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Analisi della Federazione in vista della riunione della Bce di oggi e del Consiglio europeo di domani nel quale si discuterà l’Unione bancaria e la proposta di una nuova stretta su prestiti non rimborsati. Le sofferenze dei nostri istituti sono calate dal 2015 al 2017 da 360 a 284 miliardi, mentre nei portafogli dei colossi europei, meno osservati dai regolatori, è fortissimo il peso di asset finanziari tossici: sul totale degli attivi bancari, i derivati pesano il 17% in Inghilterra, il 16% inFrancia e Germania contro il 9% dell’Italia. Il segretario Sileoni: «Imporrevendite sottopressione di crediti deteriorati favorisce il mercato degli speculatori, danneggiando le aziendebancarie e i loro lavoratori che hanno già contribuito al risanamento del settore. Bce e Ue si preoccupino pure dei rischi delle banche del Nord Europa».
Le sofferenze delle banche italiane sono calate di quasi 76 miliardi di euro negli ultimi due anni, nell’ambito di un percorso che sta progressivamente riportando il settore alla redditività, anche grazie al calo degli accantonamenti. La massa di crediti deteriorati è diminuita da 360 miliardi (2015) a 284 miliardi (2017) e ulteriori riduzioni sono già previste da tutti i piani industriali, che indicano, per il periodo 2018-2020, una discesa dei non performing loan (npl) di oltre il 38%. Ne consegue che una nuova stretta normativa da parte dell’Unione europea danneggerebbe le banche del Sud Europa e le italiane in particolare: ci ò perché i livelli attuali di npl del settore bancario del Paese sono più che doppi rispetto alle sollecitazioni che si vorrebbero imporre. è quanto emerge da un rapporto della FABI, principale sindacato del settore bancario, diffuso alla vigilia del Consiglio europeo in programma domani che discuterà, nell’ambito del negoziato sull’Unione bancaria, la proposta, avanzata da Germania e Francia, di una forzatura regolatoria sulla pulizia dei bilanci delle aziende creditizie. Il tema sarà oggi al centro della riunione della Vigilanza della Bce.
Tutto questo, secondo il report della FABI, mentre nei portafogli dei colossi europei, assai meno osservati da parte dei regolatori, è fortissimo il peso di asset finanziari ad alto rischio: sul totale degli attivi bancari, i derivati pesano il 17% in Inghilterra, il 16% in Francia e Germania contro il 9% dell’Italia. «Imporre vendite sotto pressione di crediti deteriorati favorisce il mercato degli speculatori, danneggiando le aziende bancarie e i loro lavoratori che hanno già contribuito al risanamento del settore» commenta il Segretario Generale della FABI, Lando Maria Sileoni, secondo il quale «la Bce e i regolatori Ue dovrebbero preoccuparsi non solo del rischio di credito rappresentato dagli npl, stoppando la controproducente e ossessiva pulizia dei bilanci, ma anche delle minacce insite nelle banche del Nord Europa».
La proposta franco-tedesca è volta a ridurre le sofferenze lorde e nette rispettivamente al 5% e al 2,5% del totale degli impieghi. Ma, secondo l’analisi della FABI, una nuova stretta normativa dettata dall’ossessione della solidità a ogni costo, anche in un contesto di ripresa economica e di forte e fisiologico decremento dello stock di sofferenze e dei nuovi flussi in ingresso, ha un sapore anti-ciclico pericoloso. Proprio ora che il sistema bancario italiano ha ritrovato la strada della redditività grazie al calo drastico dei nuovi accantonamenti e al calo forte dello stock di crediti deteriorati. I dati chiariscono il quadro: dal 2015, picco della crescita delle sofferenze, al 2017 i crediti deteriorati lordi nei bilanci delle banche italiane sono scesi di ben 76 miliardi con un calo del 21% sui 360 miliardi del 2015; a fine 2017 il rapporto tra crediti deteriorati lordi e impieghi si collocava al 14% rispetto al 18% di due anni prima.
Il percorso di rientro dallo choc della crisi è ben avviato. Le banche, peraltro, hanno deliberato ricapitalizzazioni per oltre 50 miliardi negli ultimi anni finalizzate a coprire le perdite indotte dalle rettifiche sui crediti malati e hanno alzato fortemente i tassi di copertura sui prestiti deteriorati. In questo contesto di svolta e di minori rettifiche le banche italiane sono tornate a produrre utili. Le stime FABI indicano in 10 miliardi i profitti netti che le prime 10 banche potrebbero realizzare a fine 2018. «Più utili alle banche si traducono in maggiori dividendi agli azionisti e per questo – dichiara Sileoni – in sede di rinnovo contrattuale, chiederemo aumenti economici per tutti i lavoratori, che hanno contribuito, con 40mila pensionamenti e prepensionamenti volontari, a ridurre il costo del lavoro di circa 3 miliardi».
Secondo quanto evidenziato nel rapporto della FABI, le buone prospettive delle banche italiane, che potrebbero peggiorare di fronte a una nuova stretta normativa, sono supportate anche dalle valutazioni dell’Autorità bancaria europea (Eba): il Roe (utile su capitale) delle banche italiane viene indicato (2017) al 9,1% contro il modesto 1,7% delle tedesche, il 6,4% delle francesi e il 3,9% delle inglesi. Oltre alla buona redditività, le aziende bancarie del nostro Paese presentano anche rischi di mercato contenuti: per quanto riguarda il trading finanziario, sulle banche italiane pesa il 6% degli attivi rispetto al 18% delle francesi, del 19% delle tedesche e del 23% delle inglesi. «Si tratta di un rischio che i regolatori, purtroppo, non sanno o non vogliono affrontare. Sembra che preferiscano concentrarsi sugli npl perché forse è più comodo, ma questo modo di agire è assai distorsivo e penalizzante per i sistemi bancari come quello italiano concentrati sul business tradizionale» conclude Sileoni.
Roma, 27 giugno 2018.