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news fabi anno VIII – lunedì 30 aprile 2007

 

rassegna stampa quotidiana riservata alle strutture

 

a cura di Bruno Pastorelli

Se riscontrate anomalie, nei collegamenti comunicatelo a: b.pastorelli@fabi.it, grazie.

 

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Così disse

 

GAZZETTA DI PARMA 26 aprile 2007. 3

PRESENTAZIONE-IL LIBRO DI GAVARINI, NEO SEGRETARIO FABI 3

 

LA REPUBBLICA PALERMO – DOMENICA 29 APRILE 2007. 3

BANCA DI ROMA – MANCA LA SORVEGLIANZA DIPENDENTI IN SCIOPERO. 3

 

GIORNALE DI SICILIA – SABATO 28 APRILE 2007 – CRONACA DI PALERMO  - BANCA DI ROMA, LUNEDI’ SCIOPERO DI DIPENDENTI 4

 

GIORNALE DI SICILIA – CRONACA DI PALERMO – VENERDI’ 27 APRILE 2007. 4

DALLA PRIMA PAGINA – LA RAPINA IN VIA BUONRIPOSO, ALLE 17, DURANTE LA CHIUSURA DEI CONTI. DUE MALVIVENTI A VOLTO COPERTO HANNO SFONDATO LA PARETE DELLO SCANTINATO DELL’ISTITUTO DI CREDITO. BANDA DEL BUCO ALLA POPOLARE ITALIANA. IMPIEGATI LEGATI, BOTTINO DI 30 MILA EURO. 4

 

LA NAZIONE 29 aprile 2007. 5

ADESSO la partita si sposta su Findomestic. L’Ente Cassa sta lavorando all’accordo con Intesa San Paolo ... 5

 

IL SOLE 24 ORE On-Line 28 aprile 2007. 6

Intesa SanPaolo cede 186 sportelli, ecco la lista - Tutti gli sportelli ceduti 6

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 7

Egovernment sì, ma alla Bassanini 7

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 8

Risiko all’europea Le due strade di Unicredit: da un lato il recupero nel Mezzogiorno d’Italia, dall’altro la copertura dall’Atlantico agli Urali - Il Tevere, la Senna e le scelte di Profumo - Con Capitalia la leadership in casa. Con Société Générale un gruppo da 150 miliardi di capitalizzazione. 8

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 9

Teniamoci strette le banche del territorio. 9

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 10

Servizi Abi e Cogeban si sono impegnate con l’Authority a ridurre le commissioni all’ingrosso: finora senza effetti sui correntisti. Ecco la forbice costi/ricavi - Quei prezzi gonfiati di Bancomat e bollette - Per prelievi e Rid il cliente paga fino a 10 volte i costi effettivi delle banche. L’Antitrust: «Scendano almeno del 10%». 10

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 11

Fin@nz@ - Il conto online che costa un euro al mese. 11

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 12

Fisco troppo severo se si cambia mutuo. 12

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 12

Fisco troppo severo se si cambia mutuo - L iquidazioni più semplici e veloci, anche se la macchina. 12

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 14

Promemoria I consigli per sfruttare al meglio la riforma - Così i rimborsi diventano sprint - Dal modulo blu alle piccole invalidità (fino al 9%): tutto quello che bisogna sapere per farsi valere. 14

 

dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007. 15

Stato digitale /1 Progetti eccellenti accanto a back office arretrati. Si punta su Spc, la rete che collegherà 450 enti - A macchia di leopardo, anzi di gattopardo - Tanti computer ma l’organizzazione burocratica non cambia. 15

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 17

Tasse locali, ecco il piano del governo - Nuovi tributi territoriali, ma le Regioni più povere saranno garantite - federalismo fiscale - Nascono nuove prerogative fiscali. Ma per i contribuenti cambierà poco - Questo il testo dell´esecutivo al centro del dialogo con la Lega - Una "rivoluzione" che darà maggiori certezze ai conti di sindaci e governatori 17

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 18

LE MISURE - IL BILANCIO - Una Finanziaria parallela per Regioni e Comuni 18

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 18

LE MISURE - LE ALIQUOTE - Addio alle addizionali Irpef arriva la compartecipazione. 18

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 18

Le città potranno imporre anche le tasse di scopo - i tributi 18

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 19

Per la verde 1,3 euro al litro, 1,150 il diesel. Soltanto due compagnie mantengono i listini sotto le nuove soglie - 1,308 EURO - Benzina, prezzi record nel ponte del 1° maggio - Corre il petrolio e tornano i rincari. I consumatori: aumenti ad ogni esodo. 19

 

LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007. 19

BREAKINGVIEWS - Il collocamento di Bocom e il rischio della bolla gialla. 19

 

IL GIORNALE lunedì 30 aprile 2007. 20

Caso Wolfowitz Oggi la svolta. 20

LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007. 20

L’Ue benedice Telecom-Telefonica. 20

 

LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007. 22

MA PER IL MINISTRO DELL’ECONOMIA LA PRIORITÀ È RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO - Prodi: più fondi a pensioni e welfare. 22

 

LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007. 23

Affari nostri - Per la finanza italiana rivoluzione targata Gnutti 23

 

LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007. 23

Scelte da banca svizzera - Bpvn, Astaldi e Danieli 23

 

da LA VOCE.INFO del 26-04-2007. 24

Una pensione da non anticipare. 24

 

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GAZZETTA DI PARMA 26 aprile 2007

PRESENTAZIONE-IL LIBRO DI GAVARINI, NEO SEGRETARIO FABI

Il bancario sindacalista ha la stoffa dello scrittore - Nell’insolita veste di autore di racconti ha riscosso applausi ed elogi

Per alcune ore non ha parlato di contratti, piattaforme, rivendicazioni, scioperi, banca ore e ammennicoli vari.

Enrico Gavarini, parmigiano, neo segretario generale del sindacato autonomo bancari Fabi, è stato applaudito non tanto per aver portato a termine una trattativa sindacale, ma per il suo libro che è stato presentato nella sede della Fabi di piazzale Santafiora da Giuseppe Benelli, docente universitario, presidente della Fondazione Città del Libro di Pontremoli organizzatrice del “Premio Bancarella”.

Alla presenza di numerosi soci e simpatizzanti del sindacato e del consigliere regionale Roberto Corradi, Benelli ha esordito affermando che “Gavarini, oltre all’indubbia abilità di sindacalista come segretario generale del maggior sindacato dei bancari italiano, si è pure rivelato un ottimo scrittore”. “In “Storie della storia della fine del mondo” (così è intitolato il libro) tutto accade in un istante – ha aggiunto Benelli – come la creazione”.

“Ma è la vita – ha proseguito – che è fatta di momenti, di pensieri fugaci che si susseguono ora veloci ora più pacati nel corpo di parole agitate, vivide, unite in frasi scomposte che ogni volta Enrico Gavarini riconduce all’unitarietà secondo un ritmo poetico del tutto originale”.

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LA REPUBBLICA PALERMO – DOMENICA 29 APRILE 2007

BANCA DI ROMA – MANCA LA SORVEGLIANZA DIPENDENTI IN SCIOPERO

Domani un giorno di sciopero per i dipendenti della Banca di Roma del gruppo Capitalia: chiedono il ripristino della vigilanza armata davanti alle filiali e nuove assunzioni per far fronte alle carenze di organico. Il segretario generale aggiunto del sindacato Fabi, Carmelo Raffa, ha chiesto al gruppo capitalia di dare risposte concrete.

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GIORNALE DI SICILIA – SABATO 28 APRILE 2007 – CRONACA DI PALERMO  - BANCA DI ROMA, LUNEDI’ SCIOPERO DI DIPENDENTI

Sciopero lunedì dei lavoratori della Banca di Roma. Il motivo, come si legge in una nota, è la mancata risoluzione di numerose problematiche poste all'attenzione dei vertici dell'istituto e dei sindacati del gruppo Capitalia. Tra queste la richiesta del ripristino della vigilanza armata per garantire maggiore sicurezza nelle filiali; nuove assunzioni e il rispetto del contratto di lavoro. «Alcune rivendicazioni - dichiara il segretario generale aggiunto della Fabi - gruppo Capitalia, Carmelo Raffa - sono comuni alle banche del gruppo».

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GIORNALE DI SICILIA – CRONACA DI PALERMO – VENERDI’ 27 APRILE 2007

DALLA PRIMA PAGINA – LA RAPINA IN VIA BUONRIPOSO, ALLE 17, DURANTE LA CHIUSURA DEI CONTI. DUE MALVIVENTI A VOLTO COPERTO HANNO SFONDATO LA PARETE DELLO SCANTINATO DELL’ISTITUTO DI CREDITO. BANDA DEL BUCO ALLA POPOLARE ITALIANA. IMPIEGATI LEGATI, BOTTINO DI 30 MILA EURO.

I due impiegati e il direttore della banca hanno visto spuntare i due incappucciati all'improvviso. Non si aspettavano certo che qualcuno sfondasse il muro per svaligiare le casse. Così invece ieri pomeriggio è stato messo a segno il colpo ai danni dell'agenzia della Banca Popolare Italiana di via Buonriposo. È entrata in azione la banda del buco, due rapinatori a volto coperto che hanno buttato a terra la parete del locale scantinato dell'istituto di credito confinante con un magazzino. Il bottino non è stato ancora quantificato con certezza, dovrebbe aggirarsi sui 30 mila euro. Tutto è iniziato intorno alle 17, ecco come sono andate le cose secondo una prima ricostruzione degli investigatori.

A quell'ora in ufficio c'erano due impiegati e il direttore. Stavano per chiudere i conti, all'improvviso hanno sentito dei rumori provenire dal retro. Erano i rapinatori che avevano sfondato la parete del locale attiguo e in un attimo si sono diretti verso le casse. In due, entrambi con il volto coperto, ed hanno fatto intendere di essere armati, senza però mostrare pistole o coltelli. In pochi secondi hanno legato i due impiegati, poi si sono rivolti al direttore e dopo averlo minacciato si sono diretti verso le casse. Hanno arraffato i contanti e infine sono fuggiti, rifacendo lo stesso percorso.

Già in passato la stessa agenzia aveva subito un assalto simile. E anche in quella circostanza i banditi non avevano mai tentato l'assalto «frontale», preferendo sempre un piano alternativo. Infatti erano state segate le sbarre di una finestra, ma il tentativo dei banditi non andò in porto. Ieri i malviventi hanno studiato il piano nei dettagli e sono entrati in azione a colpo sicuro.

Secondo il sindacato dei bancari Fabi, l'agenzia di via Buonriposo non è provvista di un servizio di guardiania armata ma è dotata di banconi blindati. Per questo motivo forse i banditi hanno scelto un percorso alternativo, abbattendo una parete e cogliendo di sorpresa gli impiegati.

«Siamo a 27 rapine compiute e sei colpi falliti per un soffio a partire dal primo gennaio dell'anno - afferma Gabriele Urzì della Fabi -. Tra colpi tentati e rapine consumate siamo a quota 33, una media raccapricciante. Un colpo ogni quattro giorni, compresi i festivi. Soltanto una cultura diffusa e condivisa della sicurezza può evitare il prolungarsi di una situazione che ha ormai tutti i connotati dell'emergenza. Ormai le banche considerano "fisiologici" avvenimenti come questo, che mettono seriamente a repentaglio la sicurezza dei dipendenti che vivono nell'incubo delle rapine». Secondo i sindacati occorrono guardie armate a presidio delle agenzie fino alla chiusura degli sportelli e dei forzieri ed un piano di intervento straordinario da parte delle forze dell'ordine.

Ieri la polizia ha svolto accertamenti fino a tarda sera dentro i locali. Gli investigatori cercavano eventuali impronti digitali lasciate dai rapinatori, gli impiegati sono stati ascoltati per ore dagli agenti. L. G.

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LA NAZIONE 29 aprile 2007

ADESSO la partita si sposta su Findomestic. L’Ente Cassa sta lavorando all’accordo con Intesa San Paolo ...

di PIERANDREA VANNI

ADESSO la partita si sposta su Findomestic. L’Ente Cassa sta lavorando all’accordo con Intesa San Paolo, per il quale sono previsti tempi brevi (due settimane al massimo) e fra i nodi da sciogliere c’è appunto quello della banca di credito al consumo, vero fiore all’occhiello e fonte di ottimi guadagni.

Le ipotesi sul tappeto sono due: vendere ai francesi di Bnp Paribas, per venti anni soci alla pari, la quota in possesso di Banca CrF, con un introito non inferiore a 1 miliardo di euro; oppure comprare la quota in mano a Parigi, con un esborso di analoga entità.

Ovviamente le cose non sono semplici anche perché Bnp Paribas ha esercitato il diritto di opzione sull’1 per cento per passare alla maggioranza assoluta, delle azioni di Findomestic. Diritto che Banca CrF non riconosce al punto da ricorrere ad un arbitrato. Se si considera poi che l’Ente ha scartato la proposta di Bnp per il futuro della Banca, è evidente che i rapporti fra Firenze e Parigi, una volta eccellenti, sono oggi piuttosto tesi.

Il che rende difficile tutto ma è anche difficile mantenere Findomestic in una situazione di stallo, con un presidente, Edoardo Speranza, che ha annunciato da tempo di non voler essere rinnovato e il cui mandato, come quello degli altri organismi interni, è scaduto da gennaio.

BNP PARIBAS punta a fare di Findomestic la banca di credito al consumo della Bnl; ma questa prospettiva potrebbe favorire la mossa di Intesa San Paolo che, ad ora, non ha una presenza consistente in questo settore. Proprio nell’ambito dell’operazione con l’Ente Cassa potrebbe essere deciso di andare all’acquisto del 50 per cento in mano ai francesi (con il nodo dell’arbitrato sull’1 per cento) per poi fare di Findomestic lo strumento per il credito al consumo di Intesa San Paolo, cioè del secondo gruppo bancario italiano.

In ogni caso non dovrebbero esserci problemi per il futuro. L’assemblea di Findomestic ha appena approvato il bilancio 2006 con 105 milioni di euro di utile a conferma di un trend positivo che dura da diversi anni. Con i suoi 2500 dipendenti e una presenza su gran parte del territorio nazionale, Findomestic rappresenta un valore aggiunto anche per Firenze, dove ha la direzione generale.

Del resto, come ricorda spesso Edoardo Speranza, è praticamente l’unica grande azienda nata in città negli ultimi venti anni.

In attesa di definire complessivamente l’operazione con Intesa, che prevede come è noto una serie di passaggi, l’Ente Casa spunta il consenso di Cgil e Cisl della Banca Crf. Le due organizzazioni sindacali sono minoritarie all’interno dell’azienda ma evidentemente il loro giudizio pesa anche perché condiviso dai rispettivi segretari regionali, presenti anche loro ad un incontro con il presidente dell’Ente Edoardo Speranza. Nel comunicato diffuso al termine dell’incontro Cgil e Cisl parlano di «operazione utile al Paese che porterà benefici a Firenze e alla Toscana».

IMMEDIATA e molto dura la replica della Falcri, che assieme alla Fabi e ad altre sigle sindacli autonome rappresenta la grande maggioranza dei dipendenti. «Cgil e Cisl sono solo alla ricerca di un minimo di ruolo - sostiene Antonio Sementilli della segreteria aziendale -. La loro scelta è solo un tentativo sbagliato di dividere il fronte sindacale e, oltretutto, è un gesto contraddittorio. Infatti le sezioni aziendali di Cgil e Cisl di Infrogroup hanno proclamato due ore di sciopero per mercoledì prossimo proprio contro le conseguenze dell’accordo che viene magnificato».

Il fronte del no, al quale aderiscono oltre agli autonomi la Uil e l’Ugl, si prepara ad un sit-in in occasione dell’assemblea dei soci dell’Ente Cassa già fissata per il 4 maggio e annuncia assemblee del personale oltre alla creazione di un comitato «per il rispetto dello statuto dell’Ente Cassa». 

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IL SOLE 24 ORE On-Line 28 aprile 2007

Intesa SanPaolo cede 186 sportelli, ecco la lista - Tutti gli sportelli ceduti

di Nicola Borzi

Intesa SanPaolo, con una lettera del 24 aprile, ha comunicato ai sindacati il primo elenco di 186 sportelli che saranno ceduti in base alle richieste dell'Antitrust. L'Autrità garante della concorrenza a dicembre aveva sancito l'obbligo di cedere 197 sportelli in 18 province dove la quota di mercato della banca nata dall'aggregazione dei due istituti superava i limiti consentiti. Mancano, nella lista comunicata ai sindacati, gli sportelli da cedere che saranno individuati quelli delle province di Aosta, Biella, Terni e Vercelli.

Tra le province colpite la prima è quella di Venezia, dove dovranno passare di mano ben 36 filiali, seguita a ruota da Torino con 33. Il Veneto (con 62 sportelli) e il Piemonte e la Lombardia (37 dipendenza ciascuna) le regioni più interessate, in attesa che venga definita la situazione di Biella e Vercelli, che porterà il Piemonte in seconda posizione tra le aree regionali maggiormente interessate alle cessioni..

Quanto alle reti di provenienza, il dettaglio vede più colpiti gli sportelli che prima della fusione appartenevano a Intesa (ne cederà ben 87), poi l'ex rete SanPaolo, con 37, e le dipendenze dell'ex SanPaolo Banco di Napoli con 24, mentre la rete di provenienza della Cassa di Risparmio di Venezia "dimagrirà" di 19 dipendenze, quella ex Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo di 14, l'ex Friulcassa di quattro e l'ex Banca popolare dell'Adriatico di una.

La decisione dell'Autorità è pesante, anche perché segue le cessioni di sportelli (ben 645) che Intesa, in base all'accordo dell'11 ottobre 2006, ha «girato» a Crédit Agricole : si tratta delle reti di sportelli che facevano capo alla Cassa di risparmio di Parma e Piacenza (304 sportelli) e a Friuladria (148), oltre a un ulteriore pacchetto di filali identificate nella rete della banca milanese. Cessioni che scatteranno entro il 12 ottobre e consentiranno a Crédit Agricole di diventare la tredicesima banca italiana per dimensioni della rete. Come nota l'Antitrust, dei 645 sportelli ceduti ai francesi, 551 sono situati nelle 18 province per le quali «la fusione ha un impatto restrittivo della concorrenza».

Adesso, ovviamente, restano da definire gli acquirenti che sio aggiudicheranno questa fetta cosistente del mercato bancario nazionale. Una fetta che non comprende solo gli sportelli, ma anche i loro dipendenti e, ovviamente, la clientela che vi da capo – salvo esodi al momento non preventivabili

Intanto scoppiano le tensioni sindacali sulle dipendenti over 60

«Avendo Ella maturato i requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia e non avendo esercitato il diritto di opzione per il proseguimento dell'attività lavorativa oltre il 60° anno di età... la Società ha deciso di risolvere il Suo rapporto di lavoro dalla fine della giornata di ricezione della presente... Nel ringraziarla per la collaborazione e l'impegno... Le porgiamo cordiali saluti». Con questa la lettera, firmata Francesco Micheli, Intesa SanPaolo nei giorni scorsi ha accomiatato un numero imprecisato di dipendenti, tutte donne che non avevano optato espressamente per restare al lavoro oltre i 60 anni d'età. Le bancarie, per l'azienda, sono 19, di cui sette hanno già trovato soluzioni concordate, mentre per i sindacati sarebbero molte di più: qualcuno le calcola tra 130 e 150.

I sindacati sono scesi in campo per le lavoratrici, molte delle quali hanno già compiuto da tempo il 60esimo anno d'età e poche con i 35 anni di contribuzione, tutte della rete ex SanPaolo perché nella banca torinese la consuetudine ante-fusione non prevedeva alcuna comunicazione formale all'azienda al compimento dei 60 anni. Molte bancarie hanno già raggiunto una conciliazione davanti al pretore del lavoro, accettano una buonuscita e l'addio. Ma i sindacati non accettano l'ukase di Intesa SanPaolo: il 13 aprile le segreterie di coordinamento aziendale di nove sigle (DirCredito, Fabi, Falcri, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Silcea, Sinfub, Ugl e Uilca) hanno diffidato la banca dal proseguire nell'iniziativa, richiamando la legge e le sentenze 13045 del 2006 e 6535 del 2003 della Cassazione, oltre alla sentenza 498 del 1988 della della Corte Costituzionale, e riaffermano il diritto delle lavoratrici a proseguire il rapporto di lavoro sino ai 65 anni senza alcuna comunicazione alla società.

Intesa SanPaolo risponde al sindacato sia sul piano giuridico, sia sul piano relazionale. Dal punto di vista giuridico, la banca informa che la sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è più volte espressa in senso contrario e che il recente decreto legge 11 aprile 2006 sulle pari opportunità ribadisce la necessità, per le donne che hanno compiuto il 60° anno di età, dell'esercizio dell'opzione. Dal punto di vista relazionale, l'azienda spiega che, fermi restando gli impegni assunti in sede di Piano industriale, sarà sua cura, come già in casi analoghi, definire posizione per posizione cercando soluzioni condivise che tengano conto delle specifiche situazioni. Ma la battaglia sindacale non sembra destinata a fermarsi. nicola.borzi@ilsole24ore.com

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Egovernment sì, ma alla Bassanini

DI EDOARDO SEGANTINI

Una delle promesse di questo governo è quella di far camminare la burocrazia verso il cosiddetto Stato digitale. Ma si tratta di una trasformazione molto complicata, come testimonia l'inchiesta sull'eGovernment che pubblichiamo all’interno. E non solo per l’inadeguatezza della spesa pro capite in information technology, che ci vede dodicesimi in Europa. L'ammodernamento della pubblica amministrazione procede a macchia di leopardo. O, più esattamente, a macchia di gattopardo, nel senso che molte resistenze puntano a far sì che nulla cambi. Manca, soprattutto, la volontà di modificare le vecchie organizzazioni consolidate. Cambiarle significa scontrarsi con tanti singoli poteri, che, messi insieme, formano un potere colossale. Cioè significa essere riformisti veri. Un’indicazione utile arriva dal recente passato. Dopo il buon ministero di Franco Bassanini, che, unificando la responsabilità di Funzione pubblica e eGovernment, per primo si è fatto carico di riorganizzare il funzionamento dello Stato a vantaggio dei cittadini, con il governo Berlusconi abbiamo avuto la scissione tra il «ministero tecnologico» di Stanca e il «ministero organizzativo» (la Funzione pubblica) dei vari Frattini, Mazzella, Baccini. Il governo Prodi ha giustamente riunificato le due responsabilità. Ora però serve un’accelerazione. L'auspicio è che il ministro Nicolais persegua con identica determinazione la priorità che fu il marchio di Bassanini: la semplificazione delle procedure. Un merito che persino gli avversari - evento rarissimo in Italia - gli hanno sempre riconosciuto.

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Risiko all’europea Le due strade di Unicredit: da un lato il recupero nel Mezzogiorno d’Italia, dall’altro la copertura dall’Atlantico agli Urali - Il Tevere, la Senna e le scelte di Profumo - Con Capitalia la leadership in casa. Con Société Générale un gruppo da 150 miliardi di capitalizzazione

Fermo a un bivio, Alessandro Profumo deve decidere se da Milano scendere a Roma o puntare a nord, verso Parigi. Se condurre insomma il suo Unicredit verso un accordo con Capitalia o dirigerlo in Francia, dove potrebbe firmare un patto d’integrazione con Société Générale. Il banchiere italiano, che per primo ha varcato i confini nazionali trasformando l’evoluzione del genovese Credito Italiano in una banca di dimensione europea, è alla vigilia di una nuova tappa di sviluppo per l’istituto che oggi ha sede in piazza Cordusio a Milano. Dall’Atlantico agli Urali

L’ipotetico accordo con Société Générale presenta grandi valenze dal punto di vista industriale: tanto Unicredit è forte - anche grazie a Hvb - nell’attività retail , tanto i francesi di Sg al di fuori dei confini nazionali si dedicano soprattutto alla finanza strutturata, alle operazioni sul debito e ai derivati, con l’unica eccezione dei Paesi in forte crescita, come la Russia e il Marocco, dove Parigi è presente anche con una diffusa attività di sportello. Sul piano squisitamente retail - dove le sovrapposizioni sarebbero davvero l’eccezione a una equilibrata distribuzione sul territorio - un accordo tra Unicredit e Société Générale coprirebbe di sportelli un’area che va dall’Atlantico agli Urali, dal Mediterraneo al Mare del nord: una delle zone più ricche del pianeta. In più ci sono gli Stati Uniti, dove la presenza di Sg è concreta. Una fonte interna a Société Générale sottolinea come, «le complementarietà tra i due istituti di credito sono notevoli, sia sul piano territoriale che nelle specializzazioni. Sg è forte nei servizi non tradizionali - in Italia controlla Fiditalia, nda - mentre Unicredit ha grande presenza nel retail . Soprattutto, da una prima analisi ci sentiamo di escludere gravi rischi occupazionali: l’accordo recentemente annunciato tra Abn Amro e Barclays produrrà, qualora dovesse concretizzarsi, 12.800 eccedenze. Un’ipotesi che non si ripeterà di certo nel caso di un possibile patto tra Société Générale e Unicredit».

L’aspetto occupazionale non va sottovalutato. Sg è infatti una banca dove le formazioni sindacali hanno grande peso - i dipendenti e gli ex dipendenti controllano il 7,03% del capitale e l’11,44% dei diritti di voto - e la loro voce si sente anche nella determinazione delle strategie, così l’ipotesi di un prezzo troppo alto da pagare sul piano dell’occupazione potrebbe portare ad arenare la possibile integrazione. Tra i soci di Sg va poi evidenziata la presenza della fondazione Crt (1,85% dei diritti di voto), mentre in consiglio siede Gianemilio Osculati, n° 1 nell’area mediterranea di McKinsey.

La sede a Parigi?

Tutto fatto? Se i colloqui tra Milano e Parigi si fanno ogni giorno più intensi, è ancora presto per preparare le partecipazioni alle nozze. Anche perché prima del proverbiale «se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre», potrebbe farsi avanti un fastidioso concorrente per Profumo, la parigina Bnp, che dopo aver fatto shopping a Roma, comperando un anno fa la Banca nazionale del Lavoro, ambisce a rafforzarsi tra le mura domestiche proprio con Sg.

L’appello alla «francesità» è così forte a Parigi che non occorre neppure evidenziarlo. Ma le fiches che Profumo è pronto a mettere sul tavolo sono di quelle importanti: la creazione di una grande banca europea, con presenze di rilievo in Francia, Germania e Italia, un colosso per capitalizzazione - oltre 146 miliardi di euro, allo stato seconda in Europa - alla cui realizzazione il banchiere italiano sarebbe disposto anche a sacrificare la sede centrale, che - secondo indiscrezioni - potrebbe essere Parigi. D’altro canto una banca di quelle dimensioni ha più senso collocarla in una delle capitali del mondo, piuttosto che nella seconda città italiana…

Roma e i salotti

Capitalia non è certo un ripiego per Profumo. L’accordo con la banca romana rappresenta soltanto una diversa strategia di sviluppo, che porterebbe in dote due asset di primaria importanza. Da un lato Unicredit continuerebbe ad essere una alternativa possibile sul mercato italiano, dove riequilibrerebbe la propria presenza rispetto al leader Intesa-Sanpaolo, dall’altro affiancherebbe a una maggiore presenza retail in Italia anche un maggiore peso specifico nelle vicende corporate del paese d’origine.

Unicredit, che negli ultimi due anni ha avuto l’Europa come orizzonte e il mercato come unico riferimento (ricordate le recenti dichiarazioni di Profumo sul prezzo di Telecom?), tornerebbe a essere un fattore anche sul mercato domestico, anche per la complicata rete di partecipazioni incrociate che si dipanano nel capitale della banca guidata da Cesare Geronzi. Proprio per Geronzi l’accordo con Unicredit diverrebbe l’approdo ideale per dare un futuro di dimensione europea alla propria banca, senza rinunciare a una partita al Monopoli di casa, tra piazzetta Cuccia, Trieste e le rispettive periferie.

La raccolta a Mezzogiorno

Sul piano industriale l’accordo Milano-Roma presenterebbe meno benefici immediati rispetto a Milano-Parigi, con il rischio di sovrapposizione di sportelli, specie nelle grandi città del nord Italia e conseguente probabile invito dell’Antitrust alla cessione di agenzie a qualche concorrente sul mercato tricolore. Il maggiore valore industriale sarebbe invece nel coinvolgimento di un progetto di dimensione europea del Mezzogiorno italiano. Dentro Capitalia si trova infatti il Banco di Sicilia, maggiore banca del Sud Italia, un’area geografica dove la raccolta delle banche presenti ha spesso sopravanzato gli impieghi e dove attualmente Unicredit è praticamente scoperta.

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Teniamoci strette le banche del territorio

L' annunciata mega fusione fra Barclays e Abn Amro conferma l' ineluttabile tendenza a creare gruppi bancari di sempre maggiori dimensioni, per poter operare nel mercato globale e offrire nuovi prodotti finanziari. Resta singolare che l' Abn, attuale preda, abbia acquisito in Italia una banca di livello, come l'AntonVeneta e, a un certo punto, sembrava dovesse rappresentare il naturale approdo per Capitalia, il cui zitellaggio continua a costituire un elemento di incertezza nel sistema creditizio italiano. La logica delle aggregazioni ha dato buoni risultati anche da noi, e oggi possiamo contare su almeno due gruppi ,come Intesa-SanPaolo e Unicredit, inseriti nella mondializzazione. Tuttavia,in Italia, per il peso rilevante delle attività imprenditoriali medie e piccole, i movimenti ascendenti vanno bilanciati verso il basso e la verticalizzazione finanziaria deve ridiscendere in maniera capillare verso la clientela aziendale diffusa. Un territorio produttivo con relazioni e valori non standardizzabili, potrebbe non ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi gruppi bancari. Cresce , per tale ragione, il ruolo delle banche locali, ormai ampiamente inserite in circuiti e reti che assicurano loro la disponibilità di risorse e strumenti innovativi, pur conservando una profonda conoscenza delle realtà territoriali ove sono insediate. D'altronde la torta degli impieghi, e quindi il finanziamento degli investimenti, si divide in tre parti eguali: un terzo viene erogato dalle 11 banche maggiori, un terzo dalle 46 medie e grandi, un terzo dalle 731 piccole e minori a carattere locale. La quota di quest'ultime cresce all'82% in Trentino, quasi al 60% in Friuli e Abruzzo, al 48% nelle Marche. Il legame col territorio è pure garantito dalle banche popolari e di credito cooperativo che, spesso coincidono con le minori, ma anche quando raggiungono grandi dimensioni, mantengono nel loro dna un forte senso di responsabilità sociale e comunitaria. Le banche del territorio, consentono una più facile accessibilità al credito e sono alla base della creazione di nuove imprese,perché i poteri di decisione nell'erogazione dei finanziamenti sono collocati più in basso. Inoltre,la maggiore permanenza dello staff operativo e il presidio solitario degli sportelli nei piccoli comuni, consente un rapporto duraturo e personalizzato con la clientela. La partecipazione attiva dei soci determina,infine, uno stretto legame con le sorti economiche della comunità, e quindi una spinta allo sviluppo. Se quindi le fusioni ci portano nel mercato globale, la rete del credito locale, collegato con i grandi gruppi, garantisce più efficacemente le aziende medio-piccole. Anzi, bisogna accrescere la spinta del sistema finanziario a sostenere le Pmi nelle sfide cui sono chiamate a rispondere. È indispensabile a tutti i livelli, lo sviluppo di un mercato dei capitali di rischio, in Italia ancora sottodimensionato. Devono diffondersi interventi finanziari che aiutino le aggregazioni e la successione nelle aziende,accompagnino lo start-up d'imprese innovative e nuove matricole alla quotazione azionaria,che immettano nella governance aziendale le competenze manageriali e la stabilità necessaria all'imprenditore per crescere. Ritrovando un intenso rapporto fra banca e territorio avremmo davvero un potente motore in grado di generare ulteriore sviluppo.

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Servizi Abi e Cogeban si sono impegnate con l’Authority a ridurre le commissioni all’ingrosso: finora senza effetti sui correntisti. Ecco la forbice costi/ricavi - Quei prezzi gonfiati di Bancomat e bollette - Per prelievi e Rid il cliente paga fino a 10 volte i costi effettivi delle banche. L’Antitrust: «Scendano almeno del 10%»

Forse non vi è mai venuto in mente, ma anche per il Bancomat e per il Rid, cioè l’addebito automatico in conto di bollette, affitto, rate della macchina, ci sono i prezzi all’ingrosso e al dettaglio. I primi sono quelli interbancari, fra banca e banca, o fra banca e grandi fatturatori (come le società di telecomunicazione). I secondi sono quelli applicati al cliente. Fino a 10 volte più cari. Un prelievo Bancomat all’istituto di credito costa 67 centesimi, a noi viene fatto pagare, in media, 1,99 euro: il triplo.

E il Rid per una rata dell’auto costa all’ingrosso 39 centesimi, mentre il cliente paga fino 3 euro, dieci volte di più. Una differenza esorbitante, che va ristretta: lo dice l’Antitrust, che ha fatto due calcoli dopo gli impegni presi da Abi e Cogeban, la convenzione per la gestione del Bancomat, per ridurre le commissioni interbancarie.

Gli impegni sono stati presi in gennaio e, finora, i costi di Bancomat e Rid, per il cliente, non sono scesi. Adesso però «ci si aspetta come minimo una riduzione del 10%, pur nella piena autonomia delle singole banche di fissare le commissioni - dice Giovanni Calabrò, a capo della divisione Credito dell’Antitrust -. Il taglio delle commissioni all’ingrosso deve trasferirsi all’utente».

Il 19 aprile l’Autorità guidata da Antonio Catricalà ha «accettato e reso obbligatori» gli impegni presi da Abi e Cogeban per ridurre le commissioni interbancarie: in particolare, per il Bancomat e il Rid. Così se, nel novembre scorso, per gestire un Rid gli istituti di credito pagavano 52 centesimi, in seguito agli impegni presi con l’Antitrust ne versano, da gennaio, soltanto 39: e gli accordi prevedono che la commissione si riduca ancora il prossimo luglio, a 28 centesimi. È un taglio del 46% in otto mesi: un minor costo che i grandi fatturatori, come le utility, dovrebbero trasferire all’utente (nel caso del Rid per le utenze come gas e luce, infatti, è la banca dell’utility a pagare la commissione all’ingrosso alla banca del cliente: che, dunque, incassa due volte, dal signor Rossi e dalla società di turno). Ma 28 centesimi sono oggi un decimo dei 2,09 euro di costo medio che, per esempio, le banche fanno pagare ai clienti per le utenze (allo sportello con addebito in conto, media Corriere Economia fra otto banche, vedi tabella). Discorso simile per la rata dell’auto. «Una finanziaria, per la domiciliazione di un Rid, chiede da 1,5 a 3 euro - dice Calabrò -. Il costo al cliente non si giustifica più. Paradossalmente potrebbe essere ridotto di 10 volte, visto che 28 centesimi è un decimo di 3 euro».

Quanto al Bancomat: nel novembre 2006, per gestire un prelievo automatico, le banche pagavano 75 centesimi, dallo scorso gennaio 67. È un taglio del 10,7%. Anche qui, è evidente la forbice ingrosso-dettaglio, visto che il costo medio di un prelievo su altra banca, negli otto istituti del panel di Corriere Economia , è di 1,99 euro (vedi tabella).

Una riduzione del 10% dei prezzi di Rid e Bancomat alla clientela, insomma, è davvero il minimo che ci si possa attendere. Ma l’augurio dell’Antitrust è che «i costi scendano di più e si apra la concorrenza», visto che i 67 centesimi pagati all’ingrosso per il Bancomat e i 28 per il Rid sono, com’è scritto negli impegni, «un tetto massimo», e che l’informazione è ora disponibile per tutti. Abi e Cogeban si sono impegnati anche a pubblicare sul proprio sito il valore della commissione interbancaria e gli aggiornamenti: una mezza rivoluzione.

Di certo, comunque, c’è che d’ora in poi le commissioni all’ingrosso «non potranno più salire», dice l’Antitrust. Inoltre, se è vero che dal gennaio scorso i costi del Bancomat al cliente non sono scesi, è anche vero che non sono saliti: come risulta all’Antitrust e dal confronto 10 gennaio-24 aprile 2007 del nostro panel di otto banche. Gli istituti di credito sono spinti al taglio dei costi anche dalla Commissione Ue, che settimana scorsa ha confermato per il 2009 la data d’avvio del Sepa, il sistema europeo di pagamento che renderà omogenee, e più basse, le commissioni per i servizi bancari. ALESSANDRA PUATO

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Fin@nz@ - Il conto online che costa un euro al mese

Chi esplora Internet in cerca di conti online a costi contenuti trova all’indirizzo www.sella.it , sito di Banca Sella , una nuova offerta che punta a incoraggiare l’utilizzo della rete per le normali operazioni bancarie. Si chiama Conto Tuo Click, costa 1 euro al mese di canone e consente di fare tutte le normali operazioni (pagamenti, bonifici e quant’altro) a costi decisamente contenuti rispetto allo sportello. Al conto corrente, che offre una remunerazione dell’1,50% lordo, è abbinabile una polizza Rc Famiglia che, a partire da un premio di 42 euro l’anno, assicura il nucleo familiare in fatto di responsabilità civile contro terzi, verso gli addetti ai servizi domestici, per i danni eventualmente provocati dagli animali di casa, da allagamenti, scoppi e incendi. Per i trader più esperti la torinese Directa (www.directa.i t) ha aggiunto quattro nuovi strumenti al catalogo di titoli negoziabili attraverso la sua piattaforma. Si tratta del Mini Russel 2000 (future sull’indice Russel 2000), il Japanese Yen (future sul cambio yen/dollaro), lo Swis Franc (future sul cambio franco svizzero/dollaro) e il British Pound (future sul cambio sterlina/dollaro). I quattro nuovi strumenti sono negoziabili dalle 8,30 alle 22,15 sul Cme–Forex. Le commissioni applicate da Directa sono digressive da 9 a 3 dollari per eseguito in giornata, oppure 6 dollari fissi per eseguito.

(www.lamiafinanza.it)

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Fisco troppo severo se si cambia mutuo

H o intenzione di chiudere il mio mutuo perché diventato troppo oneroso e aprirne uno nuovo con un’altra banca. Posso continuare a detrarre gli interessi passivi? E che cosa succede se, per disporre di liquidità fresca, il nuovo mutuo avrà un importo superiore al capitale residuo? E’ vero che si perde il diritto alla detrazione degli interessi? L a normativa fiscale non facilita la rottamazione del mutuo, soprattutto se si approfitta di questa occasione per avere un finanziamento aggiuntivo da destinare, ad esempio, a una ristrutturazione o per disporre di liquidità fresca. Se il nuovo mutuo supera il capitale residuo (la quota ancora da rimborsare alla prima banca), si perde per sempre il diritto alla detrazione degli interessi. La norma è troppo rigida: va ammorbidita. Probabilmente l’interpretazione restrittiva è dovuta al fatto che un tempo i mutui di liquidità non erano molto diffusi. Ora, invece, per parare il colpo della salita dei tassi, e dei prezzi delle case, questa operazione sta prendendo sempre più piede.

Risolvere la questione è semplice: basta consentire la detrazione degli interessi, parametrandoli al capitale residuo non a quello del nuovo mutuo. In pratica adottare, a favore del contribuente, il principio che il Fisco segue, a suo vantaggio, quando vengono stipulati i supermutui. Facciamo un esempio: interessi pagati 2.000 euro, capitale residuo 50.000 euro, nuovo mutuo 100.000 euro. Gli interessi dovrebbero essere detraibili al 50%, cioè in base al rapporto tra capitale residuo e nuovo mutuo. Il Fisco non perde nulla perché la detrazione degli interessi continua con le regole originarie e il contribuente non viene penalizzato in modo del tutto ingiustificato.

Ma vediamo le regole attuali. In caso di estinzione di un mutuo e stipulazione di un nuovo prestito si continua a beneficiare della detrazione se il nuovo finanziamento è d’importo non superiore al debito residuo, maggiorato degli eventuali costi di estinzione e di accensione. I limiti alla detrazione restano quelli in vigore all'atto della stipula del mutuo originario.

Tra i costi rientrano le commissioni spettante agli istituti, gli oneri fiscali (cancellazione ed iscrizione di ipoteca), le eventuali penalità per anticipata estinzione, le spese di istruttoria, notarili e di perizia. Inoltre l'immobile ipotecato deve essere lo stesso e medesimo deve essere il mutuatario. Non si perde il diritto alla detrazione degli interessi passivi se, invece, cambia la banca (circolare n 95/E del 12 maggio 2000). Lettera firmata - BRESCIA

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Fisco troppo severo se si cambia mutuo - L iquidazioni più semplici e veloci, anche se la macchina

L iquidazioni più semplici e veloci, anche se la macchina non gira ancora a pieno regime. E, per il momento, purtroppo, non ci si può attendere un’immediata ricaduta positiva sulle tariffe. Come si aspettano le associazioni dei consumatori (vedi l’articolo pubblicato qui sotto). E' il bilancio dei primi tre mesi dell'indennizzo diretto: la procedura di liquidazione dei sinistri rc auto, scattata il primo febbraio scorso, in base a cui ogni assicurato viene risarcito dalla propria compagnia anziché da quella della controparte, come avveniva in passato nella stragrande maggioranza dei casi.

E' una vera e propria rivoluzione, che rappresenta anche un banco di prova per le compagnie d'assicurazione: dovranno offrire un servizio di qualità ad un proprio cliente e non ad un automobilista qualsiasi.

«L'indennizzo diretto permette agli utenti una gestione molto più agevole del sinistro e tempi di liquidazione piuttosto brevi - sottolinea Fabrizio Premuti , responsabile assicurativo di Adiconsum -. Si ha l'impressione, però, che in questi primissimi mesi il sistema funzioni bene solo per i sinistri più semplici, quelli in cui il modulo blu viene firmato da entrambi i veicoli coinvolti e la responsabilità non è contestata. Nell’indennizzo diretto rientra circa l'80 per cento dei circa 3,5 milioni di incidenti stradali, vale a dire circa 230mila al mese».

In base ai dati forniti dal ministero dello Sviluppo economico, nei primi due mesi dall'introduzione del nuovo sistema sono stati liquidati 73mila sinistri su un totale di 280.000 che si possono stimare. «Una parte consistente - aggiunge Premuti - manca, insomma, all'appello. I numeri sono inferiori alle potenzialità, e la causa è dovuta anche alle inefficienze dei servizi di liquidazione, soprattutto in alcune aree del paese come il Sud».

Il nuovo sistema permetterà alle compagnie di ridurre le spese legali ed il costo dei ricambi, attraverso il maggiore utilizzo di carrozzerie convenzionate con le stesse imprese assicuratrici, dove il cliente non anticipa la spesa. L'effetto positivo sulle tariffe, tutto da verificare nei fatti, non sarà in ogni modo immediato.

«Ad aprile in termini nominali sono aumentate del 2% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso - spiega Alessandro Santoni , principal della società di consulenza Towers Perrin Tillinghast -. E per il 2007 mi aspetto una sostanziale stabilità: le compagnie, infatti, attenderanno di valutare in un arco sufficientemente lungo gli effetti del nuovo sistema».

Le imprese, intanto, stanno facendo i primissimi bilanci dell'indennizzo diretto. «Sinora abbiamo liquidato ai nostri assicurati circa 65mila sinistri, in gran parte con doppia firma, con tempi medi di risarcimento che per questi ultimi sono intorno ai dieci giorni dalla denuncia - spiega Alberto Marras , condirettore generale e direttore sinistri di Fondiaria-Sai , che con circa otto milioni di clienti insieme alle altre compagnie del gruppo detiene circa un quarto del mercato auto -. L'indennizzo diretto permette di indirizzare molto più facilmente il cliente verso le circa 1.150 carrozzerie convenzionate, una rete che vogliamo sviluppare ulteriormente, in alcuni casi anche rilevandone la proprietà. E poi vogliamo intervenire sulla filiera dei pezzi di ricambio, a partire dai produttori».

La normativa sull'indennizzo diretto prevede sconti per gli automobilisti che, al posto del risarcimento in denaro, s'impegnano ad accettare quello in forma specifica, cioè facendo riparare il veicolo presso le carrozzerie convenzionate. «Il listino in commercio in questi giorni - spiega Alberto Marras - prevede in questi casi uno sconto del 3%».

«Al 21 aprile scorso avevamo ricevuto complessivamente oltre 82mila richieste di indennizzo diretto, di cui la maggior parte con doppia firma - dice Alessandro Santoliquido , responsabile sinistri del gruppo Allianz Italia e amministratore delegato di Genialloyd e Allianz Subalpina - mentre quelli liquidati sono oltre 40mila: i tempi medi vanno dai quindici ai ventitrè giorni».

Le compagnie dirette, che operano per telefono e su Internet, sono forse quelle arrivate più preparate all'appuntamento con l'indennizzo diretto.

«Siamo stati i primi ad offrire un servizio completo di assistenza sinistri online - spiega Davide Passero , amministratore delegato di Genertel (gruppo Generali), leader di mercato con quasi 630mila polizze -. Un servizio che include, oltre a informazioni sulla procedura, la guida alla denuncia, la compilazione al modulo blu, quella per la richiesta di risarcimento on line ed il servizio di ricerca delle carrozzerie convenzionate, di cui sinora si è avvalso quasi un cliente su tre. Dal primo febbraio ad oggi abbiamo ricevuto oltre 7 mila richieste d'indennizzo diretto, di cui circa il 10% sul Web».

I numeri sono in crescita anche per Direct Line . «Attualmente viaggiamo ad un ritmo di oltre duecento denunce al giorno, con tempi medi di risarcimento inferiori alle due settimane per i sinistri più semplici - sostiene l'amministratore delegato James Brown -. E in quelli con soli danni materiali, in media un cliente su due opta per la riparazione diretta al posto del pagamento dell'indennizzo». 

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Promemoria I consigli per sfruttare al meglio la riforma - Così i rimborsi diventano sprint - Dal modulo blu alle piccole invalidità (fino al 9%): tutto quello che bisogna sapere per farsi valere

I ndennizzo diretto e legge Bersani sulle liberalizzazioni. Doppio strike per i consumatori. Da qualche mese gli automobilisti possono contare su una normativa più favorevole che, tra l’altro, dovrebbe, stimolare la concorrenza portando, si spera, a una riduzione delle tariffe. Risarcimenti

La nuova procedura di rimborso, scattata a febbraio, prevede che, in caso di incidente stradale, il danneggiato non responsabile - o responsabile solo in parte - possa chiedere il rimborso alla propria compagnia, con la quale, presumibilmente, i rapporti sono più facili e diretti. E non più a quella della controparte.

Attenzione. La procedura si applica in caso di incidente fra due veicoli a motore, entrambi con targa italiana, identificati e regolarmente assicurati con compagnie aderenti al sistema (tutte le italiane lo sono). Per le compagnie di matrice straniera si può consultare il sito www.ania.it. La procedura può essere utilizzata anche se nell’incidente sono stati coinvolti passeggeri.

Le esclusioni

L’indennizzo diretto non è applicabile se l’incidente si è verificato all’estero, anche se fra due veicoli con targa italiana. Semaforo rosso anche agli incidenti con più di due veicoli o nei casi in cui è coinvolto un ciclomotore non munito del nuovo sistema di targatura (Dpr 153 del 2006).

Il percorso

Per attivare l’indennizzo diretto si deve presentare la denuncia di sinistro, compilando il «modulo blu», e fare la richiesta di risarcimento alla propria compagnia. L’assicuratore, una volta accertata la totale o parziale ragione del proprio cliente, risarcirà i danni. Uno degli aspetti più positivi della nuova procedura è che i tempi di indennizzo sono prestabiliti. La compagnia deve comunicare l'offerta di risarcimento, o spiegare i motivi per cui non è tenuta al rimborso (ad esempio perché l'incidente è avvenuto per totale responsabilità dell'assicurato), entro:

30 giorni nel caso di danni al veicolo e alle cose se il «modulo blu» è stato firmato da tutti e due i conducenti coinvolti nell'incidente;

60 giorni per danni al veicolo e alle cose in assenza di modulo blu a doppia firma;

90 giorni per i danni alla persona del conducente.

Ma si può controbattere alle offerte del proprio assicuratore? Se il cliente non è d'accordo con l’entità del risarcimento, o contesta le ragioni del rifiuto, può tramite un avvocato esercitare una vera e propria azione legale.

La richiesta di risarcimento alla propria compagnia può essere fatta con raccomandata AR, raccomandata consegnata a mano, telegramma o fax , via email (se questa modalità non è esclusa dalla polizza). La compagnia deve fornire tutta l'assistenza tecnica ed informativa ai propri clienti.

Che cosa viene risarcito

Vengono rimborsati i danni al veicolo e quelli connessi al suo utilizzo (ad esempio il fermo tecnico, il traino, ecc.). Risarcite anche le eventuali lesioni di lieve entità (fino al 9% di invalidità) e i danni alle cose trasportate. Dopo la comunicazione della somma offerta, la compagnia deve procedere al pagamento entro i 15 giorni successivi.

Fino alla comunicazione all'assicurato della richiesta di risarcimento, la compagnia non paga compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso l'assicurato. E' ammesso il pagamento della perizia di un medico-legale in caso di lesioni (prima esclusa dal risarcimento).

Una clausola che si può trovare nelle polizze rc auto con l'avvento della nuova procedura è quella del «risarcimento in forma specifica». A fronte di uno sconto sul premio, la compagnia, invece di pagare l'indennizzo, ha il diritto di far eseguire direttamente le riparazioni presso una delle sue carrozzerie convenzionate.

Divorzi più facili

Ora le compagnie sono obbligate ad inviare al domicilio dell'assicurato, almeno 30 giorni prima della scadenza annuale della polizza, l'attestato di rischio. E' il documento che attesta il pedigree di un automobilista, ed è indispensabile per cambiare compagnia. In questo modo l'assicurato ha le mani libere per confrontare altre proposte e sostituire la polizza rc auto con quella che ritiene più conveniente.

Seconda auto

La legge Bersani ha introdotto agevolazioni per chi ha la necessità di assicurare, ex novo, una seconda autovettura di una famiglia. Infatti in caso di stipula di un nuovo contratto per un auto acquistata da persona fisica già titolare di polizza, o da un suo familiare convivente, la compagnia deve applicare la stessa classe di «bonus malus» in vigore sul primo veicolo. Così ad esempio se papà è un bravo guidatore e non ha mai provocato incidenti, mertando la classe 1, anche la macchina di mamma o di un figlio, appena diventato maggiorenne, sarà assicurata con la tariffa prevista per la classe 1 di bonus malus invece della 14, che di norma è quella di ingresso. Con un risparmio di oltre il 70%.

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dal CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007

Stato digitale /1 Progetti eccellenti accanto a back office arretrati. Si punta su Spc, la rete che collegherà 450 enti - A macchia di leopardo, anzi di gattopardo - Tanti computer ma l’organizzazione burocratica non cambia

È una fedina con qualche macchia, quella del rinnovamento della pubblica amministrazione italiana. Per essere precisi, a macchia di leopardo. L’informatica nella pubblica amministrazione ha fatto molti passi avanti, diversi progetti sono di eccellente qualità, come il sistema dei pagamenti dei tributi che, secondo il ministro Nicolais, «ci è invidiato da tutta Europa». Nella pratica, però, molte iniziative si bloccano nella delicata fase del passaggio dalla sperimentazione su scala limitata alla generale disponibilità dei servizi. Che, quando ci sono, hanno l’aspetto di una bella vetrina, tecnologicamente avanzata, dietro la quale si nasconde un retrobottega di procedure arretrate e farraginose. Si è arrivati così a una situazione paradossale. Il risparmio e l’efficienza nell’erogazione dei servizi a cittadini e imprese non sono parole vuote, diversi obiettivi sono stati raggiunti. Come ricorda Livio Zoffoli, presidente del Cnipa, il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, «i servizi di eGovernment finora resi disponibili sono già 3.248, su 4.278 previsti». Inoltre, grazie allo sforzo d’introduzione del Voip, la voce su Internet, oggi, dice Zoffoli, «l’amministrazione spende per comunicare 65 milioni di euro, contro i 130 del 2004». Ma è la fluidità del quadro generale a venir meno. Ci sono isole d’eccellenza e insieme punti di forte resistenza. È la macchia del gattopardo: l’informatica per cambiare una realtà che vuole restare uguale.

Il problema dell’introduzione di strumenti informatici e telematici in stanze abituate a trattare per secoli con carte polverose carte, vidimazioni e intoppi burocratici, è così spiegato da Bruno Ronchetti, responsabile System integration and technology in Accenture: «Le aziende private hanno prima automatizzato e integrato le procedure interne e solo dopo reso fruibili i servizi al proprio interno e alla clientela. La pubblica amministrazione non ha mai portato a termine questa fase d’integrazione, perciò è faticosa l’apertura all’esterno».

Accenture pubblica ogni anno un rapporto sullo stato di avanzamento dell’eGovernment in oltre 20 nazioni occidentali. L’Italia compare sempre nella parte bassa della classifica, ferma alle prime due delle quattro fasi che, secondo la multinazionale, definiscono il circolo virtuoso del buon governo elettronico: pubblicazione, informazione, interazione e transazione. Oltre a rendere disponibili documenti e informazioni, insomma, l’amministrazione deve chiudere il cerchio tra il cittadino o l’impresa e tutte le informazioni che circolano all’interno dell’amministrazione stessa. Ora, questo fondamentale circuito non c’è.

L’attenzione è oggi focalizzata sul cosiddetto Spc, Sistema pubblico di connettività, un’infrastruttura a banda larga a cui stanno lavorando i primi quattro operatori di telecomunicazioni nazionali. È una rete che, entro il 2007, dovrà sostituire la precedente Rete unitaria della pubblica amministrazione (Rupa): da un lato, facilitando il dialogo tra le componenti centrali e locali della pubblica amministrazione (450 sedi, estero compreso); dall’altro, rendendo possibile l’interoperabilità delle procedure e lo scambio interno delle informazioni. «Il pagamento dell’Ici, per esempio, presuppone un flusso di dati catastali che oggi non può avvenire - spiega Marco Mena, analista di Between, fornitore di servizi di consulenza e misurazione per l’Spc e l’eGovernment -. La rete Spc, con un intervento per aggiornare e snellire le procedure di ’back end’, il retrobottega della nostra vetrina, dovrebbe scatenare molte possibilità di transazione in Rete, chiudendo il cerchio amministrazione-utenti».

Non sarà facile. Stefano Mainetti, docente di sistemi informativi al Politecnico di Milano, ha collaborato a Top Circle eGovernment, un progetto di coinvolgimento dei dirigenti della pubblica amministrazione condotto, sotto il patrocinio del Cnipa, da Fondazione Politecnico e Hewlett-Packard. «La prima fase d’innovazione, gestita dall’allora ministro Luciano Stanca, si basava sui fondi ricavati dal governo con le aste delle frequenze Umts - dice -. Ha puntato molto sulla visibilità dei servizi al cittadino, senza preoccuparsi troppo del back-end. Non si è speso male, ma dietro il servizio mancava il necessario retroterra». Nicola Aliperti, amministratore delegato di Hp, riconosce che l’Spc come rete e l’interoperabilità come obiettivo sono una buona cosa. «Dove si continua ad andare a rilento è nell’integrazione e nella semplificazione dei processi amministrativi, costringendo cittadini e imprese a troppi passi».

Anche quando i servizi online ci sono, gli utenti li conoscono poco e non sono abituati a frequentarli. Se Livio Zoffoli invita tutti a consultare i due portali nazionali, del Cittadino e delle Imprese, accessibili dal sito del Cnipa, Mena, di Between, ammette: «Dal nostro monitoraggio risulta che, se più della metà degli utenti Internet conosce queste due iniziative, i livelli di fruizione sono molto bassi». (primo di quattro articoli)

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

Tasse locali, ecco il piano del governo - Nuovi tributi territoriali, ma le Regioni più povere saranno garantite - federalismo fiscale - Nascono nuove prerogative fiscali. Ma per i contribuenti cambierà poco - Questo il testo dell´esecutivo al centro del dialogo con la Lega - Una "rivoluzione" che darà maggiori certezze ai conti di sindaci e governatori

ROBERTO PETRINI

ROMA - Il federalismo fiscale è dietro l´angolo. Dopo mesi di studio e di confronto tra ministero dell´Economia, Regioni e Comuni, il testo del provvedimento che darà maggiore autonomia finanziaria a "governatori" e sindaci è all´ultima curva. Venti articoli e cinque sezioni che si intitolano "Contenuti e regole", "Rapporti finanziari Stato-Regioni", "Finanza degli enti locali", "Città metropolitane" e "Regioni a statuto speciale", sono alla limatura finale. Manca solo il via libera degli enti locali perché una delle prossime sedute del consiglio dei ministri vari il provvedimento.

Dopo le modifiche al titolo V della Costituzione e la prima legge sul federalismo del 2000 si avvicina il terzo e sostanziale passo in avanti sulla via dell´autonomia di bilancio di Comuni e Regioni. Una rivoluzione che consentirà di dare certezza ai conti degli enti locali a partire dalla sessione di bilancio: nascerà una vera e propria "Finanziaria parallela" dedicata a Regioni, Comuni e Province che sarà approntata in estate e approvata in novembre. Entrate, uscite, misure, patto di stabilità interno usciranno così dal suk della Finanziaria e consentiranno agli enti locali di approvare i bilanci entro l´anno e non nella primavera successiva come accade oggi.

La questione delle tasse locali viene risolta in modo definitivo. Le Regioni - recita l´articolo 3 - potranno «istituire tributi», lo stesso potranno fare «Comuni, Province e città metropolitane». Restano in vita naturalmente i vecchi tributi regionali, comunali e provinciali: a cominciare dall´Irap per finire all´Ici (tanto per citare le tasse più importanti relative a Regione e Comune). Ma nascono anche nuove prerogative fiscali: i Comuni - come dice l´articolo 11 - potranno imporre imposte di scopo (come la tassa di soggiorno), le Province potranno avere diritto ad una compartecipazione all´Irpef.

La sostanza del nuovo federalismo fiscale non sta comunque nelle nuove tasse, ma nel modo in cui le risorse transiteranno dai cittadini agli enti locali. Fino ad oggi il canale è quello dei trasferimenti finanzi dallo Stato centrale alla periferia, da domani Regioni e Comuni potranno contare su risorse fiscali proprie.

La vera rivoluzione avverrà sul terreno dell´Irpef. Le addizionali, così come sono attualmente concepite, scompariranno per lasciare il posto ad una vera e propria compartecipazione all´imponibile. L´addizionale Regionale, ad esempio, oggi va dallo 0,9 all´1,4 per cento: in futuro sarà destinata alle Regioni e ai Comuni direttamente una parte dell´aliquota che ciascuno di noi paga sull´imponibile. Ad esempio, dell´aliquota massima del 43 per cento una parte, pari a 5-8 punti, sarà ad esclusivo appannaggio dell´ente locale. Per il cittadino non cambierà molto ma in termini di certezze finanziarie per Regioni e Comuni sì. Si calcola infatti che con l´addizionale Irpef "riformata" lo Stato rinuncerà a circa 50 miliardi di gettito a favore della soluzione federale.

Naturalmente il meccanismo "federale" ha dei paletti. Il corposo articolo 8 stabilisce come funziona il "fondo perequativo", quello che serve a "perequare", cioè a ridurre le differenze tra le Regioni più ricche e quelle più povere con «minore capacità fiscale per abitante». Sarà finanziato con i proventi della compartecipazione al gettito dell´Iva. Servirà al riequilibrio territoriale: ma come funzionerà? In due parole, ispirandosi ai principi di equità ed efficienza. Le Regioni non avranno a piè di lista quello che spendono ma in base a "costi standard" e "livelli essenziali delle prestazioni" fissati dallo Stato centrale. Una Regione che spende troppo e male non potrà aspettarsi, insomma, di mantenere i finanziamenti storicamente avuti fino ad oggi.

Tre settori saranno soggetti al sistema di solidarietà interregionale, Sud-Nord per così dire: sanità, assistenza e trasporti saranno garantiti al di là del gettito fiscale che una Regione è in grado di produrre. Solo il 15 per cento dell´attuale spesa delle Regioni (formazione, incentivi economici ed altro) dovrà far conto esclusivamente sui tributi propri delle Regioni. Il nuovo sistema è tuttavia una porta aperta: se il Parlamento deciderà di allargare il campo di spesa esclusivo delle Regioni e fuori dal sistema della perequazione, il meccanismo di finanziamento e di tassazione locale è pronto a farvi fronte.

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

LE MISURE - IL BILANCIO - Una Finanziaria parallela per Regioni e Comuni

Con la riforma che introduce il federalismo fiscale arriverà una vera e propria legge Finanziaria parallela a quella prevista per lo Stato centrale.

La nuova legge sarà messa a punto in estate e approvata poi a novembre prima della conclusione della sessione di bilancio.

In questo modo gli enti locali potranno approvare i rispettivi bilanci entro l´anno di riferimento e non nella primavera successiva come accade attualmente, con annesse polemiche.

Tra i vantaggi anche quello di sottrarre dal tradizionale assalto alla diligenza parlamentare le entrate e le uscite finanziarie relative a Regioni, Comuni e Province

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

LE MISURE - LE ALIQUOTE - Addio alle addizionali Irpef arriva la compartecipazione

Le addizionali Irpef così come sono state finora concepite scompariranno per lasciare il posto ad una vera e propria compartecipazione all´imponibile da parte degli enti locali. Attualmente l´addizionale regionale va dallo 0,9 per cento all´11,4 per cento, in futuro alle Regioni e ai Comuni andrà direttamente una parte dell´aliquota che ciascun contribuente paga sull´imponibile. Ad esempio, dell´aliquota massima del 43 per cento una parte, pari a 5-8 punti, sarà ad esclusivo appannaggio dell´ente locale. Per il cittadino non cambierà nulla, ma cambierà molto in termini di certezze finanziarie per Regioni e Comuni

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

Le città potranno imporre anche le tasse di scopo - i tributi

Non solo Regioni, Comuni, Province e città metropolitane potranno istituire nuovi tributi accanto alle già note Ici (l´imposta sulla casa) o Irap (l´imposta sulle attività imprenditoriali), ma con la riforma fiscale che sta andando in porto, i governi locali potranno imporre alcune tasse di scopo per obiettivi ben precisi strettamente legati, anche temporalmente, alle esigenze locali. Su scala ridotta un po´ quello che è già accaduto con l´eurotassa, introdotta, appunto, con lo scopo di far entrare l´Italia a far parte dei Paesi di testa che adottavano la moneta unica europea.

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

Per la verde 1,3 euro al litro, 1,150 il diesel. Soltanto due compagnie mantengono i listini sotto le nuove soglie - 1,308 EURO - Benzina, prezzi record nel ponte del 1° maggio - Corre il petrolio e tornano i rincari. I consumatori: aumenti ad ogni esodo

ROMA - Quello che non piace ai consumatori è la puntualità degli aumenti. Che per i carburanti (questa l´accusa) scattano quasi sempre in corrispondenza con grandi esodi.

Svanisce quindi l´effetto Pasqua, quando il clima tra governo e compagnie petrolifere sembrava rasserenarsi: col ponte del 1 maggio si torna all´antico e la benzina vola così oltre la soglia psicologica di 1,3 euro al litro, arrivando in alcuni distributori a 1,308 euro al litro, mentre il gasolio si colloca a 1,150. Una batosta niente male per gli automobilisti che si ritrovano a dover sopportare un esborso imprevisto sulla strada del mare o della montagna o al ritorno verso casa. Insomma la tregua è durata poco e gli effetti della moral suasion messa in atto dal ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, sembrano essere svaniti al primo risveglio delle quotazioni del greggio. Proprio alla vigilia del fine settimana di festa, il 6 aprile, alcune compagnie avevano infatti annunciato cali dei prezzi, che Bersani aveva salutato come un nuovo atteggiamento dei petrolieri e come un nuovo slancio competitivo messo in atto dalle compagnie.

A spingere i prezzi verso l´alto ancora una volta è stato lo sprint improvviso del prezzo del petrolio che sulla scia del peggioramento delle scorte di carburanti americane, sabato a New York ha chiuso a 66,45 dollari, mentre il Brent europeo è arrivato a 68,4 dollari al barile. Un incremento che in teoria - accusano i consumatori - dovrebbe essere controbilanciato dalla performance del super euro. La moneta unica infatti, ha toccato nelle ultime ore ha segnato un nuovo record sul dollaro, usato per l´acquisto di greggio.

Il ponte del primo maggio si preannuncia così più caro del previsto per gli automobilisti, che si erano invece potuti godere un week-end di Pasqua all´insegna dei ribassi. Secondo il ministero dello Sviluppo economico, diverse compagnie hanno portato i listini della verde oltre 1,3 euro. Poco sotto la soglia rimangono invece solo due marchi: Agip ed Erg (a 1,298 euro al litro) mentre Il prezzo medio consigliato ai gestori per il diesel è a 1,150 euro.

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LA REPUBBLICA lunedì 30 aprile 2007

BREAKINGVIEWS - Il collocamento di Bocom e il rischio della bolla gialla

HUGO DIXON

Le sottoscrizioni per il collocamento da 3,3 mld di dollari della Bank of Communications (detta in breve Bocom) alla Borsa di Shanghai, avvenuto questa settimana, avevano superato di 50 volte i titoli disponibili. È una notizia splendida per la banca britannica HSBC, che controlla poco meno del 20% della quinta banca cinese in ordine di grandezza e che dal 2004 ad oggi ha visto quintuplicare a 9,5 mld di dollari il valore dell´investimento. Ora che Bocom (quotata anche a Hong Kong) vale ben 31 volte gli utili, per HSBC potrebbe essere arrivato il momento di vendere e di salpare verso nuove avventure, tanto più che la normativa cinese vieta al colosso bancario britannico la possibilità di incrementare la sua partecipazione.

Nel 2004 HSBC aveva acquisito per 1,75 mld di dollari il 19,9% di Bocom, con l´opzione di aumentare la partecipazione al 40% se la normativa l´avesse consentito. Tuttavia, l´ordinanza emessa il 10 aprile dalla commissione cinese di regolamentazione bancaria, che ha riclassificato Bocom tra i "beni essenziali dello Stato" equiparandola alle altre quattro maggiori banche cinesi, in pratica impedirà a HSBC di esercitare l´opzione; anzi il collocamento di Bocom a Shanghai è stato eseguito con tale fulmineità che HSBC non ha nemmeno avuto il tempo di procurarsi le autorizzazioni per mantenere invariata la propria quota, che così è scesa al 18,6%.

Bocom è relativamente sana, non avendo dovuto cedere montagne di crediti inesigibili ad aziende statali, come invece è stato il caso di molte altre banche locali. Ma c´è anche un altro spiacevole risvolto, ossia l´altissimo multiplo di quotazione del titolo. Tenuto conto del rischio di una stretta monetaria che scardinerebbe lo stato patrimoniale dell´azienda, e di una conseguente recessione che sgonfierebbe il valore del titolo, forse HSBC farà bene a monetizzare i guadagni finché c´è tempo.

Martin Hutchinson

 [Pesi e contrappesi]

Gli azionisti di BCE, la più grande società canadese di telecomunicazioni, si trovano in un bel ginepraio da quando la società si è messa in vendita: quale strategia è più efficace per far decollare una vera asta? Se è vero che nessun concorrente canadese può permettersi di pagare il prezzo richiesto di 40 mld di dollari è vero anche che la legislazione canadese vieta agli stranieri di detenere partecipazioni di controllo. L´unica soluzione sembra essere una società di acquisizioni aziendali, ma è più facile a dirsi che a farsi.

Per legge, infatti, il 53,4% di BCE deve appartenere a cittadini canadesi. Poiché la più grande società canadese, Onex, dispone di 3,5 mld di dollari, e le dieci che la seguono in classifica possono mobilitare in tutto 5 mld, per BCE sarà difficile individuarne due gruppi capaci di staccare ciascuno un assegno da 12 mld di dollari, che è il minimo richiesto per assicurarsi BCE.

Solo con un´attenta gestione della procedura di vendita il consiglio d´amministrazione di BCE riuscirà a massimizzare il valore della società. Per centrare l´obiettivo gli amministratori indipendenti, e l´intero gruppo dirigente di BCE, non solo non dovranno favorire nessun aspirante acquirente, ma probabilmente selezionare e abbinare opportunamente i potenziali partner. Quanto agli azionisti, dovranno invece esercitare una stretta marcatura sui dirigenti e controllare che l´asta si svolga in modo corretto. Lauren Silva (Traduzioni a cura di MTC)

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IL GIORNALE lunedì 30 aprile 2007

Caso Wolfowitz Oggi la svolta

di Redazione - lunedì 30 aprile 2007, 07:00

A Paul Wolfowitz, presidente della Banca mondiale, sarà chiesto di farsi da parte: lo sostiene il Washington Post, in vista dell’audizione di Wolfowitz in programma per oggi da parte della commissione di inchiesta incaricata di esaminare il caso. Wolfowitz è finito sotto indagine per aver favorito il trasferimento della propria fidanzata dalla Banca mondiale al Dipartimento di Stato con un rilevante aumento di stipendio (oggi pari a 200mila dollari). Prima ancora di ascoltare Wolfowitz, la commissione della Banca mondiale avrebbe concluso che il presidente ha agito in contrasto con le regole dell’istituto. Per questo sarebbe orientata a chiedere al dirigente di lasciare l’incarico. Da parte sua uno degli avvocati di Wolfowitz ha detto che il manager non ha la minima intenzione di dimettersi.

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LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007

L’Ue benedice Telecom-Telefonica

[FIRMA]ARMANDO ZENI

MILANO - Il giudizio della Borsa. L’attesa per la «fase due» dell’operazione Telco. E ovviamente il totonomine in Telecom Italia. Sistemata la partita del nuovo assetto del gruppo telefonico con il sì della Pirelli alla cessione per 4,1 miliardi di Olimpia alla cordata Telco - Generali, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Sintonia e Telefonica - i riflettori inevitabilmente si accendono sul futuro, che comincerà già stamane con le reazioni della Borsa.

In Telco gli occhi sono puntati sulla ricapitalizzazione che avverrà dopo il closing dell’operazione Olimpia, non prima di sei mesi, e che porterà nuovi soci. Si sa che l’aumento di capitale sarà di 900 milioni necessari per riassorbire il finanziamento ponte necessario per arrivare ai 4,1 miliardi da liquidare a Pirelli e Benetton. E si sa che a indicare i nuovi soci sottoscrittori sarà Intesa Sanpaolo, una primogenitura riconosciuta nei patti dove si legge che sia proprio la superbanca a «indicare i nuovi primari investitori finanziari italiani che potranno aggiungersi alla compagine di Telco sottoscrivendo per cassa nuove azioni con quote singolarmente comprese tra il 2% e il 5%». Indicazione precisa, dunque: «primari investitori finanziari» a conferma che la logica dell’intervento in Telecom costruito da Mediobanca e da Intesa Sanpaolo sta tutta sulla sottolineatura della natura finanziaria dei partecipanti. Ecco perchè, tra i papabili a sottoscrivere nuovo capitale in Telco, resta in gioco la berlusconiana Fininvest sdoganata, proprio come socio finanziario, da Corrado Passera, mentre si allontana l’ipotesi Colaninno, troppo ex, troppo imprenditore. Ma in prospettiva, l’idea che resta in campo è quella di una Telecom modello public company.

Si vedrà. Per ora, dalla Ue, arriva il disco verde, con il commissario alle tlc Viviane Reding che parla di «segnale forte di un mercato paneuropeo delle tlc che ha cominciato a svilupparsi» e di «mercati delle telecomunicazioni aperti e competitivi, nei quali gli investitori siano benvenuti a prescindere dalla loro nazionalità sono sempre la miglior ricetta per la concorrenza e gli investimenti nelle nuove reti e servizi». L’Ue è pronta a fare la sua parte. «Continueremo ad esercitare il nostro ruolo di guardiani dei trattati comunitari ha detto Reding - ove si richiede di garantire che il mercato interno segua il principio di un’economia di mercato aperta, con una concorrenza libera e transfrontaliera».

Per il commissario l’accordo su Telecom Italia, inoltre, «sottolinea anche l’urgente necessità di assicurare condizioni omogenee sotto il profilo dei regolamenti per gli operatori tlc in Europa. I primi passi per una cooperazione rafforzata fra la Commissione e le Autorithy sono già stati avviati», ma tuttavia i questi due attori «dovranno lavorare più a contatto in futuro, come un vero sistema europeo di regolatori indipendenti», per garantire che le regole delle tlc non si applichino diversamente o in modo incoerente in un Paese rispetto all’altro. Questa sarà la prima fra le priorità per la riforma delle regole delle telecomunicazioni nell’Ue che proporrò questa estate».

Resta l’ultimo interrogativo, dopo l’uscita di scena di Pirelli: quanto durerà il cda di Telecom, appena rinnovato per un anno? Nel 2001, quando Tronchetti acquisì da Colaninno e Gnutti il controllo del gruppo, i consiglieri della Bell si dimisero subito dando spazio agli uomini Pirelli tra i quali il nuovo ad Enrico Bondi. Il copione si ripeterà o De Conto, Gobbi e Puri Negri, uomini Pirelli, resteranno nel cda fino al closing di ottobre? Quel che è certo è che il vertice sarà comunque ridisegnato col ritorno alla presidenza di Guido Rossi, l’uomo giusto per trattare con l’Agcom il futuro della rete (passaggio chiave, subito menzionato dal ministro Paolo Gentiloni che si è augurato che per Telecom «ci siano le condizioni per le due sfide: la gestione della rete e la certezza degli investimenti») e per traghettare la società verso la public company. Non ancora deciso chi sarà - se un nome nuovo o uno tra i tre che circolano: Colao, Caio, Bernabè - il supermanager da affiancare a Rossi come amministratore delegato.

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LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007

MA PER IL MINISTRO DELL’ECONOMIA LA PRIORITÀ È RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO - Prodi: più fondi a pensioni e welfare

[FIRMA]ALESSANDRO BARBERA

ROMA - Un’ora e mezza, faccia a faccia, nello studio-mansarda nella casa del premier a Bologna. Ufficialmente ieri il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa è approdato nei pressi di Piazza Santo Stefano «di passaggio» da Roma verso Milano, dove oggi parteciperà a un forum italo-russo. Ufficialmente - riferiranno entrambi - l’incontro è servito a discutere del «programma dei prossimi mesi». Ma chiuso il caso Telecom sul governo incombono scadenze tutt’altro che lontane: la trattativa con i sindacati sulla riforma dello stato sociale, delle pensioni, e quanto destinare ad essa del cosiddetto «tesoretto». L’incontro, benché fra amici di lunga data, avrebbe avuto toni franchi e confermato che sul nodo delle risorse i due non la vedono allo stesso modo. Il ministro dell’Economia insiste nel voler destinare al risanamento circa due terzi delle maggiori entrate fiscali come chiedono le istituzioni europee, il premier chiede uno sforzo maggiore. Padoa-Schioppa va dicendo da settimane che l’extragettito non supererà gli otto miliardi di euro, dunque per la trattativa ci sarebbero a disposizione circa due miliardi e mezzo. In realtà è possibile che a giugno, quando si avranno i dati sull’autotassazione, la cifra sia più alta. Prodi ci conta per non creare problemi a una coalizione che a sinistra è terremotata dalla nascita del Partito democratico. Nel governo c’è chi azzarda che per non far saltare la concertazione siano necessari circa cinque miliardi.

Il primo problema da risolvere è quello degli statali: nonostante un primo via libera politico, la trattativa sul rinnovo del contratto si è arenata sulla direttiva che fissa al 4,46% gli aumenti degli integrativi. Sul tavolo del premier da venerdì c’è una lettera firmata dai tre leader confederali di Cgil, Cisl e Uil. Nella sostanza Epifani, Bonanni e Angeletti chiedono che si trovi una soluzione, diversamente sarebbe a rischio tutta la concertazione che ufficialmente ripartirà il 9 maggio. I sindacati si aspettano per questa settimana una convocazione: sul tavolo c’è una richiesta che a spanne potrebbe far salire di almeno 500 milioni la spesa per il 2008 già stimata in 3,7 miliardi. Sia il Tesoro che i sindacati rivendicano il rispetto degli accordi, sui quali si è creato evidentemente un malinteso. Carlo Podda, segretario della Funzione pubblica Cgil, dice che se il tetto non sarà rivisto c’è il rischio che venga rispettato solo per i ministeriali.

L’altra grande incognita è la riforma delle pensioni. Nonostante ormai da mesi governo e sindacati si consultino riservatamente, non c’è ancora l’accordo su come rimuovere il cosiddetto «scalone», il meccanismo che il primo gennaio 2008 farebbe salire l’età pensionabile da 57 a 60 anni. Le parti sono ormai favorevoli a un meccanismo che gradualmente (di un anno ogni due) farebbe salire l’età fino a 62 anni. Nello schema messo a punto dal ministro del Lavoro Cesare Damiano però il primo gennaio l’età salirebbe solo a 58 anni, mentre Padoa-Schioppa insiste perché si arrivi almeno a 59 anni. A regime l’ipotesi Damiano costerebbe circa tre miliardi di euro in più. I tecnici del Tesoro fanno notare che tutto è possibile, ma ogni maggior spesa contribuirebbe a far scendere la dote del «tesoretto». C’è poi lo scoglio dei «coefficienti di trasformazione», cioè di come applicare il meccanismo che inciderà sui rendimenti delle pensioni future, cioè dei più giovani. Il ministro dell’Economia insiste perché si rispetti la previsione della Legge Dini (che vorrebbe tagliarli del 6-8%), i sindacati sono contrarissimi. Damiano e Rifondazione Comunista sono favorevoli a un compromesso che al momento non convince il Tesoro: applicare da quest’anno la revisione dei coefficienti solo per gli stipendi sopra i 1.500 euro. Una possibile contropartita per non far lievitare la spesa potrebbe essere l’aumento graduale dell’età pensionabile per le donne. Ma i favorevoli - Padoa-Schioppa e la Margherita - hanno già ricevuto il no di Rifondazione, sindacati e dello stesso Damiano.

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LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007

Affari nostri - Per la finanza italiana rivoluzione targata Gnutti

Francesco Manacorda

Quanto c’è di merito e quanto di metodo nel malcontento dei soci di Mittel verso i veneti della Palladio e i bresciani di Fingruppo esternato pochi giorni fa da Giampiero Pesenti? Una cosa è certa: se un personaggio riservato come il presidente di Italmobiliare si spinge a dichiarare che un altro campione di understatement come il presidente di Mittel Giovanni Bazoli era «molto seccato» per il fatto che Emilio Gnutti e soci abbiano deciso all’improvvisa di rompere le trattative con loro e chiuderle invece con la Palladio, allora in casa Mittel la rabbia e l’indignazione sono davvero forti. Del resto, sempre Pesenti, ha tacciato i contraenti dell’accordo di «un modo di agire non usuale, che non fa onore». Rimbrotti accolti con stupore e sconcerto da chi è chiamato in causa. Non tanto da Gnutti e dal suo vice Ettore Lonati, che alla fine all’immagine di «cattivi ragazzi» della finanza nostrana hanno fatto il callo, quanto dai veneti della Palladio. Presenti sabato all’assemblea delle Generali, con uno 0,4% della compagnia del Leone in mano alla neonata Ferax - un altro segno di crescita della finanziaria del Nord Est - i vertici di Palladio si sono ben guardati dal commentare le dichiarazioni di Pesenti. Ma fonti vicine alla trattativa - una trattativa non proprio lampo - tra i bresciani e la Palladio spiegano che non di un blitz si è trattato, ma di un negoziato del quale Mittel non è stata tenuta all’oscuro. Forse le lamentele della finanziaria guidata da Bazoli più che per il singolo caso possono essere prese come esempio di un rammarico più generale per un modello di «capitalismo relazionale» basato molto sui rapporti personali che sembra non funzionare più come un tempo. Potrebbe essere anche una buona notizia ma è un po’ duro aspettarsi che la rivoluzione in positivo dei comportamenti della finanza italiana venga da Gnutti e compagni.

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LA STAMPA lunedì 30 aprile 2007

Scelte da banca svizzera - Bpvn, Astaldi e Danieli

[FIRMA]MARCO FROJO

Sorpresa: c’è una forte presenza italiana nel portafoglio della svizzera Pictet, una delle banche private più esclusive. Se si guarda alla composizione del portafoglio delo fondo europeo, si scopre che la Borsa italiana figura al terzo posto, con una quota del 13,2 % rispetto alla Francia (il 15,9%, ma su una Borsa ben più capitalizzata) e alla Germania, il 24,2 per cento. Niente male, visto che la Spagna, così di moda, non supera il 7%. Eppure il fondo Continental European Equities, è gestito da Gurdeep Bumbra, uno che ha battuto gli indici negli ultimi tre anni, ha eletto Unicredit tra le scelte preferite, cui si aggiungono Banco Popolare di Verona e Novara, Astaldi e Danieli.

Per scegliere i titoli - spiega la banca - slezioniamo i valori che risultano essere interessanti, senza tener conto della crescita del cash flow. Poi analizziamo le prospettive di crescita. Infine andiamo a vedere se il titolo è sottovaluto rispetto al benchmark, sia esso un settore o un’area geografica. Per il 2007 siamo scettici sui tecnologici e sulle materie prime». La scelta di Bpvn, Astaldi e Danieli, si deve al fatto che «l’istituto bancario è senza dubbio ben gestito. Astaldi perché, a giudicare dalle commesse, crediamo che il fatturato sia destinato ad un forte aumento, che si rifletterà anche sui profitti: ci aspettiamo che il margine operativo lordo raggiunga il 25% nel 2010». Per quanto riguarda infine Danieli «Prima di tutto i 400 milioni di cassa, che da soli rappresentano il 70% dell’intera capitalizzazione. A questo si aggiunga poi il fatto che il portafoglio ordini della società siderurgica è molto forte, cosa che fornisce una buona visibilità sull'andamento futuro degli affari. Senza dimenticare le risparmio, che presentano un ulteriore sconto del 30% rispetto alle ordinarie».

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da LA VOCE.INFO del 26-04-2007

Una pensione da non anticipare

Bruno Mangiatordi

La normativa sui fondi pensione contiene numerose aporie che presto o tardi dovranno essere oggetto di riflessione. Un aspetto merita tuttavia un’attenzione immediata per i riflessi negativi che determina per la credibilità del sistema: si tratta delle anticipazioni che gli iscritti ai fondi pensione possono richiedere nel corso del periodo di accumulazione della posizione previdenziale.

Quando si può chiedere l’anticipo

La materia è disciplinata dall’articolo 11, commi 7, 8, 9, e 10, del decreto legislativo 252/05. Le disposizioni prevedono che gli aderenti ai fondi pensione possano richiedere un’anticipazione della posizione individuale maturata nei seguenti casi:

a) in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75 per cento, per spese sanitarie in seguito a gravissime situazioni relative allo stesso aderente, al coniuge e ai figli;

b) decorsi otto anni di iscrizione per un importo non superiore al 75 per cento per l’acquisto della prima casa per sé o per i figli, documentato con atto notarile, o per interventi di ristrutturazione della prima casa, anch’essi debitamente documentati;

c) decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 30 per cento per ulteriori esigenze.

Dunque, la normativa si limita a prevedere solo che le somme percepite a titolo di anticipazione non possano mai eccedere, complessivamente, il 75 per cento del totale dei versamenti effettuati al fondo pensione, comprese le quote del Tfr, maggiorate delle plusvalenze realizzate a decorrere dalla prima iscrizione alla previdenza complementare.

Regime estremamente liberale

È un regime estremamente liberale e, seppure nei limiti del 30 per cento del montante accumulato, vi si può far ricorso anche per esigenze dei familiari e senza obbligo di motivazione. Ciò è stato spiegato con la necessità di garantire un allineamento con il regime altrettanto liberale delle anticipazioni sul trattamento di fine rapporto, identificato come la fonte principale di finanziamento delle previdenza complementare.

Tuttavia, le anticipazioni sul Tfr sono ricollegate a un obbligo di motivazione. Mentre potrebbe essere tutt’altro che marginale l’ipotesi di un iscritto a un fondo pensione che, magari immediatamente prima del pensionamento e quindi dopo aver accumulato un considerevole montante, decida di prelevare il 30 per cento del proprio risparmio previdenziale e utilizzarlo per fini di liquidità. Una generalizzata diffusione di tale fenomeno si porrebbe in netto contrasto con l’intento del legislatore di finalizzare il sistema della previdenza complementare all’esigenza di "assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale". (1)

A maggior ragione, la possibilità di garantirsi una rendita pensionistica complementare per l’età anziana sarebbe quasi del tutto compromessa, qualora un numero cospicuo di lavoratori dovesse richiedere anticipazioni fino ad assorbire il 75 per cento del montante accumulato. La preoccupazione deve essere stata presente al legislatore stesso, tant’è vero che ha previsto la facoltà per l’iscritto di reintegrare in qualsiasi momento l’anticipazione ottenuta.

Peraltro, il regime fiscale previsto per le anticipazioni (con esclusione di quello delle anticipazioni per motivi di salute), pur essendo meno favorevole rispetto a quello previsto per le prestazioni pensionistiche, contempla comunque un’aliquota più bassa (23 per cento) rispetto alla aliquota media applicata al Tfr. È lecito quindi chiedersi come i benefici fiscali di cui godono gli iscritti ai fondi pensione si giustifichino qualora l’aderente si avvalga della facoltà di richiedere anticipazioni. (2)

A garanzia sui prestiti

Inoltre, il comma 10 del già citato articolo 11 del Dlgs 252/05 prevede, in analogia con quanto è previsto nella disciplina del Tfr, che i crediti relativi alle somme oggetto di anticipazione (con esclusione di quelle per motivi di salute) non siano assoggettati ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.

In concreto, ciò significa che i lavoratori che intendessero stipulare contratti di finanziamento caratterizzati dalla restituzione del prestito mediante cessione di quote dello stipendio (cosiddetta "cessione del quinto") potrebbero garantire tale debito cedendo a chi eroga il prestito i diritti di credito che vantano verso le forme di previdenza complementari cui aderiscono, inclusi i diritti a godere di anticipazioni in caso di acquisto di abitazione o di ulteriori esigenze. È chiaro che dovrà essere regolata la modalità attraverso cui rendere coerente un’eventuale richiesta di anticipazione per l’acquisto o la ristrutturazione della casa con l’altrettanto eventuale escussione del credito.

Tuttavia, appare evidente che si determina un palese contrasto tra la finalità previdenziale perseguita attraverso l’iscrizione a un fondo pensione e le esigenze di tutt’altra natura che inducono a sottoscrivere un contratto di prestito per il quale lo stesso risparmio previdenziale può essere concesso in garanzia. E non entro il quinto della prestazione, come accade per la pensione obbligatoria e anche per quella complementare una volta convertito in rendita il montante, ma nei limiti, potenzialmente anche assai superiori, del 75 per cento della posizione previdenziale complessiva, se l’iscritto esercita il diritto all’anticipazione per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa. Naturalmente, si può estendere anche a questa fattispecie la riflessione sull’incentivo fiscale che accompagna la contribuzione ai fondi pensione.

Lasciando da parte le considerazioni sul fenomeno dei prestiti con cessione del quinto, praticati a tassi d’interesse in media pari al 10,23 per cento (3), resta la seria perplessità sulla coerenza di un sistema che consente ai lavoratori aderenti ai fondi pensione di disporre, ben prima del pensionamento, del risparmio previdenziale con un tale margine di libertà.

È certamente difficile intervenire ora con una norma senza alterare il calcolo di convenienza di quanti pensano di aderire ai fondi pensione o l’hanno già fatto. Spetta dunque alle istituzioni competenti e agli stessi fondi pensione il compito di sensibilizzare i lavoratori sulle gravi ripercussioni che un eccessivo ricorso alle anticipazioni determinerebbe sulle loro aspettative di copertura pensionistica.

 (1) Articolo 1, comma 1, del Dlgs 252/05.

(2) I benefici fiscali vanno dalla deducibilità dei versamenti annuali, entro l’ammontare di 5.164,70 euro, alla tassazione agevolata sui rendimenti.

(3) Rilevazione trimestrale ottobre–dicembre 2006 del Dipartimento del Tesoro sui tassi effettivamente praticati dalle banche e finanziarie ai fini della legge antiusura.

 

-Mario Monicelli-

La vera felicità è la pace con se stessi. E, per averla, non bisogna tradire la propria natura

 

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