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L´OPERAZIONE
- Lo smantellamento è il primo effetto della fusione con Unicredit.
"Equilibri di bilancio a rischio" - Bds,
via l´ufficio contenzioso dipendenti trasferiti o
riqualificati - L´accusa dei sindacati: del Banco
ormai sono rimasti solo il marchio e la rete degli sportelli
ANTONIO FRASCHILLA
Il Banco di Sicilia perderà anche l´ufficio
contenzioso, che raggruppa circa 200 lavoratori. Dal cinque novembre i
dipendenti del comparto passeranno dal Bds alla Ugic Unicredit,
la società che si occupa del contenzioso per la capogruppo. Ma non ci sarà posto per tutti: circa 60 saranno
riqualificati e assegnati alla rete degli sportelli del Banco. In ottanta
invece saranno trasferiti al call center della Ugic che avrà però un
distaccamento ad hoc a Palermo per evitare trasferimenti in massa. Unicredit però conta anche sulle uscite volontarie per
ridurre il personale: ai legali che lavorano al momento al contenzioso Bds e che possono optare anche
per la libera professione è stato proposto uno scambio che prevede da un lato
l´abbandono del posto di lavoro come dipendente, e
in cambio un pacchetto di pratiche che la Banca si impegna ad affidare ai
lavoratori stessi, però come consulenti esterni.
Il trasferimento del settore contenzioso dal Bds al Unicredit
è un primo tassello della riorganizzazione del dopo fusione. «Una
riorganizzazione che rischia di danneggiare molto gli assetti del Banco e gli
equilibri di bilancio - dice Francesco Re, segretario regionale della Fisac
Cgil - Il contenzioso ha sempre garantito una percentuale elevata degli utili
del Banco, e se adesso passa a Unicredit
certamente a essere danneggiato è il patrimonio del Bds.
Ma se diminuisce il patrimonio come possono essere
mantenuti i livelli occupazionali?». A giorni sarà aperta una trattativa tra
azienda e sindacati: «Chiederemo il rispetto delle professionalità e certezze
su eventuali procedure di mobilità interna», dice Carmelo Raffa, segretario
della Fabi. «Quello del contenzioso è un ulteriore
passo in avanti nella cura dimagrante che è stata inflitta al Banco dopo la
fusione Unicredit - dice Giuseppe Di Giacinto,
della Falcri - Del Bds rimane ormai solo il marchio
e la rete degli sportelli, nulla più».
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LA SICILIA giovedì 01 novembre 2007
Unicredit,
oltre seimila esodiPrepensionati.
- BdS, 710 istanze,
proroga al 16. Fabi: 400 assunzioni. Zonin mira a
filiali in vendita a Palermo
michele guccione
Palermo. É un
finale con tanti colpi di scena e, soprattutto, ha le sembianze di un esodo
incentivato di massa, una fuga dal lavoro non vedendo chiaro nel futuro.
Entro ieri i dipendenti di Unicredit
Gruppo interessati a lasciare in anticipo il lavoro dietro erogazione di
incentivo dovevano presentare la domanda agli uffici personale. Ebbene,
rispetto alla soglia di cinquemila unità totali fissata dall'accordo con i sindacati delle banche del gruppo,
ieri le istanze hanno superato il numero di seimila.
Nel solo Banco di Sicilia, dove la platea di aventi
i requisiti varia da 1.030 a 1.300, le domande presentate sono state 710.
Altra sorpresa. I vertici del gruppo nato dalla fusione
tra Unicredit e Capitalia
hanno deciso di prorogare ulteriormente il termine al prossimo 16 novembre.
Infatti, l'azienda
attende un'altra ondata di domande.
Sarebbero molti, infatti, i dipendenti che hanno avanzato richiesta di regolarizzazione o perfezionamento di contributi
previdenziali pregressi, al fine di rientrare nei requisiti minimi per il
prepensionamento.
I sindacati prevedono che, grazie alla proroga, al BdS le domande potranno superare il numero di 800, ben
oltre le loro aspettative.
Entrando nel dettaglio, i dipendenti della banca
siciliana che hanno richiesto l'esodo
anticipato e incentivato si dividono in due gruppi.
In 174 avevano da tempo maturato i requisiti per la pensione e avevano deciso
di restare usufruendo del bonus Maroni. Adesso lasceranno il lavoro subito, percependo un incentivo che, in base
all'età anagrafica e di servizio,
varierà da 6 a 18 mensilità di buonuscita aggiuntiva.
Altri 536 andranno in prepensionamento entro il 2010 accedendo al fondo esuberi dell'Abi
riservato a coloro ai quali mancano fino a cinque anni di contributi per la
quiescenza. Riceveranno un bonus una tantum di quattro mensilità. Le finestre
di uscita, al raggiungimento dei requisiti: 1
gennaio 2008, 1 gennaio 2009, 1 gennaio 2010, 1 luglio 2010.
Altro colpo di scena. A fronte di un esodo di dimensioni
tali e impreviste, il sindacato chiede all'azienda
di correre ai ripari: «La banca non potrà reggere perdendo
così tante unità – esordisce Carmelo Raffa, segretario della Fabi – Unicredit dovrà assumere al Banco almeno 400 nuovi
addetti nel triennio. La Sicilia non può essere ancora una
volta penalizzata sul versante occupazionale – commenta Raffa – negli
ultimi anni, fra Sicilcassa e Banco, la principale
azienda di credito dell'Isola ha
perduto almeno cinquemila lavoratori».
Sul fronte dell'operatività
della banca, due novità. All'offerta
presentata per rilevare dal Banco la quota detenuta nell'Irfis (76%), la Banca
popolare di Vicenza avrebbe aggiunto l'offerta
per una porzione della quota detenuta da Unicredit
in Mediobanca e, in questi giorni, una richiesta
vincolante per gli sportelli BdS che Unicredit dovrà dismettere in
provincia di Palermo per effetto del provvedimento dell'Antitrust. Il leader del gruppo, Gianni Zonin, vorrebbe rafforzare la presenza della controllata
Banca Nuova nell'area di Palermo,
dove da sempre punta ad esercitare una forte concorrenza al monopolio del BdS. Una richiesta che, proprio in quanto avanzata da Zonin, avrebbe fatto lievitare il prezzo preteso per
cedere questi sportelli.
Infine, da oggi i clienti di BdS,
Bancaroma e Unicredit non
pagheranno commissioni anche per prelievi Bancomat presso banche del gruppo
in Germania, Austria e Polonia.
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In settecento fuggono dal Bds - Boom di esodi con l´incentivo, proroga per le adesioni - I posti liberi non
saranno rimpiazzati. I sindacati "Servono le assunzioni" - In 560
non hanno raggiunto il minimo pensionabile ma
vogliono andare via - Bonus fino a diciotto mesi di stipendio per chi ha meno
anzianità di servizio - Una nuova ondata di fuoriuscite prevista per le
cessioni imposte dall´Antitrust
ANTONIO FRASCHILLA
Una vera e propria fuga dal Banco di Sicilia. Sono stati
oltre 700 i dipendenti che hanno deciso di lasciare il posto di lavoro,
aderendo al fondo esuberi (una sorta di cassa
integrazione) o usufruendo degli incentivi alla pensione messi a disposizione
da Unicredit dopo la procedura di fusione. Ieri
scadeva il termine per presentare le domande di esodo
volontario e in pochi ai piani alti di piazzale Ungheria si aspettavano un´adesione così massiccia. Tanto è vero che nel
pomeriggio è stata decisa la proroga al 16 novembre per presentare ulteriori richieste di esodo.
In questa fuga destina a crescere c´è
una certezza: dopo l´ennesima procedura di fusione
(con 814 esuberi calcolati), il Banco arriverà ad avere appena 5.856
occupati. Questo perché nessuno degli esodi sarà
rimpiazzato. In particolare sono stati 140 i dipendenti che hanno
deciso di andare in pensione, usufruendo di un incentivo dato dal gruppo che
varia dalle 6 alle 18 mensilità (il massimo spetta a chi è ancora a tre anni
dalla pensione). Gli altri 530 invece sono tutti lavoratori ai quali mancano
cinque anni per poter avere la pensione minima: questi hanno aderito al fondo esuberi dell´Abi, l´associazione delle banche italiane e lasceranno il
posto di lavoro a partire dal 2008. Il fondo consentirà a loro di avere una
retribuzione pari al 70 per cento dell´ultimo
stipendio. Unicredit inoltre ha garantito un
incentivo pari a quattro mensilità. L´obiettivo dell´amministratore delegato del gruppo, Alessandro
Profumo, era quello di "liberare" il più possibile personale in
modo da evitare licenziamenti improvvisi e coprire così gli esuberi. Un´operazione che, a quanto
pare, in Sicilia è perfettamente riuscita, visto che gli esuberi programmati
del dopo fusione ammontano a 814. Non a caso a fronte dei 700 esodi non c´è in programma alcuna assunzione.
Ma c´è di più: all´orizzonte c´è anche la
cessione di 70 sportelli, per decisione dell´Antitrust,
e altri 300 bancari lasceranno il Bds.
Ma perché così tanti dipendenti
hanno deciso di lasciare subito il Banco? «Perché, al di là
dei buoni incentivi economici, é finita qualsiasi prospettiva di
carriera all´interno del Bds
- dice Gino Sammarco della Fiba Cisl - Tutte le
posizione di vertice sono rimpiazzate da uomini Unicredit,
inoltre ormai il Banco è stato depauperato di settori importanti, come quello
dei servizi alle imprese e ai grandi clienti».
I sindacati lanciano l´allarme:
«Occorre fare subito nuove assunzioni perché con i 700 esodi la rete ne esce gravemente danneggiata in termini di personale -
dice Francesco Re, della Fisac Cgil - La Regione, che ha uno quota dello 0,6
per cento, deve almeno difendere i livelli occupazionali del Banco, che
invece da dieci anni a questa parte sono in costante diminuzione». Se nel ´98, ai tempi della fusione Sicilcassa,
il Banco contava 11 mila lavoratori, dopo gli esodi dell´operazione
Unicredit ne avrà 5.856
(senza contare il personale che sarà venduto con le filiali in eccesso). La
più importante azienda siciliana ha perso in dieci anni cinque mila occupati.
«La massiccia adesione agli esodi è inoltre un chiaro segnale di disagio per
i continui riassetti del Bds che stanno
trasformando il Banco in una semplice rete di sportelli», dice Carmelo Raffa
della Fabi. Per Giacomo Di Marco, della Uilca, «con
la perdita di 700 lavoratori andrà in difficoltà tutta la rete delle filiali
che si troverà sotto dimensionata rispetto alla mole di lavoro».
All´orizzonte c´è
però un´altra perdita per il Banco. Entro l´anno
il Bds cederà l´Irfis, l´istituto di medio credito, con i suoi 120 dipendenti: è
ormai in dirittura d´arrivo la trattativa con Banca
Nuova e la Regione (che ha una quota del 21 per cento).
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MF
Sicilia - Numero 217, pag. 1 del 1/11/2007
Bds, via con gli esodi -
Tra fondo abi e prepensionamenti 700 adesioni in
tutto.
Autore: Emanuela Rotondo
Hanno avuto due mesi per pensarci. A fine agosto 1.500
dipendenti del Banco di Sicilia hanno ricevuto una lettera dalla direzione
risorse umane che li avvertiva sulla possibilità di aderire al fondo esuberi Abi o al prepensionamento. I termini
scadevano ieri e in 700, cioè circa la metà dei
destinatari, hanno risposto sì all'invito
del Banco coinvolto nella maxifusione tra Unicredit
e Capitalia. La partita, però, non è ancora chiusa
perché sempre ieri, in tardo pomeriggio, i vertici del nuovo colosso (sesta
banca al mondo per capitalizzazione borsistica: 100
miliardi di euro) hanno deciso di prorogare i
termini dell'adesione fino al
prossimo 16 novembre. L'obiettivo
è quello di ridurre l'organico di
tutte le banche del gruppo. Per il Banco di Sicilia il
ritornello si ripete: basti pensare che negli anni Novanta i dipendenti erano
15 mila contro gli attuali 6.500. Una cifra che, nell'era
Unicredit, dovrà essere sfoltita ulteriormente. Da
qui ai prossimi tre anni, infatti, l'organico
del Bds sarà ridimensionato fino ad arrivare a
4.800 addetti. Si prospettano due strade, così come previsto dall'accordo tra azienda e sindacati
firmato lo scorso 3 agosto. La prima è il fondo
esuberi Abi, che prevede un assegno di accompagnamento (il 70% della
retribuzione) per chi è a cinque anni dalla pensione. Anche in questo caso,
il Banco di Sicilia non è una matricola al suo primo debutto: il fondo Abi è
già stato collaudato a partire dal 2000, anno dell'ingresso in Capitalia.
Allora risposero in 500, oggi sono già 530 e il dato
è ancora provvisorio. «La platea, però», avverte Carmelo Raffa della Fabi, «è
molto più ampia: la direzione del personale, infatti, non è a conoscenza di
tutte le situazioni pensionistiche dei lavoratori». E cioè
degli anni riscattati o dei contributi accumulati con lavori precedenti. L'altra via è quella del pensionamento incentivato
destinato a chi ha già i requisiti per smettere di lavorare (57 anni compiuti
e 35 anni di contribuzione). Per loro sono previsti
bonus e incentivi. Un'offerta alla
quale, fino al pomeriggio di ieri, hanno aderito 170
lavoratori del Banco di Sicilia. Tra tutte le aziende del gruppo si parla,
invece, di circa 6 mila adesioni (4.200 per il fondo esuberi e 1.800 per il
prepensionamento). Anche in questo caso, però, il
dato è provvisorio. Le certezze si avranno il 16. Per il nuovo colosso
bancario, insomma, si preannuncia un novembre denso di appuntamenti
e scadenze. Nel corso di questo mese, infatti, si saprà qualcosa di più sulla
vendita degli sportelli (circa 70 per il Bds) che l'Antitrust ha imposto per eccesso di posizione
dominante. A partire da oggi, invece, per i
correntisti del Banco di Sicilia sono azzerate le commissioni sui prelievi
bancomat presso le banche appartenenti al gruppo Unicredit
che si trovano in Austria, Germania e Polonia. Nello specifico si tratta di Bank Austria Creditanstalt, Hypovereinsobank e Bank Pekao. (riproduzione riservata)
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L'ECO DI BERGAMO 1
novembre 2007
Migrazione Ubi Sindacati critici sui tempi
Un problema di carattere
organizzativo che non può essere riversato esclusivamente sulle spalle dei
dipendenti.
È sulla base di questo principio che al gruppo Ubi Banca è scattata la protesta contro la procedura di
migrazione del sistema informatico che porterà tutte le strutture bancarie
accorpate dalla fusione di Ubi e Banca Lombarda a
lavorare su una piattaforma software comune. Quattro le banche reti
interessate, Popolare Bergamo, Comindustria, Ancona
e Carime nonché gli uffici
centrali della direzione ex Bpu. «La pianificazione
totalmente miope delle migrazioni, compresse nell'arco
di 9 mesi e con previsione di partenza già colpevolmente ritardata dall'azienda stessa pone a grave rischio l'operatività in tutte le banche reti, sia quelle
direttamente coinvolti che quelle che devono fornire
i formatori e gli addestratori, comprese le strutture centrali» lamentano in
un documento congiunto le segreterie di Coordinamento del Gruppo Ubi Banca di Dircredito, Fabi, Falcri, Fiba-Cisl, Fisac-Cgil, Ugl e Uilca.
Come più nello specifico spiega Alberto Maculan, della Fiba-Cisl di
Bergamo, «da febbraio, ma già par di capire che sarà verso fine mese quando in realtà inizialmente si progettava questo
novembre, si comincerà con la migrazione di Comindustria,
a cui farà seguito Ancona, ai primi di luglio Carime
e a settembre Popolare Bergamo: il tutto compresso in poco più di 8 mesi
tenuto conto che l'obiettivo è
quello di terminare la migrazione delle banche reti entro novembre e chiudere
il cerchio con la sede centrale entro fine 2008». Tempi
strettissimi che si sono imposti in Ubi e che,
secondo Maculan «rischiano quasi di sicuro di far
"saltare" turni di ferie a molti colleghi, in primis a quelli di Carime. Non è possibile scaricare un piano di
questo genere, compresso per risparmiare tempi e costi, tutto e solo sulle
spalle dei lavoratori». Problema a cui si aggiunge il fatto
di prevedere la formazione al nuovo sistema («e ciò varrà anche per chi è
allo sportello») non solo in aula, ma anche «a distanza in orario ordinario o
straordinario».
E ieri, mentre l'Autorità
Garante della Concorrenza e dei Mercati ha avviato
la fase valutativa della cessione dei 61 sportelli dal gruppo Ubi Banca al gruppo Banca Popolare di Vicenza, si è
svolto il primo incontro sindacale per l'analisi
dell'operazione. Appuntamento, ora
a metà novembre.
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da Finanza&Mercati del 02-11-2007
Denunciata Bankitalia: «La centrale rischi tutela solo le
banche»
Grane in arrivo per Bankitalia.
O meglio, per la centrale rischi, il cui
funzionamento finisce sul banco degli imputati in un momento di crescente
tensione tra banche e creditori. Un imprenditore di Ascoli
Piceno, Emidio Orsini, presenterà oggi alla procura
della repubblica una denuncia per estorsione contro Palazzo Koch chiedendo addirittura il sequestro della banca dati
della centrale dei rischi (CR).
Un’accusa pesante, che si fonda sulla supposta
incapacità dell’ente guidato da Mario Draghi di
evitare che le banche utilizzino «la centrale rischi come il più tremendo e
turpe strumento di persuasione ed estorsione a loro disposizione», si legge
nel documento pervenuto a F&M.
Insomma, come già sottolineato
da qualche imprenditore caduto nella rete degli swap
spazzatura, la centrale rischi darebbe agli istituti di credito la
possibilità di fare cartello contro i debitori sofferenti. Anche contro quelli, come Orsini, che
contestano la natura stessa della sofferenza.
In diversi precedenti, la diatriba ha già portato le
banche in Tribunale. Ma in questo caso, l’azione
attacca il bersaglio grosso. L’accusa punta il dito contro il funzionamento della centrale rischi. «La CR – si legge nell’apposita disposizione redatta dalla Banca d’Italia - è un
sistema informativo che accentra le informazioni (stati di sofferenza o
insolvenza compresi, ndr) sugli affidamenti concessi da ciascun intermediario
ai singoli clienti per la successiva restituzione agli intermediari stessi
dell’indebitamento globale dei rispettivi clienti verso il sistema». È poi
previsto che «la Banca d’Italia non possa apportare di propria iniziativa
variazioni alle segnalazioni ricevute», delegando integralmente
all’intermediario l’onere di fornire dati attendibili. E anche nel caso in
cui venga comunicata un’informazione errata su
eventi che attengano alla posizione di rischio della clientela, «è
l’intermediario che deve provvedere alla rettifica», mentre palazzo Koch può solo sollecitare l’intermediario stesso a
procedere. Un meccanismo che, stando all’esposto di Orsini, offre alla banche l’opportunità di «annientare la
volontà negoziale e ci obbliga all’unica alternativa di soddisfare le
obbligazioni da loro imposte unilateralmente».
Titolare di un’impresa di costruzioni, l’imprenditore ha
ottenuto la richiesta di rinvio a giudizio di dirigenti di otto
banche per il reato di usura. Nel frattempo, è stato riconosciuto vittima di usura, appunto, dal prefetto di Ascoli Piceno,
accedendo così alle protezioni previste dal Fondo di solidarietà per le
vittime di richieste estorsive e dell’usura. Ciò nonostante, alcuni dei debiti oggetto del contenzioso, che il Pm incaricato delle indagini preliminari ha riconosciuto
essere viziati da tassi usurari, rimangono segnalati come sofferenti presso
la centrale rischi, poiché la Banca d’Italia ha le mani legate e le banche
coinvolte si guardano bene dal chiederne una rettifica.
Se per l’imprenditore marchigiano la strada contro Bankitalia appare in salita,
meno difficile è che i giudici alzino il tiro su CR. La magistratura non si
sta dimostrando insensibile al tema.
Il tribunale di Vicenza, per esempio, ha di recente
vietato a Banca Italease di procedere alla
segnalazione di un cliente in difficoltà, argomentando la sentenza con il
vizio di nullità del contratto che ha dato luogo al debito. La bomba a orologeria ora torna alla magistratura. E rischia di esplodere molto più in alto.
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da Finanza&Mercati del 02-11-2007
Il governo è pronto a raccogliere
l’appello di Mario Draghi, riscrivendo le norme sui fondi comuni
italiani. Ma, allo stesso tempo, manda in soffitta
la class action stralciando l’emendamento sull’azione collettiva dalla legge
Finanziaria. La replica al governatore di Bankitalia
arriva da Roberto Pinza. «Condividiamo le
preoccupazioni espresse da Draghi riguardo alla tassazione dei fondi comuni,
e il governo ha già iniziato a valutare la questione», ha spiegato a Finanza
& Mercati il viceministro dell’Economia,
precisando però che «non è stata ancora individuata la soluzione migliore». Né, tantomeno, se la riformasarà inserita nella legge di bilancio o in un
decreto del governo. Mentre è probabile che sarà
abbandonato il ddl che giace da tempo alla Camera.
Insomma, la partita resta aperta. Anche perché l’appello
lanciato mercoledì dal governatore - «i fondi esteri godono di significativi vantaggi fiscali, poiché tassati sul
risultato realizzato, anzichè sul maturato. È un
handicap serio sui cui occorre intervenire» - si scontra con le forti
tensioni interne alla maggioranza sulla partita delle rendite finanziarie,
che fino a oggi è stata sempre affrontata insieme
alla riforma dei gestori.
Le soluzioni sono sostanzialmente due: allineare tout court il sistema italiano a quello europeo oppure
affidarsi al cosiddetto «equalizzatore» che, secondo il viceministro
dell’Economia, Vincenzo Visco, avrebbe un impatto
meno traumatico.
Tra i sostenitori di quest’ultima
ipotesi c’è anche il presidente di Assogestioni, Marcello Messori,
che però propone un «equalizzatore semplificato», con l’applicazione di
un’aliquota crescente in funzione diretta della durata dell’investimento
finanziario. Strumento che sarebbe utile a disincentivare gli investimenti a
lunghissimo termine, dettati solo dal vantaggio fiscale. Intanto, secondo
quanto risulta a F&M,
proprio il Tesoro avrebbe chiesto di stralciare dalla manovra di bilancio la
norma sulla class-action, che punta ad introdurre la possibilità per i
consumatori di promuovere cause collettive nei confronti delle aziende. Così,
ieri, il relatore alla Finanziaria, Giuseppe Legnini, ha chiesto al senatore Roberto Manzione (Ulivo), che lo ha proposto, di trasformarlo in Odg. «Inserire una riforma di questo genere nella legge
di bilancio - ha spiegato Legnini - sarebbe stato
impegnativo e anche inopportuno. Credo infatti che
serva per questo un’ampia discussione di merito». Parole non condivise da Manzione. «Sono profondamente deluso dal mio governo e
dalla mia maggioranza, oggi si è persa la grande opportunità
di assicurare effettività alla tutela dei diritti dei consumatori e degli
utenti», ha detto il senatore del centrosinistra, che ha accusato la sua
parte politica di aver preferito «una pilatesca
marcia indietro, cedendo alle pressioni dei poteri forti».
Return
da Finanza&Mercati del 02-11-2007
Banca Mb, nel 2010 punta a 1,2-1,4 mld di masse in
gestione
Chiusa la fase di start up
guidata da Fabio Arpe, per Banca Mb inizia ora una
nuova sfida: consolidare lo sviluppo attraverso l’aumento dei ricavi e la
crescita delle masse. Per farlo, la banca d’affari e di investimenti
ha approvato un aumento di capitale riservato da 68 milioni, che permetterà
all’istituto di dotarsi di maggiori risorse per incrementare l’attività
bancaria. Inoltre, ha realizzato un business plan 2008-2010
che verrà portato avanti dal presidente Mario Aramini, l’ex dg di Unicredit Banca d’Impresa che dallo scorso luglio ha
sostituito Carlo Ciani. Nonostante Banca Mb non abbia rilasciato dettagli sugli obiettivi del
piano triennale, fonti finanziarie riferiscono che nel 2010 la società punta
a raggiungere 1,2-1,4 miliardi di masse in
gestione, perseguendo quindi una forte crescita rispetto al valore di circa
435 milioni di maggio 2007 (come risulta dal verbale dell’assemblea del 14
maggio).
Inoltre, tra tre anni, Banca Mb stima di realizzare un utile lordo di 7-10 milioni con un roe del 5-6 per cento. Il raggiungimento del break-even
dovrebbe avvenire invece tra 18 mesi. A causa soprattutto del perfezionamento
della fusione per incorporazione con NovaGest Sim, nel 2006 Banca Mb ha
riportato una perdita di 2,47 milioni, registrando però un incremento dell’88%
del margine di intermediazione.
Attualmente Banca Mb
opera in tre settori: wealth management, capital
market e investment banking. Nei piani di espansione dell’istituto presieduto da Aramini ci sarebbe però anche l’ingresso nel lending di nicchia, ossia nel comparto dei prestiti alle
piccole imprese e agli imprenditori di un certo standing. Attività
che sarebbe in fase di partenza. Per la realizzazione del business
plan, il cda del 29 ottobre ha approvato una ricapitalizzazione da 68 milioni che farà
salire il capitale sociale fino a 102 milioni e il patrimonio netto a circa
118 milioni. L’aumento verrà offerto al nominale
agli attuali azionisti, anche se il progetto starebbe attraendo interessati
esterni. Attualmente, nell’azionariato
di Banca Mb ci sono oltre 100 soci, tra cui nomi di
primaria importanza nel mondo finanziario, assicurativo e imprenditoriale,
come Giuseppe Lovati Cottini,
Vittorio Coin, la famiglia Colleoni,
Zenone Soave, Mariella Burani, Alerion
Industries, Almaf, Banca Arner, Miro Radici, Carlo Fagioli, Camuzzi
e Fon-Sai. STEFANIA PESCARMONA
Return
da Finanza&Mercati del 02-11-2007
Un esposto-denuncia sarà presentato oggi alla
Procura della Repubblica di Milano da Adusbef e Federconsumatori «per verificare le ipotesi di turbativa
dei mercati, insider trading e aggiotaggio sui
titoli Generali». L’iniziativa è stata annunciata ieri dalle due associazioni
dei consumatori, con una nota, chiedendo al fondo Algebris
di fare chiarezza. «È giusto e sacrosanto richiedere alle grandi compagnie, quale è Generali, correttezza, trasparenza maggiore
redditività - affermano Adusbef e Federconsumatori - ma è altrettanto doveroso che gli
autori della richiesta come il fondo Algebris,
rendano noto quali siano gli azionisti del fondo stesso».
Return
di Rodolfo Parietti
da Milano - Si chiamano Citigroup, Crédit Suisse e Ubs, e sono le tre “streghe” che, il giorno dopo Halloween, hanno fatto passare un giovedì da incubo alle
Borse internazionali, rese peraltro ancor più vulnerabili dal pericoloso
avvicinarsi dell’indice manifatturiero americano alla linea di demarcazione
tra crescita e contrazione dell’attività economica.
La reazione degli investitori ha provocato un forte
arretramento dei listini europei, dove le perdite hanno oscillato da un
minimo dello 0,8% (Madrid) fino a un massimo del 2%
(Parigi e Londra), con Milano in calo dell’1,97%, mentre a Wall Street il Dow Jones ha chiuso in ribasso del 2,63% e il Nasdaq del 2,21%. Le paure generate dall’intossicazione
del settore del credito provocato dal virus dei mutui subprime
hanno infatti trovato ieri amplificazione a causa
delle pessime notizie piombate sui mercati con la forza di un maglio: non è
piaciuta la bocciatura rifilata dagli analisti di Cibc
World a Citigroup, per la quale si prospettano
tempi di cinghia tirata (taglio dei dividendi, vendita di asset,
probabile aumento di capitale per reperire risorse fresche); né, dall’altra
parte dell’Oceano, le svalutazioni annunciate da Crédit Suisse,
rimasta invischiata nei prestiti ad alto rischio, e il voto più basso
rimediato da Ubs da parte di Merrill
Lynch.
Insomma, se tre indizi costituiscono una prova, è fuor
di dubbio che dovrà ancora passare tempo prima di
veder smaltite le tossine finanziarie accumulate dalle banche. Ragionamento perfino elementare, che trascina con sé la voglia di
liberarsi in fretta dei titoli. In Europa, l’indice di settore ha
ceduto ieri quasi il 3%, e a Piazza Affari Unicredit
ha lasciato sul terreno oltre il 4,6%, una perdita che si è andata a sommare
ai ribassi precedenti: nel complesso, la diminuzione di valore di Piazza Cordusio è stata di quasi il 30% da metà maggio, periodo
dell’annuncio della fusione con Capitalia.
Ma non sono solo gli istituti di credito a offrire ai mercati l’appiglio per ragionare in termini
di rischio. Se alcune trimestrali (su tutte, quella di Microsoft) avevano
fatto sperare in un finale d’anno all’insegna di un nuovo rally dei listini,
ben altri scenari sono quelli prospettati dai deludenti risultati di Exxon, dall’annunciato taglio
di 12mila posti di lavoro di Chrysler,
dalle vendite calanti di Ford e dal continuo
lievitare dei prezzi del petrolio. Tutti guardano all’America, ma l’evoluzione
congiunturale Usa resta per certi versi indecifrabile. Mercoledì scorso, il
presidente della Fed, Ben Bernanke,
ha giustificato la decisione di tagliare i tassi di un altro quarto di punto
con la necessità di sostenere l’economia, nonostante la robusta crescita del Pil (più 3,9%) nel terzo trimestre, preservandola dai
contraccolpi del settore immobiliare, ancora in sofferenza. Bernanke ha avvisato che il bilanciamento dei rischi tra
inflazione e crescita potrebbe non rendere più necessari altri interventi di
correzione del costo del denaro, eppure ieri i future
sui Fed Fund esprimevano
ancora il 100% di possibilità di una riduzione dei tassi in dicembre. A
giudicare dall’andamento dell’indice Ism
manifatturiero, sceso in ottobre a 50,9 punti (ovvero appena al di sopra della linea che indica espansione), dal numero
doppio di famiglie che tra luglio e settembre (rispetto al 2006) non sono
state in grado di onorare le rate dei mutui e dalla flessione delle spese
private, l’America sembra aver ancora bisogno dell’aiuto della Fed. Ma è anche vero che gli
effetti delle decisioni di politica monetaria si riflettono sull’economia
dopo circa sei mesi. Bernanke, quindi, avrebbe
buone ragioni per rinviare ogni decisione fino all’anno
prossimo.
Return
«I guai Usa non sono finiti, ma niente recessione»
di Massimo Restelli
- venerdì 02 novembre 2007
da Milano - Nei prossimi mesi il
virus dei mutui ad alto rischio americani non tarderà «con ogni probabilità
ad avere altre ripercussioni sulle Borse ma l’economia Usa non andrà in
recessione»: il responsabile investimenti per l’Italia di Jp
Morgan Asset Management,
Valerio Salvati, invita i piccoli investitori a mantenere i nervi saldi
davanti alle attuali turbolenze del mercato. Convinto che
«le forze per contrastare la crisi sono già in campo» e che la Federal Reserve non farà
mancare il proprio supporto «attuando una graduale e prudente riduzione dei
tassi nei prossimi 6-9 mesi».
Come giudica l’attuale schizofrenia delle Borse?
«La definirei grande
volatilità. Da un lato il mercato guarda a un
ulteriore aiuto della Federal Reserve,
dall’altro è vittima degli altalenanti dati sull’economia Usa. Il subprime è solo una parte del problema perché le banche
hanno difficoltà a riprendere la propria attività in alcuni settori come la
finanza strutturata e i finanziamenti alle imprese. A questi elementi
negativi fanno però da contrappeso la discesa dei rendimenti dei titoli di
Stato, il fatto che i tassi di interesse al netto
dell’inflazione siano abbastanza bassi e la spinta dei Paesi in via di
sviluppo».
Cosa farà la Fed?
«A dicembre mi aspetto una ulteriore
riduzione di 25 punti base del costo del denaro. Probabilmente sia la Banca
d’Inghilterra sia la Banca centrale europea saranno
costrette a incamminarsi nella stessa direzione. Più in generale, benché il
mercato dimostri oggi nervosismo credo che, con un’ottica più di lungo
periodo, Ben Bernanke, abbia ragione a non dare
l’impressione di essere già disponibile a soccorrere l’economia americana».
Non la spaventa il petrolio vicino ai 100 dollari?
«A differenza di quanto è avvenuto negli anni ’70 e ’80 non c’è una spirale inflazionistica sul costo del lavoro e gli
utili delle società sono ancora solidi».
C’è ancora spazio per l’atteso rally di fine anno?
«Potrebbe non verificarsi solo se emergessero altre
perdite nei bilanci delle banche. Ritengo quindi probabile che nei prossimi
due mesi i mercati avranno una tendenza positiva,
pur contraddistinta da una grande volatilità. In
attesa di conoscere a gennaio-febbraio i risultati del quarto trimestre 2007.
Come dovrebbe comportarsi un piccolo investitore?
«Quanti posseggono azioni è
bene stiano fermi: non avrebbe alcun senso uscire dalla Borsa perché le
attuali quotazioni esprimono multipli più bassi di quelli del 2000. A tutti gli altri consiglio, invece, di non affrettarsi e
di tentare di cogliere i momenti di debolezza delle Borse».
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Bankitalia:
in 10 anni costo del lavoro +20%
di Redazione - venerdì 02 novembre
2007
da Roma - Nel decennio 1996-2005 l’Italia ha fatto registrare una fortissima
impennata del costo del lavoro per unità di prodotto (il cosiddetto «clup»): il 20% in più, mentre in Paesi come Francia e
Germania, nello stesso periodo, si è ridotto del 10%. Queste tendenze opposte
hanno contribuito in maniera determinante ad
allargare la forbice competitiva che separa il nostro Paese dai principali
partner europei.
I dati sono contenuti in uno studio della Banca d’Italia
dal titolo Prezzi delle esportazioni, qualità dei prodotti e caratteristiche di impresa, in cui si spiegano i motivi della progressiva
perdita di competitività dei prodotti italiani nei mercati internazionali.
Uno dei fattori determinanti, secondo lo studio, è
proprio il fatto che «fra il 1996 e il 2005, il costo del lavoro per unità di
prodotto è cresciuto di oltre il 20% in Italia, mentre si è ridotto del 10%
in Francia e Germania». Un divario che ha inciso pesantemente sulla perdita
di competitività internazionale del nostro Paese, «alla luce della drastica riduzione dei margini di profitto per gli
esportatori italiani, al contrario di quanto accaduto per i rivali francesi e
tedeschi».
Così, nel decennio considerato dallo studio Bankitalia, la quota di mercato mondiale dell’Italia -
valutata a prezzi costanti - ha registrato una riduzione del 40%, a fronte
del calo del 15% per la Francia e a un lieve
guadagno per la Germania. Non è solo il costo del lavoro per unità di
prodotto, tuttavia, ad aver prodotto questo risultato: il decennio
considerato è quello del boom delle economie emergenti, Cina e India in
testa; inoltre, a questo risultato poco confortante hanno contribuito le
peculiarità delle imprese italiane - indietro in termini di specializzazione
e, soprattutto, in dimensione - , gli investimenti
insufficienti, le errate strategie di prezzo. Non è casuale, infine, che si
tratti del decennio in cui l’economia italiana ha dovuto rinunciare alle
svalutazioni competitive, a causa degli obblighi europei. Dal 2005 (ultimo
anno preso in considerazione dallo studio) ad oggi, ha rilevato di recente il
governatore Draghi, la produttività è migliorata, grazie agli investimenti di
molte imprese innovative.
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PopSpoleto,
multa ai vertici
di Redazione - venerdì 02 novembre
2007
La Banca d’Italia ha inflitto ai vertici della Banca
popolare di Spoleto sanzioni amministrative per un totale di 210.000 euro per
carenze nell’organizzazione e nei controlli. Nella
decisione contenuta nel Bollettino di vigilanza si legge che le sanzioni,
12.000 euro per ciascun componente, sono state
comminate ai 14 membri del consiglio di amministrazione, al direttore
generale e ai sindaci per «carenze nell’organizzazione e nei controlli
interni».
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Il giovedì nero dei mercati - Wall Street a picco, Eurolandia brucia 137 miliardi. Petrolio, nuovo record -
Maxi iniezione di liquidità della Fed. Negli Usa
boom di pignoramenti
VITTORIA PULEDDA
MILANO - E´
stata un´ecatombe, davvero
un giovedì nero per le Borse, cominciato in Europa e trasferitosi, con il
trascorrere delle ore, a Wall Street. Nel Vecchio
continente i listini hanno bruciato complessivamente in un giorno 137
miliardi di capitalizzazione - grosso modo un sesto
del valore di tutta Piazza Affari - innervositi dagli scricchiolii di due
grandi banche internazionali, Credit Suisse e Citigroup, che per ragioni diverse hanno entrambe
accusato il colpo della crisi dei mutui subprime:
la prima ha annunciato una trimestrale con un calo degli utili del 31%,
mentre il colosso americano ha avuto in taglio del rating da parte degli
analisti (secondo i quali per mantenere la solidità patrimoniale dovrà
trovare sul mercato 30 miliardi di dollari).
Ragioni di nervosismo, appunto, che sono bastate per
gettare nel panico listini che evidentemente avevano
solo voglia di scendere: così, con vendite a pioggia che non hanno
risparmiato nessuno (anche se ovviamente si sono accanite sui titoli bancari,
anche in Italia) Londra e Parigi hanno chiuso la giornata con perdite pari al
2%, mentre Francoforte ha lasciato sul terreno l´1,73% e Milano si è
guadagnata la maglia rosa, perdendo "solo" l´1,71%. Ma Unicredit ha registrato un calo quasi del 5% e la maggior
parte delle altre banche hanno ceduto circa il 2. Del
resto, in Europa Barclays è scesa del 5,4% e Ubs del 4,4%, tanto per fare qualche esempio, mentre
negli Stati Uniti gli indici precipitavano, accelerando il calo con il
passare delle ore e perdendo in chiusura oltre il 2% (Dow
Jones -2,6%, Nasdaq
-2,25%).
Negli Usa, gli operatori hanno picchiato duro per i
timori che l´economia rallenti - tra l´altro proprio ieri si sono concentrati alcuni risultati
aziendali fortemente negativi - ma anche perché
ormai temono che la banca centrale, la Fed, possa
aver finito di tagliare i tassi, dopo la riduzione di due giorni fa che ha
portato il costo del denaro al 4,5%. Ieri la Federal
Reserve ha fatto una maxi
iniezione di liquidità, finanziando il mercato con ben 41 miliardi di
dollari, la maggiore operazione in un giorno solo dal 2001. Ma non abbastanza a rasserenare gli umori in Borsa,
innervositi anche dal nuovo balzo del prezzo del petrolio, che ieri ha
toccato un nuovo massimo a quota 96 euro per barile (per poi tuttavia
scendere sotto i 94 in chiusura).
Del resto, la crisi dei mutui subprime
e tutte le sue conseguenze impiegheranno probabilmente tempo per manifestarsi
appieno. Ma tutti i segnali che arrivano mostrano il brutto tempo stabile:
ieri ad esempio sono stati resi noti i dati relativi ai
pignoramenti immobiliari nel terzo trimestre. Ebbene,
negli Stati Uniti il numero di chi ha perso la casa perché non riusciva a
pagare le rate del mutuo è raddoppiato rispetto ad un anno fa, superando
quota 600 mila, e gli esperti del settore non si aspettano miglioramenti per
il prossimo futuro. Soprattutto perché il rallentamento del
comparto immobiliare si sta facendo sempre più massiccio: le case invendute
sono ai massimi da otto anni a questa parte e i prezzi stanno crollando.
Chi si trova in difficoltà, quindi, non riesce a vendere l´immobile
sul mercato e in questo modo la crisi rischia di avvitarsi.
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Vivere col greggio a 100 dollari rincari-lampo per auto e bollette - Gli esperti: nel
2008 stangata da 200 euro a famiglia - I record di questi giorni si
scaricheranno sui consumatori nel corso dell´inverno
LUCA IEZZI
ROMA - Si può vivere con il petrolio
a 100 euro al barile? In parte lo stiamo già facendo e dall´inizio
del 2008 ogni famiglia dovrà mettere a disposizione circa 200 euro al
servizio dei propri consumi energetici. Tutti gli esperti sono
d´accordo nel considerare il raggiungimento
traguardo storico della tripla cifra ormai sia solo una questione di tempo.
L´effetto più immediato sarà sulle bollette e sul
pieno di benzina, mentre più diffusi, ma meno quantificabili, saranno i
rincari su tutti i prodotti e quindi sull´aumento dell´inflazione.
Non ci sono solo cattive notizie: il prezzo del petrolio
che più pesa sui consumi europei è quello del mercato londinese del Brent, dove i record di questi giorni si fermano a 91
dollari al barile, a questo si aggiunge il supereuro, vero freno agli
aumenti. Il +75% del petrolio in dollari da gennaio diventa un meno impressionate +45% se espresso in euro. Poi negli
ultimi mesi la velocità di crescita della moneta unica e del prezzo al barile
nei confronti del dollari è stata la stessa. Quindi
se continuasse così i 100 dollari diventerebbero
"solo" 66 euro, simile alla situazione della prima metà degli anni
80, 5 euro sotto il record del 1980.
Considerazioni sufficienti ad
evitare allarmismo, ma non i rincari: la benzina ha già risposto alla corsa
del greggio crescendo del 9% in un anno, più di quattro volte rispetto all´inflazione: la "senza piombo" è a 1,337
(con tutti i gestori allineati più che mani), mentre il gasolio e a 1,238. Secondo gli esperti l´adeguamento porterà presto il prezzo sopra ai record
storici di luglio-agosto 2006 (1,375) per sfondare stabilmente quota 1,4
euro. Significherebbe 7 euro in più per ogni pieno rispetto all´anno precedente per un maggior esborso annuo di 170
euro.
L´altro fronte di aumenti
saranno le tariffe di luce e gas: già a settembre è stato necessario un
aumento rispettivamente del 2,4% e del 2,8%. La corsa delle materie prime
rende quasi scontato un nuovo adeguamento da dicembre con percentuali
analoghe. L´Istituto Nomisma
Energia ha ipotizzato un 2% per la luce e 2,7% per il gas,
trasformati in euro significa 13 euro in più sulla bolletta elettrica
in un anno e 26 per il riscaldamento.
Infine c´è il può ampio capitolo del carovita, la componente energia è
la seconda causa del ritorno dell´inflazione sopra
quota 2% certificato dall´Istat a ottobre. Tolti
gli alimentari, sono proprio i rincari nelle utenze
(2,1%) e nel trasporto (+3,4%) i capitoli in cui i prezzi corrono di più.
Visto che serve qualche mese perché i prezzi del petrolio si scarichino sul prezzo dei beni è probabile che i record di questi giorni
si vedano nel corso dell´inverno. Sul fronte dei
trasporti l´altra grande incognita è quella delle
compagnie aeree che da quando il greggio ha superato
i 90 dollari non hanno mai aggiornato la tariffa sul carburante, ma non
potranno evitarlo a meno di un imprevedibile crollo del petrolio.
Al momento invece non si è ancora materializzato l´effetto sulla crescita economica. Eppure tutte le
analisi di uno scenario con il petrolio a 100 dollari concordavano proprio su
questo punto: la produzione industriale ne avrebbe
risentito, l´inflazione alle stelle avrebbe
azzerato i consumi fino all´inevitabile recessione.
Proprio l´Italia che paga l´energia
più dei concorrenti europei e a produzioni esposte alla variazione del
petrolio, pagherebbe il prezzo più alto. Se dovesse succedere i rincari diventerebbero il minore dei problemi.
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Il buco nei bilanci degli istituti di credito
dopo la crisi dei mutui è
a quota 30 miliardi di dollari - Da Citigroup a
Credit Suisse rischio "tsunami"
per le banche - La crisi americana ha già contagiato i conti dei big europei e dei colossi
nipponici
ETTORE LIVINI
MILANO - L´onda
lunga della crisi dei subprime ha già spazzato via
30 miliardi di dollari dai conti delle banche mondiali. Malgrado
le rassicurazioni di Bush, le ciambelle di
salvataggio del Tesoro Usa e i tagli ai tassi della Fed,
infatti, gli americani che non riescono a pagare le rate dei mutui sono
sempre di più. E i loro problemi finanziari,
moltiplicati dalle alchimie dei derivati e trasferiti nei portafogli di
banche e risparmiatori in tutto il mondo, sono diventati una valanga di
proporzioni inattese.
«La crisi potrebbe costare 150-200
milioni di dollari», aveva buttato lì il Governatore della Fed Ben Bernanke nello
scetticismo generale (tutti pensavano a cifre molto inferiori) a inizio settembre. Quella stima, invece, a giudicare dai
primi conti del sistema creditizio, rischia di essere approssimata per
difetto. Da qualche settimana a questa parte, infatti, il numero delle banche
costrette a mettere a bilancio perdite miliardarie legati ai mutui a rischio
sta crescendo vertiginosamente. E, come si temeva, lo
tsunami non è rimasto confinato al mondo dorato
della finanza Usa.
L´ultimo campanello d´allarme,
ad esempio, è suonato a Zurigo, sede del Credit Suisse, a migliaia di
miglia dall´epicentro della crisi. Nell´era della finanza globale,
però, le distanze non contano. I traballanti mutui americani viaggiano per
conto loro, nascosti dai maghi della finanza strutturata nel calderone di bond esotici e cartolarizzazioni
miliardarie. Per poi esplodere – com´è successo
ieri – in piena Svizzera, in una città dove a memoria d´uomo
si fatica a ricordare una rata immobiliare in sofferenza. Il conto per la
banca elvetica è stato altissimo: nel bilancio del terzo trimestre sono stati
contabilizzati in perdita 1,9 miliardi di dollari. Una
misura necessaria per far fronte «alle condizioni estreme dei mercati», come
ha detto ieri senza andar troppo per il sottile il numero uno del gruppo Brady Dougan.
Il Credit Suisse
è solo l´ultimo esempio di una catena di Sant´Antonio planetaria di perdite. Se la Fed riesce con accanimento terapeutico a tenere a galla i
mercati, Bernanke & C. possono far ben poco per
salvare i conti del credito. E in qualche
caso le voragini aperte dai subprime sono da
capogiro. L´Oscar del rosso spetta a Merrill Lynch, costretta a
sobbarcarsi 8,4 miliardi di passivo, costati la poltrona al numero uno Stanley O´Neal, uscito di scena senza puntare troppo i piedi grazie a una
buonuscita (malgrado tutto) di 161 milioni. Tra le banche d´affari
– che pure continuano a essere macchine da soldi –
piangono anche Morgan Stanley
(1 miliardo) e Bear Stearns (0,4) mentre nel mondo
del credito pagano un pedaggio salato Citigroup
(3,5 miliardi) e Bank of America (3,5 pure lei).
Al di qua dell´Atlantico, Northern Rock a parte, la svizzera Ubs
ha già contabilizzato una perdita di 4,4 miliardi («non basterà, rischia di
arrivare a 8», ha detto ieri Merrill Lynch) mentre
in Germania, dove il Governo ha salvato dal collasso SachsenLb
e Ikb, la gloriosa Deutsche
Bank ha perso sui mutui 3,1 miliardi.
Dove arriverà il conto finale del
buco in banca? Per ora siamo a quota 30 miliardi. Ma
– avvertono gli esperti – è solo all´inizio. Le
autorità monetarie, anche in Italia, hanno abbandonato gli slogan ottimistici
dei primi giorni e iniziano ad ammettere che qualche problema, anche se
limitato, potrebbe spuntare. Il contagio subprime,
del resto, ha già attraversato anche il Pacifico con la giapponese Nomura che ha bruciato 1,2 miliardi.
-Cesare Cantù-
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