«SÌ ALLO SMART WORKING MA CON REGOLE CHIARE»
Sul Sole24Ore in edicola oggi, un lungo intervento del segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, che analizza l’uso del lavoro agile durante il lockdown e chiede una regolamentazione dettagliata nel contratto nazionale: bisogna evitare che diventi “l’argomento perfetto” per ulteriori e inaccettabili tagli di personale. Poi la denuncia di conflitti di interesse e “porte girevoli” che funzionano perfettamente tra mondo della consulenza e settore bancario per la digitalizzazione e l’informatica.
Sul Sole24Ore in edicola oggi, un lungo intervento del segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, che analizza l’uso del lavoro agile durante il lockdown e chiede una regolamentazione dettagliata nel contratto nazionale: bisogna evitare che diventi “l’argomento perfetto” per ulteriori e inaccettabili tagli di personale. Poi la denuncia di conflitti di interesse e “porte girevoli” che funzionano perfettamente tra mondo della consulenza e settore bancario per la digitalizzazione e l’informatica.
SÌ ALLO SMART WORKING MA CON REGOLE CHIARE
di Lando Maria Sileoni
Segretario Generale della Fabi
Occorre subito chiarire un aspetto: visto l’andamento, piuttosto negativo, della pandemia Covid, lo smart working è fondamentale per la sicurezza di tutte le lavoratrici e i lavoratori bancari. Non abbiamo esitato – appena iniziato il lockdown – a concordare con Abi misure volte a proteggere dipendenti e clientela. Il settore bancario, grazie alla prontezza del sindacato, ha risposto con tempestività ed efficacia all’emergenza. Nel protocollo del 16 marzo 2020, firmato da sindacati e Associazione bancaria, è stato richiamato il «lavoro agile» per «ridurre la presenza nei luoghi di lavoro». Tuttavia, alcuni bancari hanno perso la vita a causa del Coronavirus, nei primi giorni della pandemia non erano disponibili i dispositivi di sicurezza individuali, chi era in servizio nelle agenzie ha subito aggressioni e violenze a causa dei ritardi delle banche sui prestiti garantiti dallo Stato. Il sindacato ha denunciato, agito e tutelato i lavoratori. I protocolli, in ogni caso, durante il lockdown hanno consentito il funzionamento del settore e garantito l’apertura – peraltro imposta dalla legge 146 del 1990 sui servizi pubblici essenziali – delle 25.000 agenzie.
Seguiamo la situazione e siamo pronti, con Abi e tutte le organizzazioni sindacai, a rivedere gli accordi e a varare nuove misure, se il quadro dell’epidemia muterà. Tutto questo fermo restando che il contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce la «volontarietà» del ricorso allo smart working da parte dei dipendenti: è un punto irrinunciabile. C’è da dire che nel settore esistono accordi di secondo livello, come in Intesa Sanpaolo, primo gruppo a varare, in via sperimentale, nel 2014, coi sindacati aziendali, un progetto pilota di lavoro flessibile; durante il lockdown, oltre il 90% del personale delle direzioni ha lavorato da casa, il rientro è ed è stato graduale. Altri accordi aziendali sono stati positivamente conclusi con tutti i principali gruppi.
Di là dall’emergenza, per lo smart working occorrono regole dettagliate, affinché non possa essere usato strumentalmente dalle banche per giustificare il ridimensionamento degli organici o per ridurre il costo del lavoro. Ho il sospetto che qualche banca, in vista dei prossimi piani industriali, intenda surrettiziamente dimostrare che da un lato c’è meno lavoro e dall’altro che molte attività possono essere svolte a distanza. Altro aspetto rilevante, verso il quale ho puntato una lente d’ingrandimento, sono i rapporti, talvolta perversi, fra alcune società di consulenza che si autodefiniscono «esperte nel digitale» e quelle banche che preferirebbero sfruttare la pandemia per creare le condizioni di ulteriori tagli e di ulteriori esuberi di personale. Le “porte girevoli” funzionano perfettamente tra il mondo della consulenza e il settore bancario: è un sistema collaudato di reciproci interessi, che raramente coinvolge la banca nei propri vertici, ma interessa quei dirigenti di banca, specializzati nel digitale, che provengono o da aziende It o che hanno coniugi inseriti in ruoli importanti di società di consulenza informatica: un palese conflitto di interessi, un continuo scambio di favori, con contratti di appalti milionari e assunzioni generose che fanno da sfondo a ogni scelta. Inoltre, questi soggetti spesso condizionano le integrazioni informatiche fra le banche che si aggregano, non di rado determinando ritardi e problemi, creati ad arte per imporre all’interno degli istituti la presenza loro e dei propri adepti pagati a peso d’oro.
Quanto ancora al lavoro agile, alcuni aspetti sono apprezzati dai lavoratori. Ma è indispensabile ricordare una serie di problematiche: conflitto fra lavoro e famiglia, tecnostress e dipendenza tecnologica, percorsi di carriera frenati, impatti negativi su relazioni e scambi professionali. Dunque, serve la massima attenzione. Per le banche, invece, ci sono solo vantaggi, legati alla dematerializzazione del luogo di lavoro, ai minori costi e alla maggiore flessibilità delle prestazioni professionali. Ecco perché non permetteremo mai la giungla e pretenderemo regole dettagliate nel ccnl. È una situazione che il sindacato deve governare, anche per evitare che vengano meno le tutele sindacali e possano registrarsi perdite dei diritti per chi lavora da casa. Questa è la mia visione passata, presente e futura dello smart working, oggi fondamentale per gestire l’emergenza, ma tutta ancora da regolamentare e da approfondire per evitare che diventi “l’argomento perfetto” per ulteriori e inaccettabili tagli di personale.