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“CON MPS-MEDIOBANCA, SIENA RESTA AUTONOMA E NIENTE ESUBERI”
Intervista sul Giornale al segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il risiko bancario, la tutela del risparmio degli italiani e le prospettive del settore bancario italiano
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Intervista sul Giornale al segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il risiko bancario, la tutela del risparmio degli italiani e le prospettive del settore bancario italiano
Gianmaria De Francesco
Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi, come valuta l’Ops di Monte Paschi su Mediobanca?
«Positivamente, perché l’operazione garantisce l’autonomia di Mps e, da quando è subentrato l’ad Lovaglio, questo è stato il messaggio che abbiamo sempre inviato pubblicamente».
Cosa cambierà nel sistema bancario italiano?
«Se andrà a buon fine, questa fusione dimostrerà che sono saltati un po’ tutti i vecchi “meccanismi” che regolavano le aggregazioni nel settore bancario. Queste operazioni non vengono più concordate o “imposte” per salvare banche in pericolo e perciò la crescita dimensionale consente di difendersi meglio dalle scalate. C’è stata una visione importante che ormai farà sempre la differenza».
Pensa che ci saranno ricadute anche sull’operazione Generali-Natixis?
«L’accordo fa nascere qualche dubbio sulla destinazione dei risparmi degli italiani. Come ha detto il primo ministro Meloni, Mps-Mediobanca potrebbe in qualche modo rappresentare una tutela».
Cosa pensa delle critiche politiche secondo cui il governo sarebbe stato interventista e non neutrale?
«Soltanto chi non conosce veramente il settore bancario si può fare un’idea del genere. Tutti dimenticano che c’era un’indicazione della Bce molto stringente che obbligava il governo, qualunque fosse stato, a mettere sul mercato le quote della banca, Infatti, il Tesoro è sceso all’11,3% proprio perché la Bce aveva indicato questa strada. E l’ultima parola sull’offerta per Mediobanca sarà detta a Francoforte».
Dunque è un’operazione di mercato?
«È un’operazione a metà fra il mercato e la politica. I governi vanno e vengono, mentre i vertici delle istituzioni finanziarie sono più duraturi. Quindi si può ritenere che Mps-Mediobanca sia un’operazione ideata in ambito finanziario cogliendo un momento politico propizio. Credo che sia partita da lontano e che sia da sempre stata l’obiettivo principale dei diretti interessati. Tutti i banchieri sono filogovernativi per definizione. Basti pensare che i precedenti aumenti di capitale del Monte sono stati concepiti con governi di centrosinistra».
L’ad Lovaglio ha dichiarato di aver descritto al ministro Giorgetti tre possibili opzioni a fine 2022.
«Sono stati analizzati i tre possibili scenari: stand alone, fusione con un’altra banca e un’acquisizione. Alla fine ha prevalso quest’ultimo non tanto perché Unicredit abbia lanciato l’Opa su Banco Bpm, che era l’interlocutore più accreditato per un’aggregazione, ma forse perché gli azionisti e il management di Siena hanno guardato con maggior favore a quella specifica possibilità. Anzi va riconosciuto che sono stati estremamente bravi, al di là di come andrà a finire l’operazione, a strutturare questa iniziativa, che è la prima in Italia nella quale una banca lancia un’Ops su un target che ha una capitalizzazione maggiore. Ma saranno determinanti le qualità dell’integrazione».
È preoccupato per le ricadute occupazionali?
«È la prima volta che un’operazione simile non produce esuberi né tra i 17mila dipendenti di Mps – e ce lo ha confermato l’ad Lovaglio – né tra quelli di Mediobanca. In ogni caso, chiederemo la presentazione di un piano industriale dettagliato su cui confrontarci».
Cosa dice a chi sventola lo spauracchio dei licenziamenti?
«Che descrivono una situazione che non sta né in cielo né in terra, perché dal 2000 sindacati e banche hanno creato un ammortizzatore sociale, il Fondo esuberi, che prevede pensionamenti e prepensionamenti volontari. Nessun bancario in questi ultimi 25 anni è stato mai licenziato per fusioni e acquisizioni».
E l’Ops di Unicredit su Banco Bpm?
«Sono due banche ben gestite. Anche il Banco ha seguito una strategia intelligente aprendo sportelli nelle zone del Paese commercialmente più interessanti. Quello che a noi interessa è che da operazioni del genere non venga fuori un bagno di sangue di esuberi perché lo contrasteremmo fino all’ultimo. Il risultato finale sarà deciso dal mercato e non dalla politica».
Si può, quindi, affermare che il sistema bancario italiano sia in buona salute?
«Tutti i gruppi italiani, incluso il credito cooperativo, sono ben gestiti. Occorre anche dire che se le due Ops attuali andassero in porto, Intesa Sanpaolo resterebbe sempre l’aggregato di maggiori dimensioni, un primato che l’ad Carlo Messina si è conquistato sul campo non solo come banca di riferimento sociale del Paese, ma anche per essere intervenuta nei salvataggi di istituti medi e piccoli negli ultimi vent’anni».