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news fabi anno VIII – venerdì 2 novembre 2007 2007

 

rassegna stampa quotidiana riservata alle strutture

 

a cura di Bruno Pastorelli

Se riscontrate anomalie, nei collegamenti comunicatelo a: b.pastorelli@fabi.it, grazie.

 

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Così disse

 

LA REPUBBLICA Pagina VI - Palermo  venerdì 02 novembre 2007. 2

L´OPERAZIONE - Lo smantellamento è il primo effetto della fusione con Unicredit. "Equilibri di bilancio a rischio" ... 2

 

LA SICILIA giovedì 01 novembre 2007. 3

Unicredit, oltre seimila esodiPrepensionati. - BdS, 710 istanze, proroga al 16. Fabi: 400 assunzioni. Zonin mira a filiali in vendita a Palermo. 3

 

LA REPUBBLICA Pagina II - Palermo GIOVEDÌ, 01 NOVEMBRE 2007. 4

In settecento fuggono dal Bds - Boom di esodi con l´incentivo, proroga per le adesioni ... 4

 

MF Sicilia - Numero 217, pag. 1 del 1/11/2007. 5

Bds, via con gli esodi - Tra fondo abi e prepensionamenti 700 adesioni in tutto. 5

 

L'ECO DI BERGAMO 1 novembre 2007. 6

Migrazione Ubi Sindacati critici sui tempi 6

 

da Finanza&Mercati del 02-11-2007. 7

Denunciata Bankitalia: «La centrale rischi tutela solo le banche». 7

 

da Finanza&Mercati del 02-11-2007. 7

«Governo al lavoro sui Fondi» Ma la class action va in soffitta. 7

 

da Finanza&Mercati del 02-11-2007. 8

Banca Mb, nel 2010 punta a 1,2-1,4 mld di masse in gestione. 8

 

da Finanza&Mercati del 02-11-2007. 9

Generali, consumatori presentano esposto a Procura. 9

 

IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007. 9

Le banche mettono paura alle Borse. 9

 

IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007. 10

«I guai Usa non sono finiti, ma niente recessione». 10

 

IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007. 11

Bankitalia: in 10 anni costo del lavoro +20%.. 11

 

IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007. 12

PopSpoleto, multa ai vertici 12

 

LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007. 12

Il giovedì nero dei mercati - Wall Street a picco, Eurolandia brucia 137 miliardi. Petrolio, nuovo record - Maxi iniezione di liquidità della Fed. Negli Usa boom di pignoramenti 12

 

LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007. 13

Vivere col greggio a 100 dollari rincari-lampo per auto e bollette - Gli esperti: nel 2008 stangata da 200 euro a famiglia - I record di questi giorni si scaricheranno sui consumatori nel corso dell´inverno. 13

 

LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007. 14

Il buco nei bilanci degli istituti di credito dopo la crisi dei mutui è a quota 30 miliardi di dollari - Da Citigroup a Credit Suisse rischio "tsunami" per le banche - La crisi americana ha già contagiato i conti dei big europei e dei colossi nipponici 14

 

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LA REPUBBLICA Pagina VI - Palermo  venerdì 02 novembre 2007

L´OPERAZIONE - Lo smantellamento è il primo effetto della fusione con Unicredit. "Equilibri di bilancio a rischio" - Bds, via l´ufficio contenzioso dipendenti trasferiti o riqualificati - L´accusa dei sindacati: del Banco ormai sono rimasti solo il marchio e la rete degli sportelli 

ANTONIO FRASCHILLA 

Il Banco di Sicilia perderà anche l´ufficio contenzioso, che raggruppa circa 200 lavoratori. Dal cinque novembre i dipendenti del comparto passeranno dal Bds alla Ugic Unicredit, la società che si occupa del contenzioso per la capogruppo. Ma non ci sarà posto per tutti: circa 60 saranno riqualificati e assegnati alla rete degli sportelli del Banco. In ottanta invece saranno trasferiti al call center della Ugic che avrà però un distaccamento ad hoc a Palermo per evitare trasferimenti in massa. Unicredit però conta anche sulle uscite volontarie per ridurre il personale: ai legali che lavorano al momento al contenzioso Bds e che possono optare anche per la libera professione è stato proposto uno scambio che prevede da un lato l´abbandono del posto di lavoro come dipendente, e in cambio un pacchetto di pratiche che la Banca si impegna ad affidare ai lavoratori stessi, però come consulenti esterni.

Il trasferimento del settore contenzioso dal Bds al Unicredit è un primo tassello della riorganizzazione del dopo fusione. «Una riorganizzazione che rischia di danneggiare molto gli assetti del Banco e gli equilibri di bilancio - dice Francesco Re, segretario regionale della Fisac Cgil - Il contenzioso ha sempre garantito una percentuale elevata degli utili del Banco, e se adesso passa a Unicredit certamente a essere danneggiato è il patrimonio del Bds. Ma se diminuisce il patrimonio come possono essere mantenuti i livelli occupazionali?». A giorni sarà aperta una trattativa tra azienda e sindacati: «Chiederemo il rispetto delle professionalità e certezze su eventuali procedure di mobilità interna», dice Carmelo Raffa, segretario della Fabi. «Quello del contenzioso è un ulteriore passo in avanti nella cura dimagrante che è stata inflitta al Banco dopo la fusione Unicredit - dice Giuseppe Di Giacinto, della Falcri - Del Bds rimane ormai solo il marchio e la rete degli sportelli, nulla più». 

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LA SICILIA giovedì 01 novembre 2007

Unicredit, oltre seimila esodiPrepensionati. - BdS, 710 istanze, proroga al 16. Fabi: 400 assunzioni. Zonin mira a filiali in vendita a Palermo  

michele guccione

Palermo.  É un finale con tanti colpi di scena e, soprattutto, ha le sembianze di un esodo incentivato di massa, una fuga dal lavoro non vedendo chiaro nel futuro. Entro ieri i dipendenti di Unicredit Gruppo interessati a lasciare in anticipo il lavoro dietro erogazione di incentivo dovevano presentare la domanda agli uffici personale. Ebbene, rispetto alla soglia di cinquemila unità totali fissata dall'accordo con i sindacati delle banche del gruppo, ieri le istanze hanno superato il numero di seimila. Nel solo Banco di Sicilia, dove la platea di aventi i requisiti varia da 1.030 a 1.300, le domande presentate sono state 710.

Altra sorpresa. I vertici del gruppo nato dalla fusione tra Unicredit e Capitalia hanno deciso di prorogare ulteriormente il termine al prossimo 16 novembre.

Infatti, l'azienda attende un'altra ondata di domande. Sarebbero molti, infatti, i dipendenti che hanno avanzato richiesta di regolarizzazione o perfezionamento di contributi previdenziali pregressi, al fine di rientrare nei requisiti minimi per il prepensionamento.

I sindacati prevedono che, grazie alla proroga, al BdS le domande potranno superare il numero di 800, ben oltre le loro aspettative.

Entrando nel dettaglio, i dipendenti della banca siciliana che hanno richiesto l'esodo anticipato e incentivato si dividono in due gruppi. In 174 avevano da tempo maturato i requisiti per la pensione e avevano deciso di restare usufruendo del bonus Maroni. Adesso lasceranno il lavoro subito, percependo un incentivo che, in base all'età anagrafica e di servizio, varierà da 6 a 18 mensilità di buonuscita aggiuntiva.

Altri 536 andranno in prepensionamento entro il 2010 accedendo al fondo esuberi dell'Abi riservato a coloro ai quali mancano fino a cinque anni di contributi per la quiescenza. Riceveranno un bonus una tantum di quattro mensilità. Le finestre di uscita, al raggiungimento dei requisiti: 1 gennaio 2008, 1 gennaio 2009, 1 gennaio 2010, 1 luglio 2010.

Altro colpo di scena. A fronte di un esodo di dimensioni tali e impreviste, il sindacato chiede all'azienda di correre ai ripari: «La banca non potrà reggere perdendo così tante unità – esordisce Carmelo Raffa, segretario della Fabi – Unicredit dovrà assumere al Banco almeno 400 nuovi addetti nel triennio. La Sicilia non può essere ancora una volta penalizzata sul versante occupazionale – commenta Raffa – negli ultimi anni, fra Sicilcassa e Banco, la principale azienda di credito dell'Isola ha perduto almeno cinquemila lavoratori».

Sul fronte dell'operatività della banca, due novità. All'offerta presentata per rilevare dal Banco la quota detenuta nell'Irfis (76%), la Banca popolare di Vicenza avrebbe aggiunto l'offerta per una porzione della quota detenuta da Unicredit in Mediobanca e, in questi giorni, una richiesta vincolante per gli sportelli BdS che Unicredit dovrà dismettere in provincia di Palermo per effetto del provvedimento dell'Antitrust. Il leader del gruppo, Gianni Zonin, vorrebbe rafforzare la presenza della controllata Banca Nuova nell'area di Palermo, dove da sempre punta ad esercitare una forte concorrenza al monopolio del BdS. Una richiesta che, proprio in quanto avanzata da Zonin, avrebbe fatto lievitare il prezzo preteso per cedere questi sportelli.

Infine, da oggi i clienti di BdS, Bancaroma e Unicredit non pagheranno commissioni anche per prelievi Bancomat presso banche del gruppo in Germania, Austria e Polonia.

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LA REPUBBLICA Pagina II - Palermo GIOVEDÌ, 01 NOVEMBRE 2007

In settecento fuggono dal Bds - Boom di esodi con l´incentivo, proroga per le adesioni - I posti liberi non saranno rimpiazzati. I sindacati "Servono le assunzioni" - In 560 non hanno raggiunto il minimo pensionabile ma vogliono andare via - Bonus fino a diciotto mesi di stipendio per chi ha meno anzianità di servizio - Una nuova ondata di fuoriuscite prevista per le cessioni imposte dall´Antitrust 

ANTONIO FRASCHILLA 

Una vera e propria fuga dal Banco di Sicilia. Sono stati oltre 700 i dipendenti che hanno deciso di lasciare il posto di lavoro, aderendo al fondo esuberi (una sorta di cassa integrazione) o usufruendo degli incentivi alla pensione messi a disposizione da Unicredit dopo la procedura di fusione. Ieri scadeva il termine per presentare le domande di esodo volontario e in pochi ai piani alti di piazzale Ungheria si aspettavano un´adesione così massiccia. Tanto è vero che nel pomeriggio è stata decisa la proroga al 16 novembre per presentare ulteriori richieste di esodo.

In questa fuga destina a crescere c´è una certezza: dopo l´ennesima procedura di fusione (con 814 esuberi calcolati), il Banco arriverà ad avere appena 5.856 occupati. Questo perché nessuno degli esodi sarà rimpiazzato. In particolare sono stati 140 i dipendenti che hanno deciso di andare in pensione, usufruendo di un incentivo dato dal gruppo che varia dalle 6 alle 18 mensilità (il massimo spetta a chi è ancora a tre anni dalla pensione). Gli altri 530 invece sono tutti lavoratori ai quali mancano cinque anni per poter avere la pensione minima: questi hanno aderito al fondo esuberi dell´Abi, l´associazione delle banche italiane e lasceranno il posto di lavoro a partire dal 2008. Il fondo consentirà a loro di avere una retribuzione pari al 70 per cento dell´ultimo stipendio. Unicredit inoltre ha garantito un incentivo pari a quattro mensilità. L´obiettivo dell´amministratore delegato del gruppo, Alessandro Profumo, era quello di "liberare" il più possibile personale in modo da evitare licenziamenti improvvisi e coprire così gli esuberi. Un´operazione che, a quanto pare, in Sicilia è perfettamente riuscita, visto che gli esuberi programmati del dopo fusione ammontano a 814. Non a caso a fronte dei 700 esodi non c´è in programma alcuna assunzione. Ma c´è di più: all´orizzonte c´è anche la cessione di 70 sportelli, per decisione dell´Antitrust, e altri 300 bancari lasceranno il Bds.

Ma perché così tanti dipendenti hanno deciso di lasciare subito il Banco? «Perché, al di là dei buoni incentivi economici, é finita qualsiasi prospettiva di carriera all´interno del Bds - dice Gino Sammarco della Fiba Cisl - Tutte le posizione di vertice sono rimpiazzate da uomini Unicredit, inoltre ormai il Banco è stato depauperato di settori importanti, come quello dei servizi alle imprese e ai grandi clienti».

I sindacati lanciano l´allarme: «Occorre fare subito nuove assunzioni perché con i 700 esodi la rete ne esce gravemente danneggiata in termini di personale - dice Francesco Re, della Fisac Cgil - La Regione, che ha uno quota dello 0,6 per cento, deve almeno difendere i livelli occupazionali del Banco, che invece da dieci anni a questa parte sono in costante diminuzione». Se nel ´98, ai tempi della fusione Sicilcassa, il Banco contava 11 mila lavoratori, dopo gli esodi dell´operazione Unicredit ne avrà 5.856 (senza contare il personale che sarà venduto con le filiali in eccesso). La più importante azienda siciliana ha perso in dieci anni cinque mila occupati. «La massiccia adesione agli esodi è inoltre un chiaro segnale di disagio per i continui riassetti del Bds che stanno trasformando il Banco in una semplice rete di sportelli», dice Carmelo Raffa della Fabi. Per Giacomo Di Marco, della Uilca, «con la perdita di 700 lavoratori andrà in difficoltà tutta la rete delle filiali che si troverà sotto dimensionata rispetto alla mole di lavoro».

All´orizzonte c´è però un´altra perdita per il Banco. Entro l´anno il Bds cederà l´Irfis, l´istituto di medio credito, con i suoi 120 dipendenti: è ormai in dirittura d´arrivo la trattativa con Banca Nuova e la Regione (che ha una quota del 21 per cento). 

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MF Sicilia - Numero 217, pag. 1 del 1/11/2007

Bds, via con gli esodi - Tra fondo abi e prepensionamenti 700 adesioni in tutto.

Autore: Emanuela Rotondo

Hanno avuto due mesi per pensarci. A fine agosto 1.500 dipendenti del Banco di Sicilia hanno ricevuto una lettera dalla direzione risorse umane che li avvertiva sulla possibilità di aderire al fondo esuberi Abi o al prepensionamento. I termini scadevano ieri e in 700, cioè circa la metà dei destinatari, hanno risposto sì all'invito del Banco coinvolto nella maxifusione tra Unicredit e Capitalia. La partita, però, non è ancora chiusa perché sempre ieri, in tardo pomeriggio, i vertici del nuovo colosso (sesta banca al mondo per capitalizzazione borsistica: 100 miliardi di euro) hanno deciso di prorogare i termini dell'adesione fino al prossimo 16 novembre. L'obiettivo è quello di ridurre l'organico di tutte le banche del gruppo. Per il Banco di Sicilia il ritornello si ripete: basti pensare che negli anni Novanta i dipendenti erano 15 mila contro gli attuali 6.500. Una cifra che, nell'era Unicredit, dovrà essere sfoltita ulteriormente. Da qui ai prossimi tre anni, infatti, l'organico del Bds sarà ridimensionato fino ad arrivare a 4.800 addetti. Si prospettano due strade, così come previsto dall'accordo tra azienda e sindacati firmato lo scorso 3 agosto. La prima è il fondo esuberi Abi, che prevede un assegno di accompagnamento (il 70% della retribuzione) per chi è a cinque anni dalla pensione. Anche in questo caso, il Banco di Sicilia non è una matricola al suo primo debutto: il fondo Abi è già stato collaudato a partire dal 2000, anno dell'ingresso in Capitalia. Allora risposero in 500, oggi sono già 530 e il dato è ancora provvisorio. «La platea, però», avverte Carmelo Raffa della Fabi, «è molto più ampia: la direzione del personale, infatti, non è a conoscenza di tutte le situazioni pensionistiche dei lavoratori». E cioè degli anni riscattati o dei contributi accumulati con lavori precedenti. L'altra via è quella del pensionamento incentivato destinato a chi ha già i requisiti per smettere di lavorare (57 anni compiuti e 35 anni di contribuzione). Per loro sono previsti bonus e incentivi. Un'offerta alla quale, fino al pomeriggio di ieri, hanno aderito 170 lavoratori del Banco di Sicilia. Tra tutte le aziende del gruppo si parla, invece, di circa 6 mila adesioni (4.200 per il fondo esuberi e 1.800 per il prepensionamento). Anche in questo caso, però, il dato è provvisorio. Le certezze si avranno il 16. Per il nuovo colosso bancario, insomma, si preannuncia un novembre denso di appuntamenti e scadenze. Nel corso di questo mese, infatti, si saprà qualcosa di più sulla vendita degli sportelli (circa 70 per il Bds) che l'Antitrust ha imposto per eccesso di posizione dominante. A partire da oggi, invece, per i correntisti del Banco di Sicilia sono azzerate le commissioni sui prelievi bancomat presso le banche appartenenti al gruppo Unicredit che si trovano in Austria, Germania e Polonia. Nello specifico si tratta di Bank Austria Creditanstalt, Hypovereinsobank e Bank Pekao. (riproduzione riservata)

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L'ECO DI BERGAMO 1 novembre 2007

Migrazione Ubi Sindacati critici sui tempi

Un problema di carattere organizzativo che non può essere riversato esclusivamente sulle spalle dei dipendenti. È sulla base di questo principio che al gruppo Ubi Banca è scattata la protesta contro la procedura di migrazione del sistema informatico che porterà tutte le strutture bancarie accorpate dalla fusione di Ubi e Banca Lombarda a lavorare su una piattaforma software comune. Quattro le banche reti interessate, Popolare Bergamo, Comindustria, Ancona e Carime nonché gli uffici centrali della direzione ex Bpu. «La pianificazione totalmente miope delle migrazioni, compresse nell'arco di 9 mesi e con previsione di partenza già colpevolmente ritardata dall'azienda stessa pone a grave rischio l'operatività in tutte le banche reti, sia quelle direttamente coinvolti che quelle che devono fornire i formatori e gli addestratori, comprese le strutture centrali» lamentano in un documento congiunto le segreterie di Coordinamento del Gruppo Ubi Banca di Dircredito, Fabi, Falcri, Fiba-Cisl, Fisac-Cgil, Ugl e Uilca.

Come più nello specifico spiega Alberto Maculan, della Fiba-Cisl di Bergamo, «da febbraio, ma già par di capire che sarà verso fine mese quando in realtà inizialmente si progettava questo novembre, si comincerà con la migrazione di Comindustria, a cui farà seguito Ancona, ai primi di luglio Carime e a settembre Popolare Bergamo: il tutto compresso in poco più di 8 mesi tenuto conto che l'obiettivo è quello di terminare la migrazione delle banche reti entro novembre e chiudere il cerchio con la sede centrale entro fine 2008». Tempi strettissimi che si sono imposti in Ubi e che, secondo Maculan «rischiano quasi di sicuro di far "saltare" turni di ferie a molti colleghi, in primis a quelli di Carime. Non è possibile scaricare un piano di questo genere, compresso per risparmiare tempi e costi, tutto e solo sulle spalle dei lavoratori». Problema a cui si aggiunge il fatto di prevedere la formazione al nuovo sistema («e ciò varrà anche per chi è allo sportello») non solo in aula, ma anche «a distanza in orario ordinario o straordinario».

E ieri, mentre l'Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercati ha avviato la fase valutativa della cessione dei 61 sportelli dal gruppo Ubi Banca al gruppo Banca Popolare di Vicenza, si è svolto il primo incontro sindacale per l'analisi dell'operazione. Appuntamento, ora a metà novembre.

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da Finanza&Mercati del 02-11-2007

Denunciata Bankitalia: «La centrale rischi tutela solo le banche»

Grane in arrivo per Bankitalia. O meglio, per la centrale rischi, il cui funzionamento finisce sul banco degli imputati in un momento di crescente tensione tra banche e creditori. Un imprenditore di Ascoli Piceno, Emidio Orsini, presenterà oggi alla procura della repubblica una denuncia per estorsione contro Palazzo Koch chiedendo addirittura il sequestro della banca dati della centrale dei rischi (CR).

Un’accusa pesante, che si fonda sulla supposta incapacità dell’ente guidato da Mario Draghi di evitare che le banche utilizzino «la centrale rischi come il più tremendo e turpe strumento di persuasione ed estorsione a loro disposizione», si legge nel documento pervenuto a F&M.

Insomma, come già sottolineato da qualche imprenditore caduto nella rete degli swap spazzatura, la centrale rischi darebbe agli istituti di credito la possibilità di fare cartello contro i debitori sofferenti. Anche contro quelli, come Orsini, che contestano la natura stessa della sofferenza.

In diversi precedenti, la diatriba ha già portato le banche in Tribunale. Ma in questo caso, l’azione attacca il bersaglio grosso. L’accusa punta il dito contro il funzionamento della centrale rischi. «La CR – si legge nell’apposita disposizione redatta dalla Banca d’Italia - è un sistema informativo che accentra le informazioni (stati di sofferenza o insolvenza compresi, ndr) sugli affidamenti concessi da ciascun intermediario ai singoli clienti per la successiva restituzione agli intermediari stessi dell’indebitamento globale dei rispettivi clienti verso il sistema». È poi previsto che «la Banca d’Italia non possa apportare di propria iniziativa variazioni alle segnalazioni ricevute», delegando integralmente all’intermediario l’onere di fornire dati attendibili. E anche nel caso in cui venga comunicata un’informazione errata su eventi che attengano alla posizione di rischio della clientela, «è l’intermediario che deve provvedere alla rettifica», mentre palazzo Koch può solo sollecitare l’intermediario stesso a procedere. Un meccanismo che, stando all’esposto di Orsini, offre alla banche l’opportunità di «annientare la volontà negoziale e ci obbliga all’unica alternativa di soddisfare le obbligazioni da loro imposte unilateralmente».

Titolare di un’impresa di costruzioni, l’imprenditore ha ottenuto la richiesta di rinvio a giudizio di dirigenti di otto banche per il reato di usura. Nel frattempo, è stato riconosciuto vittima di usura, appunto, dal prefetto di Ascoli Piceno, accedendo così alle protezioni previste dal Fondo di solidarietà per le vittime di richieste estorsive e dell’usura. Ciò nonostante, alcuni dei debiti oggetto del contenzioso, che il Pm incaricato delle indagini preliminari ha riconosciuto essere viziati da tassi usurari, rimangono segnalati come sofferenti presso la centrale rischi, poiché la Banca d’Italia ha le mani legate e le banche coinvolte si guardano bene dal chiederne una rettifica.

Se per l’imprenditore marchigiano la strada contro Bankitalia appare in salita, meno difficile è che i giudici alzino il tiro su CR. La magistratura non si sta dimostrando insensibile al tema.

Il tribunale di Vicenza, per esempio, ha di recente vietato a Banca Italease di procedere alla segnalazione di un cliente in difficoltà, argomentando la sentenza con il vizio di nullità del contratto che ha dato luogo al debito. La bomba a orologeria ora torna alla magistratura. E rischia di esplodere molto più in alto.

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da Finanza&Mercati del 02-11-2007

«Governo al lavoro sui Fondi» Ma la class action va in soffitta

Il governo è pronto a raccogliere l’appello di Mario Draghi, riscrivendo le norme sui fondi comuni italiani. Ma, allo stesso tempo, manda in soffitta la class action stralciando l’emendamento sull’azione collettiva dalla legge Finanziaria. La replica al governatore di Bankitalia arriva da Roberto Pinza. «Condividiamo le preoccupazioni espresse da Draghi riguardo alla tassazione dei fondi comuni, e il governo ha già iniziato a valutare la questione», ha spiegato a Finanza & Mercati il viceministro dell’Economia, precisando però che «non è stata ancora individuata la soluzione migliore». Né, tantomeno, se la riformasarà inserita nella legge di bilancio o in un decreto del governo. Mentre è probabile che sarà abbandonato il ddl che giace da tempo alla Camera.

Insomma, la partita resta aperta. Anche perché l’appello lanciato mercoledì dal governatore - «i fondi esteri godono di significativi vantaggi fiscali, poiché tassati sul risultato realizzato, anzichè sul maturato. È un handicap serio sui cui occorre intervenire» - si scontra con le forti tensioni interne alla maggioranza sulla partita delle rendite finanziarie, che fino a oggi è stata sempre affrontata insieme alla riforma dei gestori.

Le soluzioni sono sostanzialmente due: allineare tout court il sistema italiano a quello europeo oppure affidarsi al cosiddetto «equalizzatore» che, secondo il viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco, avrebbe un impatto meno traumatico.

Tra i sostenitori di quest’ultima ipotesi c’è anche il presidente di Assogestioni, Marcello Messori, che però propone un «equalizzatore semplificato», con l’applicazione di un’aliquota crescente in funzione diretta della durata dell’investimento finanziario. Strumento che sarebbe utile a disincentivare gli investimenti a lunghissimo termine, dettati solo dal vantaggio fiscale. Intanto, secondo quanto risulta a F&M, proprio il Tesoro avrebbe chiesto di stralciare dalla manovra di bilancio la norma sulla class-action, che punta ad introdurre la possibilità per i consumatori di promuovere cause collettive nei confronti delle aziende. Così, ieri, il relatore alla Finanziaria, Giuseppe Legnini, ha chiesto al senatore Roberto Manzione (Ulivo), che lo ha proposto, di trasformarlo in Odg. «Inserire una riforma di questo genere nella legge di bilancio - ha spiegato Legnini - sarebbe stato impegnativo e anche inopportuno. Credo infatti che serva per questo un’ampia discussione di merito». Parole non condivise da Manzione. «Sono profondamente deluso dal mio governo e dalla mia maggioranza, oggi si è persa la grande opportunità di assicurare effettività alla tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», ha detto il senatore del centrosinistra, che ha accusato la sua parte politica di aver preferito «una pilatesca marcia indietro, cedendo alle pressioni dei poteri forti».

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da Finanza&Mercati del 02-11-2007

Banca Mb, nel 2010 punta a 1,2-1,4 mld di masse in gestione

Chiusa la fase di start up guidata da Fabio Arpe, per Banca Mb inizia ora una nuova sfida: consolidare lo sviluppo attraverso l’aumento dei ricavi e la crescita delle masse. Per farlo, la banca d’affari e di investimenti ha approvato un aumento di capitale riservato da 68 milioni, che permetterà all’istituto di dotarsi di maggiori risorse per incrementare l’attività bancaria. Inoltre, ha realizzato un business plan 2008-2010 che verrà portato avanti dal presidente Mario Aramini, l’ex dg di Unicredit Banca d’Impresa che dallo scorso luglio ha sostituito Carlo Ciani. Nonostante Banca Mb non abbia rilasciato dettagli sugli obiettivi del piano triennale, fonti finanziarie riferiscono che nel 2010 la società punta a raggiungere 1,2-1,4 miliardi di masse in gestione, perseguendo quindi una forte crescita rispetto al valore di circa 435 milioni di maggio 2007 (come risulta dal verbale dell’assemblea del 14 maggio).

Inoltre, tra tre anni, Banca Mb stima di realizzare un utile lordo di 7-10 milioni con un roe del 5-6 per cento. Il raggiungimento del break-even dovrebbe avvenire invece tra 18 mesi. A causa soprattutto del perfezionamento della fusione per incorporazione con NovaGest Sim, nel 2006 Banca Mb ha riportato una perdita di 2,47 milioni, registrando però un incremento dell’88% del margine di intermediazione.

Attualmente Banca Mb opera in tre settori: wealth management, capital market e investment banking. Nei piani di espansione dell’istituto presieduto da Aramini ci sarebbe però anche l’ingresso nel lending di nicchia, ossia nel comparto dei prestiti alle piccole imprese e agli imprenditori di un certo standing. Attività che sarebbe in fase di partenza. Per la realizzazione del business plan, il cda del 29 ottobre ha approvato una ricapitalizzazione da 68 milioni che farà salire il capitale sociale fino a 102 milioni e il patrimonio netto a circa 118 milioni. L’aumento verrà offerto al nominale agli attuali azionisti, anche se il progetto starebbe attraendo interessati esterni. Attualmente, nell’azionariato di Banca Mb ci sono oltre 100 soci, tra cui nomi di primaria importanza nel mondo finanziario, assicurativo e imprenditoriale, come Giuseppe Lovati Cottini, Vittorio Coin, la famiglia Colleoni, Zenone Soave, Mariella Burani, Alerion Industries, Almaf, Banca Arner, Miro Radici, Carlo Fagioli, Camuzzi e Fon-Sai. STEFANIA PESCARMONA

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da Finanza&Mercati del 02-11-2007

Generali, consumatori presentano esposto a Procura

Un esposto-denuncia sarà presentato oggi alla Procura della Repubblica di Milano da Adusbef e Federconsumatori «per verificare le ipotesi di turbativa dei mercati, insider trading e aggiotaggio sui titoli Generali». L’iniziativa è stata annunciata ieri dalle due associazioni dei consumatori, con una nota, chiedendo al fondo Algebris di fare chiarezza. «È giusto e sacrosanto richiedere alle grandi compagnie, quale è Generali, correttezza, trasparenza maggiore redditività - affermano Adusbef e Federconsumatori - ma è altrettanto doveroso che gli autori della richiesta come il fondo Algebris, rendano noto quali siano gli azionisti del fondo stesso».

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IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007

Le banche mettono paura alle Borse

di Rodolfo Parietti

da Milano - Si chiamano Citigroup, Crédit Suisse e Ubs, e sono le tre “streghe” che, il giorno dopo Halloween, hanno fatto passare un giovedì da incubo alle Borse internazionali, rese peraltro ancor più vulnerabili dal pericoloso avvicinarsi dell’indice manifatturiero americano alla linea di demarcazione tra crescita e contrazione dell’attività economica.

La reazione degli investitori ha provocato un forte arretramento dei listini europei, dove le perdite hanno oscillato da un minimo dello 0,8% (Madrid) fino a un massimo del 2% (Parigi e Londra), con Milano in calo dell’1,97%, mentre a Wall Street il Dow Jones ha chiuso in ribasso del 2,63% e il Nasdaq del 2,21%. Le paure generate dall’intossicazione del settore del credito provocato dal virus dei mutui subprime hanno infatti trovato ieri amplificazione a causa delle pessime notizie piombate sui mercati con la forza di un maglio: non è piaciuta la bocciatura rifilata dagli analisti di Cibc World a Citigroup, per la quale si prospettano tempi di cinghia tirata (taglio dei dividendi, vendita di asset, probabile aumento di capitale per reperire risorse fresche); né, dall’altra parte dell’Oceano, le svalutazioni annunciate da Crédit Suisse, rimasta invischiata nei prestiti ad alto rischio, e il voto più basso rimediato da Ubs da parte di Merrill Lynch.

Insomma, se tre indizi costituiscono una prova, è fuor di dubbio che dovrà ancora passare tempo prima di veder smaltite le tossine finanziarie accumulate dalle banche. Ragionamento perfino elementare, che trascina con sé la voglia di liberarsi in fretta dei titoli. In Europa, l’indice di settore ha ceduto ieri quasi il 3%, e a Piazza Affari Unicredit ha lasciato sul terreno oltre il 4,6%, una perdita che si è andata a sommare ai ribassi precedenti: nel complesso, la diminuzione di valore di Piazza Cordusio è stata di quasi il 30% da metà maggio, periodo dell’annuncio della fusione con Capitalia.

Ma non sono solo gli istituti di credito a offrire ai mercati l’appiglio per ragionare in termini di rischio. Se alcune trimestrali (su tutte, quella di Microsoft) avevano fatto sperare in un finale d’anno all’insegna di un nuovo rally dei listini, ben altri scenari sono quelli prospettati dai deludenti risultati di Exxon, dall’annunciato taglio di 12mila posti di lavoro di Chrysler, dalle vendite calanti di Ford e dal continuo lievitare dei prezzi del petrolio. Tutti guardano all’America, ma l’evoluzione congiunturale Usa resta per certi versi indecifrabile. Mercoledì scorso, il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha giustificato la decisione di tagliare i tassi di un altro quarto di punto con la necessità di sostenere l’economia, nonostante la robusta crescita del Pil (più 3,9%) nel terzo trimestre, preservandola dai contraccolpi del settore immobiliare, ancora in sofferenza. Bernanke ha avvisato che il bilanciamento dei rischi tra inflazione e crescita potrebbe non rendere più necessari altri interventi di correzione del costo del denaro, eppure ieri i future sui Fed Fund esprimevano ancora il 100% di possibilità di una riduzione dei tassi in dicembre. A giudicare dall’andamento dell’indice Ism manifatturiero, sceso in ottobre a 50,9 punti (ovvero appena al di sopra della linea che indica espansione), dal numero doppio di famiglie che tra luglio e settembre (rispetto al 2006) non sono state in grado di onorare le rate dei mutui e dalla flessione delle spese private, l’America sembra aver ancora bisogno dell’aiuto della Fed. Ma è anche vero che gli effetti delle decisioni di politica monetaria si riflettono sull’economia dopo circa sei mesi. Bernanke, quindi, avrebbe buone ragioni per rinviare ogni decisione fino all’anno prossimo.

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IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007

«I guai Usa non sono finiti, ma niente recessione»

di Massimo Restelli - venerdì 02 novembre 2007

da Milano - Nei prossimi mesi il virus dei mutui ad alto rischio americani non tarderà «con ogni probabilità ad avere altre ripercussioni sulle Borse ma l’economia Usa non andrà in recessione»: il responsabile investimenti per l’Italia di Jp Morgan Asset Management, Valerio Salvati, invita i piccoli investitori a mantenere i nervi saldi davanti alle attuali turbolenze del mercato. Convinto che «le forze per contrastare la crisi sono già in campo» e che la Federal Reserve non farà mancare il proprio supporto «attuando una graduale e prudente riduzione dei tassi nei prossimi 6-9 mesi».

Come giudica l’attuale schizofrenia delle Borse?

«La definirei grande volatilità. Da un lato il mercato guarda a un ulteriore aiuto della Federal Reserve, dall’altro è vittima degli altalenanti dati sull’economia Usa. Il subprime è solo una parte del problema perché le banche hanno difficoltà a riprendere la propria attività in alcuni settori come la finanza strutturata e i finanziamenti alle imprese. A questi elementi negativi fanno però da contrappeso la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato, il fatto che i tassi di interesse al netto dell’inflazione siano abbastanza bassi e la spinta dei Paesi in via di sviluppo».

Cosa farà la Fed?

«A dicembre mi aspetto una ulteriore riduzione di 25 punti base del costo del denaro. Probabilmente sia la Banca d’Inghilterra sia la Banca centrale europea saranno costrette a incamminarsi nella stessa direzione. Più in generale, benché il mercato dimostri oggi nervosismo credo che, con un’ottica più di lungo periodo, Ben Bernanke, abbia ragione a non dare l’impressione di essere già disponibile a soccorrere l’economia americana».

Non la spaventa il petrolio vicino ai 100 dollari?

«A differenza di quanto è avvenuto negli anni ’70 e ’80 non c’è una spirale inflazionistica sul costo del lavoro e gli utili delle società sono ancora solidi».

C’è ancora spazio per l’atteso rally di fine anno?

«Potrebbe non verificarsi solo se emergessero altre perdite nei bilanci delle banche. Ritengo quindi probabile che nei prossimi due mesi i mercati avranno una tendenza positiva, pur contraddistinta da una grande volatilità. In attesa di conoscere a gennaio-febbraio i risultati del quarto trimestre 2007.

Come dovrebbe comportarsi un piccolo investitore?

«Quanti posseggono azioni è bene stiano fermi: non avrebbe alcun senso uscire dalla Borsa perché le attuali quotazioni esprimono multipli più bassi di quelli del 2000. A tutti gli altri consiglio, invece, di non affrettarsi e di tentare di cogliere i momenti di debolezza delle Borse».

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IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007

Bankitalia: in 10 anni costo del lavoro +20%

di Redazione - venerdì 02 novembre 2007

da Roma - Nel decennio 1996-2005 l’Italia ha fatto registrare una fortissima impennata del costo del lavoro per unità di prodotto (il cosiddetto «clup»): il 20% in più, mentre in Paesi come Francia e Germania, nello stesso periodo, si è ridotto del 10%. Queste tendenze opposte hanno contribuito in maniera determinante ad allargare la forbice competitiva che separa il nostro Paese dai principali partner europei.

I dati sono contenuti in uno studio della Banca d’Italia dal titolo Prezzi delle esportazioni, qualità dei prodotti e caratteristiche di impresa, in cui si spiegano i motivi della progressiva perdita di competitività dei prodotti italiani nei mercati internazionali. Uno dei fattori determinanti, secondo lo studio, è proprio il fatto che «fra il 1996 e il 2005, il costo del lavoro per unità di prodotto è cresciuto di oltre il 20% in Italia, mentre si è ridotto del 10% in Francia e Germania». Un divario che ha inciso pesantemente sulla perdita di competitività internazionale del nostro Paese, «alla luce della drastica riduzione dei margini di profitto per gli esportatori italiani, al contrario di quanto accaduto per i rivali francesi e tedeschi».

Così, nel decennio considerato dallo studio Bankitalia, la quota di mercato mondiale dell’Italia - valutata a prezzi costanti - ha registrato una riduzione del 40%, a fronte del calo del 15% per la Francia e a un lieve guadagno per la Germania. Non è solo il costo del lavoro per unità di prodotto, tuttavia, ad aver prodotto questo risultato: il decennio considerato è quello del boom delle economie emergenti, Cina e India in testa; inoltre, a questo risultato poco confortante hanno contribuito le peculiarità delle imprese italiane - indietro in termini di specializzazione e, soprattutto, in dimensione - , gli investimenti insufficienti, le errate strategie di prezzo. Non è casuale, infine, che si tratti del decennio in cui l’economia italiana ha dovuto rinunciare alle svalutazioni competitive, a causa degli obblighi europei. Dal 2005 (ultimo anno preso in considerazione dallo studio) ad oggi, ha rilevato di recente il governatore Draghi, la produttività è migliorata, grazie agli investimenti di molte imprese innovative.

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IL GIORNALE venerdì 02 novembre 2007

PopSpoleto, multa ai vertici

di Redazione - venerdì 02 novembre 2007

La Banca d’Italia ha inflitto ai vertici della Banca popolare di Spoleto sanzioni amministrative per un totale di 210.000 euro per carenze nell’organizzazione e nei controlli. Nella decisione contenuta nel Bollettino di vigilanza si legge che le sanzioni, 12.000 euro per ciascun componente, sono state comminate ai 14 membri del consiglio di amministrazione, al direttore generale e ai sindaci per «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni».

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LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007

Il giovedì nero dei mercati - Wall Street a picco, Eurolandia brucia 137 miliardi. Petrolio, nuovo record - Maxi iniezione di liquidità della Fed. Negli Usa boom di pignoramenti

VITTORIA PULEDDA

MILANO - stata un´ecatombe, davvero un giovedì nero per le Borse, cominciato in Europa e trasferitosi, con il trascorrere delle ore, a Wall Street. Nel Vecchio continente i listini hanno bruciato complessivamente in un giorno 137 miliardi di capitalizzazione - grosso modo un sesto del valore di tutta Piazza Affari - innervositi dagli scricchiolii di due grandi banche internazionali, Credit Suisse e Citigroup, che per ragioni diverse hanno entrambe accusato il colpo della crisi dei mutui subprime: la prima ha annunciato una trimestrale con un calo degli utili del 31%, mentre il colosso americano ha avuto in taglio del rating da parte degli analisti (secondo i quali per mantenere la solidità patrimoniale dovrà trovare sul mercato 30 miliardi di dollari).

Ragioni di nervosismo, appunto, che sono bastate per gettare nel panico listini che evidentemente avevano solo voglia di scendere: così, con vendite a pioggia che non hanno risparmiato nessuno (anche se ovviamente si sono accanite sui titoli bancari, anche in Italia) Londra e Parigi hanno chiuso la giornata con perdite pari al 2%, mentre Francoforte ha lasciato sul terreno l´1,73% e Milano si è guadagnata la maglia rosa, perdendo "solo" l´1,71%. Ma Unicredit ha registrato un calo quasi del 5% e la maggior parte delle altre banche hanno ceduto circa il 2. Del resto, in Europa Barclays è scesa del 5,4% e Ubs del 4,4%, tanto per fare qualche esempio, mentre negli Stati Uniti gli indici precipitavano, accelerando il calo con il passare delle ore e perdendo in chiusura oltre il 2% (Dow Jones -2,6%, Nasdaq -2,25%).

Negli Usa, gli operatori hanno picchiato duro per i timori che l´economia rallenti - tra l´altro proprio ieri si sono concentrati alcuni risultati aziendali fortemente negativi - ma anche perché ormai temono che la banca centrale, la Fed, possa aver finito di tagliare i tassi, dopo la riduzione di due giorni fa che ha portato il costo del denaro al 4,5%. Ieri la Federal Reserve ha fatto una maxi iniezione di liquidità, finanziando il mercato con ben 41 miliardi di dollari, la maggiore operazione in un giorno solo dal 2001. Ma non abbastanza a rasserenare gli umori in Borsa, innervositi anche dal nuovo balzo del prezzo del petrolio, che ieri ha toccato un nuovo massimo a quota 96 euro per barile (per poi tuttavia scendere sotto i 94 in chiusura).

Del resto, la crisi dei mutui subprime e tutte le sue conseguenze impiegheranno probabilmente tempo per manifestarsi appieno. Ma tutti i segnali che arrivano mostrano il brutto tempo stabile: ieri ad esempio sono stati resi noti i dati relativi ai pignoramenti immobiliari nel terzo trimestre. Ebbene, negli Stati Uniti il numero di chi ha perso la casa perché non riusciva a pagare le rate del mutuo è raddoppiato rispetto ad un anno fa, superando quota 600 mila, e gli esperti del settore non si aspettano miglioramenti per il prossimo futuro. Soprattutto perché il rallentamento del comparto immobiliare si sta facendo sempre più massiccio: le case invendute sono ai massimi da otto anni a questa parte e i prezzi stanno crollando. Chi si trova in difficoltà, quindi, non riesce a vendere l´immobile sul mercato e in questo modo la crisi rischia di avvitarsi.

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LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007

Vivere col greggio a 100 dollari rincari-lampo per auto e bollette - Gli esperti: nel 2008 stangata da 200 euro a famiglia - I record di questi giorni si scaricheranno sui consumatori nel corso dell´inverno

LUCA IEZZI

ROMA - Si può vivere con il petrolio a 100 euro al barile? In parte lo stiamo già facendo e dall´inizio del 2008 ogni famiglia dovrà mettere a disposizione circa 200 euro al servizio dei propri consumi energetici. Tutti gli esperti sono d´accordo nel considerare il raggiungimento traguardo storico della tripla cifra ormai sia solo una questione di tempo. L´effetto più immediato sarà sulle bollette e sul pieno di benzina, mentre più diffusi, ma meno quantificabili, saranno i rincari su tutti i prodotti e quindi sull´aumento dell´inflazione.

Non ci sono solo cattive notizie: il prezzo del petrolio che più pesa sui consumi europei è quello del mercato londinese del Brent, dove i record di questi giorni si fermano a 91 dollari al barile, a questo si aggiunge il supereuro, vero freno agli aumenti. Il +75% del petrolio in dollari da gennaio diventa un meno impressionate +45% se espresso in euro. Poi negli ultimi mesi la velocità di crescita della moneta unica e del prezzo al barile nei confronti del dollari è stata la stessa. Quindi se continuasse così i 100 dollari diventerebbero "solo" 66 euro, simile alla situazione della prima metà degli anni 80, 5 euro sotto il record del 1980.

Considerazioni sufficienti ad evitare allarmismo, ma non i rincari: la benzina ha già risposto alla corsa del greggio crescendo del 9% in un anno, più di quattro volte rispetto all´inflazione: la "senza piombo" è a 1,337 (con tutti i gestori allineati più che mani), mentre il gasolio e a 1,238. Secondo gli esperti l´adeguamento porterà presto il prezzo sopra ai record storici di luglio-agosto 2006 (1,375) per sfondare stabilmente quota 1,4 euro. Significherebbe 7 euro in più per ogni pieno rispetto all´anno precedente per un maggior esborso annuo di 170 euro.

L´altro fronte di aumenti saranno le tariffe di luce e gas: già a settembre è stato necessario un aumento rispettivamente del 2,4% e del 2,8%. La corsa delle materie prime rende quasi scontato un nuovo adeguamento da dicembre con percentuali analoghe. L´Istituto Nomisma Energia ha ipotizzato un 2% per la luce e 2,7% per il gas, trasformati in euro significa 13 euro in più sulla bolletta elettrica in un anno e 26 per il riscaldamento.

Infine c´è il può ampio capitolo del carovita, la componente energia è la seconda causa del ritorno dell´inflazione sopra quota 2% certificato dall´Istat a ottobre. Tolti gli alimentari, sono proprio i rincari nelle utenze (2,1%) e nel trasporto (+3,4%) i capitoli in cui i prezzi corrono di più. Visto che serve qualche mese perché i prezzi del petrolio si scarichino sul prezzo dei beni è probabile che i record di questi giorni si vedano nel corso dell´inverno. Sul fronte dei trasporti l´altra grande incognita è quella delle compagnie aeree che da quando il greggio ha superato i 90 dollari non hanno mai aggiornato la tariffa sul carburante, ma non potranno evitarlo a meno di un imprevedibile crollo del petrolio.

Al momento invece non si è ancora materializzato l´effetto sulla crescita economica. Eppure tutte le analisi di uno scenario con il petrolio a 100 dollari concordavano proprio su questo punto: la produzione industriale ne avrebbe risentito, l´inflazione alle stelle avrebbe azzerato i consumi fino all´inevitabile recessione. Proprio l´Italia che paga l´energia più dei concorrenti europei e a produzioni esposte alla variazione del petrolio, pagherebbe il prezzo più alto. Se dovesse succedere i rincari diventerebbero il minore dei problemi.

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LA REPUBBLICA venerdì 02 novembre 2007

Il buco nei bilanci degli istituti di credito dopo la crisi dei mutui è a quota 30 miliardi di dollari - Da Citigroup a Credit Suisse rischio "tsunami" per le banche - La crisi americana ha già contagiato i conti dei big europei e dei colossi nipponici

ETTORE LIVINI

MILANO - L´onda lunga della crisi dei subprime ha già spazzato via 30 miliardi di dollari dai conti delle banche mondiali. Malgrado le rassicurazioni di Bush, le ciambelle di salvataggio del Tesoro Usa e i tagli ai tassi della Fed, infatti, gli americani che non riescono a pagare le rate dei mutui sono sempre di più. E i loro problemi finanziari, moltiplicati dalle alchimie dei derivati e trasferiti nei portafogli di banche e risparmiatori in tutto il mondo, sono diventati una valanga di proporzioni inattese.

«La crisi potrebbe costare 150-200 milioni di dollari», aveva buttato lì il Governatore della Fed Ben Bernanke nello scetticismo generale (tutti pensavano a cifre molto inferiori) a inizio settembre. Quella stima, invece, a giudicare dai primi conti del sistema creditizio, rischia di essere approssimata per difetto. Da qualche settimana a questa parte, infatti, il numero delle banche costrette a mettere a bilancio perdite miliardarie legati ai mutui a rischio sta crescendo vertiginosamente. E, come si temeva, lo tsunami non è rimasto confinato al mondo dorato della finanza Usa.

L´ultimo campanello d´allarme, ad esempio, è suonato a Zurigo, sede del Credit Suisse, a migliaia di miglia dall´epicentro della crisi. Nell´era della finanza globale, però, le distanze non contano. I traballanti mutui americani viaggiano per conto loro, nascosti dai maghi della finanza strutturata nel calderone di bond esotici e cartolarizzazioni miliardarie. Per poi esplodere – com´è successo ieri – in piena Svizzera, in una città dove a memoria d´uomo si fatica a ricordare una rata immobiliare in sofferenza. Il conto per la banca elvetica è stato altissimo: nel bilancio del terzo trimestre sono stati contabilizzati in perdita 1,9 miliardi di dollari. Una misura necessaria per far fronte «alle condizioni estreme dei mercati», come ha detto ieri senza andar troppo per il sottile il numero uno del gruppo Brady Dougan.

Il Credit Suisse è solo l´ultimo esempio di una catena di Sant´Antonio planetaria di perdite. Se la Fed riesce con accanimento terapeutico a tenere a galla i mercati, Bernanke & C. possono far ben poco per salvare i conti del credito. E in qualche caso le voragini aperte dai subprime sono da capogiro. L´Oscar del rosso spetta a Merrill Lynch, costretta a sobbarcarsi 8,4 miliardi di passivo, costati la poltrona al numero uno Stanley O´Neal, uscito di scena senza puntare troppo i piedi grazie a una buonuscita (malgrado tutto) di 161 milioni. Tra le banche d´affari – che pure continuano a essere macchine da soldi – piangono anche Morgan Stanley (1 miliardo) e Bear Stearns (0,4) mentre nel mondo del credito pagano un pedaggio salato Citigroup (3,5 miliardi) e Bank of America (3,5 pure lei).

Al di qua dell´Atlantico, Northern Rock a parte, la svizzera Ubs ha già contabilizzato una perdita di 4,4 miliardi («non basterà, rischia di arrivare a 8», ha detto ieri Merrill Lynch) mentre in Germania, dove il Governo ha salvato dal collasso SachsenLb e Ikb, la gloriosa Deutsche Bank ha perso sui mutui 3,1 miliardi.

Dove arriverà il conto finale del buco in banca? Per ora siamo a quota 30 miliardi. Ma – avvertono gli esperti – è solo all´inizio. Le autorità monetarie, anche in Italia, hanno abbandonato gli slogan ottimistici dei primi giorni e iniziano ad ammettere che qualche problema, anche se limitato, potrebbe spuntare. Il contagio subprime, del resto, ha già attraversato anche il Pacifico con la giapponese Nomura che ha bruciato 1,2 miliardi.

 

-Cesare Cantù-

L'ignorante non è solo zavorra, ma pericolo della nave sociale.

 

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