Return
Il bancario sindacalista ha la stoffa dello scrittore -
Nell’insolita veste di autore di racconti ha
riscosso applausi ed elogi
Per alcune ore non ha parlato di contratti, piattaforme,
rivendicazioni, scioperi, banca ore e ammennicoli vari.
Enrico Gavarini, parmigiano, neo
segretario generale del sindacato autonomo bancari Fabi, è stato applaudito
non tanto per aver portato a termine una trattativa sindacale, ma per il suo
libro che è stato presentato nella sede della Fabi di piazzale Santafiora da
Giuseppe Benelli, docente universitario, presidente della Fondazione Città
del Libro di Pontremoli organizzatrice del “Premio Bancarella”.
Alla presenza di numerosi soci e simpatizzanti del
sindacato e del consigliere regionale Roberto Corradi, Benelli ha esordito
affermando che “Gavarini, oltre all’indubbia abilità di sindacalista come
segretario generale del maggior sindacato dei bancari
italiano, si è pure rivelato un ottimo scrittore”. “In “Storie della
storia della fine del mondo” (così è intitolato il
libro) tutto accade in un istante – ha aggiunto Benelli – come la creazione”.
“Ma è la vita – ha proseguito – che è fatta di momenti,
di pensieri fugaci che si susseguono ora veloci ora più
pacati nel corpo di parole agitate, vivide, unite in frasi scomposte
che ogni volta Enrico Gavarini riconduce all’unitarietà secondo un ritmo
poetico del tutto originale”.
Return
Domani un giorno di sciopero per i dipendenti della
Banca di Roma del gruppo Capitalia: chiedono il ripristino della vigilanza
armata davanti alle filiali e nuove assunzioni per far fronte alle carenze di organico. Il segretario generale aggiunto del
sindacato Fabi, Carmelo Raffa, ha chiesto al gruppo capitalia di dare
risposte concrete.
Return
Sciopero lunedì dei lavoratori della Banca di Roma. Il motivo, come si legge in una nota, è la
mancata risoluzione di numerose problematiche poste all'attenzione
dei vertici dell'istituto e dei
sindacati del gruppo Capitalia. Tra queste la richiesta del
ripristino della vigilanza armata per garantire maggiore sicurezza nelle
filiali; nuove assunzioni e il rispetto del contratto di lavoro.
«Alcune rivendicazioni - dichiara il segretario generale aggiunto della Fabi
- gruppo Capitalia, Carmelo Raffa - sono comuni alle banche del gruppo».
Return
DALLA PRIMA PAGINA – LA RAPINA IN VIA BUONRIPOSO, ALLE 17,
DURANTE LA CHIUSURA DEI CONTI.
DUE MALVIVENTI A VOLTO COPERTO HANNO SFONDATO LA PARETE DELLO SCANTINATO
DELL’ISTITUTO DI CREDITO. BANDA DEL BUCO ALLA
POPOLARE ITALIANA. IMPIEGATI LEGATI, BOTTINO DI 30 MILA
EURO.
I due impiegati e il direttore della banca hanno visto
spuntare i due incappucciati all'improvviso.
Non si aspettavano certo che qualcuno sfondasse il muro per svaligiare le
casse. Così invece ieri pomeriggio è stato messo a segno il colpo ai danni
dell'agenzia della Banca Popolare
Italiana di via Buonriposo. È entrata in azione la
banda del buco, due rapinatori a volto coperto che hanno buttato a terra la
parete del locale scantinato dell'istituto
di credito confinante con un magazzino. Il bottino
non è stato ancora quantificato con certezza, dovrebbe
aggirarsi sui 30 mila euro. Tutto è iniziato intorno alle 17, ecco come sono
andate le cose secondo una prima ricostruzione degli investigatori.
A quell'ora
in ufficio c'erano due impiegati e
il direttore. Stavano per chiudere i conti, all'improvviso hanno sentito dei rumori
provenire dal retro. Erano i rapinatori che avevano sfondato la parete del
locale attiguo e in un attimo si sono diretti verso le casse. In due,
entrambi con il volto coperto, ed hanno fatto intendere di essere armati,
senza però mostrare pistole o coltelli. In pochi secondi hanno legato i due
impiegati, poi si sono rivolti al direttore e dopo averlo minacciato si sono
diretti verso le casse. Hanno arraffato i contanti e infine sono fuggiti,
rifacendo lo stesso percorso.
Già in passato la stessa agenzia aveva subito un assalto
simile. E anche in quella circostanza i banditi non
avevano mai tentato l'assalto
«frontale», preferendo sempre un piano alternativo. Infatti
erano state segate le sbarre di una finestra, ma il tentativo dei banditi non
andò in porto. Ieri i malviventi hanno studiato il piano nei dettagli e sono
entrati in azione a colpo sicuro.
Secondo il sindacato dei bancari Fabi, l'agenzia di via
Buonriposo non è provvista di un servizio di guardiania armata ma è dotata di
banconi blindati. Per questo motivo forse i banditi hanno scelto un percorso
alternativo, abbattendo una parete e cogliendo di sorpresa gli impiegati.
«Siamo a 27 rapine compiute e sei colpi falliti per un
soffio a partire dal primo gennaio dell'anno - afferma Gabriele Urzì della Fabi -. Tra
colpi tentati e rapine consumate siamo a quota 33,
una media raccapricciante. Un colpo ogni quattro giorni, compresi i festivi.
Soltanto una cultura diffusa e condivisa della sicurezza può evitare il
prolungarsi di una situazione che ha ormai tutti i connotati dell'emergenza. Ormai le banche considerano
"fisiologici" avvenimenti come questo, che mettono seriamente a
repentaglio la sicurezza dei dipendenti che vivono nell'incubo
delle rapine». Secondo i sindacati occorrono guardie armate a presidio delle
agenzie fino alla chiusura degli sportelli e dei forzieri ed un piano di intervento straordinario da parte delle forze dell'ordine.
Ieri la polizia ha svolto accertamenti fino a tarda sera
dentro i locali. Gli investigatori cercavano eventuali
impronti digitali lasciate dai rapinatori, gli impiegati sono stati
ascoltati per ore dagli agenti. L. G.
Return
di PIERANDREA VANNI
ADESSO la partita si sposta su Findomestic. L’Ente Cassa
sta lavorando all’accordo con Intesa San Paolo, per il quale sono previsti
tempi brevi (due settimane al massimo) e fra i nodi da sciogliere c’è appunto
quello della banca di credito al consumo, vero fiore all’occhiello e fonte di ottimi guadagni.
Le ipotesi sul tappeto sono due: vendere ai francesi di
Bnp Paribas, per venti anni soci alla pari, la quota in possesso di Banca
CrF, con un introito non inferiore a 1 miliardo di euro;
oppure comprare la quota in mano a Parigi, con un esborso di analoga entità.
Ovviamente le cose non sono semplici anche perché Bnp
Paribas ha esercitato il diritto di opzione sull’1
per cento per passare alla maggioranza assoluta, delle azioni di Findomestic.
Diritto che Banca CrF non riconosce al punto da ricorrere
ad un arbitrato. Se si considera poi che l’Ente ha scartato la
proposta di Bnp per il futuro della Banca, è evidente che i rapporti fra
Firenze e Parigi, una volta eccellenti, sono oggi piuttosto
tesi.
Il che rende difficile tutto ma
è anche difficile mantenere Findomestic in una situazione di stallo, con un
presidente, Edoardo Speranza, che ha annunciato da tempo di non voler essere
rinnovato e il cui mandato, come quello degli altri organismi interni, è
scaduto da gennaio.
BNP PARIBAS punta a fare di Findomestic la banca di
credito al consumo della Bnl; ma questa prospettiva potrebbe favorire la
mossa di Intesa San Paolo che, ad ora, non ha una
presenza consistente in questo settore. Proprio nell’ambito dell’operazione
con l’Ente Cassa potrebbe essere deciso di andare all’acquisto del 50 per
cento in mano ai francesi (con il nodo dell’arbitrato sull’1 per cento) per
poi fare di Findomestic lo strumento per il credito al consumo di Intesa San Paolo, cioè del secondo gruppo bancario
italiano.
In ogni caso non dovrebbero esserci problemi per il
futuro. L’assemblea di Findomestic ha appena approvato il bilancio 2006 con
105 milioni di euro di utile a conferma di un trend
positivo che dura da diversi anni. Con i suoi 2500 dipendenti e una presenza
su gran parte del territorio nazionale, Findomestic rappresenta un valore
aggiunto anche per Firenze, dove ha la direzione generale.
Del resto, come ricorda spesso Edoardo Speranza, è praticamente l’unica grande azienda nata in città negli
ultimi venti anni.
In attesa di definire
complessivamente l’operazione con Intesa, che prevede come è noto una serie
di passaggi, l’Ente Casa spunta il consenso di Cgil e Cisl della Banca Crf.
Le due organizzazioni sindacali sono minoritarie all’interno dell’azienda ma evidentemente il loro giudizio pesa anche
perché condiviso dai rispettivi segretari regionali, presenti anche loro ad
un incontro con il presidente dell’Ente Edoardo Speranza. Nel comunicato
diffuso al termine dell’incontro Cgil e Cisl parlano di «operazione utile al Paese
che porterà benefici a Firenze e alla Toscana».
IMMEDIATA e molto dura la replica della Falcri, che
assieme alla Fabi e ad altre sigle sindacli autonome rappresenta la grande maggioranza dei dipendenti. «Cgil e Cisl sono solo
alla ricerca di un minimo di ruolo - sostiene Antonio Sementilli della
segreteria aziendale -. La loro scelta è solo un
tentativo sbagliato di dividere il fronte sindacale e, oltretutto, è un gesto
contraddittorio. Infatti le sezioni aziendali di
Cgil e Cisl di Infrogroup hanno proclamato due ore di sciopero per mercoledì
prossimo proprio contro le conseguenze dell’accordo che viene magnificato».
Il fronte del no, al quale aderiscono oltre agli
autonomi la Uil e l’Ugl, si prepara ad un sit-in in
occasione dell’assemblea dei soci dell’Ente Cassa già fissata per il 4 maggio
e annuncia assemblee del personale oltre alla creazione di un comitato «per
il rispetto dello statuto dell’Ente Cassa».
Return
IL SOLE 24 ORE On-Line 28 aprile 2007
di Nicola Borzi
Intesa SanPaolo, con una lettera del 24 aprile, ha
comunicato ai sindacati il primo elenco di 186 sportelli che saranno ceduti
in base alle richieste dell'Antitrust.
L'Autrità garante della
concorrenza a dicembre aveva sancito l'obbligo
di cedere 197 sportelli in 18 province dove la quota di mercato della banca
nata dall'aggregazione
dei due istituti superava i limiti consentiti. Mancano, nella lista
comunicata ai sindacati, gli sportelli da cedere che saranno individuati
quelli delle province di Aosta, Biella, Terni e
Vercelli.
Tra le province colpite la
prima è quella di Venezia, dove dovranno passare di mano ben 36 filiali,
seguita a ruota da Torino con 33. Il Veneto (con 62 sportelli) e il Piemonte
e la Lombardia (37 dipendenza ciascuna) le regioni più interessate, in attesa che venga definita la situazione di Biella e
Vercelli, che porterà il Piemonte in seconda posizione tra le aree regionali
maggiormente interessate alle cessioni..
Quanto alle reti di provenienza, il dettaglio vede più
colpiti gli sportelli che prima della fusione appartenevano a Intesa (ne cederà ben 87), poi l'ex
rete SanPaolo, con 37, e le dipendenze dell'ex
SanPaolo Banco di Napoli con 24, mentre la rete di provenienza della Cassa di
Risparmio di Venezia "dimagrirà" di 19 dipendenze, quella ex Cassa
di Risparmio di Padova e Rovigo di 14, l'ex
Friulcassa di quattro e l'ex Banca
popolare dell'Adriatico di una.
La decisione dell'Autorità
è pesante, anche perché segue le cessioni di sportelli (ben 645) che Intesa,
in base all'accordo dell'11 ottobre 2006, ha «girato» a
Crédit Agricole : si tratta delle reti di sportelli che facevano capo
alla Cassa di risparmio di Parma e Piacenza (304 sportelli) e a Friuladria
(148), oltre a un ulteriore pacchetto di filali identificate nella rete della
banca milanese. Cessioni che scatteranno entro il 12 ottobre e consentiranno a Crédit Agricole di diventare la tredicesima banca
italiana per dimensioni della rete. Come nota l'Antitrust, dei 645 sportelli ceduti ai francesi,
551 sono situati nelle 18 province per le quali «la fusione ha un
impatto restrittivo della concorrenza».
Adesso, ovviamente, restano da
definire gli acquirenti che sio aggiudicheranno questa fetta cosistente del
mercato bancario nazionale. Una fetta che non comprende solo gli sportelli,
ma anche i loro dipendenti e, ovviamente, la clientela che vi da capo – salvo
esodi al momento non preventivabili
Intanto scoppiano le tensioni sindacali sulle dipendenti
over 60
«Avendo Ella maturato i requisiti
anagrafici e contributivi richiesti dalla legge per avere diritto alla
pensione di vecchiaia e non avendo esercitato il diritto di opzione per il
proseguimento dell'attività
lavorativa oltre il 60° anno di età... la Società ha deciso di risolvere il
Suo rapporto di lavoro dalla fine della giornata di ricezione della
presente... Nel ringraziarla per la collaborazione e l'impegno...
Le porgiamo cordiali saluti». Con questa la lettera, firmata Francesco
Micheli, Intesa SanPaolo nei giorni scorsi ha accomiatato un numero
imprecisato di dipendenti, tutte donne che non avevano optato
espressamente per restare al lavoro oltre i 60 anni d'età.
Le bancarie, per l'azienda, sono
19, di cui sette hanno già trovato soluzioni concordate, mentre per i
sindacati sarebbero molte di più: qualcuno le calcola
tra 130 e 150.
I sindacati sono scesi in campo per le lavoratrici,
molte delle quali hanno già compiuto da tempo il 60esimo anno d'età e poche con i 35 anni di contribuzione, tutte
della rete ex SanPaolo perché nella banca torinese la consuetudine
ante-fusione non prevedeva alcuna comunicazione
formale all'azienda al compimento
dei 60 anni. Molte bancarie hanno già raggiunto una
conciliazione davanti al pretore del lavoro, accettano una buonuscita
e l'addio. Ma i sindacati non
accettano l'ukase di Intesa SanPaolo: il 13 aprile le segreterie di
coordinamento aziendale di nove sigle (DirCredito, Fabi, Falcri, Fiba/Cisl,
Fisac/Cgil, Silcea, Sinfub, Ugl e Uilca) hanno diffidato la banca dal
proseguire nell'iniziativa, richiamando
la legge e le sentenze 13045 del 2006 e 6535 del 2003 della Cassazione, oltre
alla sentenza 498 del 1988 della della Corte Costituzionale, e riaffermano il
diritto delle lavoratrici a proseguire il rapporto di lavoro sino ai 65 anni
senza alcuna comunicazione alla società.
Intesa SanPaolo risponde al sindacato sia sul piano
giuridico, sia sul piano relazionale. Dal punto di
vista giuridico, la banca informa che la sezione Lavoro
della Corte di Cassazione si è più volte espressa in senso contrario e che il
recente decreto legge 11 aprile 2006 sulle pari opportunità ribadisce la
necessità, per le donne che hanno compiuto il 60° anno di età, dell'esercizio dell'opzione.
Dal punto di vista relazionale, l'azienda
spiega che, fermi restando gli impegni assunti in sede di Piano industriale,
sarà sua cura, come già in casi analoghi, definire posizione per posizione cercando soluzioni condivise che tengano conto
delle specifiche situazioni. Ma la battaglia
sindacale non sembra destinata a fermarsi. nicola.borzi@ilsole24ore.com
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
DI EDOARDO SEGANTINI
Una delle promesse di questo governo è quella di far camminare
la burocrazia verso il cosiddetto Stato digitale. Ma si tratta di una
trasformazione molto complicata, come testimonia l'inchiesta
sull'eGovernment
che pubblichiamo all’interno. E non solo per
l’inadeguatezza della spesa pro capite in information technology, che ci vede
dodicesimi in Europa. L'ammodernamento
della pubblica amministrazione procede a macchia di leopardo. O, più esattamente, a macchia di gattopardo, nel senso che molte
resistenze puntano a far sì che nulla cambi. Manca, soprattutto, la
volontà di modificare le vecchie organizzazioni consolidate. Cambiarle significa scontrarsi con tanti singoli poteri, che, messi
insieme, formano un potere colossale. Cioè
significa essere riformisti veri. Un’indicazione utile arriva dal recente
passato. Dopo il buon ministero di Franco Bassanini, che, unificando la
responsabilità di Funzione pubblica e eGovernment,
per primo si è fatto carico di riorganizzare il funzionamento dello Stato a
vantaggio dei cittadini, con il governo Berlusconi abbiamo avuto la scissione
tra il «ministero tecnologico» di Stanca e il «ministero organizzativo» (la
Funzione pubblica) dei vari Frattini, Mazzella, Baccini. Il
governo Prodi ha giustamente riunificato le due responsabilità. Ora
però serve un’accelerazione. L'auspicio
è che il ministro Nicolais persegua con identica determinazione la priorità
che fu il marchio di Bassanini: la semplificazione delle procedure. Un merito che persino gli avversari - evento rarissimo in Italia
- gli hanno sempre riconosciuto.
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
Risiko all’europea Le due strade di Unicredit: da un lato il recupero nel
Mezzogiorno d’Italia, dall’altro la copertura dall’Atlantico agli Urali - Il
Tevere, la Senna e le scelte di Profumo - Con Capitalia la leadership in
casa. Con Société Générale un gruppo da 150 miliardi di capitalizzazione
Fermo a un bivio, Alessandro
Profumo deve decidere se da Milano scendere a Roma o puntare a nord, verso
Parigi. Se condurre insomma il suo Unicredit verso un
accordo con Capitalia o dirigerlo in Francia, dove potrebbe firmare un patto
d’integrazione con Société Générale. Il banchiere italiano, che per
primo ha varcato i confini nazionali trasformando l’evoluzione del genovese
Credito Italiano in una banca di dimensione europea, è alla vigilia di una
nuova tappa di sviluppo per l’istituto che oggi ha sede in piazza
Cordusio a Milano. Dall’Atlantico agli Urali
L’ipotetico accordo con Société Générale presenta grandi
valenze dal punto di vista industriale: tanto Unicredit è forte - anche
grazie a Hvb - nell’attività retail , tanto i
francesi di Sg al di fuori dei confini nazionali si dedicano soprattutto alla
finanza strutturata, alle operazioni sul debito e ai derivati, con l’unica
eccezione dei Paesi in forte crescita, come la Russia e il Marocco, dove
Parigi è presente anche con una diffusa attività di sportello. Sul piano
squisitamente retail - dove le sovrapposizioni sarebbero davvero l’eccezione a una equilibrata distribuzione sul territorio - un
accordo tra Unicredit e Société Générale coprirebbe di sportelli un’area che
va dall’Atlantico agli Urali, dal Mediterraneo al Mare del nord: una delle
zone più ricche del pianeta. In più ci sono gli Stati Uniti, dove la presenza
di Sg è concreta. Una fonte interna a Société Générale sottolinea
come, «le complementarietà tra i due istituti di credito sono notevoli, sia
sul piano territoriale che nelle specializzazioni. Sg è forte nei servizi non
tradizionali - in Italia controlla Fiditalia, nda - mentre
Unicredit ha grande presenza nel retail . Soprattutto, da una prima analisi
ci sentiamo di escludere gravi rischi occupazionali: l’accordo recentemente
annunciato tra Abn Amro e Barclays produrrà, qualora dovesse concretizzarsi,
12.800 eccedenze. Un’ipotesi che non si ripeterà di certo
nel caso di un possibile patto tra Société Générale e Unicredit».
L’aspetto occupazionale non va sottovalutato. Sg è infatti una banca dove le formazioni sindacali hanno
grande peso - i dipendenti e gli ex dipendenti controllano il 7,03% del
capitale e l’11,44% dei diritti di voto - e la loro voce si sente anche nella
determinazione delle strategie, così l’ipotesi di un prezzo troppo alto da
pagare sul piano dell’occupazione potrebbe portare ad arenare la possibile
integrazione. Tra i soci di Sg va poi evidenziata la presenza della
fondazione Crt (1,85% dei diritti di voto), mentre
in consiglio siede Gianemilio Osculati, n° 1 nell’area mediterranea di
McKinsey.
La sede a Parigi?
Tutto fatto? Se i colloqui tra Milano e Parigi si fanno ogni giorno più intensi, è ancora presto per preparare le
partecipazioni alle nozze. Anche perché prima del
proverbiale «se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre»,
potrebbe farsi avanti un fastidioso concorrente per Profumo, la parigina Bnp,
che dopo aver fatto shopping a Roma, comperando un anno fa la Banca nazionale
del Lavoro, ambisce a rafforzarsi tra le mura domestiche proprio con Sg.
L’appello alla «francesità» è così forte a Parigi che
non occorre neppure evidenziarlo. Ma le fiches che Profumo è pronto a mettere
sul tavolo sono di quelle importanti: la creazione
di una grande banca europea, con presenze di rilievo in Francia, Germania e
Italia, un colosso per capitalizzazione - oltre 146 miliardi di euro, allo
stato seconda in Europa - alla cui realizzazione il banchiere italiano
sarebbe disposto anche a sacrificare la sede centrale, che - secondo
indiscrezioni - potrebbe essere Parigi. D’altro canto una banca di quelle
dimensioni ha più senso collocarla in una delle capitali del mondo, piuttosto
che nella seconda città italiana…
Roma e i salotti
Capitalia non è certo un ripiego per Profumo. L’accordo
con la banca romana rappresenta soltanto una diversa strategia di sviluppo,
che porterebbe in dote due asset di primaria importanza. Da un lato Unicredit
continuerebbe ad essere una alternativa possibile
sul mercato italiano, dove riequilibrerebbe la propria presenza rispetto al
leader Intesa-Sanpaolo, dall’altro affiancherebbe a una maggiore presenza
retail in Italia anche un maggiore peso specifico nelle vicende corporate del
paese d’origine.
Unicredit, che negli ultimi due anni ha avuto l’Europa
come orizzonte e il mercato come unico riferimento (ricordate le recenti
dichiarazioni di Profumo sul prezzo di Telecom?), tornerebbe a essere un fattore anche sul mercato domestico, anche per
la complicata rete di partecipazioni incrociate che si dipanano nel capitale
della banca guidata da Cesare Geronzi. Proprio per Geronzi l’accordo con
Unicredit diverrebbe l’approdo ideale per dare un futuro di dimensione
europea alla propria banca, senza rinunciare a una
partita al Monopoli di casa, tra piazzetta Cuccia, Trieste e le rispettive
periferie.
La raccolta a Mezzogiorno
Sul piano industriale l’accordo Milano-Roma
presenterebbe meno benefici immediati rispetto a Milano-Parigi, con il
rischio di sovrapposizione di sportelli, specie nelle grandi città del nord Italia e conseguente probabile invito dell’Antitrust
alla cessione di agenzie a qualche concorrente sul mercato tricolore. Il
maggiore valore industriale sarebbe invece nel coinvolgimento di un progetto
di dimensione europea del Mezzogiorno italiano.
Dentro Capitalia si trova infatti il Banco di
Sicilia, maggiore banca del Sud Italia, un’area geografica dove la raccolta
delle banche presenti ha spesso sopravanzato gli impieghi e dove attualmente
Unicredit è praticamente scoperta.
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
L' annunciata
mega fusione fra Barclays e Abn Amro conferma l' ineluttabile tendenza a creare gruppi
bancari di sempre maggiori dimensioni, per poter operare nel mercato globale
e offrire nuovi prodotti finanziari. Resta singolare che l' Abn, attuale preda, abbia acquisito in
Italia una banca di livello, come l'AntonVeneta
e, a un certo punto, sembrava dovesse rappresentare il naturale approdo per
Capitalia, il cui zitellaggio continua a costituire un elemento di incertezza
nel sistema creditizio italiano. La logica delle aggregazioni
ha dato buoni risultati anche da noi, e oggi possiamo contare su almeno due
gruppi ,come Intesa-SanPaolo e Unicredit, inseriti nella mondializzazione.
Tuttavia,in Italia, per il peso rilevante delle
attività imprenditoriali medie e piccole, i movimenti ascendenti vanno
bilanciati verso il basso e la verticalizzazione finanziaria deve
ridiscendere in maniera capillare verso la clientela aziendale diffusa. Un
territorio produttivo con relazioni e valori non standardizzabili, potrebbe
non ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi gruppi bancari.
Cresce , per tale ragione, il ruolo delle banche
locali, ormai ampiamente inserite in circuiti e reti che assicurano loro la
disponibilità di risorse e strumenti innovativi, pur conservando una profonda
conoscenza delle realtà territoriali ove sono insediate. D'altronde la torta degli impieghi, e quindi il
finanziamento degli investimenti, si divide in tre parti eguali: un terzo viene erogato dalle 11 banche maggiori, un terzo dalle 46
medie e grandi, un terzo dalle 731 piccole e minori a carattere locale. La
quota di quest'ultime cresce all'82% in
Trentino, quasi al 60% in Friuli e Abruzzo, al 48% nelle Marche. Il legame
col territorio è pure garantito dalle banche popolari e di credito
cooperativo che, spesso coincidono con le minori, ma anche quando raggiungono
grandi dimensioni, mantengono nel loro dna un forte senso di responsabilità
sociale e comunitaria. Le banche del territorio, consentono una più facile
accessibilità al credito e sono alla base della creazione di nuove imprese,perché i poteri di decisione nell'erogazione
dei finanziamenti sono collocati più in basso. Inoltre,la
maggiore permanenza dello staff operativo e il presidio solitario degli
sportelli nei piccoli comuni, consente un rapporto duraturo e personalizzato
con la clientela. La partecipazione attiva dei soci determina,infine, uno stretto legame con le sorti economiche della
comunità, e quindi una spinta allo sviluppo. Se quindi le fusioni ci portano
nel mercato globale, la rete del credito locale,
collegato con i grandi gruppi, garantisce più efficacemente le aziende
medio-piccole. Anzi, bisogna accrescere la spinta
del sistema finanziario a sostenere le Pmi nelle sfide cui sono chiamate a
rispondere. È indispensabile a tutti i livelli, lo sviluppo di un mercato dei
capitali di rischio, in Italia ancora
sottodimensionato. Devono diffondersi interventi finanziari che aiutino le aggregazioni e la successione nelle
aziende,accompagnino lo start-up d'imprese
innovative e nuove matricole alla quotazione azionaria,che immettano nella governance
aziendale le competenze manageriali e la stabilità necessaria all'imprenditore per crescere. Ritrovando un intenso
rapporto fra banca e territorio avremmo davvero un
potente motore in grado di generare ulteriore sviluppo.
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
Forse non vi è mai venuto in mente, ma anche per il
Bancomat e per il Rid, cioè l’addebito automatico in
conto di bollette, affitto, rate della macchina, ci sono i prezzi
all’ingrosso e al dettaglio. I primi sono quelli interbancari, fra banca e banca, o fra banca e grandi fatturatori (come le società
di telecomunicazione). I secondi sono quelli applicati al cliente. Fino a 10
volte più cari. Un prelievo Bancomat all’istituto di credito costa 67
centesimi, a noi viene fatto pagare, in media, 1,99
euro: il triplo.
E il Rid per una rata dell’auto
costa all’ingrosso 39 centesimi, mentre il cliente paga fino 3 euro, dieci
volte di più. Una differenza esorbitante, che va ristretta:
lo dice l’Antitrust, che ha fatto due calcoli dopo gli impegni presi da Abi e
Cogeban, la convenzione per la gestione del Bancomat, per ridurre le
commissioni interbancarie.
Gli impegni sono stati presi in gennaio e, finora, i
costi di Bancomat e Rid, per il cliente, non sono scesi. Adesso però «ci si
aspetta come minimo una riduzione del 10%, pur nella piena autonomia delle
singole banche di fissare le commissioni - dice Giovanni Calabrò, a capo
della divisione Credito dell’Antitrust -. Il taglio delle commissioni
all’ingrosso deve trasferirsi all’utente».
Il 19 aprile l’Autorità guidata da Antonio Catricalà ha
«accettato e reso obbligatori» gli impegni presi da Abi e Cogeban per ridurre
le commissioni interbancarie: in particolare, per il Bancomat e il Rid. Così
se, nel novembre scorso, per gestire un Rid gli istituti di credito pagavano
52 centesimi, in seguito agli impegni presi con l’Antitrust ne versano, da
gennaio, soltanto 39: e gli accordi prevedono che la commissione si riduca
ancora il prossimo luglio, a 28 centesimi. È un taglio del 46% in otto mesi:
un minor costo che i grandi fatturatori, come le utility, dovrebbero
trasferire all’utente (nel caso del Rid per le utenze come gas e luce,
infatti, è la banca dell’utility a pagare la commissione all’ingrosso alla
banca del cliente: che, dunque, incassa due volte, dal signor Rossi e dalla
società di turno). Ma 28 centesimi sono oggi un
decimo dei 2,09 euro di costo medio che, per esempio, le banche fanno pagare
ai clienti per le utenze (allo sportello con addebito in conto, media
Corriere Economia fra otto banche, vedi tabella). Discorso simile per la rata
dell’auto. «Una finanziaria, per la domiciliazione di un Rid, chiede da 1,5 a 3 euro - dice Calabrò -. Il costo al
cliente non si giustifica più. Paradossalmente potrebbe essere ridotto di 10
volte, visto che 28 centesimi è un decimo di 3
euro».
Quanto al Bancomat: nel novembre 2006, per gestire un
prelievo automatico, le banche pagavano 75 centesimi, dallo scorso gennaio
67. È un taglio del 10,7%. Anche qui, è evidente la forbice
ingrosso-dettaglio, visto che il costo medio di un prelievo su altra banca,
negli otto istituti del panel di Corriere Economia ,
è di 1,99 euro (vedi tabella).
Una riduzione del 10% dei prezzi di Rid e Bancomat alla
clientela, insomma, è davvero il minimo che ci si possa
attendere. Ma l’augurio dell’Antitrust è che «i
costi scendano di più e si apra la concorrenza», visto che i 67 centesimi
pagati all’ingrosso per il Bancomat e i 28 per il Rid sono, com’è scritto
negli impegni, «un tetto massimo», e che l’informazione è ora disponibile per
tutti. Abi e Cogeban si sono impegnati anche a pubblicare sul proprio sito il
valore della commissione interbancaria e gli aggiornamenti: una mezza
rivoluzione.
Di certo, comunque, c’è che
d’ora in poi le commissioni all’ingrosso «non potranno più salire», dice
l’Antitrust. Inoltre, se è vero che dal gennaio scorso i costi del Bancomat
al cliente non sono scesi, è anche vero che non sono saliti: come risulta
all’Antitrust e dal confronto 10 gennaio-24 aprile 2007 del nostro panel di otto banche. Gli istituti di credito sono spinti al
taglio dei costi anche dalla Commissione Ue, che settimana scorsa ha
confermato per il 2009 la data d’avvio del Sepa, il sistema europeo di
pagamento che renderà omogenee, e più basse, le commissioni per i servizi
bancari. ALESSANDRA PUATO
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
Chi esplora Internet in cerca di conti online a costi contenuti trova all’indirizzo www.sella.it , sito di Banca
Sella , una nuova offerta che punta a incoraggiare l’utilizzo della rete per
le normali operazioni bancarie. Si chiama Conto Tuo Click, costa 1 euro al mese di canone e consente di fare tutte le normali
operazioni (pagamenti, bonifici e quant’altro) a costi decisamente contenuti
rispetto allo sportello. Al conto corrente, che offre una remunerazione
dell’1,50% lordo, è abbinabile una polizza Rc Famiglia che, a partire da un premio di 42 euro l’anno, assicura il
nucleo familiare in fatto di responsabilità civile contro terzi, verso gli
addetti ai servizi domestici, per i danni eventualmente provocati dagli
animali di casa, da allagamenti, scoppi e incendi. Per i trader più esperti
la torinese Directa (www.directa.i t) ha aggiunto quattro nuovi strumenti al
catalogo di titoli negoziabili attraverso la sua piattaforma. Si tratta del Mini Russel 2000 (future sull’indice Russel 2000), il
Japanese Yen (future sul cambio yen/dollaro), lo Swis Franc (future sul
cambio franco svizzero/dollaro) e il British Pound (future sul cambio
sterlina/dollaro). I quattro nuovi strumenti sono negoziabili dalle 8,30 alle
22,15 sul Cme–Forex. Le commissioni applicate da
Directa sono digressive da 9 a 3 dollari per eseguito in
giornata, oppure 6 dollari fissi per eseguito.
(www.lamiafinanza.it)
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
Fisco troppo severo se si cambia mutuo
H o intenzione di chiudere il
mio mutuo perché diventato troppo oneroso e aprirne uno nuovo con un’altra
banca. Posso
continuare a detrarre gli interessi passivi? E che cosa succede se, per disporre di liquidità fresca, il nuovo mutuo avrà un
importo superiore al capitale residuo? E’ vero che si perde il diritto alla
detrazione degli interessi? L a normativa fiscale non facilita la
rottamazione del mutuo, soprattutto se si approfitta di questa
occasione per avere un finanziamento aggiuntivo da destinare, ad
esempio, a una ristrutturazione o per disporre di liquidità fresca. Se il nuovo mutuo supera il capitale residuo (la quota
ancora da rimborsare alla prima banca), si perde per sempre il diritto alla
detrazione degli interessi. La norma è troppo rigida: va ammorbidita.
Probabilmente l’interpretazione restrittiva è dovuta
al fatto che un tempo i mutui di liquidità non erano molto diffusi. Ora,
invece, per parare il colpo della salita dei tassi, e dei prezzi delle case, questa operazione sta prendendo sempre più piede.
Risolvere la questione è semplice: basta consentire la
detrazione degli interessi, parametrandoli al capitale residuo non a quello
del nuovo mutuo. In pratica adottare, a favore del contribuente, il principio
che il Fisco segue, a suo vantaggio, quando vengono
stipulati i supermutui. Facciamo un esempio: interessi pagati 2.000 euro,
capitale residuo 50.000 euro, nuovo mutuo 100.000
euro. Gli interessi dovrebbero essere detraibili al 50%, cioè
in base al rapporto tra capitale residuo e nuovo mutuo. Il Fisco non perde
nulla perché la detrazione degli interessi continua con le regole originarie
e il contribuente non viene penalizzato in modo del
tutto ingiustificato.
Ma vediamo le regole attuali. In
caso di estinzione di un mutuo e stipulazione di un
nuovo prestito si continua a beneficiare della detrazione se il nuovo
finanziamento è d’importo non superiore al debito residuo, maggiorato degli
eventuali costi di estinzione e di accensione. I limiti alla detrazione
restano quelli in vigore all'atto
della stipula del mutuo originario.
Tra i costi rientrano le commissioni
spettante agli istituti, gli oneri fiscali (cancellazione ed
iscrizione di ipoteca), le eventuali penalità per anticipata estinzione, le
spese di istruttoria, notarili e di perizia. Inoltre l'immobile
ipotecato deve essere lo stesso e medesimo deve
essere il mutuatario. Non si perde il diritto alla detrazione degli interessi
passivi se, invece, cambia la banca (circolare n 95/E
del 12 maggio 2000). Lettera firmata - BRESCIA
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
L iquidazioni più semplici e
veloci, anche se la macchina non gira ancora a pieno regime. E, per il
momento, purtroppo, non ci si può attendere un’immediata ricaduta positiva sulle tariffe. Come si aspettano
le associazioni dei consumatori (vedi l’articolo pubblicato qui sotto). E' il bilancio dei primi tre mesi dell'indennizzo diretto: la procedura di liquidazione
dei sinistri rc auto, scattata il primo febbraio scorso, in
base a cui ogni assicurato viene risarcito dalla propria compagnia
anziché da quella della controparte, come avveniva in passato nella
stragrande maggioranza dei casi.
E' una vera e
propria rivoluzione, che rappresenta anche un banco di prova per le compagnie
d'assicurazione: dovranno offrire
un servizio di qualità ad un proprio cliente e non ad un automobilista
qualsiasi.
«L'indennizzo
diretto permette agli utenti una gestione molto più
agevole del sinistro e tempi di liquidazione piuttosto brevi - sottolinea
Fabrizio Premuti , responsabile assicurativo di Adiconsum -. Si ha l'impressione, però, che in questi primissimi mesi
il sistema funzioni bene solo per i sinistri più semplici, quelli in cui il
modulo blu viene firmato da entrambi i veicoli
coinvolti e la responsabilità non è contestata. Nell’indennizzo diretto
rientra circa l'80 per cento dei
circa 3,5 milioni di incidenti stradali, vale a dire
circa 230mila al mese».
In base ai dati forniti dal ministero dello Sviluppo
economico, nei primi due mesi dall'introduzione
del nuovo sistema sono stati liquidati 73mila sinistri su un totale di
280.000 che si possono stimare. «Una parte consistente - aggiunge Premuti -
manca, insomma, all'appello. I
numeri sono inferiori alle potenzialità, e la causa è
dovuta anche alle inefficienze dei servizi di liquidazione,
soprattutto in alcune aree del paese come il Sud».
Il nuovo sistema permetterà alle compagnie di ridurre le
spese legali ed il costo dei ricambi, attraverso il maggiore utilizzo di
carrozzerie convenzionate con le stesse imprese assicuratrici, dove il
cliente non anticipa la spesa. L'effetto
positivo sulle tariffe, tutto da verificare nei
fatti, non sarà in ogni modo immediato.
«Ad aprile in termini nominali sono aumentate del 2%
rispetto allo stesso mese dell'anno
scorso - spiega Alessandro Santoni , principal della
società di consulenza Towers Perrin Tillinghast -. E
per il 2007 mi aspetto una sostanziale stabilità: le compagnie, infatti,
attenderanno di valutare in un arco sufficientemente lungo gli effetti del
nuovo sistema».
Le imprese, intanto, stanno facendo i primissimi bilanci
dell'indennizzo diretto. «Sinora
abbiamo liquidato ai nostri assicurati circa 65mila sinistri, in gran parte
con doppia firma, con tempi medi di risarcimento che per questi ultimi sono
intorno ai dieci giorni dalla denuncia - spiega Alberto Marras , condirettore generale e direttore sinistri di
Fondiaria-Sai , che con circa otto milioni di clienti insieme alle altre
compagnie del gruppo detiene circa un quarto del mercato auto -. L'indennizzo diretto permette di indirizzare molto
più facilmente il cliente verso le circa 1.150 carrozzerie convenzionate, una
rete che vogliamo sviluppare ulteriormente, in alcuni casi anche rilevandone
la proprietà. E poi vogliamo intervenire sulla filiera dei pezzi di ricambio,
a partire dai produttori».
La normativa sull'indennizzo
diretto prevede sconti per gli automobilisti che, al posto del risarcimento
in denaro, s'impegnano ad
accettare quello in forma specifica, cioè facendo
riparare il veicolo presso le carrozzerie convenzionate. «Il listino in
commercio in questi giorni - spiega Alberto Marras - prevede in questi casi
uno sconto del 3%».
«Al 21 aprile scorso avevamo ricevuto complessivamente
oltre 82mila richieste di indennizzo diretto, di cui
la maggior parte con doppia firma - dice Alessandro Santoliquido ,
responsabile sinistri del gruppo Allianz Italia e amministratore delegato di
Genialloyd e Allianz Subalpina - mentre quelli liquidati sono oltre 40mila: i
tempi medi vanno dai quindici ai ventitrè giorni».
Le compagnie dirette, che operano per telefono e su
Internet, sono forse quelle arrivate più preparate all'appuntamento
con l'indennizzo diretto.
«Siamo stati i primi ad offrire un servizio completo di assistenza sinistri online - spiega Davide Passero ,
amministratore delegato di Genertel (gruppo Generali), leader di mercato con
quasi 630mila polizze -. Un servizio che include, oltre a
informazioni sulla procedura, la guida alla denuncia, la compilazione al
modulo blu, quella per la richiesta di risarcimento on line ed il servizio di
ricerca delle carrozzerie convenzionate, di cui sinora si è avvalso quasi un
cliente su tre. Dal primo febbraio ad oggi abbiamo ricevuto oltre 7 mila
richieste d'indennizzo diretto, di
cui circa il 10% sul Web».
I numeri sono in crescita anche per Direct Line . «Attualmente viaggiamo ad un
ritmo di oltre duecento denunce al giorno, con tempi medi di risarcimento
inferiori alle due settimane per i sinistri più semplici - sostiene l'amministratore delegato James Brown -. E in
quelli con soli danni materiali, in media un cliente su due opta per la riparazione diretta al posto del pagamento
dell'indennizzo».
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
I ndennizzo diretto e legge Bersani sulle
liberalizzazioni. Doppio strike per i consumatori. Da qualche mese gli
automobilisti possono contare su una normativa più favorevole che, tra
l’altro, dovrebbe, stimolare la concorrenza portando, si spera, a una riduzione delle tariffe. Risarcimenti
La nuova procedura di rimborso, scattata a febbraio,
prevede che, in caso di incidente stradale, il
danneggiato non responsabile - o responsabile solo in parte - possa chiedere
il rimborso alla propria compagnia, con la quale, presumibilmente, i rapporti
sono più facili e diretti. E non più a quella della
controparte.
Attenzione. La procedura si applica in caso di incidente fra due veicoli a motore, entrambi con targa
italiana, identificati e regolarmente assicurati con compagnie aderenti al
sistema (tutte le italiane lo sono). Per le compagnie di matrice straniera si
può consultare il sito www.ania.it. La procedura può essere utilizzata anche se nell’incidente sono stati coinvolti
passeggeri.
Le esclusioni
L’indennizzo diretto non è applicabile se l’incidente si
è verificato all’estero, anche se fra due veicoli con targa italiana. Semaforo rosso anche agli incidenti con più di due veicoli o nei
casi in cui è coinvolto un ciclomotore non munito del nuovo sistema di
targatura (Dpr 153 del 2006).
Il percorso
Per attivare l’indennizzo diretto si deve presentare la
denuncia di sinistro, compilando il «modulo blu», e fare la richiesta di
risarcimento alla propria compagnia. L’assicuratore, una volta accertata la
totale o parziale ragione del proprio cliente, risarcirà i danni. Uno degli
aspetti più positivi della nuova procedura è che i
tempi di indennizzo sono prestabiliti. La compagnia deve comunicare l'offerta di risarcimento, o spiegare i motivi per cui non è tenuta al rimborso (ad esempio perché l'incidente è avvenuto per totale responsabilità
dell'assicurato), entro:
30 giorni nel caso di danni al veicolo e alle cose se il
«modulo blu» è stato firmato da tutti e due i
conducenti coinvolti nell'incidente;
60 giorni per danni al veicolo e alle cose in assenza di
modulo blu a doppia firma;
90 giorni per i danni alla persona del conducente.
Ma si può controbattere alle
offerte del proprio assicuratore? Se il cliente non
è d'accordo con l’entità del
risarcimento, o contesta le ragioni del rifiuto, può tramite un avvocato
esercitare una vera e propria azione legale.
La richiesta di risarcimento alla propria compagnia può
essere fatta con raccomandata AR, raccomandata consegnata a mano, telegramma
o fax , via email (se questa modalità non è esclusa
dalla polizza). La compagnia deve fornire tutta l'assistenza
tecnica ed informativa ai propri clienti.
Che cosa viene risarcito
Vengono rimborsati i danni al veicolo e
quelli connessi al suo utilizzo (ad esempio il fermo tecnico, il traino, ecc.).
Risarcite anche le eventuali lesioni di lieve entità (fino al 9% di invalidità) e i danni alle cose trasportate. Dopo la
comunicazione della somma offerta, la compagnia deve procedere al pagamento
entro i 15 giorni successivi.
Fino alla comunicazione all'assicurato
della richiesta di risarcimento, la compagnia non paga compensi per la
consulenza o assistenza professionale di cui si sia
avvalso l'assicurato. E' ammesso il pagamento della perizia di un
medico-legale in caso di lesioni (prima esclusa dal
risarcimento).
Una clausola che si può trovare nelle polizze rc auto
con l'avvento della nuova procedura è quella del «risarcimento in forma specifica».
A fronte di uno sconto sul premio, la compagnia, invece di pagare l'indennizzo, ha il diritto di far eseguire
direttamente le riparazioni presso una delle sue
carrozzerie convenzionate.
Divorzi più facili
Ora le compagnie sono obbligate ad inviare al domicilio
dell'assicurato, almeno 30 giorni
prima della scadenza annuale della polizza, l'attestato
di rischio. E' il documento che
attesta il pedigree di un automobilista, ed è
indispensabile per cambiare compagnia. In questo modo l'assicurato
ha le mani libere per confrontare altre proposte e sostituire la polizza rc
auto con quella che ritiene più conveniente.
Seconda auto
La legge Bersani ha introdotto agevolazioni per chi ha
la necessità di assicurare, ex novo, una seconda autovettura di una famiglia.
Infatti in caso di stipula di un nuovo contratto per
un auto acquistata da persona fisica già titolare di polizza, o da un suo
familiare convivente, la compagnia deve applicare la stessa classe di «bonus
malus» in vigore sul primo veicolo. Così ad esempio se papà è un bravo
guidatore e non ha mai provocato incidenti, mertando la classe 1, anche la
macchina di mamma o di un figlio, appena diventato maggiorenne, sarà
assicurata con la tariffa prevista per la classe 1 di bonus malus invece
della 14, che di norma è quella di ingresso. Con un
risparmio di oltre il 70%.
Return
dal
CORRIERE DELLA SERA/Economia di lunedì 30 aprile 2007
Stato digitale /1 Progetti eccellenti accanto a back office arretrati. Si punta su Spc, la
rete che collegherà 450 enti - A macchia di leopardo, anzi di gattopardo -
Tanti computer ma l’organizzazione burocratica non
cambia
È una fedina con qualche macchia, quella del
rinnovamento della pubblica amministrazione italiana. Per
essere precisi, a macchia di leopardo. L’informatica nella pubblica
amministrazione ha fatto molti passi avanti, diversi progetti sono di eccellente qualità, come il sistema dei pagamenti dei
tributi che, secondo il ministro Nicolais, «ci è invidiato da tutta Europa».
Nella pratica, però, molte iniziative si bloccano nella delicata fase del
passaggio dalla sperimentazione su scala limitata alla generale disponibilità
dei servizi. Che, quando ci sono, hanno l’aspetto di una
bella vetrina, tecnologicamente avanzata, dietro la quale si nasconde un
retrobottega di procedure arretrate e farraginose. Si è arrivati così a una situazione paradossale. Il risparmio e l’efficienza
nell’erogazione dei servizi a cittadini e imprese non sono parole vuote,
diversi obiettivi sono stati raggiunti. Come ricorda Livio Zoffoli,
presidente del Cnipa, il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica
amministrazione, «i servizi di eGovernment finora
resi disponibili sono già 3.248, su 4.278 previsti». Inoltre, grazie allo
sforzo d’introduzione del Voip, la voce su Internet, oggi, dice Zoffoli,
«l’amministrazione spende per comunicare 65 milioni di euro,
contro i 130 del 2004». Ma è la fluidità del quadro
generale a venir meno. Ci sono isole d’eccellenza e insieme punti di forte
resistenza. È la macchia del gattopardo: l’informatica per cambiare una
realtà che vuole restare uguale.
Il problema dell’introduzione di strumenti informatici e
telematici in stanze abituate a trattare per secoli con carte polverose carte, vidimazioni e intoppi burocratici, è così spiegato
da Bruno Ronchetti, responsabile System integration and technology in
Accenture: «Le aziende private hanno prima automatizzato e integrato le procedure interne e solo dopo reso fruibili i servizi
al proprio interno e alla clientela. La pubblica amministrazione non ha mai
portato a termine questa fase d’integrazione, perciò è faticosa l’apertura
all’esterno».
Accenture pubblica ogni anno un rapporto sullo stato di avanzamento dell’eGovernment in oltre 20 nazioni
occidentali. L’Italia compare sempre nella parte bassa
della classifica, ferma alle prime due delle quattro fasi che, secondo la
multinazionale, definiscono il circolo virtuoso del buon governo
elettronico: pubblicazione, informazione, interazione e transazione. Oltre a rendere disponibili documenti e informazioni, insomma,
l’amministrazione deve chiudere il cerchio tra il cittadino o l’impresa e
tutte le informazioni che circolano all’interno dell’amministrazione stessa.
Ora, questo fondamentale circuito non c’è.
L’attenzione è oggi focalizzata sul cosiddetto Spc,
Sistema pubblico di connettività, un’infrastruttura a banda larga a cui stanno lavorando i primi quattro operatori di
telecomunicazioni nazionali. È una rete che, entro il 2007, dovrà sostituire
la precedente Rete unitaria della pubblica amministrazione (Rupa): da un
lato, facilitando il dialogo tra le componenti
centrali e locali della pubblica amministrazione (450 sedi, estero compreso);
dall’altro, rendendo possibile l’interoperabilità delle procedure e lo
scambio interno delle informazioni. «Il pagamento dell’Ici, per esempio,
presuppone un flusso di dati catastali che oggi non può avvenire - spiega
Marco Mena, analista di Between, fornitore di servizi di consulenza e
misurazione per l’Spc e l’eGovernment -. La rete
Spc, con un intervento per aggiornare e snellire le procedure di ’back end’, il retrobottega della nostra vetrina, dovrebbe
scatenare molte possibilità di transazione in Rete, chiudendo il cerchio
amministrazione-utenti».
Non sarà facile. Stefano Mainetti, docente di sistemi
informativi al Politecnico di Milano, ha collaborato a Top Circle eGovernment, un progetto di coinvolgimento dei dirigenti
della pubblica amministrazione condotto, sotto il patrocinio del Cnipa, da
Fondazione Politecnico e Hewlett-Packard. «La prima fase d’innovazione,
gestita dall’allora ministro Luciano Stanca, si
basava sui fondi ricavati dal governo con le aste delle frequenze Umts - dice
-. Ha puntato molto sulla visibilità dei servizi al cittadino, senza
preoccuparsi troppo del back-end. Non si è speso male, ma
dietro il servizio mancava il necessario retroterra». Nicola Aliperti,
amministratore delegato di Hp, riconosce che l’Spc
come rete e l’interoperabilità come obiettivo sono una buona cosa. «Dove si
continua ad andare a rilento è nell’integrazione e
nella semplificazione dei processi amministrativi, costringendo cittadini e
imprese a troppi passi».
Anche quando i servizi online ci
sono, gli utenti li conoscono poco e non sono abituati a frequentarli. Se
Livio Zoffoli invita tutti a consultare i due portali nazionali, del
Cittadino e delle Imprese, accessibili dal sito del Cnipa, Mena, di Between, ammette: «Dal nostro monitoraggio risulta
che, se più della metà degli utenti Internet conosce queste due iniziative, i
livelli di fruizione sono molto bassi». (primo di quattro articoli)
Return
ROBERTO PETRINI
ROMA - Il federalismo fiscale è dietro l´angolo. Dopo mesi di studio e di confronto tra ministero dell´Economia,
Regioni e Comuni, il testo del provvedimento che darà maggiore autonomia
finanziaria a "governatori" e sindaci è all´ultima curva.
Venti articoli e cinque sezioni che si intitolano
"Contenuti e regole", "Rapporti finanziari
Stato-Regioni", "Finanza degli enti locali", "Città
metropolitane" e "Regioni a statuto speciale", sono alla limatura
finale. Manca solo il via libera degli enti locali perché una delle prossime
sedute del consiglio dei ministri vari il
provvedimento.
Dopo le modifiche al titolo V della Costituzione e la
prima legge sul federalismo del 2000 si avvicina il terzo e sostanziale passo
in avanti sulla via dell´autonomia di bilancio di Comuni e Regioni. Una
rivoluzione che consentirà di dare certezza ai conti degli enti locali a partire dalla sessione di bilancio: nascerà una vera e
propria "Finanziaria parallela" dedicata a Regioni, Comuni e
Province che sarà approntata in estate e approvata in novembre. Entrate,
uscite, misure, patto di stabilità interno usciranno così dal suk della
Finanziaria e consentiranno agli enti locali di approvare i bilanci entro
l´anno e non nella primavera successiva come accade oggi.
La questione delle tasse locali viene
risolta in modo definitivo. Le Regioni - recita l´articolo 3 - potranno «istituire tributi», lo stesso potranno fare
«Comuni, Province e città metropolitane». Restano in vita naturalmente i
vecchi tributi regionali, comunali e provinciali: a cominciare dall´Irap per
finire all´Ici (tanto per citare le tasse più importanti relative a Regione e
Comune). Ma nascono anche nuove prerogative fiscali:
i Comuni - come dice l´articolo 11 - potranno imporre imposte di scopo (come
la tassa di soggiorno), le Province potranno avere diritto ad una
compartecipazione all´Irpef.
La sostanza del nuovo federalismo fiscale non sta comunque nelle nuove tasse, ma nel modo in cui le risorse
transiteranno dai cittadini agli enti locali. Fino ad oggi il canale è quello
dei trasferimenti finanzi dallo Stato centrale alla periferia, da domani
Regioni e Comuni potranno contare su risorse fiscali proprie.
La vera rivoluzione avverrà sul terreno dell´Irpef. Le
addizionali, così come sono attualmente concepite,
scompariranno per lasciare il posto ad una vera e propria compartecipazione
all´imponibile. L´addizionale Regionale, ad esempio, oggi va dallo 0,9
all´1,4 per cento: in futuro sarà destinata alle Regioni e ai Comuni
direttamente una parte dell´aliquota che ciascuno di noi paga
sull´imponibile. Ad esempio, dell´aliquota massima del 43 per cento una
parte, pari a 5-8 punti, sarà ad esclusivo
appannaggio dell´ente locale. Per il cittadino non cambierà molto ma in
termini di certezze finanziarie per Regioni e Comuni sì. Si calcola infatti che con l´addizionale Irpef "riformata"
lo Stato rinuncerà a circa 50 miliardi di gettito a favore della soluzione
federale.
Naturalmente il meccanismo "federale" ha dei
paletti. Il corposo articolo 8 stabilisce come funziona il "fondo
perequativo", quello che serve a "perequare", cioè a ridurre le differenze tra le Regioni più ricche e
quelle più povere con «minore capacità fiscale per abitante». Sarà finanziato
con i proventi della compartecipazione al gettito dell´Iva. Servirà al
riequilibrio territoriale: ma come funzionerà? In due parole, ispirandosi ai
principi di equità ed efficienza. Le Regioni non
avranno a piè di lista quello che spendono ma in base a
"costi standard" e "livelli essenziali delle prestazioni"
fissati dallo Stato centrale. Una Regione che spende troppo e male non potrà
aspettarsi, insomma, di mantenere i finanziamenti storicamente avuti fino ad
oggi.
Tre settori saranno soggetti al sistema di solidarietà
interregionale, Sud-Nord per così dire: sanità, assistenza e trasporti
saranno garantiti al di là del gettito fiscale che
una Regione è in grado di produrre. Solo il 15 per cento dell´attuale spesa
delle Regioni (formazione, incentivi economici ed altro) dovrà far conto
esclusivamente sui tributi propri delle Regioni. Il nuovo sistema è tuttavia
una porta aperta: se il Parlamento deciderà di allargare il campo di spesa
esclusivo delle Regioni e fuori dal sistema della
perequazione, il meccanismo di finanziamento e di tassazione locale è pronto
a farvi fronte.
Return
Con la riforma che introduce il federalismo fiscale
arriverà una vera e propria legge Finanziaria parallela a quella prevista per
lo Stato centrale.
La nuova legge sarà messa a punto in estate e approvata
poi a novembre prima della conclusione della
sessione di bilancio.
In questo modo gli enti locali potranno approvare i
rispettivi bilanci entro l´anno di riferimento e non nella primavera
successiva come accade attualmente, con annesse
polemiche.
Tra i vantaggi anche quello di
sottrarre dal tradizionale assalto alla diligenza parlamentare le entrate e
le uscite finanziarie relative a Regioni, Comuni e Province
Return
Le addizionali Irpef così come sono
state finora concepite scompariranno per lasciare il posto ad una vera
e propria compartecipazione all´imponibile da parte degli enti locali. Attualmente l´addizionale regionale va dallo 0,9 per cento
all´11,4 per cento, in futuro alle Regioni e ai Comuni andrà direttamente una
parte dell´aliquota che ciascun contribuente paga sull´imponibile. Ad
esempio, dell´aliquota massima del 43 per cento una parte, pari
a 5-8 punti, sarà ad esclusivo appannaggio dell´ente locale. Per il
cittadino non cambierà nulla, ma cambierà molto in
termini di certezze finanziarie per Regioni e Comuni
Return
Non solo Regioni, Comuni, Province e città metropolitane
potranno istituire nuovi tributi accanto alle già note Ici (l´imposta sulla casa)
o Irap (l´imposta sulle attività imprenditoriali), ma
con la riforma fiscale che sta andando in porto, i governi locali potranno
imporre alcune tasse di scopo per obiettivi ben precisi strettamente legati,
anche temporalmente, alle esigenze locali. Su scala ridotta un po´ quello che è già accaduto con l´eurotassa, introdotta,
appunto, con lo scopo di far entrare l´Italia a far parte dei Paesi di testa
che adottavano la moneta unica europea.
Return
ROMA - Quello che non piace ai consumatori è la
puntualità degli aumenti. Che per i carburanti (questa l´accusa) scattano quasi sempre in corrispondenza con grandi esodi.
Svanisce quindi l´effetto Pasqua, quando il clima tra
governo e compagnie petrolifere sembrava rasserenarsi: col ponte del 1 maggio
si torna all´antico e la benzina vola così oltre la soglia psicologica di 1,3
euro al litro, arrivando in alcuni distributori a 1,308 euro al litro, mentre
il gasolio si colloca a 1,150. Una batosta niente male per
gli automobilisti che si ritrovano a dover sopportare un esborso imprevisto
sulla strada del mare o della montagna o al ritorno verso casa.
Insomma la tregua è durata poco e gli effetti della moral suasion
messa in atto dal ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani,
sembrano essere svaniti al primo risveglio delle quotazioni del greggio.
Proprio alla vigilia del fine settimana di festa, il 6 aprile, alcune
compagnie avevano infatti annunciato cali dei
prezzi, che Bersani aveva salutato come un nuovo atteggiamento dei petrolieri
e come un nuovo slancio competitivo messo in atto dalle compagnie.
A spingere i prezzi verso l´alto ancora una volta è
stato lo sprint improvviso del prezzo del petrolio
che sulla scia del peggioramento delle scorte di carburanti americane, sabato
a New York ha chiuso a 66,45 dollari, mentre il Brent europeo è arrivato a
68,4 dollari al barile. Un incremento che in teoria -
accusano i consumatori - dovrebbe essere controbilanciato dalla performance
del super euro. La moneta unica infatti, ha
toccato nelle ultime ore ha segnato un nuovo record sul dollaro, usato per
l´acquisto di greggio.
Il ponte del primo maggio si preannuncia così più caro
del previsto per gli automobilisti, che si erano invece
potuti godere un week-end di Pasqua all´insegna dei ribassi. Secondo
il ministero dello Sviluppo economico, diverse compagnie hanno portato i
listini della verde oltre 1,3 euro. Poco sotto la soglia rimangono invece
solo due marchi: Agip ed Erg (a 1,298 euro al litro) mentre Il prezzo medio
consigliato ai gestori per il diesel è a 1,150 euro.
Return
HUGO DIXON
Le sottoscrizioni per il collocamento da 3,3 mld di
dollari della Bank of Communications (detta in breve Bocom) alla Borsa di
Shanghai, avvenuto questa settimana, avevano superato di 50 volte i titoli
disponibili. È una notizia splendida per la banca britannica HSBC, che
controlla poco meno del 20% della quinta banca cinese in ordine di grandezza
e che dal 2004 ad oggi ha visto quintuplicare a 9,5 mld di dollari il valore
dell´investimento. Ora che Bocom (quotata anche a Hong Kong) vale ben 31
volte gli utili, per HSBC potrebbe essere arrivato il momento di vendere e di
salpare verso nuove avventure, tanto più che la normativa cinese vieta al
colosso bancario britannico la possibilità di incrementare la sua
partecipazione.
Nel 2004 HSBC aveva acquisito per 1,75 mld di dollari il
19,9% di Bocom, con l´opzione di aumentare la
partecipazione al 40% se la normativa l´avesse consentito. Tuttavia,
l´ordinanza emessa il 10 aprile dalla commissione cinese di regolamentazione
bancaria, che ha riclassificato Bocom tra i "beni essenziali dello
Stato" equiparandola alle altre quattro maggiori banche cinesi, in
pratica impedirà a HSBC di esercitare l´opzione;
anzi il collocamento di Bocom a Shanghai è stato eseguito con tale fulmineità
che HSBC non ha nemmeno avuto il tempo di procurarsi le autorizzazioni per
mantenere invariata la propria quota, che così è scesa al 18,6%.
Bocom è relativamente sana, non avendo dovuto cedere
montagne di crediti inesigibili ad aziende statali, come invece è stato il
caso di molte altre banche locali. Ma c´è anche un altro spiacevole risvolto, ossia l´altissimo multiplo di quotazione del
titolo. Tenuto conto del rischio di una stretta monetaria che scardinerebbe lo stato patrimoniale dell´azienda, e di una
conseguente recessione che sgonfierebbe il valore del titolo, forse HSBC farà
bene a monetizzare i guadagni finché c´è tempo.
Martin Hutchinson
[Pesi e contrappesi]
Gli azionisti di BCE, la più grande
società canadese di telecomunicazioni, si trovano in un bel ginepraio da
quando la società si è messa in vendita: quale strategia è più efficace per
far decollare una vera asta? Se è vero che nessun
concorrente canadese può permettersi di pagare il prezzo richiesto di 40 mld
di dollari è vero anche che la legislazione canadese vieta agli stranieri di
detenere partecipazioni di controllo. L´unica soluzione sembra essere una
società di acquisizioni aziendali, ma è più facile a
dirsi che a farsi.
Per legge, infatti, il 53,4% di BCE deve appartenere a
cittadini canadesi. Poiché la più grande società
canadese, Onex, dispone di 3,5 mld di dollari, e le dieci che la seguono in
classifica possono mobilitare in tutto 5 mld, per BCE sarà difficile
individuarne due gruppi capaci di staccare ciascuno un assegno da 12 mld di
dollari, che è il minimo richiesto per assicurarsi BCE.
Solo con un´attenta gestione
della procedura di vendita il consiglio d´amministrazione di BCE riuscirà a
massimizzare il valore della società. Per centrare l´obiettivo gli
amministratori indipendenti, e l´intero gruppo dirigente di BCE, non solo non
dovranno favorire nessun aspirante acquirente, ma probabilmente selezionare e
abbinare opportunamente i potenziali partner. Quanto agli azionisti, dovranno
invece esercitare una stretta marcatura sui dirigenti e controllare che
l´asta si svolga in modo corretto. Lauren Silva (Traduzioni
a cura di MTC)
Return
di Redazione - lunedì 30 aprile
2007, 07:00
A Paul Wolfowitz, presidente della Banca mondiale, sarà
chiesto di farsi da parte: lo sostiene il Washington
Post, in vista dell’audizione di Wolfowitz in programma per oggi da parte
della commissione di inchiesta incaricata di esaminare il caso. Wolfowitz è
finito sotto indagine per aver favorito il trasferimento della propria
fidanzata dalla Banca mondiale al Dipartimento di Stato con un rilevante
aumento di stipendio (oggi pari a 200mila dollari). Prima ancora di ascoltare
Wolfowitz, la commissione della Banca mondiale avrebbe concluso
che il presidente ha agito in contrasto con le regole dell’istituto. Per
questo sarebbe orientata a chiedere al dirigente di lasciare l’incarico. Da
parte sua uno degli avvocati di Wolfowitz ha detto
che il manager non ha la minima intenzione di dimettersi.
Return
[FIRMA]ARMANDO ZENI
MILANO - Il giudizio della Borsa. L’attesa
per la «fase due» dell’operazione Telco. E
ovviamente il totonomine in Telecom Italia. Sistemata la partita del nuovo
assetto del gruppo telefonico con il sì della Pirelli alla cessione per 4,1
miliardi di Olimpia alla cordata Telco - Generali,
Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Sintonia e Telefonica - i riflettori
inevitabilmente si accendono sul futuro, che comincerà già stamane con le
reazioni della Borsa.
In Telco gli occhi sono puntati sulla ricapitalizzazione
che avverrà dopo il closing dell’operazione Olimpia, non prima di sei mesi, e
che porterà nuovi soci. Si sa che l’aumento di capitale sarà di 900 milioni
necessari per riassorbire il finanziamento ponte necessario
per arrivare ai 4,1 miliardi da liquidare a Pirelli e Benetton. E si sa che a indicare i nuovi soci sottoscrittori sarà Intesa
Sanpaolo, una primogenitura riconosciuta nei patti dove si legge che sia
proprio la superbanca a «indicare i nuovi primari investitori finanziari
italiani che potranno aggiungersi alla compagine di Telco sottoscrivendo per
cassa nuove azioni con quote singolarmente comprese tra il 2% e il 5%». Indicazione precisa, dunque: «primari investitori finanziari» a
conferma che la logica dell’intervento in Telecom costruito da Mediobanca e
da Intesa Sanpaolo sta tutta sulla sottolineatura della natura finanziaria
dei partecipanti. Ecco perchè, tra i papabili a
sottoscrivere nuovo capitale in Telco, resta in gioco la berlusconiana
Fininvest sdoganata, proprio come socio finanziario, da Corrado Passera,
mentre si allontana l’ipotesi Colaninno, troppo ex, troppo imprenditore.
Ma in prospettiva, l’idea che resta in campo è
quella di una Telecom modello public company.
Si vedrà. Per ora, dalla Ue,
arriva il disco verde, con il commissario alle tlc Viviane Reding che parla
di «segnale forte di un mercato paneuropeo delle tlc che ha cominciato a
svilupparsi» e di «mercati delle telecomunicazioni aperti e competitivi, nei
quali gli investitori siano benvenuti a prescindere dalla loro nazionalità sono
sempre la miglior ricetta per la concorrenza e gli investimenti nelle nuove
reti e servizi». L’Ue è pronta a fare la sua parte. «Continueremo ad
esercitare il nostro ruolo di guardiani dei trattati comunitari ha detto Reding - ove si richiede di garantire che il
mercato interno segua il principio di un’economia di mercato aperta, con una
concorrenza libera e transfrontaliera».
Per il commissario l’accordo su
Telecom Italia, inoltre, «sottolinea anche l’urgente necessità di assicurare
condizioni omogenee sotto il profilo dei regolamenti per gli operatori tlc in
Europa. I primi passi per una cooperazione rafforzata fra la Commissione e le
Autorithy sono già stati avviati», ma tuttavia i
questi due attori «dovranno lavorare più a contatto in futuro, come un vero
sistema europeo di regolatori indipendenti», per garantire che le regole
delle tlc non si applichino diversamente o in modo incoerente in un Paese
rispetto all’altro. Questa sarà la prima fra le priorità per la riforma delle
regole delle telecomunicazioni nell’Ue che proporrò
questa estate».
Resta l’ultimo interrogativo, dopo l’uscita di scena di
Pirelli: quanto durerà il cda di Telecom, appena rinnovato per un anno? Nel
2001, quando Tronchetti acquisì da Colaninno e
Gnutti il controllo del gruppo, i consiglieri della Bell si dimisero subito
dando spazio agli uomini Pirelli tra i quali il nuovo ad Enrico Bondi. Il
copione si ripeterà o De Conto, Gobbi e Puri Negri, uomini Pirelli,
resteranno nel cda fino al closing di ottobre? Quel
che è certo è che il vertice sarà comunque
ridisegnato col ritorno alla presidenza di Guido Rossi, l’uomo giusto per
trattare con l’Agcom il futuro della rete (passaggio chiave, subito
menzionato dal ministro Paolo Gentiloni che si è augurato che per Telecom «ci
siano le condizioni per le due sfide: la gestione della rete e la certezza
degli investimenti») e per traghettare la società verso la public company.
Non ancora deciso chi sarà - se un nome nuovo o uno tra i tre che circolano:
Colao, Caio, Bernabè - il supermanager da affiancare
a Rossi come amministratore delegato.
Return
[FIRMA]ALESSANDRO BARBERA
ROMA - Un’ora e mezza, faccia a faccia,
nello studio-mansarda nella casa del premier a Bologna. Ufficialmente ieri il
ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa è approdato nei pressi di
Piazza Santo Stefano «di passaggio» da Roma verso Milano, dove oggi
parteciperà a un forum italo-russo. Ufficialmente -
riferiranno entrambi - l’incontro è servito a discutere del «programma dei
prossimi mesi». Ma chiuso il caso Telecom sul governo incombono scadenze
tutt’altro che lontane: la trattativa con i sindacati sulla riforma dello
stato sociale, delle pensioni, e quanto destinare ad essa
del cosiddetto «tesoretto». L’incontro, benché fra amici di lunga data,
avrebbe avuto toni franchi e confermato che sul nodo delle risorse i due non
la vedono allo stesso modo. Il ministro dell’Economia insiste nel voler
destinare al risanamento circa due terzi delle maggiori entrate fiscali come
chiedono le istituzioni europee, il premier chiede
uno sforzo maggiore. Padoa-Schioppa va dicendo da settimane che
l’extragettito non supererà gli otto miliardi di euro,
dunque per la trattativa ci sarebbero a disposizione circa due miliardi e
mezzo. In realtà è possibile che a giugno, quando si avranno i dati
sull’autotassazione, la cifra sia più alta. Prodi ci conta
per non creare problemi a una coalizione che a sinistra è terremotata dalla
nascita del Partito democratico. Nel governo c’è chi azzarda che per non far
saltare la concertazione siano necessari circa cinque miliardi.
Il primo problema da risolvere è quello degli statali:
nonostante un primo via libera politico, la trattativa sul rinnovo del
contratto si è arenata sulla direttiva che fissa al 4,46% gli aumenti degli
integrativi. Sul tavolo del premier da venerdì c’è
una lettera firmata dai tre leader confederali di Cgil, Cisl e Uil. Nella
sostanza Epifani, Bonanni e Angeletti chiedono che si trovi una soluzione,
diversamente sarebbe a rischio tutta la
concertazione che ufficialmente ripartirà il 9 maggio. I sindacati si
aspettano per questa settimana una convocazione: sul tavolo c’è una richiesta
che a spanne potrebbe far salire di almeno 500 milioni la spesa per il 2008
già stimata in 3,7 miliardi. Sia il Tesoro che i sindacati
rivendicano il rispetto degli accordi, sui quali si è creato evidentemente un
malinteso. Carlo Podda, segretario della Funzione pubblica Cgil, dice che se il tetto non sarà rivisto c’è il rischio che
venga rispettato solo per i ministeriali.
L’altra grande incognita è la riforma delle pensioni.
Nonostante ormai da mesi governo e sindacati si consultino
riservatamente, non c’è ancora l’accordo su come rimuovere il cosiddetto
«scalone», il meccanismo che il primo gennaio 2008 farebbe salire l’età
pensionabile da 57 a 60 anni. Le parti sono ormai favorevoli a un meccanismo che gradualmente (di un anno ogni due)
farebbe salire l’età fino a 62 anni. Nello schema messo a punto dal ministro
del Lavoro Cesare Damiano però il primo gennaio l’età salirebbe solo a 58
anni, mentre Padoa-Schioppa insiste perché si arrivi almeno a 59 anni. A
regime l’ipotesi Damiano costerebbe circa tre miliardi di euro
in più. I tecnici del Tesoro fanno notare che tutto è possibile,
ma ogni maggior spesa contribuirebbe a far scendere la dote del
«tesoretto». C’è poi lo scoglio dei «coefficienti di trasformazione», cioè di come applicare il meccanismo che inciderà sui
rendimenti delle pensioni future, cioè dei più giovani. Il ministro
dell’Economia insiste perché si rispetti la previsione della Legge Dini (che
vorrebbe tagliarli del 6-8%), i sindacati sono contrarissimi. Damiano e
Rifondazione Comunista sono favorevoli a un compromesso
che al momento non convince il Tesoro: applicare da quest’anno la revisione
dei coefficienti solo per gli stipendi sopra i 1.500 euro. Una possibile
contropartita per non far lievitare la spesa potrebbe essere l’aumento
graduale dell’età pensionabile per le donne. Ma i
favorevoli - Padoa-Schioppa e la Margherita - hanno già ricevuto il no di
Rifondazione, sindacati e dello stesso Damiano.
Return
Francesco Manacorda
Quanto c’è di merito e quanto di metodo nel malcontento
dei soci di Mittel verso i veneti della Palladio e i
bresciani di Fingruppo esternato pochi giorni fa da Giampiero Pesenti? Una
cosa è certa: se un personaggio riservato come il presidente di Italmobiliare si spinge a dichiarare che un altro
campione di understatement come il presidente di Mittel Giovanni Bazoli era
«molto seccato» per il fatto che Emilio Gnutti e soci abbiano deciso
all’improvvisa di rompere le trattative con loro e chiuderle invece con la
Palladio, allora in casa Mittel la rabbia e l’indignazione sono davvero
forti. Del resto, sempre Pesenti, ha tacciato i contraenti dell’accordo di
«un modo di agire non usuale, che non fa onore». Rimbrotti accolti con
stupore e sconcerto da chi è chiamato in causa. Non
tanto da Gnutti e dal suo vice Ettore Lonati, che alla fine all’immagine di
«cattivi ragazzi» della finanza nostrana hanno fatto
il callo, quanto dai veneti della Palladio. Presenti sabato all’assemblea delle Generali, con uno 0,4% della compagnia del Leone in
mano alla neonata Ferax - un altro segno di crescita della finanziaria del
Nord Est - i vertici di Palladio si sono ben guardati dal commentare le
dichiarazioni di Pesenti. Ma fonti vicine alla trattativa - una trattativa
non proprio lampo - tra i bresciani e la Palladio
spiegano che non di un blitz si è trattato, ma di un negoziato del quale
Mittel non è stata tenuta all’oscuro. Forse le lamentele
della finanziaria guidata da Bazoli più che per il singolo caso possono essere
prese come esempio di un rammarico più generale per un modello di
«capitalismo relazionale» basato molto sui rapporti personali che sembra non
funzionare più come un tempo. Potrebbe essere anche una buona notizia
ma è un po’ duro aspettarsi che la rivoluzione in positivo
dei comportamenti della finanza italiana venga da Gnutti e compagni.
Return
[FIRMA]MARCO FROJO
Sorpresa: c’è una forte presenza italiana nel
portafoglio della svizzera Pictet, una delle banche private più esclusive. Se
si guarda alla composizione del portafoglio delo fondo europeo, si scopre che
la Borsa italiana figura al terzo posto, con una quota del 13,2 % rispetto alla Francia (il 15,9%, ma su una Borsa ben
più capitalizzata) e alla Germania, il 24,2 per cento. Niente male, visto che
la Spagna, così di moda, non supera il 7%. Eppure il fondo Continental
European Equities, è gestito da Gurdeep Bumbra, uno che ha battuto gli indici
negli ultimi tre anni, ha eletto Unicredit tra le scelte preferite, cui si aggiungono Banco Popolare di Verona e Novara, Astaldi e
Danieli.
Per scegliere i titoli - spiega
la banca - slezioniamo i valori che risultano essere interessanti, senza
tener conto della crescita del cash flow. Poi analizziamo le prospettive di crescita.
Infine andiamo a vedere se il titolo è sottovaluto rispetto al benchmark, sia
esso un settore o un’area geografica. Per il 2007 siamo scettici sui
tecnologici e sulle materie prime». La scelta di Bpvn, Astaldi e Danieli, si
deve al fatto che «l’istituto bancario è senza dubbio ben gestito. Astaldi perché, a giudicare dalle commesse, crediamo che il
fatturato sia destinato ad un forte aumento, che si rifletterà anche sui
profitti: ci aspettiamo che il margine operativo lordo raggiunga il 25% nel
2010». Per quanto riguarda infine Danieli «Prima di tutto i 400 milioni di cassa, che da soli rappresentano
il 70% dell’intera capitalizzazione. A questo si aggiunga poi il fatto
che il portafoglio ordini della società siderurgica è
molto forte, cosa che fornisce una buona visibilità sull'andamento futuro degli affari. Senza dimenticare
le risparmio, che presentano un ulteriore sconto del
30% rispetto alle ordinarie».
Return
da LA
VOCE.INFO del 26-04-2007
Bruno Mangiatordi
La normativa sui fondi pensione contiene numerose aporie
che presto o tardi dovranno essere oggetto di riflessione. Un aspetto merita
tuttavia un’attenzione immediata per i riflessi negativi che determina per la
credibilità del sistema: si tratta delle
anticipazioni che gli iscritti ai fondi pensione possono richiedere nel corso
del periodo di accumulazione della posizione previdenziale.
Quando si può chiedere
l’anticipo
La materia è disciplinata dall’articolo
11, commi 7, 8, 9, e 10, del decreto legislativo 252/05. Le
disposizioni prevedono che gli aderenti ai fondi pensione possano richiedere
un’anticipazione della posizione individuale maturata nei seguenti casi:
a) in qualsiasi momento, per un importo non superiore al
75 per cento, per spese sanitarie in seguito a gravissime situazioni relative allo stesso aderente, al coniuge e ai figli;
b) decorsi otto anni di iscrizione
per un importo non superiore al 75 per cento per l’acquisto della prima casa
per sé o per i figli, documentato con atto notarile, o per interventi di
ristrutturazione della prima casa, anch’essi debitamente documentati;
c) decorsi otto anni di iscrizione,
per un importo non superiore al 30 per cento per ulteriori esigenze.
Dunque, la normativa si limita a prevedere solo che le
somme percepite a titolo di anticipazione non
possano mai eccedere, complessivamente, il 75 per cento del totale dei
versamenti effettuati al fondo pensione, comprese le quote del Tfr,
maggiorate delle plusvalenze realizzate a decorrere dalla prima iscrizione
alla previdenza complementare.
Regime estremamente liberale
È un regime estremamente
liberale e, seppure nei limiti del 30 per cento del montante accumulato, vi
si può far ricorso anche per esigenze dei familiari e senza obbligo di
motivazione. Ciò è stato spiegato con la necessità di garantire un
allineamento con il regime altrettanto liberale delle anticipazioni sul
trattamento di fine rapporto, identificato come la fonte principale di
finanziamento delle previdenza complementare.
Tuttavia, le anticipazioni sul Tfr sono ricollegate a un obbligo di motivazione. Mentre potrebbe essere
tutt’altro che marginale l’ipotesi di un iscritto a
un fondo pensione che, magari immediatamente prima del pensionamento e quindi
dopo aver accumulato un considerevole montante, decida di prelevare il 30 per
cento del proprio risparmio previdenziale e utilizzarlo per fini di
liquidità. Una generalizzata diffusione di tale fenomeno si porrebbe in netto
contrasto con l’intento del legislatore di finalizzare il sistema della previdenza complementare all’esigenza di
"assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale". (1)
A maggior ragione, la possibilità di garantirsi una
rendita pensionistica complementare per l’età anziana sarebbe quasi del tutto compromessa, qualora un numero cospicuo di
lavoratori dovesse richiedere anticipazioni fino ad assorbire il 75 per cento
del montante accumulato. La preoccupazione deve essere stata presente al
legislatore stesso, tant’è vero che ha previsto la facoltà per l’iscritto di
reintegrare in qualsiasi momento l’anticipazione ottenuta.
Peraltro, il regime fiscale previsto per le
anticipazioni (con esclusione di quello delle anticipazioni per motivi di
salute), pur essendo meno favorevole rispetto a quello
previsto per le prestazioni pensionistiche, contempla comunque un’aliquota
più bassa (23 per cento) rispetto alla aliquota media applicata al Tfr. È
lecito quindi chiedersi come i benefici fiscali di cui godono gli iscritti ai
fondi pensione si giustifichino qualora l’aderente si avvalga
della facoltà di richiedere anticipazioni. (2)
A garanzia sui prestiti
Inoltre, il comma 10 del già citato articolo 11 del Dlgs
252/05 prevede, in analogia con quanto è previsto nella disciplina del Tfr,
che i crediti relativi alle somme oggetto di
anticipazione (con esclusione di quelle per motivi di salute) non siano
assoggettati ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.
In concreto, ciò significa che i lavoratori che
intendessero stipulare contratti di finanziamento caratterizzati dalla
restituzione del prestito mediante cessione di quote dello stipendio
(cosiddetta "cessione del quinto") potrebbero garantire tale debito
cedendo a chi eroga il prestito i diritti di credito che vantano verso le
forme di previdenza complementari cui aderiscono,
inclusi i diritti a godere di anticipazioni in caso di acquisto di abitazione
o di ulteriori esigenze. È chiaro che dovrà essere regolata la modalità
attraverso cui rendere coerente un’eventuale richiesta di anticipazione
per l’acquisto o la ristrutturazione della casa con l’altrettanto eventuale
escussione del credito.
Tuttavia, appare evidente che si determina un palese
contrasto tra la finalità previdenziale perseguita attraverso l’iscrizione a un fondo pensione e le esigenze di tutt’altra natura che
inducono a sottoscrivere un contratto di prestito per il quale lo stesso
risparmio previdenziale può essere concesso in garanzia. E
non entro il quinto della prestazione, come accade per la pensione
obbligatoria e anche per quella complementare una volta convertito in rendita
il montante, ma nei limiti, potenzialmente anche assai superiori, del 75 per
cento della posizione previdenziale complessiva, se l’iscritto esercita il
diritto all’anticipazione per l’acquisto o la ristrutturazione della prima
casa. Naturalmente, si può estendere anche a questa fattispecie la
riflessione sull’incentivo fiscale che accompagna la contribuzione ai fondi
pensione.
Lasciando da parte le considerazioni sul fenomeno dei
prestiti con cessione del quinto, praticati a tassi d’interesse in media pari
al 10,23 per cento (3), resta la seria perplessità sulla coerenza di un
sistema che consente ai lavoratori aderenti ai fondi pensione di disporre, ben
prima del pensionamento, del risparmio previdenziale con un tale margine di
libertà.
È certamente difficile intervenire ora con una norma
senza alterare il calcolo di convenienza di quanti pensano di
aderire ai fondi pensione o l’hanno già fatto. Spetta dunque alle istituzioni
competenti e agli stessi fondi pensione il compito di sensibilizzare i
lavoratori sulle gravi ripercussioni che un eccessivo ricorso alle
anticipazioni determinerebbe sulle loro aspettative
di copertura pensionistica.
(1) Articolo 1, comma 1, del Dlgs 252/05.
(2) I benefici fiscali vanno dalla
deducibilità dei versamenti annuali, entro l’ammontare di 5.164,70 euro, alla
tassazione agevolata sui rendimenti.
(3) Rilevazione trimestrale
ottobre–dicembre 2006 del Dipartimento del Tesoro sui tassi effettivamente
praticati dalle banche e finanziarie ai fini della legge antiusura.
-Mario Monicelli-
Return