori a un dialogo costruttivo sul nuovo modello di banca all’inevitabile sapore di digitale, ribadendo che il primo a fare i sacrifici è proprio lui: in effetti il suo stipendio potrebbe scendere da 1,7 milioni di euro a circa mezzo milione. Meno di un terzo. La decisione del taglio spetta al nuovo azionista, ovvero lo Stato che si appresta a entrare nel capitale del Monte col 60-70% delle quote. Ma i tempi sono lunghi: nessuno vuole prendersi la responsabilità del via libera, col duello tra Ue e Bce che corre il rischio di pesare troppo sul futuro dell’istituto senese. Non solo. «Abbiamo di fronte un periodo lungo, perché per riappropriarsi di una presenza commerciale ci vorrà qualche anno. un percorso molto lento», ha spiegato ancora il capo di Mps. Difficile, se non impossibile, al momento, tratteggiare ipotesi di alleanze strategiche o fusioni con altri player, italiani o esteri. Le priorità sono altre, a cominciare dalle sofferenze (si valutano cessioni in blocco o la creazione di un veicolo ad hoc) fino ai depositi: l’ad ha spiegato che si è invertita la tendenza al deflusso e che l’emorragia registrata nel 2016, con miliardi di masse finanziarie perse, è stata fermata. In ogni caso, Morelli – che ha di nuovo respinto le accuse su presunti conflitti di interesse con Jp Morgan – auspica un ruolo «lungimirante» del Tesoro azionista. ll ritorno dello Stato nel recinto bancario è strabenedetto da Mustier: senza l’intervento pubblico per l’industria bancaria del Paese sarebbe stata una «catastrofe». Certo, ha fatto notare Sileoni, le banche vengono puntellate dal governo col fondo da 20 miliardi dopo aver mandato a casa, negli ultimi tre anni, più di 12mila addetti a fronte di 6.300 assunzioni frutto degli accordi sindacali. Da questo punto di vista, molto dipenderà dal nuovo contratto di lavoro, nel quale il perimetro dell’attività dei bancari potrebbe essere esteso anche ad altri ambiti, a partire dalla consulenza fiscale. « l’unico modo per fronte are la concorrenza delle fintech e dei giganti delle tic», ha detto Sileoni che ha incassato l’immediata disponibilità del presidente Abi, Antonio Patuelli.
Liberta’ 02/03/2017
Bancari, in quattro anni persi 12mila posti nei grandi gruppi
MILANO • Ultimi 4 anni di tempesta per il settore bancario in Italia con oltre 12.217 posti di lavoro andati in fumo (a fronte di 6.383 le assunzioni) nei primi cinque gruppi ovvero Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi e Banco Popolare. A certificarlo è la Fabi che nella sua analisi evidenzia, tra l’altro, come il dato peggiore arrivi dal Monte che, tra il 2012 e il 2016, ha contabilizzato 7 mila uscite, perdendo il 22% dei dipendenti. Stabile Intesa Sanpaolo con solo 90 uscite (a fine 2016 i dipendenti sono oltre 62.500). Unicredit, invece, che sta conducendo in porto l’aumento di capitale da 13 miliardi, segna un -3,5% di posti (poco più di 49 mila in Italia al 31 dicembre dello scorso anno). Fuori 32mila dipendenti Più ampia la percentuale delle uscite in Ubi (7,9%) e nel Banco Popolare (10%). «Guardando l’intero comparto – ricorda il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni – sono usciti, attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati, 32.096 dipendenti. Contestualmente sono stati assunti in banca 21.574 giovani, di cui più della metà, 12.240, attraverso il Fondo per la nuova occupazione». Mentre gli sportelli tagliati sono stati 1.700. Cifre tropo alte per non fare niente e per questo Sileoni – in occasione dell’evento “Behind the lines: la tempesta perfetta” organizzato dal sindacato a Milano – chiede un contratto di lavoro al passo dei tempi. E per farlo «è necessario – afferma – riaprire subito il dibattito sul contratto nazionale dei 311 mila lavoratori bancari».
Messaggero Veneto 02/03/2017
«Unicredit indipendente e soprattutto italiana»
MILANO Unicredit sarà indipendente e, soprattutto, nel suo «futuro luminoso» non avrà dna francese. A chiarire il percorso del gruppo che sta conducendo in porto un aumento di capitale mai visto per una banca italiana, è un uomo d’Oltralpe doc. Quel Jean Pierre Mustier che, dai primi di luglio, ha preso le redini dell’istituto di piazza Gae Aulenti e ora assicura – mentre in borsa il titolo guadagna un altro 4,2% – che si è «voltato pagina rispetto al passato». In una delle rare uscite pubbliche, il banchiere – ospite di un convegno organizzato dalla Fabi – rassicura e spegne sul nascere nuovi rumors ormai ciclici, come quelli di un ingresso di Socgen (che non cita) dove, peraltro, il manager ha passato vent’anni. «Non abbiamo nessuna idea di evolverci verso un’identità francese» per cui «chiaramente» la banca «ha un futuro italiano», assicura ricordando, tra l’altro, che tutti gli attuali azionisti hanno sottoscritto la ricapitalizzazione. Qualcuno lo ha fatto per l’intera quota, come gli arabi di Abaar e gli americani di Capital Research che nell’insieme controllano l’11% del capitale. Altri invece, come le fondazioni, hanno ridotto di molto, pur partecipando all’operazione, il proprio peso. Un tema quello dell’azionariato che resta caldo ma, per capire i futuri equilibri dell’istituto che si rifletteranno poi sulla composizione del consiglio di amministrazione, bisognerà aspettare ancora. Mustier ha parlato anche di Generali e Intesa. «L’esito della discussione penso che sia la cosa migliore per il Paese», ha dichiarato sulla vicenda Intesa Sanpaolo-Generali.
Mf 02/03/2017
Mustier: Unicredit non diventerà francese
di Francesca Chiarano MF-Doir.Jones «Sì assolutamente, hanno tutti sottoscritto». Così ieri l’amministratore delegato di Unicredit Jean Piene Mustier, a margine del convegno organizzato dalla Fabi a San Donato Milanese (si veda altro articolo in pagina), ha risposto a chi gli chiedeva se i maggior azionisti dell’istituto avessero sottoscritto l’aumento di capitale da 13 miliardi. Nessun dettaglio sull’eventualità che la banca di Piazza Gae Aulenti abbia raccolto nuovi soci: «Lo sapremo tra un mese e mezzo», ha risposto Mustier riferendosi all’ assemblea in calendario per i120 aprile. «Dopo l’aumento di capitale il futuro di Unicredit è molto luminoso per i suoi clienti, per i suoi azionisti e per i suoi dipendenti», ha proseguito il banchiere francese. «Con la ricapitalizzazione abbiamo voltato pagina rispetto al passato e stiamo costruendo il futuro». Un futuro, ha sottolineato Mustier, «nel quale saremo in grado di offrire prodotti e servizi ancora migliori ai clienti e di dare ai nostri dipendenti un ottimo contesto per sviluppare le loro carriere». In futuro Unicredit dovrebbe restare indipendente e con una chiara identità italiana: «Non abbiamo nessuna idea di evolverci verso un’identità francese», ha puntualizzato il ceo. «Pioneer è stata vista come esternalizzazione ai francesi, per ò non è proprio così. Pioneer è un grande asset e la sua gestione è ottima, ma non ha la giusta dimensione: è troppo grande per i clienti individuali e troppo piccola per gli istituzionali. La combinazione di Pioneer con Amundi dà quella massa critica su cui lavorare. Quindi sì, abbiamo esternalizzato, ma a questo scopo». Mustier ha poi commentato anche le vicende del settore bancario italiano: «Se il governo non fosse intervenuto nelle banche in difficoltà, sarebbe stata una catastrofe per i dipendenti e i clienti dell’intero sistema». Infine in merito al dossier Intesa-Generali il banchiere ha dichiarato di ritenere che l’esito della vicenda sia stato il migliore per il Paese: «Per l’Italia è importante avere una compagnia assicurativa indipendente, quotata e internazionale».(riproduzione riservata)
Mf 02/03/2017
Morelli: Mps ora è sulla strada giusta
di Francesca Chiarano MF-DowJones Banca Mps «ha invertito la tendenza commerciale e a questo punto la banca sta lentamente riprendendo il modus operandi positivo. E un processo che sarà lento ma la direzione giusta è stata già tracciata». Lo ha affermato l’ad del Monte, Marco Morelli, in merito all’andamento dell’istituto, che a dicembre ha registrato un forte deflusso dei depositi che per ò si è interrotto già a gennaio, con l’annuncio dell’ingresso dello Stato nel capitale della banca. Parlando a margine del convegno organizzato dalla Fabi, Morelli ha poi spiegato che i tempi per la definizione del nuovo piano «non sono dettati dalla banca, ma dalla Commissione Ue, che parla con la banca e con la Bce, e noi dobbiamo adeguarci e rispettare la tempistica che ci viene data da loro. II piano industriale sarà approvato dal cda alla fine di questo processo». Il nuovo piano dovrebbe sì ricalcare le linee guida di quello precedente ma attraverso la sottoscrizione della ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, che implica il vaglio da parte della Commissione Ue oltre che della Bce. (riproduzione riservata)
Mf 02/03/2017
Abi apre al contratto unico per i bancari – Abi dice sì a un contratto unico
Gualtieri Luca
Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, apre alla proposta della Fabi di riaprire il confronto sul contratto nazionale di lavoro dei bancari (in scadenza nel 2018) e di allargarlo anche ad altre categorie come gli assicurativi, i promotori finanziari e gli addetti del credito cooperativo. «Io non ho alcun pregiudizio a iniziare da subito un confronto costruttivo in prospettiva di un nuovo contratto, che non sia solo l’aggiornamento del contratto nazionale dei bancari ma che pub allargare lo sguardo», ha spiegato ieri Patuelli al convegno Behind the lines organizzato dalla stessa Fabi. «Se le banche cooperative lo chiederanno», ha aggiunto per esempio Patuelli, «non avrebbe difficoltà ad approfondire un unico contratto nazionale di tutti i bancari. Ci sono i settori parabancari, esterni al mondo bancario in termini stretti, come le assicurazioni e il mondo finanziario», ha detto ancora Patuelli, «Io coniugo il mondo finanziario in termini plurali. Non c’è un unico modello, ce ne sono tanti, diversi e in concorrenza: questa è la base di pluralismo che rende competitivo il nostro mondo bancario», ha concluso il presidente dell’Abi rispondendo così alla proposta lanciata dal segretario della Fabi, Lando Sileoni. «E necessario riaprire subito il dibattito sul contratto nazionale dei 311 mila lavoratori bancari. Quello attuale, in scadenza il 2018, rischia di essere superato dai tempi. Riteniamo», ha aggiunto il sindacalista, «si debba cominciare a valutare l’ipotesi di un contratto unico per i lavoratori del comparto finanziario-assicurativo, con una rete di garanzie estesa ai lavoratori bancari di Abi, delle bcc, delle assicurazioni e degli stessi promotori finanziari. L’obiettivo è quello di assicurare in prospettiva al settore il mantenimento dei livelli occupazionali e tutelare efficacemente gli stessi lavoratori. Serve un contratto», ha insistito ancora Sileoni, «che sappia gestire il cambiamento in atto definendo nuove professionalità e nuovi mestieri, in coerenza con un nuovo modello di banca al servizio del Paese che ponga le condizioni per un aumento dei ricavi e dell’occupazione. Per fronteggiare la concorrenza delle Fintech e dei giganti Ict, le banche devono puntare sulla consulenza fiscale, previdenziale, tecnologica, finanziaria, commerciale a famiglie e imprese, riportare all’interno del proprio perimetro attività in precedenza esternalizzate». L’appello di Sileoni, del resto, trova riscontro nei numeri. In base ai dati raccolti dalla Fabi, in tre anni l’industria bancaria italiana ha perso 12 mila posti di lavoro per via della crisi di redditività e delle numerose ristrutturazioni che hanno coinvolto i gruppi bancari. Gli istituti hanno inoltre diminuito la loro presenza sul territorio tagliando quasi 1.700 sportelli. Dal 2013 al 2015 sono usciti, attraverso pensionamenti e prepensionamenti volontari e incentivati, 32.096 dipendenti. Contestualmente sono stati assunti in banca 21.574 giovani di cui più della metà, 12.240, attraverso il Fondo per la nuova occupazione. Questo strumento è stato negoziato dai sindacati negli ultimi due rinnovi contrattuali e ha consentito assunzioni agevolate a tempo indeterminato di giovani disoccupati, precari già in organico e categorie disagiate grazie al contributo solidale di lavoratori e top manager. Ad oggi le assunzioni agevolate di giovani, tramite il Fondo, sono arrivate a quota 13.800. Dal 2012 al 2016, cioè in quattro anni, nei primi cinque gruppi bancari italiani, che impiegano oltre la metà dei lavoratori bancari in Italia (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi e Banco Popolare), sono stati bruciati 12.217 posti di lavoro, mentre le assunzioni si sono attestate a quota 6.383 grazie agli accordi raggiunti con le organizzazioni sindacali di categoria. Nel corso del convegno Patuelli è tornato anche sul tema della lista dei creditori inso

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