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news fabi anno VIII – giovedì 14 giugno 2007 2007

 

rassegna stampa quotidiana riservata alle strutture

 

a cura di Bruno Pastorelli

Se riscontrate anomalie, nei collegamenti comunicatelo a: b.pastorelli@fabi.it, grazie.

 

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Così disse

 

IL GIORNALE 13-06-2007. 3

Mazzotta e Leoni in Bankitalia. 3

 

LA NAZIONE/Prato giovedì 14 giugno 2007. 4

TROPPI straordinari e poco personale. I lavoratori di Cariprato sono in fibrillazione

 

LA REPUBBLICA/Palermo GIOVEDÌ, 14 GIUGNO 2007. 4

L´EMERGENZA - Nel mirino il Bds di Borgetto, la Coop di via Vigo, un carico Galbani - Banca, market, furgone tre rapine in poche ore. 4

 

LA REPUBBLICA/Palermo GIOVEDÌ, 14 GIUGNO 2007. 5

LA VERTENZA - Fusione Capitalia sos dei sindacati 5

 

GIORNALE DI SICILIA – CRONACA DI PALERMO – PRIMA PAGINA – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2007. 5

RAID AL BDS. DUE MALVIVENTI IRROMPONO NELL’AGENZIA DI VIA EMPEDOCLE RESTIVO. RAPINA IN BANCA, IMPIEGATA MALMENATA. QUARANTUNESIMO ASSALTO DAL’INIZIO DELL’ANNO, I SINDACATI PROTESTANO. “LA SITUAZIONE E’ AL COLLASSO”. 5

 

LA SICILIA – PALERMO – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2006. 6

CRIMINALITA' - Rapinata una filiale del BdS. Fabi: «Situazione al collasso». 6

 

GIORNALE DI SICILIA – ECONOMIA – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2007. 6

DEFINITI GLI IMPORTI DA CORRISPONDERE AI CIRCA 6.400 LAVORATORI DELL’ISTITUTO. NELLA BUSTA PAGA DI GIUGNO SARANNO INSERITI MEDIAMENTE 1.800 EURO IN PIU’. CREDITO, INTESA AL BANCO DI SICILIA SUL PREMIO AZINDALE PER IL 2006. RAFFICA DI INCONTRI ALL’ARS SULLE CONSEGUENZE DELLA FUSIONE UNICREDIT-CAPITALIA. 6

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 7

BUCHI E SPESE DOVUTE - Allarme spese, tesoretto ridotto un decreto per le pensioni basse - Manovra per ministeri e infrastrutture. Monito Ue sui conti - Il grosso dei 5 miliardi disponibili andrà a esborsi inderogabili - Il governo prepara le misure di fine giugno. Oggi vertice dell´Unione - Produttività, duecento milioni per la detassazione degli straordinari - Tra il 2000 e il 2004 il reddito sfuggito al fisco è cresciuto del 29,6 per cento. 7

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 8

L´Agenzia delle Entrate stima l´imponibile Iva sottratto. La vera pressione fiscale è del 50,7% - L´evasione sfonda i 270 miliardi in tasse metà del reddito degli onesti 8

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 9

L´Istat si "corregge" inflazione all´1,5% - IL DATO. 9

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 9

"Aggiotaggio su Parmalat" banche estere a processo - Sotto tiro Ubs, Citigroup, Deutsche, Morgan Stanley - Il giudice dispone il rinvio a giudizio anche di tredici loro dirigenti. La causa a gennaio. 9

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 10

Geronzi e manager Capitalia rischiano il rinvio a giudizio - E a Parma si decide sul crac Ciappazzi - l´inchiesta - L´accusa: hanno divulgato notizie false per poter piazzare i bond del gruppo - Il pm Greco: "La speranza è che i risparmiatori possano avere un risarcimento" 10

 

LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007. 11

Italease, la Consob continua l´indagine titolo giù del 5%.. 11

 

da Finanza&Mercati del 14-06-2007. 12

Valzer di soci per Carige. Ai blocchi passa il 10% - Giallo sul passaggio di quote avvenuto ieri fuori mercato. Possibile un alleggerimento di WestLb e Fondazione Cr Genova. Secondo rumor l’acquirente sarebbe Mps, che smentisce. 12

 

da Finanza&Mercati del 14-06-2007. 12

Parmalat, 4 big del credito rinviati a giudizio a Milano - Db, Morgan Stanley, Ubs e Citigroup a processo da gennaio per aggiottaggio. Il gup Tacconi: «Anche per loro è valida la legge italiana». Decisione storica: si ribalta la vicenda Eurofood che ora potrebbe riaprirsi 12

 

da Finanza&Mercati del 14-06-2007. 13

TI spinge sulla rete. L’Ue dà l’ok alla Telco. 13

 

da Finanza&Mercati del 14-06-2007. 14

Eurizon sospesa tra Ipo e Banca dei territori 14

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 33. 14

PIAZZETTA CUCCIA - Mediobanca, «squadra corta» per il consiglio di gestione. 14

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 34. 15

I manager - Unicredit-Capitalia, primo meeting a Torino. 15

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 34. 15

PUBBLICO IMPIEGO - Authority anti-fannulloni, lo stralcio di Santagata. 15

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 37. 16

«Banche e fondi? Serve la geometria variabile» Messori (Assogestioni): il conflitto di interessi va superato senza dogmi 16

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 17

Quei banchieri d’affari in slalom tra crac, fusioni e politica. 17

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 18

«Patto tra Fondazioni? Non è detto». 18

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 19

Fiorani scrive agli ex dipendenti 19

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 19

Patuelli: «Via Nazionale può indennizzare i soci». 19

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 20

Crac Parmalat, quattro banche a processo. 20

 

IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007. 20

Cirio chiede 329 milioni a Deloitte e Cragnotti 20

 

LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007. 21

Tasse, sugli onesti pressione al 50% - Dal 1980 a oggi il sommerso è cresciuto in maniera esponenziale. 21

 

LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007. 22

Dpef e pensioni, accordo lontano - Rifondazione vuole trasformare i contratti a tempo nell’anticamera dell’assunzione - Monito Ue «Il risanamento sia più rapido. L’extragettito? Forse non è strutturale» Sgravi Anche il piano casa, taglio dell’Ici compreso, tra le priorità dell’esecutivo - Dpef e pensioni - La trattativa Oggi l’incontro dei capigruppo di maggioranza - Domani il vertice con i sindacati 22

 

LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007. 23

Per i veti incrociati la discussione potrebbe slittare a settembre - E il nodo “scalone” rischia il rinvio. 23

 

LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007. 24

L’ACCUSA È AGGIOTAGGIO. A LUGLIO LA DECISIONE SU BANK OF AMERICA - Parmalat, 4 banche a processo. 24. 25

 

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IL GIORNALE 13-06-2007

Mazzotta e Leoni in Bankitalia

di Redazione - mercoledì 13 giugno 2007, 07:00

Visita in Bankitalia del presidente di Bpm Roberto Mazzotta e dell’ad di Bper, Guido Leoni. Al centro le nozze tra i due gruppi approvate dai rispettivi cda per dare vita dalla Popolare delle Regioni. Dopo l’estate ci sarà il definitivo vaglio dei soci ma tra Milano e Modena continuano le trattative per definire alcuni aspetti della governance e delle dinamiche assembleari. Temi su cui si sono già concentrate le critiche dell’Associazione Amici della Bipiemme, l’ente attraverso cui i sindacati esprimo 16 dei 20 consiglieri di Popolare Milano. Perplessità consivise da Fabi, Fisac-Cgil e Fiba-Cisl che ieri hanno ribadito come l’operazione sia caratterizzata «da ombre senza luci». Ma nel corpus sindacale restano posizioni anche lontane tra loro.

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LA NAZIONE/Prato giovedì 14 giugno 2007

TROPPI straordinari e poco personale. I lavoratori di Cariprato sono in fibrillazione ...

TROPPI straordinari e poco personale. I lavoratori di Cariprato sono in fibrillazione per le carenze della pianta organica e le prossime aperture, previste entro agosto (dovrebbero essere sette sportelli), agitano ancora di più i sindacati che nel frattempo devono anche fare i conti con le fughe in avanti della sigla indipendente Falcri.

I rappresentanti dei dipendenti sono preoccupati perché secondo loro mancano 50 persone per completare l’organico. La politica della banca di aprire nuove filiali assumendo solo una parte del nuovo personale ed attingendo poi dalle risorse interne, per i sindacalisti ha impoverito troppo sia la sede centrale che altre filiali, tanto che «senza straordinari — denunciano — molti sportelli sarebbero in grande difficoltà. Ma non si può andare avanti con 70mila ore di lavoro extra all’anno». I sindacati chiedono alla banca di fare un maggior numero di assunzioni per coprire anche le carenze provocate da corsi di formazione e ferie. La Falcri, la federazione autonoma dei lavoratori del credito, ha addirittura promosso una raccolta di informazioni sulle difficoltà all’interno degli sportelli, a partire dalla sede centrale. In più ha inviato una lettera alla direzione mercati e a quella delle risorse umane.

L’INIZIATIVA però non è piaciuta alle altre sigle sindacali che ieri hanno rilanciato la vertenza precisando che i problemi, come «gli straordinari in pausa pranzo, l’incertezza dell’orario di lavoro e l’utilizzo fuori dal ruolo», non riguardano soltanto la sede centrale ma tutti: «La situazione è generalizzata — hanno scritto Fabi, Fiba-Cisl e Fisac-Cgil — e quindi servono soluzioni ed iniziative che coinvolgano tutti i lavoratori. Altrimenti si fanno solo azioni propagandistiche e demagogiche, rischiando di creare fra colleghi l’idea che in Cariprato esistano situazioni lavorative di serie A e di serie B». Poi l’attacco alla Falcri si fa più diretto: «Ancora una volta dimostra nei fattidi non avere alcun rispetto per l’unità sindacale in Cariprato, si muove isolatamente non condividendo azioni che invece, se portate avanti tutti insieme, avrebbero più forza, efficacia ed utilità». Leonardo Biagiotti 

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LA REPUBBLICA/Palermo GIOVEDÌ, 14 GIUGNO 2007

L´EMERGENZA - Nel mirino il Bds di Borgetto, la Coop di via Vigo, un carico Galbani - Banca, market, furgone tre rapine in poche ore 

In città e in provincia, senza un giorno di tregua, si susseguono gli assalti a istituti di credito, supermercati e corrieri in servizio di consegna. Ieri le rapine sono state messe a segno tutte durante la mattinata. Quella con il bottino più alto - ottomila euro - ha avuto come obiettivo, intorno alle 11, la filiale del Banco di Sicilia di Borgetto. Due uomini con cappellino e occhiali da sole hanno fatto irruzione nell´agenzia e, pur senza mostrare armi, hanno minacciato clienti e impiegati. In pochi minuti, sono riusciti a farsi consegnare i soldi e a fuggire senza lasciare traccia. Sul colpo indagano i carabinieri.

Con quella di ieri, le rapine al Banco di Sicilia salgono a quota 42, con sette tentativi falliti. Più di 800 mila euro sono finiti nelle casse della malavita. L´ultima rapina ai danni del Bds, prima di quella di ieri, era stata messa a segno lunedì scorso all´agenzia 9 di via Empedocle Restivo: qui un´impiegata fu presa a pugni perché il bottino di 1.500 euro era parso ai banditi troppo povero. «Un assalto ogni tre giorni, con dipendenti feriti e clienti terrorizzati - denunciano i sindacati Fabi, Fiba e Fisac Cgil - è una media impressionante e una situazione da incubo, che deve indurre tutti i soggetti interessati a interventi urgenti».

In città i rapinatori hanno preso di mira un esercizio commerciale e hanno assaltato un furgone carico di prodotti alimentari. In via Leonardo Vigo, alle spalle di via dei Cantieri, intorno alle 12,30 due ragazzi hanno fatto irruzione nel supermercato Coop e dopo aver mostrato una pistola a un´impiegata, hanno preso i soldi in cassa. Intascati 175 euro, la coppia è fuggita a bordo di uno scooter. In via Cristoforo Scobar, alla Noce, un rappresentante della Galbani è stato aggredito alle spalle da tre rapinatori. Si accingeva a fare una consegna quando è stato bloccato da due uomini, mentre un terzo complice pensava a svuotare il furgone dalla merce, salumi e formaggi.

Presa la refurtiva, il rappresentante è stato privato del telefonino, spinto nel furgone e chiuso dentro. Soltanto quando si è reso conto che i tre erano ormai lontani, si è liberato, raggiungendo la cabina guida. Poi ha chiamato il 113. Sugli ultimi due assalti indaga la sezione Prevenzione generale della polizia. Carla Incorvaia 

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LA REPUBBLICA/Palermo GIOVEDÌ, 14 GIUGNO 2007

LA VERTENZA - Fusione Capitalia sos dei sindacati 

«Siamo molto preoccupati per le ricadute dell´operazione Unicredit-Capitalia sul personale del Banco di Sicilia, con duemila lavoratori a rischio, 500 solo a Palermo». È l´allarme lanciato dai sindacati del Bds, dopo l´audizione ieri alla commissione Finanze dell´Ars. «L´assessore al Bilancio, Guido Lo Porto - denunciano i sindacati Fisac-Cgil, Fisa-Cisl, Fabi, Uilca-Uil, Falcri, Sinfub, Dircredito e Lai-Cisl - si è detto all´oscuro di quanto sta accadendo al Banco». Secca la replica di Lo Porto: «Non ho mai detto queste parole e ho criticato il loro disfattismo». 

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GIORNALE DI SICILIA – CRONACA DI PALERMO – PRIMA PAGINA – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2007

RAID AL BDS. DUE MALVIVENTI IRROMPONO NELL’AGENZIA DI VIA EMPEDOCLE RESTIVO. RAPINA IN BANCA, IMPIEGATA MALMENATA. QUARANTUNESIMO ASSALTO DAL’INIZIO DELL’ANNO, I SINDACATI PROTESTANO. “LA SITUAZIONE E’ AL COLLASSO”.

Riaprono le banche dopo il fine settimana e subito scatta un nuovo assalto. Una rapina violenta, durante la quale il bandito forse insoddisfatto per l'entità del bottino (circa 1500 euro) ha mollato un pugno ad un'impiegata.

Il colpo è stato messo a segno dopo appena quattro giorni dalle ultime rapine alla filiale del Banco di Sicilia di Balestrate e alla Banca Antonveneta di via Serradi-falco. Siamo così arrivati al quarantunesimo assalto tra città e provincia dall'inizio dell'anno,     Questa volta i banditi hanno preso di mira l'agenzia del Banco di Sicilia in via Empedocle Restivo. Due rapinatori a volto scoperto intorno alle 15 hanno atteso che si allontanasse il metronotte che fa servizio parziale presso la filiale ed hanno fatto irruzione nei locali, minacciando clienti e impiegati senza però mostrare armi. Non sapevano che la filiale è dotata del sistema «roller cash», cassetti blindati che consentono solo il prelievo del contante legato all'operazione in corso. I malviventi non hanno reagito per niente bene a questa contromisura adottata dall'istituto di credito. Credevano che ci fosse comunque il modo di poter arraffare altri soldi e nel tentativo di farsi aprire i cassetti, hanno malmenato e colpito con un pugno una dipendente che si trovava alla cassa. Subito dopo sono scappati facendo perdere le tracce. L'allarme è scattato immediato ma quando sono arrivate le prime volanti in via Restivo, i malviventi erano spariti dalla circolazione. Per tutto il pomeriggio gli agenti della scientifica hanno svolto diversi accertamenti nell'agenzia per rintracciare eventuali impronte digitali lasciate dai banditi. Le indagini sono condotte dai poliziotti della sezione antirapine della squadra mobile.

Secondo Gabriele Urzì, rappresentante della sicurezza della Fabi e Giuseppe Angelini dell'osservatorio sicurezza del Banco di Sicilia, «Ormai la situazione è al collasso - dichiarano -. Nonostante i provvedimenti adottati dalle banche, Banco di Sicilia compreso, non si è riusciti a risolvere definitivamente il problema. Non possiamo consentire che si metta ancora a repentaglio l'incolumità dei colleghi. È assolutamente necessario che si ripristinino le guardie armate in tutte le filiali, in quanto l'88 per cento delle filiali rapinate era sprovvista di metronotte». L G.

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LA SICILIA – PALERMO – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2006

CRIMINALITA' - Rapinata una filiale del BdS. Fabi: «Situazione al collasso»

La filiale del Banco di Sicilia in via Restivo è stata rapinata da due banditi che hanno portato via 1.500 euro. La filiale è dotata del sistema «roller cash» che consente di prelevare il denaro in cassa solo se è in corso una operazione allo sportello. I malviventi hanno anche picchiato un impiegato per farsi aprire gli altri cassetti della banca prima di fuggire. Quello di ieri è il 41/simo colpo dall'inizio dell'anno ai danni di banche palermitane. «La situazione è ormai al collasso - ha detto Gabriele Urzì, rappresentante della sicurezza della Fabi - Nonostante i provvedimenti adottati dalle banche, Banco di Sicilia compreso, non si è riusciti a risolvere definitivamente il problema».

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GIORNALE DI SICILIA – ECONOMIA – MARTEDI’ 12 GIUGNO 2007

DEFINITI GLI IMPORTI DA CORRISPONDERE AI CIRCA 6.400 LAVORATORI DELL’ISTITUTO. NELLA BUSTA PAGA DI GIUGNO SARANNO INSERITI MEDIAMENTE 1.800 EURO IN PIU’. CREDITO, INTESA AL BANCO DI SICILIA SUL PREMIO AZINDALE PER IL 2006. RAFFICA DI INCONTRI ALL’ARS SULLE CONSEGUENZE DELLA FUSIONE UNICREDIT-CAPITALIA.

PALERMO. Definiti gli importi del premio aziendale per i dipendenti del Banco di Sicilia, riferito all'esercizio 2006, che sarà corrisposto ai 6.400 lavoratori dell'istituto nella busta paga di giugno. II premio, mediamente di 1.550 euro pro capite, sarà aumentato di una somma a titolo di liberalità di 250 euro erogate in occasione del quinto anno di attività del Gruppo Capitalia. Mediamente arriveranno, quindi,1.800 euro nelle buste paga dei dipendenti. Il premio sarà parametrato a seconda dei gradi e tiene conto dell'impegno profuso dal  personale per il raggiungimento degli incrementi di produttività e redditività registrati nel gruppo Capitalia (vedi la tabella a lato). L'importo va dai 976 euro del primo livello ai 4.166 del direttore di sede. Otto i «livelli» dei quadri che prenderanno da un minimo di 1.586 euro a 3.139 euro. Mentre i dirigenti avranno da 3.139 euro a 3.416 euro (gli ex vice direttori). Infine, ai direttori andranno 3.977 euro. Secondo Carmelo Raffa e Gabriele Urzì, dirigenti nazionali della Fabi, l'accordo sottoscritto «è soddisfacente, in quanto è molto vicino agli obiettivi che il sindacato si era prefissato di conseguire e tiene conto delle performance ottenute, nell'ambito di Capitalia, dal Banco di Sicilia. Confidiamo ora di potere rapidamente concludere altre importanti trattative, a partire da quelle sugli inquadramenti e sui ruoli chiave».

Intanto, ieri, i responsabili nazionali di Fabi, Fisac-Cgil e Fiba-Cisl (rispettivamente Carmelo Raffa, Francesco Re e Gino Sammarco) hanno incontrato il presidente del gruppo parlamentare dei Ds all'Ars, Anjonello Cracolici, e successivamente i capigruppo di An Salvino Caputo e di Uniti per la Sicilia Maurizio Ballistreri. I sindacalisti hanno illustrato loro le ragioni della «forte preoccupazione per i lavoratori del Banco di Sicilia in merito all'operazione di fusione Unicredit-Capitalia». I sindacalisti oggi incontreranno i presidenti dei gruppi dell'Udc e della Margherita. Domani i sindacati saranno ascoltati dalle commissioni congiunte Bilancio e Lavoro dell'Ars e in quella sede chiederanno, tra l'altro, che il Parlamento siciliano «approvi una mozione che tuteli i livelli occupazionali, salvaguardi i centri direzionali nell'isola e continui a dare tutte le tutele ai 550 lavoratori del gruppo Capitalia che prestano attività a Palermo in Capitalia Informatica, Capitalia Holding, Capitalia Solutions». Cracolici ha affermato che «mantenere la quota della Regione nel gruppo Unicredit-Capitalia ha senso solo se si riesce a sostenere una politica del credito che aiuti davvero la Sicilia». AN. ME.

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

BUCHI E SPESE DOVUTE - Allarme spese, tesoretto ridotto un decreto per le pensioni basse - Manovra per ministeri e infrastrutture. Monito Ue sui conti - Il grosso dei 5 miliardi disponibili andrà a esborsi inderogabili - Il governo prepara le misure di fine giugno. Oggi vertice dell´Unione - Produttività, duecento milioni per la detassazione degli straordinari - Tra il 2000 e il 2004 il reddito sfuggito al fisco è cresciuto del 29,6 per cento

ROBERTO PETRINI

ROMA - Pensioni basse e infrastrutture: ceti deboli e sviluppo. Sarà questa con tutta probabilità la destinazione del «tesoretto» effettivamente spendibile a favore dell´economia e ridotto ormai a soli 2,5 miliardi (quelli annunciati dalla Trimestrale di cassa nei mesi scorsi). A dare il via libera alla manovra, dopo la due giorni di incontri del premier Prodi che comincia oggi con un vertice di maggioranza e prosegue domani con le parti sociali, sarà entro fine mese il varo di un decreto e del bilancio di assestamento contenente le nuove stime sull´extragettito (stimato intorno ai 5 miliardi).

La manovra - oggetto di un pranzo a Palazzo Chigi tra Prodi e i ministri economici - si concretizzerà in un decreto legge e prevederà la spesa di 700-900 milioni per le pensioni minime e di circa 1-1,5 miliardi per gli investimenti in opere pubbliche dalle strade , alla Tav alle Ferrovie. Il resto dell´extragettito e cioè gli altri 2-2,5 miliardi sarà sacrificato invece al ripiano dei conti pubblici 2007: una mini-manovra correttiva che attingerà al surplus fiscale infatti rappresenterà l´altra parte del decreto legge. Nel menù dovranno trovare spazio le risorse per i ministeri, quelle per i debiti pregressi di alcune amministrazione (ad esempio, le scuole che devono pagare la Tarsu), probabilmente un minor gettito previsto dagli studi di settore, oltre al finanziamento dell´intervento sul cuneo fiscale per banche e assicurazioni.

Non resteranno tuttavia a bocca asciutta i pensionati: il governo è intenzionato ad andare avanti sull´aumento, a partire da metà anno, delle pensioni basse intorno ai 500 euro con un aumento di 50-70 euro dal costo inferiore al miliardo, a varare qualche misura per gli ammortizzatori sociali e a disporre 200 milioni per la detassazione degli straordinari.

Sulla due giorni del governo e sul ministro dell´Economia Padoa-Schioppa intanto si esercita la doppia pressione dell´ala sinistra della maggioranza e degli organismi internazionali. Prc, Verdi, Pdci e Sinistra democratica ieri hanno riunito i capigruppo per chiedere l´abbattimento dello scalone di Maroni per il quale, secondo alcune voci, ci sarebbe una disponibilità a reperire le risorse necessarie. Su fronte opposto ieri a sostegno del rigore sono giunte le parole del commissario Ue Almunia. L´Italia, secondo Bruxelles, deve «rapidamente consolidare i conti pubblici» tagliando al più presto il suo enorme livello di debito e mettendo in atto la riforma delle pensioni. Nel Rapporto sulle Finanze Ue 2007, pubblicato ieri, si spiega che l´Italia sul fronte pensioni «non preoccupa», grazie alle riforme già avviate, ma deve «attuarle pienamente, compresa la revisione dei coefficienti di trasformazione per evitare significativi aumenti della spesa previdenziale». La commissione Ue esprime anche incertezze sulla riforma del Tfr, la quale «riduce il deficit» ma «non migliora la sostenibilità finanziaria poiché implica future spese addizionali». Anche sul «tesoretto» l´Europa invita alla prudenza e spiega che destinarlo alle spese costituirebbe un rischio per le finanze pubbliche.

L´atteggiamento di Padoa-Schioppa è di grande prudenza. Dopo aver imposto il restringimento dell´area spendibile del «tesoretto» ieri in Parlamento ha annunciato che domani in consiglio dei ministri porterà un provvedimento di chiusura di 40 uffici del ministero del Tesoro altrettante città italiane. Il ministro ha definito un «cambiamento straordinario» la riforma in corso della legge di bilancio e ha indicato nella «riqualificazione delle spesa pubblica» la strada da percorrere che non dovrà prevedere né un aumento di tasse né del deficit.

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

L´Agenzia delle Entrate stima l´imponibile Iva sottratto. La vera pressione fiscale è del 50,7% - L´evasione sfonda i 270 miliardi in tasse metà del reddito degli onesti

LUISA GRION

ROMA - Se gli altri non pagano, tu paghi di più. E´ la semplice e dura legge dell´evasione fiscale, che fa sì che sulle spalle dei «buoni» ricada il peso delle malefatte dei «cattivi». Il mancato pagamento delle tasse, infatti, non si traduce solo nelle minori risorse messe a disposizione dello Stato per far funzionare le scuole e gli ospedali, ma anche nel maggior carico fiscale sopportato dagli onesti. Anche chi è poco sensibile alla cosa pubblica - dunque - non può tirarsi fuori dal gioco: l´evasione è un danno economico personale. Un danno che l´Agenzia delle Entrate è riuscita a quantificare, definendo in modo preciso a quanto corrisponde la «fregatura» che gli evasori propinano ai contribuenti corretti.

Dati alla mano (gli ultimi disponibili sono quelli del 2004) bisogna parlare di una pressione fiscale apparente e di un´effettiva. La prima, quell´anno, corrispondeva al 41,42 per cento. La seconda, garantita sulla pelle del contribuente che non nasconde un euro al Fisco, lievitava al 50,74 per cento del Pil. Chi paga tutto, quindi, paga assai caro: oltre la metà della ricchezza prodotta. Aggiungendo di tasca sua un 10 per cento in più che senza evasione potrebbe risparmiare.

Non solo: in cifre assolute gli evasori sottraggono al fisco 270 miliardi l´anno. A tanto ammonta infatti la base imponibile Iva non dichiarata (il 33 per cento di quella totale) dalla quale l´Agenzia delle Entrate è partita per quantificare l´aliquota reale a carico degli onesti. Tutta ricchezza prodotta, ma mai certificata: totalmente occultata, o parzialmente celata con sottoffatturazioni dei ricavi o in sovraffatturazione dei costi.

Un dato che ha subito una paurosa escalation dagli anni Ottanta in poi, che sembrava destinato a rientrare alla fine degli anni Novanta e che ora è di nuovo in rimonta. Lo studio dell´Agenzia delle Entrate («Le basi imponibili Iva. Aspetti generali e principali risultati per il periodo 1980-2004») lascia infatti pochi dubbi in proposito: «A partire dall´anno massimo assoluto dell´evasione (il 1990) - vi si legge - seppure in presenza di oscillazioni e ciclicità, l´evasione sembra cominciare il suo graduale rientro, fino ad arrivare al minimo assoluto del 1999, realizzando un decremento di quasi dieci punti percentuali in dieci anni. Per gli anni più recenti si osserva, invece, una pericolosa fase ascendente dell´evasione negli anni 2003 e 2004». Comunque sia, la base imponibile evasa nel 1980 era, tradotto in euro, di solo 40 miliardi ora raggiunge appunto i 270.

Se si passa dalla base imponibile evasa alle mancate entrate dovute per l´imposta, l´andamento non varia: i 43,2 miliardi mancanti nelle casse dello Stato del 2004, solo cinque anni erano più o meno 30 mila. Dal 2000 al 2004 l´evasione sull´Iva è aumentata del 31,1 per cento. Considerato che l´imposta sul valore aggiunto regolarmente versata , nel 2006, raggiungeva quota 77,9 miliardi si può dire - sottolinea il rapporto - che per ogni 100 euro di Iva pagata, ci sono 55 euro evasi (il record negativo è stato registrato nel 1982 con 60,27 euro per ogni 100 versati).

«C´è molto da recuperare - commenta il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero - a maggior ragione l´extragettito può essere utilizzato per forme di risarcimento sociale».

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

L´Istat si "corregge" inflazione all´1,5% - IL DATO

ROMA - L´inflazione per il mese di maggio rimane stabile all´1,5%: l´Istat ha infatti rivisto al ribasso le proprie stime provvisorie che avevano previsto una variazione annua dell´1,6%. Stessa rettifica per il tasso su base mensile, che è dello 0,3% e non dello 0,4%. L´indice armonizzato Ue è aumentato dello 0,4% congiunturale e dell´1,9% tendenziale. In aumento i prezzi su base annua di alcolici e tabacchi (+4,4%) e alimentari (+2,7%), mentre le comunicazioni scendono del 9,1% e i servizi sanitari dello 0,8%.

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

"Aggiotaggio su Parmalat" banche estere a processo - Sotto tiro Ubs, Citigroup, Deutsche, Morgan Stanley - Il giudice dispone il rinvio a giudizio anche di tredici loro dirigenti. La causa a gennaio

WALTER GALBIATI

MILANO - Rinvio a giudizio per quattro colossi del credito, le americane Citigroup e Morgan Stanley, la svizzera Ubs e la tedesca Deutsche Bank. L´accusa è di presunto aggiotaggio, perché nell´ultimo anno di vita della Parmalat avrebbero divulgato notizie false per poter costruire operazioni finanziarie, come le cartolarizzazioni, ed emettere oltre un miliardo di obbligazioni. Finite poi in default. Il giudice per l´udienza preliminare, Cesare Tacconi, ha fissato l´inizio del processo per il prossimo 22 gennaio. E ha rigettato tutte le eccezioni di incompetenza territoriale avanzate dagli avvocati delle banche. Le difese hanno chiesto di trasferire il processo a Parma, sia per ragioni di connessione, in quanto il reato di aggiotaggio sarebbe da considerare tra le operazioni dolose che hanno cagionato lo stato di insolvenza di Parmalat (procedimento attualmente in corso a Parma), sia per il fatto che il reato si è consumato dove ha sede il gruppo alimentare.

Tacconi ha anche rigettato le eccezioni di difetto di giurisdizione, sostenendo che anche le banche estere devono adottare quando operano in Italia i modelli relativi alla "231", la legge sulla responsabilità amministrativa. La decisione è stata accolta con soddisfazione dal pm Francesco Greco che, con i colleghi Eugenio Fusco e Carlo Nocerino, ha condotto le indagini. «È la prima volta - ha osservato il magistrato - che si fa un processo alle banche accusate di avere manipolato il mercato. Sarà un processo molto difficile».

Un pensiero è andato anche ai risparmiatori traditi. «La speranza è che possano ottenere il risarcimento del danno subito anche se i tempi sono stretti e incombe la prescrizione», ha aggiunto Greco, auspicando poi che, pur non volendo disimpegnarsi dal processo, sarebbe «auspicabile che tutti i soggetti coinvolti trovassero una soluzione extragiudiziale».

Le banche dal canto loro rifiutano ogni accusa. Citigroup si dice convinta che «il vaglio dibattimentale consentirà di accertare l´estraneità ai fatti contestati e confermerà che la banca fu parte offesa della più grave bancarotta fraudolenta della storia italiana del dopoguerra». Morgan Stanley, invece, sostiene di non aver mai saputo dello stato di dissesto del gruppo di Collecchio e che le operazioni e la condotta della banca, nonché dei suoi dipendenti, «sono state del tutto corrette». Ciascuna transazione è stata avviata e portata a termine dopo «un´appropriata due diligence e senza conoscere l´insolvenza di Parmalat». Deutsche Bank conferma «piena fiducia» nei dirigenti coinvolti e promette che «contesterà vigorosamente» il procedimento. Ubs «rimane dell´avviso che l´operazione nella quale è stata coinvolta sia valida e che non abbia alcun comportamento da parte sua o da parte di suoi dipendenti che possa qualificarsi come concorso in un reato di aggiotaggio».

Diversa, invece, la scelta di Nextra, la società di risparmio gestito del gruppo Intesa, che ha chiesto il patteggiamento. Nell´udienza fissata per il prossimo 18 giugno il gup Tacconi si dovrà pronunciare sulla sanzione da infliggere alla banca e sulla pena per i suoi dipendenti. L´accordo di patteggiamento prevede una pena a sei mesi di reclusione per Marco Valsecchi, Antonio Cannizzaro, Marco Ratti e Giovanni Landi.

La notizia del rinvio a giudizio ieri ha mosso il titolo in Borsa che ha chiuso in rialzo del 2%, spinto dalla speranza degli investitori di incassare i risarcimenti delle banche e dal posizionamento di Merrill Lynch, che ha comunicato di detenere dal 7 giugno il 2,269% di Parmalat.

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

Geronzi e manager Capitalia rischiano il rinvio a giudizio - E a Parma si decide sul crac Ciappazzi - l´inchiesta - L´accusa: hanno divulgato notizie false per poter piazzare i bond del gruppo - Il pm Greco: "La speranza è che i risparmiatori possano avere un risarcimento"

ETTORE LIVINI

DAL NOSTRO INVIATO - PARMA - Il 25 luglio prossimo il Gup di Parma Domenico Truppa deciderà se rinviare a giudizio o prosciogliere Cesare Geronzi e altri sette manager di Capitalia nell´ambito del processo per la vendita delle acque minerali Ciappazzi da Giuseppe Ciarrapico alla Parmalat. Un´operazione da 35 miliardi di vecchie lire che secondo i pm sarebbe andata in porto solo per le forti pressioni dell´istituto romano, interessato a pilotare la cessione «di un complesso aziendale dal valore nullo» per dare ossigeno al suo debitore Ciarrapico, garantendo in cambio di un prestito di 50 milioni all´azienda di Collecchio. Questi soldi tra l´altro, secondo la ricostruzione della procura, sarebbero stati girati immediatamente alle aziende turistiche di famiglia di Calisto Tanzi, alle prese all´epoca con una drammatica crisi di liquidità.

Ieri all´ultima udienza preliminare al tribunale di Parma sono intervenuti con le arringhe finali i legali del presidente di Capitalia e della banca romana, presente come responsabile civile. La memoria difensiva depositata dall´avvocato Ennio Amodio, oltre a contestare il presupposto della conoscenza dello stato di insolvenza di Parmalat da parte dei vertici dell´istituto, è tornata all´attacco della credibilità di Calisto Tanzi e di Fausto Tonna. Proprio l´ex numero uno del gruppo e il suo braccio destro, nel corso dei loro interrogatori, hanno parlato a più riprese delle pressioni di Capitalia e di Geronzi - indagato per concorso in bancarotta e usura - per chiudere l´acquisto delle fonti minerali siciliane a un valore spropositato, visto che tra l´altro all´epoca Ciappazzi non disponeva nemmeno delle concessioni per l´estrazione delle acque. Il pm di Parma Vincenzo Picciotti procederà ora per iscritto alle sue repliche e dopo le controdeduzioni delle difese - che hanno tutte chiesto il proscioglimento - il Gup deciderà il prossimo 25 luglio il destino degli imputati. L´iter del procedimento - in caso di rinvio a giudizio - è ancora da definire. La procura di Parma, infatti, sembra orientata a chiudere in tempi brevi tutti i vari tronconi del crac Parmalat oggi in fase preliminare (oltre a Ciappazzi ci sono il filone principale che vede imputati Tanzi, i manager e i revisori, Eurolat e Parmatour) per poi riunirli in fase di dibattimento. Una scelta di "economicità" per le scarse risorse a disposizione degli uffici giudiziari di Parma che avrebbe come conseguenza l´allungamento dei tempi delle sentenze di primo grado. L´ipotesi di un maxi-processo vede curiosamente favorevoli Tanzi, Enrico Bondi e persino la difesa di Geronzi, interessata a posticipare un eventuale verdetto negativo.

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LA REPUBBLICA giovedì 14 giugno 2007

Italease, la Consob continua l´indagine titolo giù del 5%

VITTORIA PULEDDA

MILANO - Le audizioni del collegio sindacale e di Massimo Faenza, ex amministratore delegato di Banca Italease, non hanno certo concluso le indagini della Consob sulla banca, né la ricostruzione di quanto è avvenuto negli ultimi mesi, in particolare sul rischio derivati. Anche ieri e nei prossimi giorni continueranno le audizioni, mentre lo stesso presidente della Commissione, Lamberto Cardia, ha sottolineato che «vanno avanti gli approfondimenti».

Entro la fine di questa settimana si potrebbe arrivare ad avere maggiore chiarezza del quadro complessivo; poi si vedrà come procedere. Nel frattempo, il titolo ha ripreso a soffrire in Borsa: ieri il prezzo di riferimento è sceso di quasi il 5%, dimostrando il nervosismo con cui il mercato continua a guardare alla situazione, in mancanza di risposte chiare. Il primo dubbio riguarda l´identità delle controparti bancarie che hanno montato le operazioni in derivati. «Come nelle barzellette, è una francese, una inglese e una tedesca», scherza una fonte vicina agli avvenimenti. E magari è proprio così. Resta poi da capire un passaggio successivo: come è stato possibile costruire prodotti così "sbagliati" rispetto all´andamento del mercato e tali quindi da esporre i sottoscrittori (i clienti di Italease in questo caso) a perdere almeno in teoria così tanti soldi? Secondo alcune ricostruzioni, il "prezzo" (cioè i valori espressi nei derivati) sarebbe fuori mercato in maniera pesante, come in genere non avviene su questi prodotti, anche perché tra il cliente finale e chi ha "impacchettato" i derivati c´è stata l´intermediazione di Banca Italease. Quindi, i prodotti sono stati visti e studiati da almeno un paio di soggetti professionali qualificati. Insomma, gli aspetti non chiari sono numerosi, compresa ovviamente l´identità di quei 20 super-clienti che hanno sottoscritto il 60% del controvalore di questi prodotti.

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da Finanza&Mercati del 14-06-2007

Valzer di soci per Carige. Ai blocchi passa il 10% - Giallo sul passaggio di quote avvenuto ieri fuori mercato. Possibile un alleggerimento di WestLb e Fondazione Cr Genova. Secondo rumor l’acquirente sarebbe Mps, che smentisce

di Redazione del 14-06-2007

Possibile riassetto azionario in vista per Banca Carige, protagonista ieri di un passaggio monstre al mercato dei blocchi, corrispondente al 10% del capitale ordinario. Il sentore di qualche manovra in atto era già nell’aria. Il 4 giugno, come segnalato da F&M, Piazza Affari aveva acceso i riflettori sull’istituto ligure innescando una pioggia di acquisti sul titolo, sull’onda di speculazioni legate a possibili annunci di operazioni straordinarie. Un’ulteriore conferma che sul gruppo presieduto da Giovanni Berneschi si stia giocando qualche partita rilevante è arrivata ieri: ai blocchi sono infatti transitati cinque pacchetti, per un totale di 121 milioni di azioni (il 9,99% del capitale), al prezzo medio di 3,4 euro per azione (ieri il titolo a chiuso a 3,54 euro). I principali indiziati sembrano WestLb, che in base alle informazioni Consob risulta titolare del 4,99%, e la Fondazione CR Genova e Imperia, che controlla il 43,37 per cento. Alcune fonti finanziarie segnalano infatti che già nei giorni scorsi c’era stato qualche passaggio di pacchetti da parte di due dei principali soci di Carige (un altro azionista di peso, la francese Cncep, ha l’11%). Per il mercato sarebbe in arrivo un nuovo azionista, che punterebbe a stringere con Carige un’alleanza strategica nel Nord. Un identikit che potrebbe corrispondere a quello dell’ultima zitella di rango del panorama bancario italiano, il Montepaschi. Fonti vicine a Rocca Salimbeni hanno però fatto sapere a F&M che l’istituto senese è estraneo al rastrellamento. Ma il giallo resta. E quel 10% deve pur essere finito nel portafogli di qualcuno.

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da Finanza&Mercati del 14-06-2007

Parmalat, 4 big del credito rinviati a giudizio a Milano - Db, Morgan Stanley, Ubs e Citigroup a processo da gennaio per aggiottaggio. Il gup Tacconi: «Anche per loro è valida la legge italiana». Decisione storica: si ribalta la vicenda Eurofood che ora potrebbe riaprirsi

di Luca Testoni del 14-06-2007

Il caso Parmalat segna un altro capitolo storico della storia giuridico-finanziaria italiana. Il gup Cesare Tacconi ha riviato a giudizio (prima udienza il 22 gennaio) quattro banche (oltre a una decina di persone) con l’accusa di aggiotaggio, applicando la legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle aziende. E, soprattutto, applicandola a istituti esteri operanti in Italia: Deutsche Bank, Citigroup, Ubs e Morgan Stanley. Un segnale «positivo per i risparmiatori», ha commentato il Pm Francesco Greco. «È la prima volta - ha continuato - che si farà un processo, che sarà molto difficile, alle banche accusate di aver manipolato il mercato». E la procura, ha aggiunto, «continua a indagare». Il gruppo di Collecchio è collassato a fine 2003 nella più grande crack italiano, con un buco di oltre 14 miliardi di euro. Parmalat non aveva mai guadagnato una lira dalla quotazione nel 1992 (a differenza di quanto dichiarato). Sono stati proprio gli istituti esteri, dal 1990 in poi, a sottoscrivere l’80% dei 7,5 miliardi di bond dalla società. Del resto, l’ex commissario e attuale ceo Enrico Bondi ha già raggiunto accordi di transazione per 775 milioni di dollari. In gennaio, Deloitte ha accettato di pagare 149 milioni di dollari per chiudere la causa. Mentre Nextra ha chiesto di patteggiare con oltre 150 milioni: l’udienza è prevista il 18 giugno. A luglio Tacconi deciderà se rinviare a giudizio Bank of America.

Il titolo ha festeggiato con un guadagno del 2,05 per cento. L’avvio di un processo penale a carico delle quattro banche è un segnale forte. Proprio la dura reazione degli istituti è il segnale della svolta del Tribunale milanese: ognuna delle banche coinvolte ha preso una posizione decisa contro il provvedimento. In particolare, Tacconi ha respinto le eccezioni di difetto di giurisdizione sollevata dalle difese di Ubs, Deutsche e Morgan Stanley, sottolineando che «nel momento in cui l’ente estero decide di operare in Italia ha l’onere di attivarsi e di uniformarsi alle previsioni normative italiane. Ragionando diversamente, l’ente si attribuirebbe una sorta di autoesenzione dalla normativa italiana in contrasto con il principio di territorialità della legge». Una sorta di rivincita, sul campo della giurisdizione territoriale, rispetto alla partita persa contro Bank of America ed Eurofood. Per la controllata irlandese di Parmalat, e i suoi tesori nascosti, era stato chiesto il fallimento a Dublino (prima della dichiarazione a Parma) per sottrarla alla giurisdizione e alle cure delle procedure italiane. Negli anni successivi, Bondi e Bofa, creditrice di Eurofood, si sono scontrati davanti a più Tribunali, in Italia, a Dublino e alla Corte di Giustizia europea. La battaglia è proseguita anche sul decreto del Governo italiano che aveva tentato di ammettere Eurofood all’amministrazione straordinaria: Bofa e il liquidatore di Dublino sono ricorsi al Tar. E da qui il ministero si è rivolto al Consiglio di Stato. Ultima puntata qualche mese fa. A gennaio la corte ha dovuto annullare il decreto del Ministro. Ma dietro le quinte c’è chi dice che la partita non è chiusa. Esperti di diritto leggono nella sentenza del Consiglio un preciso suggerimento al governo nel caso di un nuovo decreto. Per il quale potrebbe fare riferimento all’articolo 26 del Regolamento comunitario in materia, che contiene una clausola di ordine pubblico per cui, allorché il ministero ritenesse la ricorrenza dei presupporti, potrebbe portare al non riconoscimento in Italia della procedura irlandese. Così una delle più brucianti sconfitte di Bondi potrebbe ribaltarsi in vittoria.

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da Finanza&Mercati del 14-06-2007

TI spinge sulla rete. L’Ue dà l’ok alla Telco 

Mentre da Bruxelles arriva una dichiarazione che equivale a un informale via libera al riassetto proprietario di Telecom Italia, l’ex monopolista accelera sulla separazione della rete. Ieri è stato avvistato alla sede Telecom in Piazza Affari Franco Bernabé, vicepresidente di Rothschild Europe. Alcune fonti fanno notare che il manager è un habitué nel quartier generale Telecom. La banca d’affari ha infatti da alcuni mesi sulla sua scrivania il dossier sulla separazione della rete d’accesso, che ora potrebbe subire un’accelerazione. Lo stesso Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom, martedì ha ventilato un accordo «entro luglio», spiegando all’Adnkronos che un ulteriore ritardo nella definizione della questione «non giova al sistema né a Telecom». Del resto, nonostante il rimbalzo di ieri, il titolo del gruppo tlc langue in Borsa poco sopra i 2 euro, e ora il mercato reclama un nuovo corso per uscire dall’impasse. A partire dall’acquisizione di Olimpia da parte di Telco, il veicolo partecipato dalla spagnola Telefonica assieme a Generali, Mediobanca, Sintonia e Intesa Sanpaolo. Ai futuri soci di controllo la Commissione Ue ha indicato in una lettera che non è necessario il via libera di Bruxelles per la validità dell’accordo. Il riassetto, e in particolare l’ingresso di Telefonica, non comportano fenomeni di concentrazione e non determinano posizioni dominanti che richiedano l’avvio di un’istruttoria. La palla è saldamente in mano alla cordata italo-spagnola, che punta a chiudere presto, anche se ieri l’ad di Generali, Giovanni Perissinotto, ha cautamente parlato di closing «entro l’anno». La prospettiva di una svolta ha comunque indotto Bernestein a promuovere il titolo a outperform dal precedente market perform con target innalzato da 2,35 a 2,5 euro sulla base di «tre fattori chiave: la valutazione, le attese degli investitori e la convinzione che l’atteso cambio della proprietà porti vantaggi sia strutturali, sia regolatori». In attesa degli eventi - e dell’atteso rimpasto dei vertici - l’attuale management però va avanti. Ieri il board, dopo avere approvato il Form 20-F sui conti 2006 per la Sec statunitense, ha dato il via libera all’incorporazione di Progetto Italia in Telecom. Secondo indiscrezioni, il cda avrebbe anche esaminato una relazione informale del comitato per il controllo interno relativa alla security e alle indagini sui dossier illegali che hanno coinvolto l’ex dirigente Telecom, Giuliano Tavaroli.

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da Finanza&Mercati del 14-06-2007

Eurizon sospesa tra Ipo e Banca dei territori

Il puzzle Eurizon sta prendendo forma, e gli ultimi tasselli potrebbero essere sistemati già nel fine settimana. Gli occhi sono tutti puntati sull’agenda di lunedì, quando le Fondazioni azioniste della controllante Intesa Sanpaolo, che stanno studiando l’ipotesi di entrare direttamente nel capitale di Eurizon, incontreranno i vertici dell’istituto. Gli argomenti da discutere non si limiteranno però alle modalità di quotazione di Eurizon (che dovrebbe arrivare a Piazza Affari senza le attività di asset management) ma bisognerà discutere di nodi non meno spinosi. In cambio di un sostegno alla quotazione di Eurizon, che porterà al conseguente deconsolidamento del polo del risparmio da Intesa-Sanpaolo, le Fondazioni chiedono infatti garanzie che la loro attività non sarà offuscata dalla imminente partenza di Banca Prossima, istituto specializzato per gli interventi nel sociale che Intesa Sanpaolo lancerà entro l’anno. Mentre la Fondazione Sanpaolo, guidata da Franzo Grande Stevens, vuole rassicurazioni sul mantenimento dell’autonomia della Banca dei territori, il polo retail guidato da Pietro Modiano con sede a Torino che sta perdendo terreno nei confronti di Milano.

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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 33

PIAZZETTA CUCCIA - Mediobanca, «squadra corta» per il consiglio di gestione 

autore: Sergio Bocconi categoria: REDAZIONALE

MILANO — E ora si pensa al consiglio di gestione. Pronte le liste per il board di sorveglianza, che verrà nominato dall'assemblea del 27 giugno, in Mediobanca si riflette sul team di management. Il primo compito del consiglio nel quale sono rappresentati gli azionisti e che sarà presieduto da Cesare Geronzi (al quale ieri l'amministratore delegato di Intesa-Sanpaolo Corrado Passera ha rivolto gli auguri «per il lavoro importantissimo che ha da fare»), è costituire la squadra che deve gestire la banca. I tempi sono stretti perché per il primo luglio, data d'introduzione della governance dualistica e inizio del nuovo esercizio, tutto dev'essere pronto.

Sotto il profilo dei numeri, il consiglio di gestione può avere fra tre e nove componenti, con l'avvertenza (per legge) che oltre la soglia dei quattro partecipanti uno dev'essere esterno, indipendente. Sembra trovi conferma che Gabriele Galateri, oggi presidente del consiglio di amministrazione dell'istituto, venga nominato presidente del board di gestione e che l'orientamento sia per una «squadra corta», cioè costituita da un gruppo di manager non vicino alla soglia massima prevista. Nelle ultime settimane le voci che accreditano il possibile «trasloco» di Galateri alla presidenza di Telecom non hanno trovato conferma, perciò almeno fino a questo momento l'attesa è che il copione venga rispettato. Copione che potrebbe anche prevedere la nomina di Alberto Nagel da direttore generale a consigliere delegato (figura reintrodotta dallo Statuto) e di Renato Pagliaro a direttore generale.

La governance scelta da Mediobanca prevede la netta separazione fra le responsabilità dei board. Il consiglio dei manager (al quale il patto affida un «presidio essenziale per salvaguardare fisionomia, funzioni e tradizioni d'indipendenza dell'istituto) compie le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione, propone al consiglio di sorveglianza il progetto di bilancio, i piani industriali e finanziari, le modifiche statutarie. Su un punto le competenze sono ripartite: le partecipazioni strategiche (oggi Generali e Rcs). I manager possono decidere di movimentare fino al 15% delle quote in possesso. Oltre quella soglia invece portano la proposta al board di sorveglianza. Stesso procedimento per le operazioni che, per le dimensioni (oltre i 750 milioni) comportano variazione nel perimetro del gruppo.

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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 34

I manager - Unicredit-Capitalia, primo meeting a Torino 

categoria: REDAZIONALE

Né Milano, né Torino. Il primo meeting tra i manager di Unicredit e Capitalia si terrà domani a Torino, dove ha sede la corporate university del gruppo. «E' l'inizio ufficiale dei lavori di integrazione», ha spiegato ad Apcom Paolo Fiorentino, vicedirettore generale di Unicredit. Per Unicredit sarà presente anche l'amministratore delegato Alessandro Profumo, per Capitalia il direttore generale Carmine Lamanda.

L'incontro che si terrà al centro di formazione professionale di Unicredit, Unimanagement, coinvolgerà un centinaio di manager delle prime linee dei due gruppi bancari destinati a fondersi.

Il summit di venerdì, ha proseguito Fiorentino, «sarà il primo di una lunga serie. Sono stati identificati circa 80 progetti da portare avanti per arrivare all'integrazione completa, che prevediamo per il 2008».

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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 34

PUBBLICO IMPIEGO - Authority anti-fannulloni, lo stralcio di Santagata 

autore: S. Riz. categoria: REDAZIONALE

ROMA — L'accusa arriva da Lanfranco Turci, Rosa nel pugno. Eccola: il ministro Giulio Santagata e i sindacati starebbero affossando la commissione per valutare le pubbliche amministrazioni che dovrebbe ospitare il Cnel. È l'«autorità anti-fannulloni» che il ministro delle Riforme Luigi Nicolais vorrebbe istituire con un emendamento al ddl sulla semplificazione amministrativa, dal quale però adesso sarebbe stralciato. Santagata replica così: «Ho chiesto lo stralcio perché questo nuovo organismo presenta elementi di forte sovrapposizione con i compiti del comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato e del dipartimento per l'attuazione del Programma». Cioè il suo ministero.

Domanda inevitabile: forse Nicolais non aveva parlato a Santagata prima di proporre la commissione?

E perché il problema di «sovrapposizione» è venuto fuori soltanto adesso? Rumoroso è, a questo proposito, il silenzio di Nicolais. Ma ancora di più fragoroso è il contenuto di una lettera spedita il 4 giugno al ministro delle Riforme con cui Cgil, Cisl e Uil bocciano la commissione anti-fannulloni definendola «un altro piccolo feudo di potere dai costi e dai poteri eccessivi e non comprensibili». I tre sindacati avvertono Nicolais che con l'emendamento «si contravviene a quanto esplicitamente previsto nel memorandum siglato da Lei in tema di costituzione di un "comune gruppo di lavoro", spostando ogni prerogativa alla commissione indipendente che, di fatto, si arrogherebbe qualsiasi potestà».

La bocciatura dei sindacati e l'altolà al ministro Nicolais sul contratto 

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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Economia - data: 2007-06-14 num: - pag: 37

«Banche e fondi? Serve la geometria variabile» Messori (Assogestioni): il conflitto di interessi va superato senza dogmi 

MILANO — L'economia sarà anche in ripresa. Ma i dati del risparmio gestito, brutalmente, sono da recessione: la raccolta netta dei fondi d'investimento italiani è in rosso, con un'emorragia di 80 miliardi in quattro anni. Un rapporto circolato ieri al comitato di Piazza finanziaria, riunito dal ministero dell'Economia presso Borsa Italiana, parla di «serie minacce» alla sopravvivenza «di una componente fondamentale di un moderno mercato dei capitali». E Marcello Messori, presidente di Assogestioni, all'uscita dall'incontro riconosce che i problemi sono «strutturali».

Professor Messori, come spiega il declino delle gestioni italiane in un Paese che ha nel risparmio un punto di forza?

«Un fattore è che i prodotti esteri hanno un trattamento fiscale vantaggioso. In secondo luogo, il mercato italiano fa i conti con regolamentazioni più complesse che altrove: ogni società del risparmio gestito si confronta con Consob, Banca d'Italia, Isvap e Covip. Poi c'è uno squilibrio rispetto a altri prodotti finanziari che il pubblico percepisce come equivalenti, ma che garantiscono molta meno trasparenza».

Di cosa parla?

«Delle obbligazioni strutturate e in parte dei prodotti finanziario-assicurativi. Mentre negli altri Paesi europei vanno principalmente agli investitori professionali, da noi è rilevante il peso delle famiglie».

Intende dire che le banche dovrebbero astenersi dal vendere al dettaglio prodotti così rischiosi e poco comprensibili?

«Non si può chiedere a un operatore di rinunciare a offrire ciò che ritiene conveniente. Ma di fronte a prodotti così complessi, l'offerta condiziona la domanda. Dunque le autorità dovrebbero regolare il fenomeno del boom delle obbligazioni strutturate e imporre più trasparenza. Le sigarette non sono proibite, ma sul pacchetto c'è scritto che fumare uccide».

Alla base, in fondo, c'è il problema del rapporto fra banche e fondi: il governatore Mario Draghi si preoccupa degli intrecci azionari e della subordinazione dei fondi. Concorda?

«Ignorare l'importanza del canale bancario in Italia sarebbe irrealistico. Il governatore attira l'attenzione sui rapporti fra produzione e distribuzione, ossia fra chi crea un fondo e chi lo vende allo sportello. E in effetti gran parte dei costi alla clientela in Italia sono dovuti alla distribuzione, ben più che nella media europea».

Giusto allora separare l'industria del risparmio e le banche?

«No, se l'effetto è che la produzione di fondi d'investimento emigra all'estero. I dosaggi possibili fra produzione e distribuzione sono molti in realtà. È su questa varietà che bisogna puntare: è l'unico modo per tenere un po' di industria dei fondi nel Paese e non restare solo con la distribuzione».

La debolezza dei fondi italiani si traduce anche in debolezza del governo d'impresa in Italia?

«Assogestioni non detiene azioni, ma in futuro vorrei convincere i nostri associati a essere più attivi nelle assemblee e nella presentazione di liste di minoranza. Ciò vale soprattutto per le imprese con problemi di governance e risultati non brillanti. I fondi devono assumersi questa responsabilità di sistema». Federico Fubini

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

Quei banchieri d’affari in slalom tra crac, fusioni e politica

di Redazione - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Milano - Nell’era della finanza, questa in cui viviamo, dove il predominio delle banche sull’industria è conclamato, i protagonisti delle scelte sono i banchieri d’affari. Signori che, come tutti, salgono e scendono. Gli straordinari cambiamenti che, dopo lo smottamento Parmalat, sono accaduti in questi ultimi 2 anni, da Antonio Fazio e dalla scalata Ricucci-Rcs, a Mario Draghi e alla fusione Unicredit-Capitalia, hanno fatto selezione: nulla è più come prima nella geografia dei banchieri d’affari.

Nell’«età dell’oro» degli anni Novanta il filone era quello delle privatizzazioni. Dalle banche alle utility, la gara dei mandati miliardari, secondo un alto funzionario del Tesoro «aveva 4 protagonisti: Claudio Costamagna per Goldman Sachs, Panfilo Tarantelli di Schroders, Marco Capello di Merrill Lynch e Ruggero Magnoni di Lehman Brothers». Tutti stranieri e politicamente amici della sinistra egemone di quei primi anni di seconda Repubblica. Dove all’Iri era tornato Prodi. Del quale è arcinoto, per esempio, il rapporto speciale con Goldman, di cui è stato consulente. Di Italiani al top c’era solo Mediobanca, dove al vertice del servizio finanziario sedeva Gerardo Braggiotti, alla guida di giovani come Alberto Nagel e Matteo Arpe. Mentre sul fronte privato teneva il passo Euromobiliare dove, insieme con Guido Roberto Vitale, si muoveva Arnaldo Borghesi (mente del primo sbarco in Borsa di Berlusconi, quello di Mondadori). Anche Morgan Stanley, con Galeazzo Pecori Giraldi, stava in serie A. E con Claudio Sposito svolse un ruolo di primo piano in un’altra Ipo di peso, quella di Mediaset. Completano il quadro dei padroni del vapore il Csfb, con Andrea Morante, e l’Imi di Rainer Masera: la coppia riuscì ad aggiudicarsi il collocamento Eni e successive tranche.

Una stella del firmamento bancario fu Federico Imbert, al vertice di JpMorgan. Divenuto star con la scalata Telecom di Colaninno, Imbert diventa il banchiere di riferimento della filiera bresciana di Emilio Gnutti. E riesce anche a essere ben visto a destra, negli anni del secondo governo Berlusconi, fino a orchestrare due collocamenti targati Fininvest: Telecinco e il 15% di Mediaset. La sua stella è ora in secondo piano. Non tanto per la vicenda Parmalat, quanto per il tramonto della razza padana. Mentre il collocamento flop di Saras dell’anno scorso, con il seguito giudiziario in corso, non ha aiutato. Lungo la strada ha pure perso il suo braccio destro Alessandro Rombelli, messosi in proprio.

Il «cambio di generazione» in corso ha favorito i marchi nazionali. «Oggi i banchieri italiani - dice un banker - sono molto più ascoltati di dieci anni fa». Due i nomi su tutti: quelli di Gaetano Micciché e di Sergio Ermotti. Il primo è responsabile del corporate di Intesa Sanpaolo. Sulla sua scrivania i dossier delle grandi operazioni, da Telecom ad Alitalia. Il secondo - che in verità è ticinese - è il capo dell’investment banking di Unicredit e si appresta a esserlo anche dopo la fusione con Capitalia. Operazione che ha invece costretto a un passo indietro l’ex enfant prodige Matteo Arpe.

In secondo piano, rispetto ai fasti del passato, sembrano muoversi sia Lehman, sia Goldman, sia Citigroup (che ha assorbito Schroder e Tarantelli), sia Morgan Stanley. La prima ha ancora nei ranghi Magnoni. E ha costituito un board di nomi importanti quali Masera, Francesco Mengozzi e Francesco Caio, ma forse un po’ «datati». Mentre Magnoni è preso da molte attività private e la presenza della banca d’affari, soprattutto sull’equity (non sul debito, dove il rapporto con il Tesoro resta eccellente), segna un po’ il passo. Idem per Goldman, dove l’italiano numero uno, Paolo Zannoni, è partner. Ma dalla banca Usa se ne sono andati sia Costamagna, sia Draghi, sia Massimo Tononi, ora sottosegretario al Tesoro. L’impressione è che Goldman abbia già dato molto. Anche Morgan Stanley ha perso un po’ di smalto, ma l’arrivo tra i vice president di Domenico Siniscalco ha aiutato la squadra guidata dall’ex Merrill Lynch Dante Roscini a tornare alla ribalta. Ultimo colpo, il ruolo di advisor per la quotazione del Sole 24 Ore.

L’Ipo dell’anno sarà fatta da Ubs e Mediobanca. La prima, nel cui board italiano siede il presidente delle Fs (ed ex Sole) Innocenzo Cipolletta, grazie a Diego Pignatelli e a un altro ex Merrill, Piero Novelli, è oggi tra le più in vista. Ubs, dove è appena approdato Pierpaolo Di Stefano lavora sul maggiore deal industriale del momento: l’operazione Enel-Endesa. Anche in questo caso con Mediobanca: il team guidato da Nagel (con Maurizio Cereda al vertice del corporate finance), è sempre rimasto protagonista. «Restano i migliori anche con il passare degli anni», dice l’ad di una società del Mib30.

L’operazione-tempo non è riuscita a Lazard. Il divorzio da Braggiotti a Borghesi si è tradotto, per la boutique finanziaria guidata ora da Giancarlo Scotti, in un deficit di visibilità. Mentre sorti diverse hanno avuto i due ex partner: dalla Banca Leonardo di Braggiotti passano, al pari di Mediobanca e Intesa, tutti i maggiori dossier. Mentre Borghesi ha forse pagato l’appoggio al fronte Fiorani-Ricucci di due anni fa, e con la sua Borghesi Colombo & associati sta riprendendo lentamente quota. La banca estera che più delle altre ha saputo confermarsi è invece Merrill Lynch. La banca Usa ha un italiano a Londra, Andrea Orcel (il single più ricercato della finanza), uno a Roma, Andrea Pellegrini (il cui peso è aumentato con la nomina a chairman del pubblic sector in Europa e con la fuoriuscita dei discussi fratelli Pavesi) e uno a Milano, Maurizio Tamagnini, che hanno saputo conquistare la fiducia del Tesoro. Merrill è entrata nel capitale di F2i, il fondo per le infrastrutture della Cdp, e si è aggiudicata il dossier più delicato del momento: la vendita di Alitalia. Oltre che gran parte delle Ipo in Italia.

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

«Patto tra Fondazioni? Non è detto»

di Redazione - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Milano - Le Fondazioni azioniste di Intesa Sanpaolo non hanno ancora deciso la costituzione di un patto di consultazione dopo la fusione tra le due banche. «Ci sono colloqui per un patto di consultazione che non è detto ci sarà», ha detto Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, al termine di una audizione al Senato per l’indagine conoscitiva sull’evoluzione sul sistema creditizio nazionale promossa dalla commissione Finanze guidata da Giorgio Benvenuto. Guzzetti ha quindi ricordato che non ci sarà un patto di sindacato e, quindi, non sono previsti vincoli per gli azionisti nel voto in assemblea: «Diversa - ha aggiunto - è la situazione per quanto riguarda il patto di prelazione, che può dare stabilità e su cui crediamo si possa trovare una soluzione». In ogni caso, Guzzetti è convinto che la riorganizzazione del sistema bancario italiano con la nascita di due megagruppi non crea «un rischio di duopolio» che possa penalizzare l’accesso al credito. E ha spiegato al Senato come dal punto di vista dell’Acri «questo rischio non ci sia», anzi, le operazioni in via di realizzazione «sono in grado di dare una risposta positiva alla domanda di credito nel Paese». Guzzetti ha aggiunto che le Fondazioni di origine bancaria non hanno mai operato ingerenze nelle scelte gestionali delle banche conferitarie, ma anzi «hanno supportato il management nella realizzazione di disegni strategici ad alta rilevanza industriale, miranti a rafforzare le performance operative degli istituti e a creare valore per gli azionisti». Infine, gli enti di origine bancaria hanno «contribuito a mantenere forti e indipendenti gli istituti bancari territoriali», ha concluso Guzzetti.

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

Fiorani scrive agli ex dipendenti

di Redazione - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Lodi - Una lettera aperta indirizzata a tutti i dipendenti di Bpi: torna a scrivere l’ex ad Gianpiero Fiorani, stavolta sfogando la sua amarezza. Dai cassieri ai direttori di filiale dice: «Mi immagino gli attacchi, le offese, le battute di bassa lega, le minacce di clienti più o meno spregiudicati che in quell’epoca dovevate subire, impotenti dinanzi a un bombardamento mediatico senza precedenti, intriso di storie e di fatti che poi si sono rivelati del tutto infondati ma che allora servivano ed erano funzionali a un unico obiettivo: destituire e i suoi accoliti». Poi un accenno a quelli che definisce «grandi uomini» della banca del passato, Angelo Mazza, ex direttore generale della Lodi. Mentre a tutti i dipendenti dice: «Abbiate la forza di far valere la vostra competenza». E, nella missiva, anche le attestazioni di stima ricevute in questo periodo: «Ho ricevuto, ad oggi, 859 telefonate e sms, tutte di persone del Lodigiano che mi attestavano solidarietà e appoggio ma anche il rammarico per il fatto di non potersi esporre». Poi un rimorso: «Quello più tormentato è di aver involontariamente accelerato la malattia e, forse, la scomparsa di un uomo come Rosario Mondani». Suo ex segretario particolare il cui archivio è al vaglio della magistratura.

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

Patuelli: «Via Nazionale può indennizzare i soci»

di Redazione - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Milano - Vanno riviste le norme previste dalla legge di riforma del risparmio sull’assetto proprietario di Bankitalia, di cui è prevista la pubblicizzazione. Antonio Patuelli, vicepresidente dell’Acri, nel corso della audizione in Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’evoluzione del sistema creditizio, entra nel merito della questione. La Costituzione, osserva, «prevede un esproprio con equo indennizzo». E, dato che «fu imposto alle casse di entrare in Bankitalia», se «il Parlamento decide che i vecchi azionisti devono uscire, la Costituzione deve valere per tutti». Quanto alle risorse necessarie, «l’obiettività del conteggio può non gravare sul bilancio dello Stato perché Bankitalia è talmente solida che può liquidare i soci con equo indennizzo senza squilibrare il bilancio dello Stato», conclude Patuelli. Anche il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, esprime «preoccupazione» per la «sostanziale nazionalizzazione» di Via Nazionale: «È auspicabile che tale scelta legislativa venga rimeditata» non solo per salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale, ma anche per evitare rischi di «depauperamento patrimoniale delle banche partecipate dalle Fondazioni».

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

Crac Parmalat, quattro banche a processo

di Angelo Allegri - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Milano - Morgan Stanley, Deutsche Bank, Ubs e Citigroup: saranno le prime banche a rispondere in sede penale del crac Parmalat. Il giudice dell’udienza preliminare di Milano Cesare Tacconi le ha rinviate a giudizio ieri. Nel mese di luglio lo stesso Tacconi dovrà decidere la sorte di un’altro istituto, Bank of America che potrebbe aggiungersi al gruppo. A chiedere il patteggiamento, invece, è stata Nextra (gruppo Intesa Sanpaolo) che ha già raggiunto l’accordo con la nuova Parmalat di Enrico Bondi per un risarcimento da 150 milioni e che offre un’ulteriore compensazione ai risparmiatori. La decisione su quest’ultimo caso è prevista per i prossimi giorni, mentre la prima udienza del dibattimento contro i quattro istituti rinviati a giudizio è in calendario il 22 gennaio.

L’accusa è sempre la stessa: aggiotaggio. In pratica, sostiene la procura, le banche in questione, che hanno accompagnato il gruppo di Calisto Tanzi in alcune spericolate operazioni, conoscevano lo stato di dissesto, ma hanno taciuto, manipolando i corsi borsistici. Il provvedimento (che stabilisce anche il rinvio a giudizio di 12 funzionari degli istituti di credito coinvolti) è una delle prime applicazioni concrete della legge 231, che prevede la responsabilità oggettiva di enti e società per non aver predisposto modelli organizzativi interni in grado di prevenire la commissione di reati. È questo il solo caso in cui una persona giuridica può venire chiamata a rispondere direttamente di fronte al giudice penale. Negli altri (compresi, almeno per il momento, i rimanenti filoni processuali del dissesto Parmalat) le banche figurano in giudizio come soggetti chiamati civilmente a risarcire il danno provocato da propri funzionari. Anche per questo le reazioni del pm Francesco Greco sono state caute: «Quella del gup Tacconi è una decisione molto positiva per i risparmiatori», ha detto. «Ma sarà un processo molto difficile. È la prima volta che si aprirà un procedimento alle banche accusate di aver manipolato il mercato».

Quanto agli istituti sotto accusa respingono gli addebiti senza eccezioni. Il primo muro di difesa è di carattere formale: alcuni tra gli avvocati difensori contestano la stessa applicazione della legge 231: «Le banche estere non hanno sede in Italia, il Gup non ne ha tenuto conto, ne riparleremo al processo», ha detto Giuseppe Bana avvocato di Ubs. Il secondo argomento è più sostanziale: le banche smentiscono di aver avuto conoscenza delle malridotte finanze del gruppo di Collecchio.

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IL GIORNALE giovedì 14 giugno 2007

Cirio chiede 329 milioni a Deloitte e Cragnotti

di Redazione - giovedì 14 giugno 2007, 07:00

da Milano - I commissari della Cirio chiedono a Sergio Cragnotti, ad altri 15 amministratori e sindaci e alla Deloitte & Touche risarcimenti per 329,5 milioni. La somma è richiesta in via principale al revisore; a Cragnotti 26,6 milioni. Tra i danni ricordati nell’atto di 89 pagine, citato da Radiocor, quelli provocati dalle parcelle dei consulenti per oltre 2,1 milioni e quelli, per 11,2 milioni, collegati ai versamenti per la famiglia Cragnotti. Oltre a Cragnotti e alla Deloitte a cui era stato affidato l’incarico di revisore dal 1998 al 2002, sono chiamati al risarcimento dei danni i figli dell’ex patron, Massimo e Andrea, il genero Filippo Fucile e altri ex amministratori in carica nel 2003 (come Giovanni Fontana e Roberto Colavolpe), e sindaci. «Quella avviata davanti al Tribunale civile di Roma - ha spiegato a Radiocor il commissario Luigi Farenga - è un’azione di responsabilità. I tentativi di salvataggio del gruppo, come ad esempio il piano Livolsi, hanno ritardato la dichiarazione di insolvenza pregiudicando ulteriormente il passivo della Cirio». I 329,5 milioni richiesti, ha detto ancora Farenga, «sono soldi che una volta realizzati, andranno a beneficio di creditori ed obbligazionisti». In via principale è chiamata a risarcire il danno la nuova Deloitte & Touche in solido con la Dianthus, l’ex Deloitte che ormai è solo una scatola vuota. La richiesta di risarcimento è legata «alla sostanziale omissione dell’attività di revisione eseguita da Dianthus che ha consentito agli amministratori in carica dal ’98 al 2002 di porre in essere le operazioni di spoliazione e mala gestio». Tra i danni ci sono anche quelli provocati dalle parcelle d’oro destinate in pieno default alle società di consulenza per «improbabili piani di salvataggio». Ad esempio Credit Suisse First Boston per «la consulenza in merito alla congruità del piano di ristrutturazione predisposto da Livolsi» si è insinuata al passivo del gruppo come creditore per 1.024.688 milioni, mentre il professor Luigi Guatri, per un incarico di febbraio 2003 ha ricevuto 550.800 euro.

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LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007

Tasse, sugli onesti pressione al 50% - Dal 1980 a oggi il sommerso è cresciuto in maniera esponenziale

[FIRMA]PAOLO BARONI

ROMA - La pressione fiscale in Italia viaggia attorno al 42% del prodotto interno lordo. Ma questa è solo una media: perché in realtà, per colpa degli evasori, gli italiani onesti pagano molto di più. Secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate sui dati del 2004, a fronte di un prelievo «apparente» del 41,42% i cittadini onesti hanno pagato quasi 10 punti percentuali in più: il 50,74%. La ricchezza sottratta al Fisco negli ultimi 27 annim, dal 1980 ad oggi, è cresciuta infatti in maniera esponenziale, passando da 43,9 miliardi di euro ai 270,1 miliardi di euro del 2004. Che corrisponde ad una quota pari al 19,12% del Prodotto interno lordo.

La ricerca rivela che è addirittura dal 1989 che la pressione reale viaggia sopra il 50%, con un picco del 55% nell’anno dell’Eurotassa, il 1997. Le stime del 2004, l’ultimo anno per il quale sono disponibili tutte le variabili, parlano di una base imponibile effettiva di 818.403 miliardi e di tasse pagate solamente su 548.301 miliardi di euro.

L’anno di massimo assoluto dell’evasione è stato il 1990: negli anni a seguire questo odiosissimo fenomeno comincia il suo graduale rientro fino ad arrivare al minimo del 1999 con un decremento di quasi 10 punti in 10 anni. Negli anni più recenti «si osserva, invece, una pericolosa fase ascendente dell’evasione negli anni 2003 e 2004».

La ricerca, appena sfornata, conferma la volontà del Fisco di conoscere la reale portata del «fenomeno evasione» proprio in un momento in cui l’argomento è diventato di strettissima attualità, in vista della spartizione del cosiddetto «tesoretto» e della messa a punto del nuovo Dpef (Documento di programmazione economica). Nei giorni scorsi è stato lo stesso ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ad affermare che in Italia il peso delle tasse è altissimo e che la riduzione delle aliquote è strettamente legata al recupero d’evasione fiscale.

Le nuove stime partono dai versamenti Iva che vengono incrociati con i dati Istat relativi alla contabilità nazionale. L’imposta sul valore aggiunto, infatti, secondo gli esperti, «è un tributo cardine del comportamento fiscale tout-court perché la gran parte delle fattispecie di comportamento evasivo generano un abbattimento di imponibile Iva». Che negli ultimi anni è stato pesantissimo: solo nel 2004 sarebbero stati sottratti al Fisco 43,2 miliardi di euro di Iva, ben il 31% in più rispetto a 5 anni prima, a fronte di versamenti per 77,9 miliardi di euro. In pratica ogni 100 euro di Iva pagata ce ne sono 55 che vengono puntualmente evasi.

La vera novità dell’analisi condotta dall’Agenzia delle entrate riguarda però la possibilità di calcolare la pressione fiscale effettiva, un dato che consente di verificare se la riduzione della pressione sia imputabile a una riduzione del carico fiscale determinato dalle leggi o se sia il risultato di un aumento dell’evasione. Nel 2002, ad esempio, si è assistito a una riduzione del carico fiscale legale, non colto tramite la pressione fiscale apparente rimasta stazionaria, poiché associato a un recupero di evasione (si riduce il carico fiscale di chi paga le tasse, perché si amplia la base di quelli che le pagano). Nel 2003, è invece accaduto l’inverso: e il carico fiscale sugli «onesti» è aumentato di più di quello apparente. Nel 2004, la pressione fiscale apparente è invece scesa di più di quella reale: questo significa che una parte della riduzione del peso fiscale era il prodotto di una nuova impennata dell’evasione. La pressione fiscale è cresciuta fino al 1997 per poi calare leggermente e stabilizzarsi: intorno al 42-43% quella apparente, mentre quella effettiva oscilla sul 51-52%. E questo, come segnalano da tempo molti osservatori, dalla Confindustria alla Banca d’Italia, è la vera anomalia italiana.

«A causa del peso dell’evasione – denunciava il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nelle sue ultime Considerazioni finali, lo scorso 31 maggio - la differenza tra l’Italia e resto dei paesi d’Europa è maggiore se si guarda la prelievo sui contribuenti fiscalmente onesti». La forbice tra pressione fiscale «apparente» e «reale» viaggia infatti attorno ai 9-10 punti percentuali del Prodotto interno lordo: ecco l’importo del vero «tesoretto» che bisognerebbe cercare di incassare.

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LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007

Dpef e pensioni, accordo lontano - Rifondazione vuole trasformare i contratti a tempo nell’anticamera dell’assunzione - Monito Ue «Il risanamento sia più rapido. L’extragettito? Forse non è strutturale» Sgravi Anche il piano casa, taglio dell’Ici compreso, tra le priorità dell’esecutivo - Dpef e pensioni - La trattativa Oggi l’incontro dei capigruppo di maggioranza - Domani il vertice con i sindacati

[FIRMA]ANTONELLA RAMPINO

ROMA - Spira uno straordinario buonumore da Palazzo Chigi, nonostante le molte grane, e proprio sulla grana più grossa: la politica economica, la riforma delle pensioni, il Dpef che va preparato in volata. «Abbiamo gettato le fondamenta del risanamento, adesso è il momento di costruire la casa», fanno sapere gli uomini del Professore. «L’accordo in linea di massima c’è», suonano le campane di Giulio Santagata. In realtà, l’incontro di Padoa Schioppa, Damiano, Visco e Santagata nello studio di Prodi è stato interlocutorio. Scontati alcuni punti, già messi a fuoco in una girandola di analoghi vertici fortunosamente sfuggiti ai cronisti (uno fu lo stesso giorno della visita di Bush a Roma), e cioè che ad essere interessati dalla fase di redistribuzioni saranno le pensioni basse e i giovani, che ci sarà un piano-casa forse anche col ritocco dell’Ici cui tanto tiene Rutelli e che non è inviso a Rifondazione «purché ne siano esclusi quelli alla Berlusconi», tira aria di rinvio a settembre dello scalone. E il superministro dell’Economia è sempre più scettico, poiché girano voci (soprattutto a sinistra) che il «tesoretto» sia ben oltre i 10 miliardi di euro di cui si vagheggiava sin qui, e perché si sarebbe aggiunto un «tesorone» anche nell’Inps, che è in realtà un effetto contabile, cioè poco più che virtuale. Anche se Russo Spena, per esempio, non ci crede, «quei soldi ci sono, sono l’effetto di 250mila immigrati che si pagano la previdenza, mentre ne avevano previsti solo 50 mila».

Di certo, quello di Palazzo Chigi è un ottimismo necessitato. Senza tener conto delle richieste delle sinistre, ieri piuttosto compiaciute di aver trovato unità di azione in materia di politica economica e sociale, il governo rischia di andare a carte e quarantotto: in Senato, dove pure ieri è arrivato Marco Follini come ottantanovesimo senatore dell’Ulivo, non mancherebbero uno o due voti, ma svariate decine. Quindi il governo procede a tappe forzate. Domani ci sarà l’incontro coi capigruppo di maggioranza dei due rami del Parlamento, «passaggio indispensabile per capire le loro richieste, e per spiegare quante risorse ci sono e come modularle», spiega uno degli uomini-chiave di Palazzo Chigi. Poi, venerdì l’incontro fondamentale: quello con i sindacati. La cui linea è considerata dalla sinistra come quella del Piave, anche se in questa fase Rifondazione si sente particolarmente vicina al governo, tanto che fonti sindacali raccontano di un filo diretto Prodi-Giordano, che avrebbe prodotto una linea di mediazione. Un’ipotesi sulle pensioni, rimandare al 2010 l’innalzamento dell’età pensionabile a 58-59 anni. Sarebbe una soluzione ad hoc per i lavoratori “usurati”. E c’è anche una certa sintonia della sinistra con il ministro Cesare Damiano, del quale si apprezza la volontà di «abbattere il precariato». Tra tante differenze, si dovrà trovare la quadratura del cerchio. Di certo, l’attenzione di Prodi è concentrata a sinistra, ma altrettanto certamente non scontentando l’ala riformista dell’Unione. E nessuno a cominciare da Prodi, fanno sapere da Palazzo Chigi, pensa di disattendere i moniti del commissario Almunia. Quanto agli esiti, è presto anche solo per ipotizzarli. Come fanno notare da via XX Settembre «la partita delle pensioni non si può certo concludere in un giorno». Tommaso Padoa Schioppa ha elaborato una linea detta «a pacchetto», ovvero riforma delle pensioni e welfare devono procedere di pari passo. Poi, naturalmente, far capire che la coperta è corta. E pensare che il ministro della Solidarietà Parolo Ferrero vorrebbe impegnare un miliardo di euro solo per gli sfrattati... 

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LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007

Per i veti incrociati la discussione potrebbe slittare a settembre - E il nodo “scalone” rischia il rinvio

TERESA PITTELLI

ROMA - Due miliardi e mezzo di euro a pensionati poveri, disoccupati e lavoratori discontinui. I tecnici dei ministeri economici hanno ormai quasi definito l'accordo sulla parte dell'extra-gettito fiscale da assegnare al welfare. Il progetto prevede di destinare aumenti di 70-80 euro a 1,4 milioni di pensionati che hanno già versato i contributi ma vivono con meno di 550 euro al mese, e di portare l'indennità di disoccupazione dal 50% al 60% dell'ultima retribuzione, che verrebbe inoltre estesa ai cosiddetti lavoratori atipici, attualmente privi di una copertura. Al piano andranno quasi sicuramente 2,5 dei 10 miliardi extra emersi dalle dichiarazioni fiscali 2006, ma la somma potrebbe anche lievitare in modo consistente, forse fino a 3 miliardi di euro, dopo la prossima rilevazione di luglio.

Dopo il vertice di ieri a colazione guidato da Romano Prodi, se il piano sulle pensioni basse e la riforma degli ammortizzatori sociali sta raccogliendo un consenso trasversale, molte sono le questioni irrisolte che restano sul tavolo. A partire dalla spinosa discussione sulla revisione dello scalone Maroni, che lasciato così com'è innalzerebbe da 57 a 60 anni l'età di pensionamento dal 2008, e sui coefficienti di trasformazione, che calcolano l'importo finale della pensione in base all'allungamento della vita media. Problemi talmente controversi, a causa dei veti incrociati dei sindacati e della sinistra radicale, da non escludere l'ipotesi circolata da ultimo a palazzo Chigi di rimandarne la discussione all'autunno, quando comincerà a delinearsi la Finanziaria.

Una soluzione che lascia scettici i sindacati. «Sarebbe una sciocchezza e un modo per tenersi lo scalone», sostiene Pierpaolo Baretta, segretario generale aggiunto della Cisl. E anche nel governo c'è chi, come il ministro Damiano, spera di chiudere il negoziato con i sindacati entro giugno, con un accordo che tenga insieme tutte le misure sul welfare e il mercato del lavoro, scalone e coefficienti compresi. Le ipotesi di trattativa alle quali i tecnici stanno lavorando prevedono di sostituire lo scalone con scalini graduali o con le quote suggerite dalla Cisl, ovvero somme di età anagrafica e anzianità contributiva da combinare liberamente perché diano lo stesso risultato (ad esempio «quota 95», raggiungibile con 60 anni di età e 35 di contributi, o 59 di età e 36 di contributi, e così via).

Una soluzione che piace ovviamente a Baretta, anche se rimangono da convincere Cgil e Uil. «Secondo noi la strada maestra è il ritorno a 57 anni per l'età della pensione, lavorando sugli incentivi per il suo innalzamento progressivo», ribadisce Domenico Proietti (Uil).

Quanto ai coefficienti previsti dalla legge Dini, sta prendendo corpo l'ipotesi di congelare temporaneamente la loro revisione, e demandare a una commissione ad hoc la ridefinizione dei parametri di calcolo sulla base di nuove variabili (come il tasso di immigrazione, la crescita, la precarizzazione del mercato del lavoro).

Ancora da sciogliere è anche il nodo della quantificazione dell'extra-gettito da destinare agli altri capitoli sociali del Dpef come il piano casa e gli aiuti alle famiglie, per i quali sarebbero sul piatto circa 2-2,5 miliardi oltre ai 2,5 già previsti per il welfare. Una fetta del «tesoro» potrebbe anche finire in un decreto di fine giugno con la rivalutazione delle pensioni e gli ammortizzatori sociali. E un'altra parte attendere la Finanziaria per la sua definizione. Sempre che tra oggi e domani governo e maggioranza riescano a trovare l'intesa politica.

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LA STAMPA giovedì 14 giugno 2007

L’ACCUSA È AGGIOTAGGIO. A LUGLIO LA DECISIONE SU BANK OF AMERICA - Parmalat, 4 banche a processo

[FIRMA]SUSANNA MARZOLLA

MILANO «E’ la prima volta che si farà un processo alle banche accusate di aver manipolato il mercato». Il pm Francesco Greco commenta così, con soddisfazione, la decisione del gup milanese Cesare Tacconi di rinviare a giudizio quattro istituti di credito di livello mondiale: Citigroup, Deutsche Bank, Morgan Stanley, Ubs (Unione delle banche svizzere). Il reato contestato è aggiotaggio: le banche, chiamate a rispondere come «persone giuridiche» in base alla legge 231, sono accusate di aver fornito «notizie false, esagerate o tendenziose» sulla situazione di Parmalat e sulla solidità dei suoi titoli; notizie che hanno «turbato il mercato».

Il processo comincerà il prossimo gennaio e che «sarà molto difficile», come preconizza lo stesso Greco. Ma intanto il primo passo è stato fatto: «La procura di Milano - sottolinea il pm - ha dimostrato di voler continuare ad accertare tutte le responsabilità emerse nel crac Parmalat e continuerà ad indagare; è la migliore risposta a quanti hanno sostenuto un nostro presunto disimpegno dal processo». La decisione del gup, secondo Greco, «è positiva anche per i risparmiatori» che possono così sperare in un risarcimento; anche se «sarebbe auspicabile trovare una soluzione extragiudiziale». Perché un gran numero di parti civili allungherebbe i tempi del giudizio, favorendo la possibile prescrizione del reato. Non è questa però, al momento, la via d’uscita che auspicano le banche coinvolte. Tutte convinte di uscire indenni - nel merito e non nei tempi - dal prossimo processo. Ubs, ad esempio, critica la decisione del gup su due punti: l’aver applicato la legge 231 «anche alle banche straniere che non hanno sede in Italia»; il non aver tenuto nel debito conto che Parmalat «era valutata da agenzie di rating indipendenti come finanziariamente solida, e questa previsione era confermata dalle società di revizione». Sul primo punto il gup Tacconi risponde che si tratta di una questione infondata perché «nel momento in cui l’ente estero decide di operare in Italia ha l’onere di attivarsi e di uniformarsi alle normative. Ragionando diversamente si attribuirebbe una sorta di autoesenzione in contrasto con il principio di territorialità della legge». Sul secondo punto, invece, si giocherà tutto il processo. Stando a quanto, nei loro comunicati, fanno sapere, oltre ad Ubs, tutte le banche coinvolte. Morgan Stanley dice di aver «condotto un riesame approfondito delle proprie operazioni, che sono risultate del tutto corrette; ciascuna di queste transazioni è stata avviata e portata a termine non essendo a conoscenza dell’insolvenza di Parmalat». Il legale di Deutsche Bank si dice convinto che al processo si dimostrerà come nessun dipendente «abbia commesso alcuna condotta di aggiotaggio» e Citigroup va più in là: «Nella più grave bancarotta fraudolenta della storia italiana del dopoguerra siamo stati parte offesa». Dopo il rinvio a giudzio di oggi, all’elenco delle banche coinvolte nell’accusa di aggiotaggio mancano due istituti: Bank of America, su cui il Gup deciderà a luglio; Nextra, società di Banca Intesa, che invece, dopo aver risarcito Parmalat con 150 milioni di euro ha chiesto il patteggiamento (udienza il 18 giugno).

 

-Thomas Edison-

Il tempo è l'unico, vero capitale che un essere umano ha,

e l'unico che non può permettersi di perdere.

 

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