Le banche italiane sono state salvate dai lavoratori, mentre nel resto d’Europa il settore è stato sostenuto soprattutto dagli aiuti pubblici, con record in Germania e Spagna. Nel confronto internazionale, il nostro Paese è in coda alla classifica per il sostegno dello Stato: in totale sono stati impiegati 14,2 miliardi di euro di denaro pubblico che hanno inciso molto poco sia sul rapporto debito/pil (+0,3%) sia sul debito pubblico (+1%). L’impatto risulta modesto rispetto agli altri paesi dell’area euro: l’aumento del debito – calcolato in percentuale di Pil – si è infatti attestato all’1,3% in Italia, al 5,9% in Germania, al 4,4% in Spagna e al 4,6%, in generale, nella media dell’eurozona. Questi i dati principali di una analisi della FABI, Federazione autonoma bancari italiani, diffusa con un video sui social network. Una indagine secondo la quale le aziende bancarie del nostro Paese sono state aiutate dal contributo determinate delle lavoratrici e dei lavoratori oltre che dalla forza del sindacato, che hanno permesso al settore di risparmiare circa 3 miliardi.
Il fact checking della FABI, realizzato anche con dati dell’ultima relazione della Banca d’Italia, spiega l’incidenza del denaro pubblico nella risoluzione delle crisi bancarie. In Italia, i soldi dello Stato sono stati impiegati negli aumenti di capitale e per ridurre le sofferenze, cioè i prestiti non rimborsati dai clienti: in totale, 14,2 miliardi. Ecco i dettagli: 6,4 miliardi per due liquidazioni (Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza), 5,4 miliardi per una ricapitalizzazione precauzionale (Monte dei Paschi di Siena) e 2,4 miliardi per quattro operazioni di risoluzione (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti). Ben più consistente l’apporto di risorse da parte dei privati: investitori e risparmiatori hanno contribuito al risanamento del settore e ai salvataggi con circa 50 miliardi.
Inoltre, sulla riduzione dei costi le banche italiane mostrano un’efficienza che le rende tra le migliori in Europa. Per quanto riguarda il cost/income, uno dei principali indicatori dell’efficienza gestionale di una banca (minore è il valore, maggiore è l’efficienza della banca e quindi la redditività), nel confronto internazionale l’Italia (65%) risulta in perfetta media europea (65,7%), più virtuosa di Germania (86%), Francia (70%), Svizzera (80%). Lo Stato italiano è intervenuto meno perché le banche sono state salvate dal contributo determinante delle lavoratrici e dei lavoratori oltre che dalla forza del sindacato. Basti pensare che mentre in Europa sono stati fatti licenziamenti selvaggi (328.000 posti di lavoro persi), da noi, ci sono state solo uscite volontarie e incentivate grazie al Fondo di solidarietà, pagato anche dai lavoratori. Uscite morbide, quindi, che in ogni caso hanno contribuito ad alleggerire i costi del settore, ma senza traumi. Dal 2010, inizio della crisi, sono usciti dal mondo delle banche circa 40.000 lavoratori facendo risparmiare alle banche circa 3 miliardi di costo del lavoro (oltre il 10%). Contemporaneamente, attraverso il Fondo per l’Occupazione, finanziato solo dai bancari, sono stati assunti 17.655 giovani.
Nel 2018 gli utili delle banche italiane supereranno i 10 miliardi (previsioni FABI supportate dal consensus degli analisti finanziari) e nel 2019 saranno pari a 12,3 miliardi (fonte Abi). Gli effetti positivi del ritorno agli utili andranno toccati con mano anche dai lavoratori. Più utili alle banche si traducono in più dividendi agli azionisti: ne consegue che la FABI chiederà aumenti economici ai lavoratori. Nel prossimo contratto i banchieri non potranno ignorare le richieste del sindacato.