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MILANO — Ha interpretato la rivoluzione
in banca in almeno tre modi: ritornando al Credit privato dopo essere stato
«cacciato» dal Credit pubblico; avviando la grande stagione delle
aggregazioni in banca con la scalata al Rolo; chiamando al timone
dell’istituto un 'giovanotto' nemmeno quarantenne allora pressoché
sconosciuto, Alessandro Profumo. Lucio Rondelli è morto ieri a 86 anni e
non desta sorpresa che la famiglia abbia fatto sapere di voler mantenere il
lutto in forma strettamente privata: lui, bolognese, non ha mai cercato
riparo in un carattere chiuso, ma ha conservato la riservatezza del
banchiere e dai riflettori è fuggito sempre (o meglio, quando possibile) a
gran velocità. Preferibilmente a bordo di auto velocissime, verso le quali
nutriva una vera passione.
Anche solo le ragioni che hanno
determinato il suo «esilio» nel ’90 ne definiscono lo spirito di
innovatore: da alfiere della finanza laica, anche se pubblica, voleva
aggregare (con spirito pionieristico nella 'foresta pietrificata' di quegli
anni) la Bna, la banca di Giovanni Auletta Armenise. Ma il conte era
andreottiano e andreottiano era pure Franco Nobili, che da poco aveva
sostituito Romano Prodi all’Iri. Così, dopo alcune riunioni fra Andreotti,
Forlani, Gava e Cirino Pomicino, la sorte di Rondelli è decisa: fuori, a 65
anni per «raggiunti limiti di età».
Un addio dopo 21 anni di banca. Perché,
come ricorda Gianni Zandano, dall’83 al ’98 numero uno del San Paolo e
artefice della sua privatizzazione, Rondelli «è stato uno che ha fatto la
gavetta, era un indipendente, non un professorino....». Sì, dopo una laurea
in scienze economiche a Bologna lui avrebbe preferito la carriera
diplomatica, ma le cose sono andate diversamente e nel ’47 è entrato in
banca. Nella quale ha percorso l’intera carriera finché, 45enne e quindi per
l’epoca un enfant prodige, nel ’69 viene nominato amministratore delegato,
con il sostegno del fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia.
Dopo l’uscita «secondo statuto» Rondelli
avrebbe potuto dedicarsi a tempo pieno alle sue passioni, come la vela, la
musica e le auto sportive, e in parte l’ha fatto. Ma all’esilio preferisce
qualche incarico (come Arca) e soprattutto l’ingresso nel comitato
privatizzazioni istituito nel ’93 da Carlo Azeglio Ciampi: una task force
che indirizzerà l’addio allo Stato Padrone in Italia presieduta da Mario
Draghi e alla quale partecipano Rondelli, Piergaetano Marchetti, Ariberto
Mignoli, Ottavio Salamone e Francesco Giavazzi. Poi, quando il Credit viene
privatizzato, i soci lo chiamano: il 18 aprile ’94 rientra da presidente in
Piazza Cordusio. In breve tempo fa le mosse decisive. Nell’ottobre ’94
lancia l’Opa sul Credito Romagnolo, operazione chiusa nel febbraio 2005 dopo
il ritiro della controcordata Cariplo Imi Carisbo e Reale Mutua. Quattro
mesi più tardi nasce il terzo gruppo bancario italiano con la fusione decisa
dal board che, nella stessa riunione, nomina direttore generale Profumo, il
giovane banchiere ex McKinsey che Rondelli ha pescato un anno prima dal
gruppo Ras. È l’inizio di un «binomio felice», e non solo per l’altezza di
entrambi (con i suoi 1,98 Rondelli batte Profumo per soli tre centimetri),
bensì perché si assegnano territori definiti. Così, da quando nel ’97 il
«ragazzo» diventa amministratore delegato, il presidente è il ministro degli
esteri, colui che tratta e smussa con i soci-fondazioni e le autorità,
mentre il banker ristruttura e pensa alle ulteriori aggregazioni e alla
crescita. Però il tandem non dura a lungo. Nel ’99 Rondelli lancia l’Opa su
Comit mentre il San Paolo si dirige su Banca Roma. Ma Fazio blocca e Cuccia
è contrario. Nel 2001 infine Rondelli decide di lasciare in anticipo, dopo
che i soci di Unicredit si sono divisi sulle nomine in Mediobanca. Paolo
Biasi di Cariverona propone alla presidenza dell’istituto Francesco
Cesarini, mentre Rondelli sostiene la candidatura di Berardino Libonati,
presentata da Cesare Geronzi, il banchiere oggi presidente di Mediobanca che
ricorda così Rondelli: «Un banchiere vero, di grande spessore umano e
professionale, un vero amico ». Alla fine Cingano viene confermato, ma
Unicredit decide che nel patto di Piazzetta Cuccia Biasi sostituisca
Rondelli. E a quel punto la comunità finanziaria intravede in Piazza
Cordusio l’addio del presidente. Che si dimette. Sostituito da Cesarini.
Inizia l’ultima stagione di Rondelli. Con
l’ultimo ruolo operativo in banca Italease. Ne denuncia il crac e lo
definisce una vicenda malavitosa, ma non sarà l’ultima uscita pubblica.
Nell’intervista più recente traccia un bilancio della sua vita
professionale. A suo modo: «Avrei voluto fare il diplomatico. Ma certo non
mi è andata male ». Sergio Bocconi
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MILANO - L’Abi torna in campo con il
governo. Dopo aver chiesto l’altro ieri chiarimenti in merito all’attività
dei Prefetti per funzionamento dell’Osservatorio sul credito, il presidente
dell’Associazione, Corrado Faissola, è intervenuto ieri nella questione sul
massimo scoperto. Durante un’audizione davanti alla Commissione Finanze
della Camera, Faissola ha detto che «la definizione per legge del livello di
un prezzo costituisce una misura antitetica alla logica del mercato e al
dispiegarsi della concorrenza fra operatori che su quel mercato sono
attivi».
L'articolo 2 prevede, in particolare,
che la commissione di massimo scoperto non possa comunque superare lo 0,5%
per trimestre dell'importo dell' affidamento, pena la nullità del patto di
remunerazione. «Noi siamo sempre nettamente contrari a interventi
legislativi che definiscono prezzi attinenti alla nostra attività - ha
aggiunto Faissola - . Se può considerarsi ragionevole il varo di
disposizioni che presidino il terreno della trasparenza in modo più puntuale
di quanto non già regolato in via generale, appare singolare, e in
definitiva non positivo per la stessa clientela, l'imposizione per legge di
limiti quantitativi massimi a corrispettivi liberamente pattuiti per
servizi resi».
I nuovi vincoli potrebbero andare a
intaccare i conti degli istituti che sono ancora alle prese con la coda
delle crisi finanziaria. «Al momento - ha concluso Faissola - è presto per
delineare le ripercussioni delle nuove misure sui bilanci e non ci sono
nemmeno stime sull' impatto del primo decreto. Ma la mia impressione è che ci
fosse già prima una bella legnata e non è che ora cambi molto».
A difesa dell’azione del governo è
intervenuto il presidente della Commissione Finanze, Gianfranco Conte (Pdl):
«Le nuove norme sulle commissioni bancarie sono una diretta conseguenza
dell’atteggiamento delle banche, che a fronte di una norma deliberata dal
Parlamento hanno cercato vie traverse per applicare lo stesso una
commissione » . Fausta Chiesa
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ROMA — Destinare una parte delle
«ingenti riserve finanziarie (450 miliardi) al finanziamento di progetti di
sviluppo e al potenziamento delle infrastrutture». È l’appello lanciato dal
ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, alle imprese assicurative riunite
ieri nell’assemblea annuale associativa dell’Ania, guidata da Fabio
Cerchiai.
Il ministro ha rivendicato al governo il
varo di misure «tempestive anticrisi» a sostegno del settore, nonché il
ritorno alle polizze poliennali, «che non è un regalo ma la correzione di
una norma sbagliata». Dopo aver annunciato l’interesse del governo a un’assicurazione
contro i rischi catastrofali, Scajola ha sollecitato «un più attivo
coinvolgimento» delle compagnie «nelle strategie per superare l’attuale,
difficile congiuntura economica». Il riferimento del ministro è a un
provvedimento, varato dal governo francese nella Finanziaria 2005, che
accordava ai consumatori vantaggi fiscali se avessero acquistato strumenti
finanziari, anche assicurativi, a condizione che questi investissero la
raccolta al 30% in azioni, al 10% in fondi pubblici (per l’innovazione e Pmi)
e al 5% in azioni non quotate.
Cerchiai ha espresso «piena apertura» a
Scajola, aggiungendo tuttavia «che il ministro ha sicuramente ben presente
che i nostri investimenti devono rispondere ai criteri di convenienza,
liquidità e salvaguardia degli assicurati ». In sostanza il presidente di
Ania ha mostrato una maggior propensione all’ipotesi di nuovi prodotti
assicurativi con una simile vocazione, lasciando intendere che sarebbe molto
più difficile intervenire su quelli già esistenti.
Nell’illustrare lo stato del settore,
Cerchiai ha detto che non ci sono stati casi di crisi aziendale né richieste
di aiuti pubblici. Una curiosità: il totale dei crediti vantati dalle
compagnie italiane verso la Lehman Brothers, l’istituto finanziario fallito
negli Usa, è di circa 2,7 miliardi di euro, lo 0,5% del totale degli attivi.
Tali compagnie hanno offerto ai risparmiatori, cui fa capo l’80% dei
prodotti, titoli alternativi o conservazione del valore nominale del
capitale investito. Il presidente dell’Isvap (istituto di vigilanza),
Giancarlo Giannini, ha annunciato uno stress test sul settore.
Cerchiai ha affermato che «i risultati
finanziari hanno risentito inevitabilmente della crisi ma la gestione
industriale si è mantenuta ancora positiva sia pure in presenza di
preoccupanti segnali di peggioramento» dell’Rc auto ». Qui il conto
economico, per la prima volta dal 2001, è risultato in perdita «seppur
lieve ». Insomma se non si riuscirà a intervenire «incisivamente» sui costi
dei sinistri e di gestione, saranno le tariffe a risentirne. Una dura
critica alle liberalizzazioni dell’ex ministro Bersani, le «lenzuolate», è
venuta sia da Scajola che da Cerchiai, che ha auspicato un tavolo per
«correggere le norme sbagliate».
Intanto nel ramo vita i primi 4 mesi
dell’anno hanno visto un aumento della produzione di oltre il 25% sull’anno
precedente. La previsione per tutti i rami nel 2009 è di un aumento della
raccolta del 5,4%, a fronte di una diminuzione del 7,1% stimata per il 2008.
Antonella Baccaro
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Fusioni e acquisizioni in frenata nei
primi sei mesi dell’anno sia a livello mondiale (-40,2% a 941 miliardi di
dollari le operazioni annunciate nel periodo; -57,6% a 7,9 miliardi le
commissioni incassate), sia in Italia (-57,5% a 30 miliardi). Nel nostro
Paese, Mediobanca è in testa alla classifica per controvalore, secondo le
rilevazioni sul settore M&A (merger and acquisitions) di Thomson Reuters,
inseguita da una pattuglia di gruppi stranieri molto attivi in Italia. Intesa
Sanpaolo è prima per numero di operazioni completate nel semestre. Piazzetta
Cuccia conta 17 transazioni come advisor per 18,4 miliardi di dollari
(-57,4%) annunciate nei primi sei mesi del 2009 e nello stesso periodo ne ha
realizzate 13, Intesa Sanpaolo (attraverso Banca Imi) è 12esima (-79%) con 16
deal (per 3,3 miliardi). Intesa, che ha realizzato il maggior numero di
operazioni nel semestre, si avvia a guadagnare posizioni nel terzo trimestre
quando potrà esibire la maxi-operazione, già chiusa, Enel-Acciona
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ROMA — Dopo la speranza che il peggio
fosse alle spalle, la crisi economica presenta il volto peggiore, quello
della disoccupazione. Negli Usa e in Europa vola al 9,5%. A giugno gli
Stati Uniti hanno perso 476 mila posti di lavoro, 120 mila più delle stime
degli analisti. Si tratta del record negativo degli ultimi 25 anni. Così
Eurolandia ha eliminato 273 mila occupati facendo balzare a 15 milioni i
senza lavoro. Sono numeri choc che hanno «profondamente deluso e
preoccupato » il presidente americano Barack Obama e trasformato i mercati
in una Waterloo finanziaria. Wall Street ha accusato un ribasso di oltre il
2% mentre l’Europa (indice Dj) ha perso il 2,55% bruciando in una giornata
102,5 miliardi di euro. Il giovedì nero delle Borse ha visto Milano
arretrare del 2,65%, Francoforte del 3,81%, Parigi del 3,13%, Londra del
2,45%.
Se l’Italia è stata colpita meno degli
altri sul fronte disoccupazione (7,4% a marzo) la crisi si è però scaricata
sui conti pubblici. Secondo l’Istat il rapporto deficit-Pil nel primo
trimestre dell’anno ha raggiunto quota 9,3%, il peggior dato degli ultimi
dieci anni. L’anno scorso era al 5,7%. È vero che, fisiologicamente, nei
primi mesi dell’anno aumentano le spese e calano le entrate, ma resta la
forza del dato che dovrebbe rientrare entro il tasso annuo del 5% previsto
dalle principali stime. Così, a cascata, il primo trimestre mostra il saldo
primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) negativo per 16
miliardi di euro con una incidenza del 4,6% sul Pil rispetto al meno 0,8%
dello stesso periodo dell’anno scorso. In calo anche le entrate fiscali del
2,8% (tendenziale 2,9%) dovuto all’effetto combinato di una diminuzione
delle imposte dirette (-4,6%) di quelle indirette (-4,9%), dei contributi
sociali (-0,1%) e della crescita delle altre entrate correnti (+ 0,9%).
Una boccata d’ossigeno sui conti pubblici
è arrivata dal decreto anticrisi approvato venerdì dal governo che, secondo
la relazione tecnica del Tesoro allegata al testo trasmesso alla Camera,
dovrebbe migliorare di quasi 1,4 miliardi di euro il saldo netto da
finanziare nel triennio 2009-2011 con un effetto sul fabbisogno dello stesso
importo. Dalla relazione è emerso inoltre che la stretta sulle
compensazioni Iva porterà un beneficio per le casse dello Stato di 1
miliardo di euro (entro il 2011) mentre un altro miliardo arriva dall’imposta
del 6% sulle plusvalenze sull'oro. Salta invece la norma che in una prima
versione del testo prevedeva la reintroduzione della possibilità di
pensionare d’ufficio i dipendenti della pubblica amministrazione che
avessero maturato i 40 anni di anzianità contributiva.
Come aveva anticipato il segretario
generale dell’Ocse Angel Gurria appena dieci giorni fa, la disoccupazione
nei Paesi più industrializzati del mondo e quindi quelli più colpiti dalla
crisi innescata dai titoli tossici, è la vera piaga da combattere. Il rischio
è che aumenti ancora di più il crollo dei consumi innescando un pericoloso
effetto valanga. Purtroppo dalle stime nessuna buona notizia: il portavoce
della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha indicato che secondo gli esperti
dell'amministrazione il tasso di disoccupazione Usa salirà oltre quota 10%
nell'arco dei prossimi due-tre mesi.
I 40 anni di contributi Per gli statali
salta l’uscita automatica dopo 40 anni di contributi. Roberto Bagnoli
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Rimborsi fiscali e cartelle esattoriali
non viaggeranno più su binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. Ma
finalmente troveranno uno sbocco comune: le tasche dei contribuenti.
Arriva finalmente in stazione un treno
partito ancora nel 2006: il decreto legge 262 aveva, infatti, stabilito la
possibilità di compensare i crediti tributari con le somme iscritte a ruolo
da parte dell’Agenzia delle entrate. In pratica l'opportunità di sfruttare
un rimborso Irpef, ad esempio, per far fronte a una cartella, si spera non
pazza.
Ora, due anni dopo, la procedura è stata
messa finalmente in moto. I primi a beneficiarne saranno circa 170.000
contribuenti, tutte persone fisiche, per un importo di 100 milioni. Facendo
un rapido calcolo si tratta in media di 600 euro che invece di essere spesi
saranno risparmiati. Nella presunzione, abbastanza ovvia, che le cartelle
sono in genere più veloci dei rimborsi.
È una delle tante novità del Fisco
d’estate. Che si accompagna ad altre innovazioni apportate dal decreto anticrisi
sempre sul fronte delle compensazioni, cioè la possibilità di pareggiare
debiti e crediti verso il Fisco. Uno dei frutti migliori del processo di
semplificazione avviato a metà degli anni novanta, poi in parte interrotto.
Tentiamo un bilancio delle varie misure.
Rimborsi. Il contribuente che ha chiesto
un rimborso al Fisco, ed è stato contemporaneamente iscritto a ruolo,
riceverà nelle prossime settimane una comunicazione da parte dell'ente
incaricato della riscossione con cui, in buona sostanza, viene proposta la
compensazione, ovvero uno scambio tra le somme che sta aspettando e quelle
che dovrebbe pagare per qualche infrazione commessa. Ci sono 60 giorni di
tempo per accettare.
Dire sì è la soluzione più conveniente
perché tanto prima o poi la cartella arriverà. Inoltre l’accettazione blocca
ogni azione esecutiva da parte dell’agente della riscossione. Rifiutare non
conviene perché comporta, oltretutto, il pagamento da parte del
contribuente degli oneri della procedura. Una norma che appare abbastanza
strana. La spesa dovrebbe essere a carico dello Stato.
Tutto bene? In apparenza sì, ma con un
piccolo neo. Negli ultimi anni le cartelle pazze non si sono sprecate e,
quindi, c’è il rischio di scambiare un credito buono con un debito cattivo.
Si spera, quindi, che l’invio della comunicazione avvenga dopo un’attenta
verifica. La compensazione tra rimborsi e cartelle dovrebbe poi riguardare
ogni tipo di somma iscrivibile a ruolo.
Dalla procedura sono esclusi i rimborsi
del 730. E non possono beneficiarne gli eredi di contribuenti deceduti né
chi ha scelto la rateizzazione.
Iva. Il decreto anticrisi ha rallentato
la procedura di compensazione dei crediti Iva superiori ai 10.000 euro. Il
credito potrà essere utilizzato solo dopo la presentazione della
dichiarazione. In pratica i tempi si allungano. La denuncia annuale, però,
potrà essere presentata separatamente da Unico, in anticipo rispetto a
oggi, in modo da non penalizzare eccessivamente i contribuenti. Inoltre
sarà necessario farsi apporre il visto di conformità da un commercialista o
da un consulente del lavoro.
Tetto. Dal 2010, se le finanze pubbliche
lo permetteranno, sarà innalzato da 500.000 a 700.000 euro il tetto dei
crediti che si potranno utilizzare in compensazione. Massimo Fracaro
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FRANCOFORTE - Per il secondo mese
consecutivo la Banca centrale europea ha lasciato invariato all’1% il costo
del denaro di Eurolandia, giudicandolo «appropriato». Un segnale, questo,
colto dai mercati come anticipatore di tassi di interesse costanti per i
prossimi mesi. Tuttavia, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha lasciato
aperta la porta a eventuali tagli («non abbiamo detto che questo è il
livello più basso dei saggi di interesse») se la situazione dovesse
peggiorare ancora. Anche ieri, il banchiere centrale francese ha visto
provenire dall’economia indicazioni che secondo la Bce riflettono una
attenuazione della crisi. Alla quale dovrebbe succedere prima una
stabilizzazione. Poi, solo fra un anno, a metà del 2010, arriverà una
«graduale ripresa», sulla scia delle significative misure di stimolo varate
in tutte le maggiori economie, che «dovrebbero sostenere la crescita
globale, inclusa quella dell’area euro». Le previsioni restano però sotto
la spada di Damocle di «effetti avversi ritardanti », come l’aumento della
disoccupazione - salita in maggio al 9,5% in Eurolandia, e all’8,7% nella
Ue, il dato peggiore da dieci anni - il cui impatto potrebbe far peggiorare
le aspettative, e quindi i consumi e gli investimenti. Da qui la cautela nel
tono di Trichet, colta dai mercati in modo negativo. E il dato sull’occupazione
negli Stati Uniti balzata al 9,5% in giugno - ha fatto fare previsioni
grigie al presidente Barack Obama che ha detto: «Ci vorranno ancora mesi per
uscire dalla crisi».
Il numero uno della Bce ci ha tenuto a
rassicurare i mercati che l’inflazione, scesa a livelli negativi (-0,1%), era
largamente attesa, ed è legata a «fattori temporanei». Per i prossimi mesi
è previsto un «ritorno a valori positivi», che tuttavia resteranno deboli
anche l’anno prossimo.
Anche per questo, e di fronte a una
crescita anemica per tutto il 2010, Trichet ha esortato i governi a tornare
a pensare al risanamento dei bilanci pubblici a partire dal 2011, per non
minare la fiducia dei mercati. Nel frattempo, Trichet ha spiegato che anche
la Bce ha impostato tutte le manovre, anche quelle straordinarie di
concessione illimitata di liquidità alle banche (l’ultima, di settimana
scorsa, pari a 442 miliardi di euro), in base a una «exit strategy facile».
Ciò permetterà un drenaggio della liquidità in linea con gli obiettivi di
controllo dell’inflazione. Nel frattempo, la Bce ha fornito dettagli su un
altro provvedimento straordinario, l’acquisto di 60 miliardi di «covered
bonds», sul mercato primario e secondario, che partirà dal 6 di luglio. Ora,
secondo Trichet, «spetta alle banche assumersi piena responsabilità
nell’assicurare il credito» all’economia, e trarre vantaggio delle diverse
possibilità offerte per rafforzare i loro bilanci, in particolare «tramite
aumenti di capitale » . Marika de Feo
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Fornire microcrediti a piccole imprese e
a chi ha perso il posto di lavoro e vuole avviare un'attività in proprio. È
l'iniziativa lanciata dalla Commissione europea per contribuire ad arginare
la disoccupazione in Europa. La dotazione iniziale di 100 milioni di euro
dovrebbe aumentare a più di 500 con l’intervento della Bei, la Banca europea
degli investimenti.
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - PECHINO —
Dieci anni dopo Jiang Zemin, domenica 5 tocca al presidente cinese Hu Jintao
imbarcarsi per Roma in una visita di Stato su invito dell’omologo Giorgio
Napolitano. Con la Repubblica popolare ormai cooptata fra i protagonisti del
palcoscenico mondiale, dall’8 al 10 Hu parteciperà al G8+5 dell’Aquila. E’
una formula che va incontro alle aspettative di Pechino che ritiene, come ha
ricordato ancora ieri il vice ministro degli Esteri He Yafei, «la struttura
del G8 non equilibrata». Hu, che ha risposto per iscritto ad alcune delle
domande del Corriere, è anche segretario del Partito comunista e capo della
Commissione militare: nella giornata di lunedì 6, oltre che Napolitano,
incontrerà il premier Silvio Berlusconi e i presidenti delle Camere.
Pur con una parentesi «turistica»
(Venezia, Firenze, Pisa), sarà un viaggio dal forte connotato economico
perché coincide con una missione d’acquisto di 300 imprenditori cinesi che
cercheranno opportunità d’investimento o chiuderanno contratti già avviati;
la delegazione proseguirà poi per Svezia, Finlandia e Portogallo (a Lisbona,
dopo il G8, Hu sarà in visita di Stato). Nei primi 5 mesi del 2009 la Cina è
l’unico mercato in cui l’Italia sia in crescita. E se dal 2001, anno
dell’ingresso della Cina nel Wto, l’interscambio è passato da 7,8 miliardi di
dollari ai 28,3 del 2008, il maggio scorso ha segnato un +19% nelle
esportazioni sul 2008. Roma e Pechino sigleranno diversi accordi circa
economici e commerciali e di cooperazione in numerosi settori, tra cui
turismo e rapporti culturali.
«Da quest’ultimo punto di vista — chiosa
l’ambasciatore Riccardo Sessa — Italia e Cina assumono lo status di vere e
proprie superpotenze culturali». M.D.C. di MARCO DEL CORONA
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«Cina e Italia sono due Paesi di civiltà
antica, i buoni contatti tra i due popoli risalgono a tempi remoti. Nei 39
anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche i rapporti bilaterali hanno
superato le prove rappresentate dai mutamenti dello scenario internazionale,
conoscendo continui progressi. Soprattutto nel 2004, quando Cina e Italia
hanno stabilito il Partenariato strategico globale, i contatti istituzionali
ad alto livello tra le due parti si sono intensificati, scambi e cooperazioni
in ogni settore si sono rapidamente allargati, con strette consultazioni
sul piano internazionale. Il Comitato governativo Italia-Cina ha svolto un
importante ruolo nel pianificare e coordinare i rapporti bilaterali. Da
ricordare, in particolar modo, che negli ultimi anni la cooperazione
bilaterale è stata fruttuosa e ha portato benefici consistenti ai due
popoli. L’Italia è il quinto partner commerciale e il terzo Paese di
provenienza d’investimento per la Cina nella Ue. Nonostante la scossa della
crisi finanziaria internazionale, l’interscambio commerciale bilaterale del
2008 ammontava a più di 38 miliardi di dollari (quasi 27 miliardi di euro,
ndr) e gli investimenti reciproci tra i due Paesi sono sempre più dinamici.
Nel 2008 tra le due parti è stata firmata la Dichiarazione congiunta sulle
Cooperazioni nel campo scientifico e tecnologico, i relativi meccanismi di
intesa hanno funzionato bene, incentivando le collaborazioni in materia. La
cooperazione sulla tutela ambientale è esemplare, si sono ottenuti buoni
risultati nell’adempimento delle convenzioni internazionali, nella
promozione del risparmio energetico e della riduzione delle emissioni, ed è
stato sostenuto l’impegno di Pechino per un’Olimpiade 'verde'… Gli scambi
culturali sono stati vari e ricchi, l’amicizia ormai è radicata nel cuore
dei nostri popoli. L’anno scorso la Cina ha organizzato un festival
culturale cinese in Italia molto applaudito dal pubblico.
Gli italiani sono molto abili
nell’integrare antico e moderno. Lo splendore della civiltà romana e del
Rinascimento ha influenzato a lungo e profondamente l’umanità. Oggi
l’Italia, con la sua economia avanzata, svolge ruoli importanti negli
affari regionali e internazionali. Tra Italia e Cina esiste un vasto
orizzonte di cooperazione in ogni settore. L’anno prossimo avremo il 40°
anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra Roma e Pechino:
vogliamo cogliere quell’occasione e impegnarci con la parte italiana,
partendo dalla situazione generale dei rapporti bilaterali, per rafforzare
la fiducia politica reciproca, intensificare gli scambi, approfondire
concretamente le cooperazioni e promuovere lo sviluppo economico sociale dei
nostri Paesi. Vogliamo anche intensificare le cooperazioni negli affari
internazionali, affrontare le sfide globali rappresentate soprattutto dalla
crisi finanziaria e creare un futuro ancora migliore per i rapporti tra
Cina e Italia».
La crisi finanziaria: le misure prese dalla
Cina e i risultati ottenuti
«Affrontare la crisi finanziaria è una
sfida comune per l’intera Comunità internazionale. Bisogna che tutti i Paesi
collaborino: solo così si riuscirà a superare le difficoltà del momento.
Sotto questo profilo, la Cina s’è impegnata positivamente e
costruttivamente, con misure che si riflettono principalmente in diversi
aspetti.
Primo: la Cina ha mantenuto uno sviluppo
economico stabile e relativamente veloce. Dopo l’avvio della crisi, il
governo cinese ha adottato tempestivamente una politica finanziaria attiva
e una politica monetaria moderatamente flessibile e ha lanciato un pacchetto
di progetti mirati ad aumentare la domanda interna e incentivare lo sviluppo
stabile e relativamente veloce della propria economia. Attualmente tali
misure hanno influito positivamente sulla performance economica della Cina e
la congiuntura economica, in generale, tende a stabilizzarsi. Con un
miliardo e 300 milioni di abitanti, se la Cina riuscisse a realizzare gli
obiettivi mirati ad assicurare la crescita economica, a migliorare il tenore
di vita dei cittadini e a salvaguardare la stabilità sociale, ebbene,
sarebbe già di per sé un contributo rilevante sul piano internazionale
contro la crisi finanziaria.
Secondo: la Cina ha partecipato
positivamente alle due sessioni del G20 e l’ha spinto a ottenere risultati
positivi per ripristinare la fiducia nel mercato. La Cina lavorerà assieme ai
Paesi interessati per far sì che il G8+5 dell’Aquila contribuisca a
incoraggiare la comunità internazionale perché fronteggi unita la crisi
finanziaria, accelerando la ripresa economica mondiale.
Terzo punto: la Cina ha partecipato
attivamente alle varie forme di collaborazione internazionale per
contrastare l’impatto della crisi. Nonostante le grandi difficoltà, Pechino
ha mantenuto un tasso stabile di cambio della propria moneta. La Cina ha
aderito attivamente ai progetti per sostenere le istituzioni finanziarie
internazionali, ha appoggiato anche il finanziamento delle banche di sviluppo
regionali, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione finanziaria,
indispensabile sia per il commercio multilaterale sia per quello regionale
e bilaterale. La Cina ha stipulato accordi bilaterali per scambi di valute
con Paesi e regioni per 650 miliardi di renminbi (circa 67 miliardi di euro,
ndr ). Pechino contribuisce alla costituzione di una riserva regionale di
valute nel quadro della formula Asean + Cina, Giappone e Corea del Sud
(l’Asean riunisce i 10 Paesi del Sudest asiatico, ndr ). La Cina ha
organizzato più volte missioni d’acquisto all’estero e promette
esplicitamente di aumentare gli aiuti verso i Paesi africani e di cancellare
o ridurre i loro debiti. La Cina promuove lo sviluppo sano e stabile del
commercio internazionale, favorisce i negoziati di Doha del Wto per ottenere
quanto prima risultati completi ed equilibrati.
Quarto: la Cina promuove il
rafforzamento delle organizzazioni finanziarie internazionali e chiede di
intensificare la supervisione dei mercati finanziari. La Cina è favorevole
all’aumento delle risorse del Fondo monetario internazionale, della Banca
mondiale e degli altri organismi finanziari internazionali, che esorta ad
ampliare il diritto di parola e la rappresentanza dei Paesi in via di
sviluppo. Chiede poi di incrementare il monitoraggio sulle politiche
macroeconomiche delle economie le cui divise vanno a costituire le riserve
valutarie».
Le relazioni, oggi, tra Cina ed Europa
«Quest’anno, con l’impegno comune delle
due parti, le relazioni sino-europee hanno superato le difficoltà e le
vicissitudini precedenti e sono tornate nel binario normale di uno sviluppo
complessivo. Nella prima metà del 2009 i contatti istituzionali di alto
livello tra Cina ed Europa sono stati frequenti, il dialogo e le consultazioni
sotto diverse forme sono stati gradualmente approfonditi e la cooperazione
in ogni settore è stata fruttuosa. Poco tempo fa, si è tenuto con successo
l’11° Vertice tra Europa e Cina che ha portato nuove energie per uno
sviluppo sano e stabile dei rapporti sino-europei. Sin dall’inizio, Pechino
ha attribuito grande importanza ai rapporti con l’Ue e la considera come una
delle priorità nella sua politica estera. La Cina sostiene il processo
d’integrazione dell’Ue e accoglie con soddisfazione il suo ruolo sempre più
utile e rilevante negli affari internazionali. Le relazioni bilaterali
sino-europee, sane e stabili, hanno riflettuto gli scambi sinceri di due
grandi e antiche civiltà, che testimoniano i mutui benefici ottenuti dal
maggior Paese in via di sviluppo e dal più grande raggruppamento di Paesi
avanzati: ciò corrisponde non solo alla corrente della storia, ma sta anche
negli interessi dei popoli.
Attualmente, sullo scenario
internazionale si assiste a profondi cambiamenti senza precedenti. Lo
sviluppo del multipolarismo e la globalizzazione economica tendono ad
approfondirsi, l’interdipendenza tra gli Stati è sempre più stretta. Nel
frattempo, le questioni come la sicurezza alimentare, la sicurezza delle
risorse energetiche, la sicurezza della salute pubblica sono sempre più
sentite. Il terrorismo, il narcotraffico e la criminalità organizzata
transnazionale sono sempre più sfrenati. E la pirateria è più feroce che
mai. Soprattutto la crisi finanziaria sta ancora diffondendosi e
aggravandosi: il suo impatto sull’economia reale mondiale è sempre più
evidente. La congiuntura economico- finanziaria globale preoccupa ancora.
In questo contesto, la Cina e l’Europa devono continuare a sviluppare il
Partenariato strategico complessivo perché tale rapporto sta assumendo
sempre più valore a livello mondiale. Con spirito di uguaglianza, mutuo
vantaggio e mutuo rispetto, Pechino e l’Europa devono trattare tra loro nel
segno di una lungimirante visione strategica e adattarsi al mutamento dei
tempi. Vogliamo approfondire le intese, coltivare vantaggi reciproci e
realizzare una 'win-win situation', uno scenario in cui vincano entrambe le
parti. L’Italia è uno dei membri più importanti dell’Ue che sostiene da
lungo tempo l’amicizia sino-europea. Siamo desiderosi di impegnarci assieme
ai Paesi dell’Ue, Italia compresa, per promuovere lo sviluppo costante, sano
e stabile del Partenariato strategico complessivo sino-europeo, con il fine
di beneficiare i popoli cinese e europei e di contribuire alla pace, alla
stabilità e allo sviluppo mondiali».
Il nuovo contesto internazionale e il
ruolo che svolgerà la Repubblica popolare sulla scena mondiale
«Essendo un membro responsabile della
Comunità internazionale, la Cina segue con fermezza la strada dello sviluppo
pacifico, adottando con determinazione la strategia di apertura e di mutuo
vantaggio. La Cina desidera sviluppare intese e amicizia con tutti i Paesi
del mondo sotto i cinque principi della coesistenza pacifica e vuole dedicarsi
alla promozione di un mondo armonioso che goda di pace durevole e di comune
prosperità. Il mio Paese è determinato a salvaguardare la pace e la stabilità
del mondo, propone di risolvere le questioni scottanti internazionali
tramite negoziati diplomatici. La Cina promuove positivamente la
collaborazione nel campo della sicurezza internazionale e regionale,
partecipa alla cooperazione per la non-proliferazione e si oppone a ogni
forma di terrorismo. La Cina ha aderito alle missioni di pace dell’Onu ed è
la nazione che ha inviato il maggior numero di caschi blu tra i membri del
Consiglio di sicurezza.
Pechino è determinata a promuovere lo
sviluppo comune, partecipa attivamente nelle sedi internazionali per
fronteggiare la crisi finanziaria, persegue incessantemente l’Obiettivo di
sviluppo per il Millennio dell’Onu. Nonostante la difficile situazione dovuta
alla crisi, la Cina ha cancellato o ridotto i debiti di decine e decine
Paesi sottosviluppati. Entro il limite delle nostre capacità, continueremo a
fornire aiuti ai Paesi in via di sviluppo per sostenerli. Con lo sviluppo
del nostro Paese, vogliamo promuovere anche quello su scala regionale e
mondiale. La Cina è determinata a impegnarsi in collaborazioni mirate a
fronteggiare le sfide globali. Sono sempre più numerose le sfide sullo
scenario mondiale, vedi i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare, la
sicurezza energetica, la salute pubblica. In tutti questi campi, la Cina
desidera lavorare con i Paesi del mondo. Per quanto riguarda i cambiamenti
climatici, la Cina adempie attentamente agli obblighi internazionali
sanciti dalla Unfccc (la convenzione Onu sul cambiamento climatico) e il
Protocollo di Kyoto. Nel frattempo, la Cina ha approvato e adottato un Piano
nazionale per affrontare i cambiamenti climatici che riflette l’atteggiamento
serio e attento di Pechino sul tema. Circa la sicurezza alimentare, poi, con
solo il 9% del suolo coltivabile del mondo abbiamo sostenuto il 20% della
popolazione del pianeta che, di per sé, è già un grande contributo alla
sicurezza alimentare mondiale.
La Cina promuove la riforma sul sistema
finanziario internazionale. Esortiamo le parti ad attuare le decisioni prese
durante i G20 di Washington e di Londra. Come ho già detto, vogliamo rafforzare
i controlli sui mercati finanziari e promuovere la riforma sul sistema
finanziario internazionale e, appunto, incrementare la rappresentanza e il
diritto di parola dei Paesi in via di sviluppo. E’ nostro desiderio
promuovere l’ordine finanziario internazionale a orientarsi con linee di
imparzialità, ragionevolezza, tolleranza, gradualità. La Cina, ripeto,
desidera che i negoziati di Doha giungano a risultati completi ed
equilibrati. E Pechino si impegnerà per migliorare le condizioni del commercio
e degli investimenti internazionali, per opporsi a ogni forma di
protezionismo».
Return
di PIETRO ICHINO
Caro direttore, nel 1969 la Corte
Costituzionale italiana spiegò con queste parole perché riteneva giusto che
le donne andassero in pensione prima degli uomini: «Rientra fra i poteri
del legislatore anche quello di limitare nel tempo il periodo in cui la donna
venga distratta dalle cure familiari e di consentire che, giunta ad una
certa età, essa torni ad accudire esclusivamente la famiglia».
Una sentenza del novembre scorso della
Corte di Giustizia europea ha condannato invece l’Italia a rimuovere questa
differenza di trattamento, almeno nel settore dell’impiego pubblico. E,
poiché l’Italia non se ne è data per intesa, ora la Commissione europea ha
aperto una procedura di infrazione, che potrebbe costarci molto cara se non
ci affretteremo a ottemperare.
Molti ancora oggi, a destra come a
sinistra, non si rassegnano a questo obbligo comunitario; ma le parole della
Corte Costituzionale di quaranta anni fa oggi sbalorditive, eppure
limpidissime nel chiarire la vera logica della differenziazione
sopravvissuta fino a oggi dovrebbero indurci a parificare al più presto i
limiti di età per la pensione anche nel settore privato. È indispensabile
per rompere il circolo vizioso della discriminazione che alimenta se
stessa: «Poiché tu donna hai sopportato una parte maggiore del lavoro
informale di cura familiare, in cambio ti mandiamo in pensione prima; poiché
ti mandiamo in pensione prima, non lamentarti se ti riserviamo più il lavoro
domestico che il lavoro professionale». Accade così che, a parità di
popolazione con la Gran Bretagna, in Italia ci siano 4 milioni di donne in
meno nel mercato del lavoro.
Resta l’obiezione: le donne perdono il
«risarcimento» della possibilità di pensione anticipata, ma la
discriminazione ai loro danni, in azienda come in casa, resta quella di
prima. È vero. E questo è il motivo per cui tutte le risorse che si
risparmiano con la parificazione graduale delle età pensionistiche, ma anche
molte di più, dovranno essere «restituite» alle donne, con misure vigorose di
promozione della parità effettiva. In questo spirito è stata presentata
recentemente da tre donne che conoscono bene il problema, Marina Piazza, Anna
Maria Ponzellini e Anna Soru, una proposta interessante: scambiare
l’innalzamento dell’età pensionabile con il riconoscimento ai fini
previdenziali dei periodi dedicati alla cura familiare. Come? Per esempio,
estendendo la tutela per la maternità (compresa la contribuzione figurativa)
a tutte le madri, anche se non impegnate in un rapporto di lavoro; ma anche
assicurando a ogni coppia di genitori dei congrui periodi di congedo (con
contribuzione figurativa e indennità pari al 60% della retribuzione),
ulteriori rispetto a quelli già oggi disponibili e proporzionati al numero
dei figli.
Il problema è che dei congedi parentali
godono molto di più le donne degli uomini, anche perché le mogli guadagnano
mediamente meno dei rispettivi mariti: è più conveniente, quindi, che in
famiglia il reddito di lavoro parzialmente sacrificato sia quello
femminile. Si corre così di nuovo il rischio che l’incremento della
protezione alimenti il circolo vizioso a danno del tasso di occupazione
femminile, oggi in Italia innaturalmente basso.
Un modo per uscirne è questo: una
detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, come «azione
positiva» finalizzata a produrre quell’aumento drastico dell’occupazione
regolare delle donne che l’Unione Europea ci chiede e finora non siamo stati
capaci di realizzare. Oggi su uno stipendio mensile di mille euro gravano 110
euro di imposta. Ridurre quei 110 euro a 10 per le retribuzioni delle donne
costerebbe allo Stato circa 4 miliardi l’anno: è, lira più lira meno, quello
che è costata l’abolizione dell’Ici sulle case dei più ricchi, disposta dal
governo all’inizio di questa legislatura. In parte, comunque, questa misura
si ripagherebbe da sola, per effetto dell’allargamento della base
produttiva: domanda e offerta di lavoro femminile sono infatti molto più
elastiche rispetto al lavoro maschile, quindi risponderebbero bene
all’incentivo. E quando in famiglia ci sarà un reddito tassato di più e uno
tassato di meno, sarà più facile che a essere sacrificato parzialmente con
la richiesta di congedo parentale sia quello tassato di più. Per la
copertura finanziaria di questa misura fiscale basterebbe il 5 per cento
dei 70 miliardi che lo Stato spende ogni anno per l’equilibrio del bilancio
pensionistico. Ne varrebbe davvero la pena.
In un convegno svoltosi nei giorni scorsi
a Milano il deputato della maggioranza Giuliano Cazzola si è detto
disponibile per un’iniziativa di questo genere. Se anche i ministri Tremonti
e Sacconi lo fossero, una iniziativa bipartisan di questo genere potrebbe,
nel giro di pochi anni, cambiare faccia al mercato del lavoro italiano.
Return
di SALVATORE BRAGANTINI
Sono passati due anni dall’inizio della
crisi e le banche hanno già ingoiato aiuti pubblici per migliaia di
miliardi: bisogna definire in fretta le nuove regole e l’architettura della
vigilanza, prima che passi la paura e il santo sia gabbato. Il 17 giugno gli
Usa han definito la nuova vigilanza, che resta sì balcanizzata ma rafforza
la Fed. In Congresso sarà dura per Obama: i Big della finanza, ringalluzziti
dal sostegno pubblico, daranno battaglia, soprattutto per continuare a
trattare fuori dai mercati regolamentati — e quindi con grandi utili — i
famigerati Credit Default Swap.
Le linee della vigilanza nella Ue sono
state fissate il 19 giugno dal Consiglio europeo, in base alle proposte del
Gruppo de Larosière ( Corriere del 2 marzo scorso). Va detto che il disegno
istituzionale non è tutto. Esso è cruciale, specie in un’entità complessa
come la Ue, ma avranno almeno altrettanto peso le nuove regole, sulle quali
il Financial Stability Board (presieduto da Mario Draghi) sta costruendo il
consenso di chi dovrà recepirle e applicarle.
Il sistema de Larosière è un
compromesso, grigio ma realistico, fra le esigenze di sorveglianza
sopranazionale e le gelosie degli Stati membri; lo schema approvato dal
Consiglio europeo è un ulteriore compromesso al ribasso, che lascia molte
ombre, e qualche speranza. Gordon Brown ha avuto la sua libbra di carne; il
Regno Unito, che finge di voler uscire ma non può farlo, getta sabbia
nell’ingranaggio della Ue. È grave che salti — per proteggere la City — la
competenza delle autorità europee sul post trading (compensazione e
regolamento delle operazioni in titoli). È questa infatti un’area naturaliter
sopranazionale; i costi delle operazioni fra un Paese e l’altro nella Ue
sono troppo alti.
Ancor più serio è il danno derivante
dall’aver statuito il principio — a prima vista ovvio — che le decisioni
delle Autorità europee non devono comportare obblighi a carico del bilancio
degli Stati membri. Certo, in passato era pacifico che la vigilanza su una
banca spettasse allo Stato in cui ha sede, cui tocca l’eventuale salvataggio.
L’emergere dei gruppi cross border ha cambiato le cose, e per tener conto del
mutato quadro de Larosière propone non solo il rafforzamento dei collegi
internazionali di supervisori, ma soprattutto di consentire alle Autorità
europee di assumere, in casi determinati, decisioni vincolanti per quelle
nazionali.
Timorosa dell’attentato alle sue
competenze, però, Londra ha fatto barriera. I danni prodotti dalle grandi
banche della piccola Islanda sul suo territorio l’hanno costretta a
sopportare i costi di un’insolvenza forestiera. La lezione che Londra ne ha
tratto è che serve meno Europa, e bisogna modificare il passaporto europeo,
in base al quale una banca autorizzata da uno Stato membro può operare negli
altri. È un peccato che il governo abbia ignorato il parere della sua
Autorità nazionale, la Fsa, che in un recente rapporto mostra invece una
velata preferenza per imboccare, sia pur a velocità moderata, la strada di
più Europa.
Donde viene, allora, la speranza? Dal
fatto che siamo alfine giunti a Rodi, e qui saltare bisogna. Il mondo è
cambiato troppo per lasciare tutto come prima, o peggio tornare indietro;
anche Londra dovrà abbozzare. La sopravvivenza del mercato unico postula la
vigilanza integrata sulla stabilità dei grandi gruppi Ue. Perderemo tempo,
ma con i collegi internazionali di de Larosière e le regole uniformi ( single
rulebook) per tutta la Ue chieste da Bini Smaghi della Bce (e prima da
Padoa-Schioppa) intanto progrediremo un po’. In base alla decisione del
Consiglio, inoltre, i Comitati di settore — per banche, assicurazioni e
mercati finanziari — si trasformeranno in Autorità europee indipendenti,
sovraordinate a quelle nazionali e in grado di imporre loro (bilanci
nazionali a parte) decisioni vincolanti. Vanno infatti superate le timidezze
dei regolatori nazionali, spesso soggetti ad influenze improprie.
Mentre cresce l’attesa messianica della
mitica legge planetaria — a giorni la cometa del Global Legal Standard
illuminerà il cielo sopra Coppito, e anche i miscredenti vedranno — speriamo
che il Financial Stability Board segua una linea che la lezione della crisi
pare rendere ovvia. Come gestori di un’infrastruttura essenziale — il
sistema dei pagamenti — e tramite della fiducia, le banche godono di
protezione pubblica; vanno perciò scoraggiate, con tutte le leve
regolamentari, dall’operare nel ramo scommesse, se non nei limiti minimi in
cui ciò sia necessario a servire i clienti. Le scommesse si fanno altrove,
dai Casinò agli hedge fund: non a spese del pubblico. Errare è umano, perseverare
è folle: evitiamo che l’incentivo perverso a scommettere si impadronisca
ancora dei banchieri, appena la paura si muterà in speranza.
Return
ROBERTO PETRINI
ROMA - La crisi affossa i conti pubblici.
I dati del primo trimestre dell´anno indicano che il rapporto deficit-Pil è
schizzato a quota 9,3 per cento, il risultato peggiore da un decennio. I
primi tre mesi sono normalmente piuttosto pesanti per i conti pubblici,
tuttavia nello stesso periodo del 2008 il deficit si era arrestato al 5,7 per
cento e l´anno si era chiuso al 2,7 per cento. Quest´anno, per effetto dello
tsunami finanziario, le cose stanno andando molto peggio: lo stesso governo
stima un deficit-Pil al 4,6 per cento ma l´imminente Dpef dovrebbe portare
questo livello vicino al 5 per cento.
La situazione italiana è aggravata, sul
fronte dei conti pubblici, da un calo delle entrate pari al 2,8 per cento e
una rincorsa delle spese aumentate in termini tendenziali del 4,6 per cento.
Il quadro non migliora se si prendono le cifre dell´intero primo semestre
dell´anno: il fabbisogno dello Stato è raddoppiato in dodici mesi come ha
indicato il Tesoro mercoledì.
«Il deficit pubblico fa comprendere come
si possa e si debba puntare su riforme di rilancio a costo zero per
l´erario», ha commentato Fabio Pammolli, direttore del centro economici studi
Cerm. Per Marina Sereni (Pd) i dati sonno «allarmanti» e il governo «non deve
fare spallucce». Mentre Megale della Cgil sottolinea come il governo spenda
«poco e male» e la Cisl chiede politiche anticicliche.
Intanto il decreto anticrisi, che vale
1,8 miliardi (missioni militari comprese), comincia il suo cammino in
Parlamento tra le polemiche: l´esame inizierà alla Camera martedì prossimo e
il governo ha annunciato che il provvedimento deve essere considerato un
collegato alla Finanziaria 2010. Questa intenzione è stata subito stoppata
dal presidente dell´assemblea di Montecitorio, Gianfranco Fini: i collegati
alla Finanziaria, sottolinea una nota, devono essere indicati nel Dpef che a
sua volta deve essere approvato con un risoluzione parlamentare. Poiché il
Dpef non è ancora stato presentato, il decreto non può essere considerato
«collegato» alla Finanziaria.
Oltre al richiamo di Fini al rispetto del
percorso parlamentare ieri la relazione tecnica al decreto ha fornito nuove
cifre sul provvedimento anticrisi. La Tremonti-ter avrà il valore di 4,3
miliardi nel periodo 2009-2011 mentre lo slittamento di 4 mesi delle missioni
internazionali di pace costerà 510 milioni: su questo ultimo punto c´è da
registrare un severo commento della parlamentare Pd, Rosa Calipari che,
polemizzando con il ministro della Difesa La Russa, ha denunciato lo
«svilimento ad organo consultivo» delle commissioni parlamentari.
Retromarcia del governo, invece, sulla
rottamazione dei dirigenti: il testo del decreto legge anti-crisi pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale ha eliminato per la dirigenza del pubblico impiego e
quindi anche per quella medica e veterinaria, la norma che mandava in
pensione i diri-genti con 40 anni di anzianità contributiva a discrezione
dell´azienda.
Return
«La nozione che l´Italia, che ha alle
spalle 20 anni di ´under performance´, eviterà l´intero impatto della
recessione è fantasiosa». Lo afferma l´Economist che, nel numero in edicola
oggi, dedica un articolo all´Italia alle prese con la preparazione del
prossimo G8. «Il padrone di casa del summit, Silvio Berlusconi - scrive il
periodico britannico - si trova ad affrontare molti scandali
sensazionalistici in casa. Ma il più grande dovrebbe essere il suo rifiuto di
accettare la portata delle difficoltà economiche dell´Italia».
Return
ROBERTO MANIA
dal nostro inviato - cinisello balsamo
(Milano) - «Mi chiamo Antonio, ho quarantadue anni, vivo a Cinisello Balsamo,
sono disoccupato». Disoccupato, senza lavoro, senza più fabbrica. A casa,
dopo vent´anni di contratto a tempo indeterminato, posto fisso e nessuna
precarietà. La storia di Antonio Narciso da Bitonto, provincia di Bari, è la
storia di una nuova generazione di lavoratori a rischio, né vecchi né
giovani. Lavoratori garantiti fino al crollo della Lehman Brothers.
Ora sono entrati nelle tabelle dei
disoccupati dell´Istat e di Eurostat, e hanno cambiato prospettiva. La loro
vicenda sta diventando complementare al racconto di Aldo Nove nel suo
"Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese". Quello
era il romanzo dei lavoratori flessibili, malpagati, senza futuro. Una
generazione diventata matura nell´incertezza e che ora sta passando direttamente
dalla precarietà alla disoccupazione. Questo, invece, è l´inizio della storia
di una nuova ondata di disoccupati, figli degli anni del baby boom. Che
stanno al nord, nella fasce ancora industriali, nelle grandi e medie imprese,
nelle province del "voto calloso" conquistato, salvo con rare
eccezioni, dalla Lega, nelle aree fortemente sindacalizzate. Sono i
disoccupati che, appunto, cominciano ad apparire nei radar delle indagini
statistiche. Con le contraddizioni e i bizantinismi del nostro sistema di ammortizzatori
sociali. Perché molti - proprio come Antonio - sono in cassa integrazione
straordinaria a zero ore. Formalmente avrebbero un posto di lavoro. Eppure la
fabbrica ha chiuso i battenti, trasferito le produzioni in un altro posto,
incentivato con un bonus l´esodo dei suoi operai. Per ora sono ancora
disoccupati di serie A, ma la zona retrocessione, anche per loro, è solo a un
passo. Perché, certo, gli oltre 200 mila nuovi disoccupati del primo
trimestre dell´anno sono soprattutto precari ai quali non è stato rinnovato
il contratto, ma poi c´è anche un pezzo di lavoro industriale che si sta
frantumando. Sempre nei primi tre mesi del 2009 l´occupazione è calata
dell´1,6 per cento nell´industria, dello 0,4 per cento nelle regioni del
nord. E il terziario non assorbe più questa emorragia. Probabilmente siamo
solo all´inizio perché l´andamento della disoccupazione si muove in ritardo
rispetto al Pil. Vale la pena ricordare che la recessione dei primi anni
Novanta registrò un calo del Pil intorno all´1,2 per cento, con un crollo
dell´occupazione vicino al 5 per cento. Questa recessione è quattro/cinque
volte più grave.
Da Milano a Cinisello Balsamo, passando
per Sesto San Giovanni, i capannoni industriali non ci sono più da tempo.
Breda, Falck, Magneti Marelli, Pirelli sono nomi che appartengono a un´altra
epoca milanese. E la crisi sta falcidiando gli ultimi bastioni industriali.
Secondo le elaborazioni della Fiom, la Lombardia si è accaparrata quasi il 26
per cento del totale delle ore di cassa integrazione tra i metalmeccanici. A
Milano oltre 20 mila lavoratori sono in cassa integrazione. Le domande sono
cresciute del 200 per cento. In autunno la Confapi prevede la chiusura del 10
per cento delle piccole imprese milanesi e l´avvio della mobilità per 8-10 mila
lavoratori.
Antonio Narciso abita da sempre a
Cinisello anche se la sua azienda, la "Carlo Colombo", stabilimento
storico nei semilavorati di rame molto presente sui mercati europei e con
clienti importati da Enel a Pirelli, sta (va) ad Agrate Brianza. Il suo
ultimo giorno di lavoro è stato il 22 dicembre del 2008. Ma già da luglio di
un anno fa si era capito che le cose si stavano mettendo male: crollo della
domanda e del fatturato ( - 30/40 per cento), aumento dei costi. Terapia:
spostare tutte le produzioni, macchinari compresi, nell´altro impianto di
Pizzighettone, provincia di Cremona. E cassa integrazione straordinaria per
gli ottanta operai. Fine dei turni per il ciclo continuo. Quei turni di
sabato, domenica, di notte che davano reddito, oltre la media della
categoria, fino a 1.700 e passa euro al mese, per un quinto livello. La cigs
arriva a 870 euro al mese anche se l´incentivo all´uscita non è male: 24 mila
euro distribuiti in dodici mesi. Ma finiranno. E poi?
Alla "Carlo Colombo" aveva
lavorato anche il padre di Antonio Narciso per 35 anni, dall´arrivo a Milano,
fino alla pensione. Lì anche diversi suoi parenti. Storie di immigrazione di
un´altra Italia. «Per questo - dice - è stato più difficile accettare l´idea
che fosse finita. Ricominciare non è bello». Ecco, ricominciare. Perché
l´Italia, il paese della staticità sociale tanto che Antonio fa l´operaio
come il padre, non è adatto alle ripartenze. «Ai primi segnali di crisi -
racconta - mi sono iscritto alle agenzie private per il collocamento. Ho
inviato il curriculum qua e là, da settembre a gennaio. Poi mi è passata la
voglia. Sono andato a parlare con i padroni con cui avevo già lavorato. La
risposta è sempre stata la stessa: "Siamo messi male anche noi. Dobbiamo
mandare via la gente". E nessuno mi ha mai chiamato». E Antonio, ancora
quattro anni di mutuo da pagare, una compagna disoccupata («fa qualche ora»)
con un figlio a carico, ha capito che il suo futuro non sarà più tra le tute
blu. La trafilatura del rame non sarà più il suo lavoro. Si cambia. Forse.
Antonio si è iscritto a un corso di formazione della Regione per diventare
infermiere nelle case di cura che assistono gli anziani. Servizi alla persona
contro la manifattura. «Ci sarà sempre meno lavoro nell´industria», sostiene.
Da metalmeccanico, l´élite della classe operaia, all´informalità delle cure
agli anziani. Senza sindacato e con meno tutele. Antonio l´ha messo in conto.
«Si ricomincia dal passato», dice. Tra i suoi colleghi è l´unico che si è
iscritto a un corso. Gli altri si comportano come i classici cassintegrati:
aspettano, illusi, che qualcosa accada. Scommettono sul fatto che chi assume
un cassintegrato paga meno perché ha lo sconto fiscale e contributivo. Già,
ma chi assume? Hanno fatto di recente un´assemblea alla Cgil di Monza per
fare il punto, e nessun´altro sta cercando così un nuovo posto. Non vanno più
alla "Carlo Colombo". «Ci fa incazzare. Era la nostra seconda casa.
Paghiamo una crisi di cui non abbiamo responsabilità». E questa diventa anche
la chiave che pare sollevare i nuovi disoccupati. Essere in tanti fa perdere
meno l´identità sociale. «Vergognarmi? E perché? Non sono certo l´unico, qui.
E non è colpa nostra. Mi preoccupa l´età perché non sono più un giovane».
Antonio è tornato a scuola. Tutti i
giorni dalle 18 alle 22, fino al prossimo mese di aprile. Previsti anche i
tirocini nelle cliniche. In classe sono quasi una trentina. E la metà è
composta da lavoratori stranieri, rumeni soprattutto.
«È la prima volta che sto a casa. Ho
sempre fatto qualcosa. Faccio il casalingo, i mestieri, stiro, lavo, la
spesa». È la disoccupazione. «Parola che non si può pronunciare a cuor
leggero - hanno scritto una ventina di anni fa Aris Accornero e Fabrizio
Carmignani, nel loro "I paradossi della disoccupazione" - . Si deve
anzi pronunciare con la dovuta computazione: è un male sociale vergognoso
soprattutto per le società sviluppate».
Return
GIOVANNI PARENTE
ROMA - L´inversione di tendenza non è
ancora all´orizzonte. Negli Stati Uniti e in Europa si continuano a perdere
occupati. Le ultime cifre diffuse ieri hanno fatto segnare risultati record.
Dati negativi che hanno trascinato in ribasso tutte le principali Borse
europee, in scia a Wall Street, con oltre 100 miliardi di euro bruciati in
Europa. Le imprese americane, secondo i dati pubblicati dal dipartimento del
Lavoro, hanno tagliato 467mila posti di lavoro a giugno: un valore superiore
a quello previsto. Il tasso di disoccupazione ha toccato quota 9,5% che
rappresenta il valore più alto registrato dall´agosto del 1983. E il
presidente Barack Obama ha ammesso che «ci vorranno ancora mesi» per uscire
dalla crisi. Se si tiene conto, infatti, di coloro che hanno smesso di
cercare lavoro a tempo pieno e hanno accettato un part time la disoccupazione
sarebbe addirittura al 16,5%. Gli economisti prevedevano, invece, in 363mila
il numero dei nuovi senza lavoro il mese scorso e un aumento della
disoccupazione al 9,6%
Non va meglio in Europa. Sempre ieri,
infatti, Eurostat ha diffuso le rilevazioni sul mese di maggio. Anche nei
Paesi che compongono l´area euro il tasso di disoccupazione è stato del 9,5%
(ad aprile era del 9,3%), quando nello stesso mese di un anno fa era al 7,4%.
Allargando il raggio all´Unione a 27, la percentuale si è attestata all´8,9%
a maggio 2009 a fronte dell´8,7% di aprile e del 6,8% di dodici mesi prima. I
valori registrati a maggio rappresentano la cifra più elevata nella zona euro
da maggio 1999 e nell´Unione a 27 dal giugno 2005. L´ufficio europeo di
statistica stima in 21,4 milioni il numero di disoccupati dell´Ue, di cui
circa 15 milioni nell´eurozona. Con 5 milioni di posti persi nel confronto
con maggio 2008. Tra gli Stati membri, i tassi di disoccupazione più elevati
sono in Spagna (18,7%), Lettonia (16,3%) e in Estonia (15,6%). Sull´Italia,
Eurostat registra un 7,4% relativo al primo trimestre dell´anno. Per Cesare
Damiano, responsabile Lavoro del Pd, «le avvisaglie di una autunno
estremamente pesante, per quanto riguarda la tenuta dell´occupazione, ci sono
tutte».
I possibili spiragli dovrebbero iniziare
a intravedersi a partire dal prossimo anno. «Una progressiva ripresa è attesa
per la metà del 2010 con tassi di crescita trimestrali positivi» ha ribadito
il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Mentre nei prossimi mesi
potrebbe verificarsi «un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro».
Intanto, il doppio colpo dei dati statunitensi ed europei sulla
disoccupazione ha pesato sui mercati azionari. Piazza Affari ha lasciato sul
terreno il 2,65%, mentre la maglia nera è andata Francoforte (-3,81%).
Return
FEDERICO RAMPINI
dal nostro corrispondente - PECHINO -
Dietro il presidente Hu Jintao invitato al G-8, arriva "lo sbarco dei
trecento": è la delegazione di imprenditori cinesi che da lunedì
perlustrerà l´Italia a caccia di opportunità d´investimento. A guidarla è il
ministro del Commercio, Chen Deming, che ha rivelato l´ampio elenco di
settori a cui guarda l´industria della Repubblica Popolare: «Il
manifatturiero dall´auto al tessile; l´agroalimentare; l´energia; le
tecnologie verdi per la protezione dell´ambiente». Il ministro per ora non ha
fornito cifre sull´entità degli investimenti previsti. Le analoghe missioni
in altri paesi europei dall´inizio dell´anno (Germania, Inghilterra, Spagna,
Svizzera), hanno già realizzato 15 miliardi di dollari di acquisizioni e
investimenti diretti. A differenza di quanto accadeva in passato, quando le
delegazioni cinesi miravano ad accordi commerciali, ora prevale l´attività
d´investimento, mirata soprattutto all´acquisizione di nuove tecnologie e
capacità produttive all´estero. E´ un´evoluzione che si rispecchia nel boom
degli investimenti esteri diretti compiuti dalla Cina: si è passati da 2,7
miliardi di dollari nel 2003 a 52,2 miliardi l´anno scorso. La spedizione
cinese dei prossimi giorni visiterà anche Svezia, Finlandia e Portogallo, ma
il ministro ha detto che «in Italia ci sarà la delegazione di imprese cinesi
più numerosa». E´ un progresso - almeno nelle intenzioni - rispetto al
passato, quando il nostro paese non fu tra le mète predilette degli
investitori cinesi.
Quanto la visita dei 300 imprenditori si
tradurrà in affari concreti, resta da verificare. Al momento è evidente
soprattutto l´intenzione di inviare un messaggio politico. «Anche se abbiamo
i nostri problemi interni - è il messaggio dei dirigenti di Pechino - siamo
disponibili a contribuire alla ripresa dell´economia europea, per contrastare
il protezionismo». A lungo l´Italia fu considerata uno dei paesi più ostili
alla penetrazione cinese. Acqua passata, al ministero del Commercio di
Pechino ora chiudono le polemiche con una citazione leninista: «A volte
bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti».
Il momento in cui cade questa visita è
cruciale. Potenzialmente, la Repubblica Popolare riveste i panni di un
salvatore. Mentre in Europa e negli Stati Uniti imperversa la recessione, la
Cina ne è rimasta indenne. Ieri il Fondo monetario internazionale ha previsto
una crescita del 7,5% del Pil cinese nel 2009, destinata ad accelerare
all´8,5% l´anno prossimo. Dunque il "decoupling" o sganciamento c´è
stato davvero: la recessione globale non ha contagiato il gigante asiatico,
che si è limitato a subìre un rallentamento nella sua crescita. L´exploit
cinese non è dovuto solo alla massiccia mobilitazione di spesa pubblica. I
consumi nella Repubblica Popolare l´anno scorso sono cresciuti del 15%, con
punte del 47% nel mercato dell´auto. Anche depurando il dato dall´impatto
della maxi-manovra di investimenti statali (585 miliardi di dollari), resta
un aumento netto del 9% nei consumi delle famiglie. Questi dati fanno sperare
che la Cina possa diventare la prossima locomotiva della ripresa globale, in
una fase in cui i consumatori americani sono in ritirata. Pechino punta a
capitalizzare politicamente questo nuovo ruolo, presentandosi come un partner
costruttivo e benefico per l´Occidente. La promessa sarà mantenuta? Le
imprese europee che operano sul mercato cinese hanno dei dubbi. L´ultima
indagine compiuta dalla Camera di commercio europea in Cina fra i propri
associati, esprime un verdetto critico. Solo il 22% delle aziende europee
presenti a Pechino ritengono che la Cina stia mantenendo gli impegni presi
con l´Organizzazione del commercio mondiale. Anche qui si avverte un
ripiegamento protezionista, dall´inizio della crisi internazionale. Se il
Congresso di Washington ha inserito la clausola "Buy American"
nella sua manovra di sostegno alla crescita, Pechino istruisce tutti i rami
dell´amministrazione pubblica perché favoriscano le imprese nazionali nelle
gare d´appalto, e applichino la regola "comprare cinese".
Hu Jintao al G8 non intende però
lasciarsi mettere sul banco degli imputati. Applicando la massima secondo cui
la miglior difesa è l´attacco, i leader cinesi arrivano al summit dell´Aquila
dopo un crescendo di critiche contro il ruolo degli Stati Uniti nella crisi. La
banca centrale di Pechino ribadisce l´esigenza di ridimensionare il dominio
del dollaro, e costruire una "nuova valuta di riserva globale", per
arrivare a un sistema monetario internazionale più equilibrato. Europei e
americani possono controbattere che il renminbi contribuisce ai
macro-squilibri mondiali: il Fondo monetario ieri ha confermato che la moneta
cinese è artificialmente sottovalutata, quindi offre un vantaggio competitivo
alle esportazioni made in China. Per il ministro del Commercio la parità tra
euro e renminbi deve restare fuori dall´agenda della visita in Italia:
"Discuterne non rientra negli scopi della nostra missione".
Return
LUCIO CILLIS
ROMA - All´assemblea dell´Ania il
presidente Fabio Cerchiai traccia il profilo del mondo assicurativo. La
raccolta 2008 è in rosso del 7,2%, per una perdita di quasi 2 miliardi di
euro. Se nel complesso il settore dovrebbe ritrovare la crescita nel 2009, di
pari passo potrebbero tornare caldi i listini della Rc auto. La frenata dei
prezzi (un -3,6% contestato dai consumatori), non è stata accompagnata da una
riduzione dei costi: nel 2008 su 100 euro di premi incassati le imprese ne
hanno spesi 101. Inoltre la frequenza dei sinistri è più alta rispetto agli
altri Paesi europei: è del 40% più elevata della Germania e il doppio della
Francia. «Il risultato - spiega Cerchiai - è che il settore delle polizze
auto non è più in equilibrio». E quindi, «se non si riuscirà ad intervenire
sui costi la tendenza alla progressiva riduzione dei prezzi è destinata ad
interrompersi».
Cerchiai, con il sostegno del ministro
dello Sviluppo Claudio Scajola, punta poi l´indice sulle
"lenzuolate" volute due anni fa dall´allora ministro Pierluigi
Bersani: «Le liberalizzazioni hanno avuto effetti dirompenti, distorsivi e
negativi». E resta alta l´attenzione contro il fenomeno delle frodi che si
potrebbero combattere, «con l´attivazione di efficienti banche dati e di
indagini preventive».
Infine, imprese e governo sono pronte a
ragionare su polizze che assicurino i cittadini in caso di catastrofi
naturali e terremoti come quello che ha colpito l´Abruzzo.
Return
GIUSEPPE TURANI
Si complica la crisi in Europa. A maggio
i disoccupati sono saliti al 9,5 per cento dal 9,3 per cento di aprile. E,
secondo le previsioni dell´Ocse, non diminuirà. Anzi: nel 2010 (cioè l´anno
prossimo) i senza lavoro in Europa dovrebbero arrivare al 12 per cento. Ma in
Spagna e in Irlanda siamo già al 18,7 e all´11,7 per cento. E riassorbire
tutti questi disoccupati non sarà tanto facile e rapido. Proprio ieri il
presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha spostato in
avanti il momento della ripresa dell´economia dell´area euro. Fino a poco
tempo fa la svolta era fissata a metà del 2009, ma adesso a quella data siamo
arrivati e Trichet ha spostato la svolta avanti di un anno, a metà del 2010.
D´altra parte l´Ocse aveva stimato per l´Europa un Pil in discesa del 4,8 per
cento quest´anno e una sostanziale stagnazione per il 2010.
Return
GIAMPIERO MARTINOTTI
dal nostro corrispondente - parigi - Il
gruppo della grande distribuzione Carrefour avvia una politica di tagli
severi e abbandona l´Italia meridionale, mentre i grandi magazzini Woolworth
in Germania finiscono in stato fallimentare e 9.700 persone rischiano di
perdere il posto di lavoro: sulle due sponde del Reno la crisi non risparmia
la grande distribuzione. Certo, i guai non sono gli stessi, ma la recessione
comunque li aggrava, tanto che giganti che si consideravano solidissimi
mostrano inquietanti segni di debolezza. Basti ricordare il tracollo di
Arcandor, uno dei più conosciuti gruppi tedeschi del settore, proprietario,
tra l´altro, del marchio berlinese KaDeWe.
Il tribunale di Francoforte ha avviato la
procedura di insolvenza per Woolworth, provocata dalla scarsissima liquidità
e dall´indebitamento. Appena tre mesi fa il curatore fallimentare, Ottmar
Hermann, aveva parlato di «buone possibilità» di sopravvivenza per la catena,
in cui lavorano quasi in 10mila, di cui due terzi con contratti part time o
precari. Ora, invece, le prospettive sembrano molto meno rosee.
Diversa la situazione di Carrefour. Qui
il problema è piuttosto la stagnazione della crescita. Esiste un problema
strutturale, come la disaffezione dei consumatori per gli ipermercati, e uno
specifico del marchio, considerato troppo caro dai clienti e con un´immagine
commerciale un po´ confusa. Il nuovo amministratore delegato, Lars Olofsson,
ha così deciso di rivedere radicalmente la strategia del gruppo. Caposaldo
del suo piano sarà il taglio dei costi: 4,5 miliardi di euro entro fine 2012.
Saranno ottenuti grazie alla razionalizzazione delle insegne, la revisione
degli stock, la riforma della logistica. In questo piano rientra anche il
ridimensionamento del gruppo in Italia: due centri, a Roma e Bari, sono già
stati chiusi, quattro magazzini in Puglia stanno per essere venduti, mentre
si cerca una soluzione per altri sette, tutti situati al Sud. Carrefour
intende quindi concentrasi sulle regioni settentrionali, dove possiede 57
magazzini, ma non è esclusa qualche chiusura. Il gruppo potrebbe anche
diminuire i suoi punti di vendita in Belgio. Quanto alla Francia, la società
cambierà radicalmente la sua presenza nei centri città: i primi risultati di
un Carrefour City aperto nella capitale sarebbero particolarmente
incoraggianti.
Il manager svedese intende insomma dare
una scossa al gruppo, anche se non vuole passare per un rivoluzionario: «Si
tratta di una trasformazione e non di una rottura. Non si cambiano la cultura
di un´azienda e il suo modo di funzionamento in una notte». Ma Olofsson ha
messo sotto pressione il gruppo dirigente e ha fissato due obiettivi: una
crescita delle vendite superiore a quella dei concorrenti e un miglioramento
dei margini di guadagno. Per il momento, non si parla di riduzioni del
personale per accompagnare il piano di ristrutturazione e di rilancio voluto
dal nuovo amministratore delegato.
Return
GIOVANNI PONS
MILANO - Scompare all´età di 85 anni
Lucio Rondelli, uno dei banchieri che più hanno contribuito al rinnovamento
del sistema creditizio italiano. Era nato nel 1924 a Bologna e a soli 23 anni
aveva cominciato come impiegato al Credito Italiano, la banca che lo ha reso
protagonista di alterne vicende della finanza italiana fino al definitivo
addio avvenuto nel 2001. La carriera, tutta interna alla banca, è stata
inizialmente velocissima: già nel 1969, a soli 45 anni, Rondelli era
diventato amministratore delegato, carica che ha mantenuto per sette mandati
consecutivi fino allo scadere dei 66 anni. Nella lunga contrapposizione tra
banchieri laici e cattolici che ha caratterizzato gran parte degli anni ´70 e
´80 Rondelli apparteneva alla prima categoria e dal vertice della banca di
Piazza Cordusio ha sempre sfidato i cugini di Piazza della Scala, la Comit
dei banchieri illuminati e internazionali lasciata in eredità da Raffaele
Mattioli.
Uomo di notevole spessore culturale,
definito un gentiluomo dall´establishment milanese, alla fine degli anni ´80
si era messo in testa di rilevare la dissestata Banca Nazionale
dell´Agricoltura del conte Giovanni Auletta Armenise con il consenso tacito
della Banca d´Italia e di Enrico Cuccia. Ma i legami politici di Auletta
impedirono l´operazione e costarono a Rondelli la poltrona ad opera del
presidente andreottiano dell´Iri Franco Nobili. La rivincita arriva cinque
anni più tardi, quando l´appena privatizzato Credito Italiano lo chiamò alla
presidenza. È da qui che riesce a imprimere una scossa senza precedenti alla
"foresta pietrificata" del credito come l´aveva definita Giuliano
Amato. Lanciando l´Opa sul Credito Romagnolo inaugurò l´epoca delle
acquisizioni bancarie fatte sul mercato invece che nei salotti. E quando
Roberto Gavazzi dell´Allianz gli presentò un giovane manager che si era
formato alla Mc Kinsey, Alessandro Profumo, gli consegnò le chiavi gestionali
della banca. Due mosse dirompenti per quegli anni ma che alla fine degli anni
´90 si infransero sull´immobilismo imposto dall´ex governatore Antonio Fazio.
L´Unicredito Italiano riuscì comunque a
inglobare le Casse di Risparmio di Torino e di Verona e a cominciare la sua
crescita sui mercati esteri che oggi l´hanno portata ai vertici europei,
mentre Cuccia tentava disperatamente di costruire un approdo sicuro per la
Comit. In fondo il grande merito di Rondelli è stato proprio questo: quello
di essere riuscito a invertire, nel tempo, il pronostico che vedeva Piazza
Scala un gradino sopra Piazza Cordusio. Con l´amarezza finale della
presidenza Italease il cui dissesto non è riuscito a impedire pur avendolo
toccato con mano e denunciato in varie occasioni.
Return
roma - Il ministro dello Sviluppo,
Scajola, ha detto ieri che l´Italia ha bisogno di «riforme vere» e «non di
lenzuolate», assestando così l´ultima picconata al piano di liberalizzazioni
del suo predecessore, Bersani. E´ curioso che Scajola nell´attaccare quelle riforme
usi le medesime ragioni dell´ex ministro del Pd, prefigurando cioè interventi
«concreti nell´interesse dei consumatori». Sta di fatto, però, che al momento
le uniche misure varate dalla maggioranza di centrodestra hanno disarticolato
più che implementato le normative pro-concorrenza. Dalle polizze alle
farmacie. Così, succede che nello stesso giorno delle parole di Scajola,
dagli Usa arrivi la notizia del decollo della class action contro la fusione
BofA-Merrill Lynch: un qualcosa di chimerico per i risparmiatori italiani
dopo l´ennesimo freno deciso in Parlamento all´azione collettiva made in
Italy.
Marco Patucchi
[LA SFORTUNA DEI "NEET"]
LONDRA – Si chiamano "Neet",
acronimo di "Not in Education, Employment or Training", e sono i
giovani britannici frai 16 e i 24 anni che si trovano nella poco piacevole
condizione di non essere a scuola, non avere un lavoro e non stare nemmeno
facendo una qualche forma di apprendistato. Questa sfortunata gioventù è
cresciuta durante la recessione a un livello allarmante: i "neets"
sono diventati un milione di persone, il numero più alto da quando nel 2005
la Local Government Association (Lga, l´associazione dei poteri locali
britannici) ha cominciato a contarli. All´inizio del 2009 erano 935 mila, un
notevole incremento rispetto agli 810 mila del gennaio 2008, e la previsione
è che entro la fine dell´estate saranno appunto all´incirca 1 milione.
L´associazione dà la colpa, oltre che alla recessione, ad agenzie governative
inefficienti e al cattivo coordinamento. Enrico Franceschini
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Lo yuan sfida ancora il dollaro. Ieri la
Banca popolare cinese ha pubblicato un documento in cui incoraggia le banche
a offrire servizi per l'utilizzo della moneta nazionale, anziché biglietto
verde Usa, per le transazioni di import-export. L'invito sarà accompagnato
dall'introduzione di agevolazioni fiscali per gli esportatori in yuan.
All'interno della Cina le transazioni potranno essere realizzate a Shangai e
in quattro città nella regione industrializzata del Guandong. Fuori dai
confini cinesi il servizio sarà disponibile a Hong Kong, Macao e nei Paesi
aderenti alla Association of south est asian nations, ossia, Brunei,
Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia
e Vietnam. Sempre ieri il viceministro degli Esteri He Yafei ha dichiarato
che la Cina «spera» che al G8 della prossima settimana a L'Aquila si discuta
di una nuova valuta globale, che possa affiancarsi al dollaro. Il ministero
del Commercio intanto ieri ha reso noto che gli scambi commerciali nel mese
di giugno sono diminuiti rispetto allo stesso mese del 2008, ma meno che nei
due mesi precedenti quando il calo era stato del 20%. Infine, sono circolate
indiscrezioni circa la volontà del governo cinese di privatizzare in parte la
linea ferroviaria Shanghai-Pechino, attraverso una ipo che potrebbe essere
lanciata entro metà 2010 e raccogliere intorno ai 5 miliardi di dollari.
Return
Di Marcello Bussi
La Bce ieri ha lasciato i tassi all'1%,
come si aspettavano pressoché tutti gli economisti. E il presidente
Jean-Claude Trichet, dopo avere dichiarato che l'attuale livello del costo
del denaro è «appropriato», ha sottolineato che «non abbiamo deciso che sia
il più basso possibile». Se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente,
quindi, l'opzione di un ulteriore taglio del costo del denaro resta sul
tavolo. Ma la sensazione è che l'istituto di Francoforte sia in posizione
attendista, forse anche perché paralizzato dalle diverse opinioni all'interno
del comitato direttivo, nonostante Trichet abbia proclamato che la decisione
di ieri è stata presa «all'unanimità». «La Bce», secondo Howard Archer,
capo-economista di Ihs Global Insight, «è evidentemente convinta di potersi
permettere di stare ferma nel breve termine per monitorare l'impatto delle
sue mosse». Tra queste figura l'acquisto di 60 miliardi di euro in covered
bond denominati in euro, piano che è stato dettagliato ieri. Al riguardo
Trichet ha messo in chiaro che la Bce «non prevede altre misure o operazioni
non convenzionali». Le operazioni di acquisto cominceranno lunedì e l'istituto
di Francoforte rileverà circa l'8% del totale di 60 miliardi del programma,
mentre il rimanente verrà acquistato dalle singole banche centrali nazionali.
Trichet ha sottolineato che questi acquisti verranno decisi «caso per caso» e
che il piano procederà in maniera graduale, tenendo conto delle condizioni di
mercato e delle esigenze di politica monetaria del sistema». Le emissioni
acquistate avranno di regola il rating minimo di AA, o equivalente, da parte
di almeno una delle principali agenzie di rating con scadenze dai 3 ai 10
anni. Trichet si è anche detto «felice» dei risultati dell'operazione di
finanziamento a 12 mesi condotta la scorsa settimana, che ha immesso sul
mercato oltre 422 miliardi di euro.
Sulle prospettive macroeconomiche, il
presidente della Bce ha dichiarato che l'inflazione è scesa a livelli
negativi, ma questa circostanza viene ritenuta passeggera, mentre
dall'attività economica continuano a giungere indicazioni che riflettono
un'attenuazione della crisi, a cui nei mesi a venire dovrebbe seguire prima
una stabilizzazione, poi, a metà 2010, una «graduale ripresa». Trichet ha
tuttavia ammonito che nei prossimi mesi assisteremo a un «deterioramento» del
mercato del lavoro in Eurolandia, cosa che potrebbe avere «effetti avversi
ritardanti» della ripresa. Non a caso proprio ieri è stato annunciato che in
Eurolandia il tasso di disoccupazione è salito a maggio al 9,5%, ai massimi
dal 1999. Il numero uno della Bce è poi tornato a richiamare le banche «alla
loro piena responsabilità nell'assicurare credito» all'economia, invitandole
allo stesso tempo a «trarre pieno vantaggio delle diverse possibilità offerte
per rafforzare i loro bilanci e patrimonializzazioni, in particolare tramite
aumenti di capitale». E se la Bce ritiene di avere fatto tutto il possibile e
che per ora è bene stare fermi a guardare gli effetti delle sue mosse, ha
invece chiesto ai governi di preparare strategie di uscita «ambiziose» dalla
fase di peggioramento dei conti pubblici, determinata dalle misure per
contrastare la crisi economica, che «andranno avviate assieme alla ripresa o
comunque non oltre il 2011». Trichet ha quindi sottolineato che «nei Paesi in
cui il deficit pubblico o la ratio del debito pubblico sono elevati,
l'aggiustamento strutturale annuale dovrebbe raggiungere almeno l'1% del
pil». Allo stesso tempo, il banchiere centrale ha spronato a portare avanti
riforme strutturali per rafforzare il potenziale di crescita dell'economia.
In particolare intervenendo sui mercati di beni e servizi e sul mercato del lavoro,
dove serve «più mobilità». «È necessario intensificare gli sforzi per
rafforzare la crescita potenziale di Eurolandia», ha concluso. «È cruciale
accelerare la messa in atto delle riforme strutturali». (riproduzione
riservata)
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Di Anna Messia
Il governo chiama il settore assicurativo
a sostegno dello sviluppo e del potenziamento delle infrastrutture
dell'Italia. E in cambio promette l'addio alle lenzuolate del precedente
esecutivo, e l'avvio di un periodo di regole certe e stabili. La richiesta di
un ruolo più attivo degli assicuratori in una congiuntura economica difficile
è arrivata in particolare dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio
Scajola, intervenuto ieri alla relazione annuale dell'Ania, l'associazione
delle compagnie di assicurazione. E il modello di riferimento da utilizzare anche
in Italia, secondo Scajola, potrebbe essere quello francese, dove le
compagnie di assicurazione hanno creato polizze ad hoc, agevolate dal punto
di vista fiscale, che investono parte dei loro patrimonio in un fondo
governativo indirizzato allo sviluppo delle infrastrutture. «Il patrimonio
consistente del sistema assicurativo italiano, che ammonta a 450 miliardi di
euro, potrebbe contribuire anche in piccolissima parte al sostegno di
investimenti in infrastrutture e piccole e medie imprese. Si potrebbe seguire
a questo scopo il recente esempio francese», ha chiarito Scajola, «con
agevolazioni per i prodotti assicurativi che prevedono finanziamenti in
favore di innovazione e piccole e medie imprese». E rivolgendosi agli
assicuratori presenti durante la relazione ha aggiunto: «So che avete
analizzato con attenzione questo modello e penso che valga la pena
approfondirlo insieme». La discussione sembra quindi già avviata e
l'argomento del sostegno alle opere pubbliche, che in realtà non è nuovo (già
lo scorso anno, sempre in occasione dell'assemblea Ania, il governo fece una
proposta simile), sembra essere al centro di un confronto aperto. «Nulla in
contrario a indirizzare parte degli investimenti in nuovi prodotti correlati
allo sviluppo», ha commentato il presidente dell'Ania, Fabio Cerchiai, ma ha
ricordato: «Il ministro sicuramente ha presente che i nostri investimenti
devono rispondere a criteri di convenienza, liquidità e salvaguardia dei
nostri clienti. Con le riserve degli assicurati non possiamo fare project
finance». C'è quindi bisogno di fare chiarezza su quali possano essere gli
strumenti utilizzabili dalle compagnie per sostenere lo sviluppo del Paese. E
in ogni caso bisognerà cambiare le regole visto che oggi una compagnia
intenzionata a investire in una spa che si occupasse di grandi opere
pubbliche non potrebbe impiegare più del 5% degli attivi a copertura delle
proprie riserve tecniche Danni e Vita. E anche se il veicolo utilizzato fosse
uno o più fondi di private equity il limite per l'investimento in un solo
strumento sarebbe pari al 1% delle riserve per il singolo fondo, fino a un
massimo complessivo del 5%. L'occasione per cambiare le regole potrebbe
essere il nuovo regolamento attivi che l'Isvap dovrà emanare entro fine anno
(in ossequio al Codice delle assicurazioni). Ma anche l'istituto guidato da
Giancarlo Giannini vorrà ovviamente garanzie che si tratti di investimenti
liquidi, sicuri e redditivi.
Confronto publico-privato. In ogni caso
il governo sembra voler avviare un dialogo a tutto tondo con il settore
assicurativo. «Servono regole certe e stabili e non lenzuolate», ha detto
Scajola, «Con questo obiettivo nel ddl sviluppo abbiamo introdotto una nuova
disciplina per i contratti di durata pluriennale (modifiche richieste più
volte dall'Ania, ndr). Non si tratta di un regalo alle assicurazioni», ha
chiarito, ma della correzione di una norma (leggi Bersani, ndr) sbagliata». E
un altro terreno di dialogo potrebbero essere le polizze catastrofali, su cui
nei mesi scorsi, dopo il terremoto in Abruzzo, c'è stato un intenso
confronto. Le bozze preparate dai vari soggetti interessati erano però molto
diverse, e non si è arrivati a nessun accordo. Ora la trattativa potrebbe
quindi ripartire «Se ben disegnata un'assicurazione per il rischio da
catastrofi non è una tassa ma un incentivo ai comportamenti virtuosi di
cittadini e amministrazioni», ha aggiunto anche il ministro della pubblica
amministrazione, Renato Brunetta presente all'assemblea. Parole condivise da
Cerchiai che però al governo chiede altri interventi: cancellare l'obbligo di
plurimandato imposto alle compagnie dalle leggi Bersani, rivedere il
bonus-malus e rimuovere il divieto per i fondi pensione negoziali di investire
nelle polizze tradizionali. (riproduzione riservata)
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L'Isvap ha avviato uno stress test sulle
compagnie assicurative con l'obiettivo di «saggiare la tenuta del mercato dal
punto di vista finanziario a fronte di ipotizzati persistenti scenari
negativi» e di analizzare «i fattori di vulnerabilità in relazione agli
andamenti tecnici vita e danni delle imprese». Lo ha annunciato ieri il
presidente dell'istituto, Giancarlo Giannini, nel suo intervento
all'assemblea dell'Ania. Lo stress test, ha aggiunto Giannini, si aggiunge
«alle ordinarie verifiche mensili sull'andamento di premi, riscatti e
investimenti». Ieri intanto l'istituto ha anche diffuso, in un secondo giro
di pubblica consultazione, il regolamento sulla trasparenza dei prodotti
assicurativi, sia vita sia danni. E ha anche modifica le regole per le
comunicazioni degli assetti proprietari delle compagnie di assicurazione. La
soglia partecipativa minima oltre la quale sarà obbligatorio chiedere il
preventivo via libera dell'Isvap è stata innalzata dal 5 al 10% (in questo
intervallo basterà una semplice comunicazione). Ma anche i tempi di risposta
sono stati accorciati: prima l'Isvap aveva 120 giorni di tempo per rispondere,
e il silenzio era sinonimo di rifiuto. Ora il limite sarà di 60 giorni e
varrà il silenzio-assenso. Ma in compenso, per il computo delle soglie,
assumono rilevanza le eventuali pattuizioni tra i soggetti interessati a
rilevare partecipazioni in compagnie di assicurazione.
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La raccolta premi complessiva del settore
assicurativo italiano nel 2009 salirà del 5,4% rispetto al dato del 2008, che
si è chiuso con un calo della raccolta del 7,2%, superiore al -7% del 2007.
Le previsioni arrivano dall'Ania che si attende la ripresa in particolare del
ramo vita, che dovrà fare da traino: «Nel complesso la raccolta premi del
lavoro diretto italiano dovrebbe tornare a crescere nel 2009 rispetto
all'anno passato: il volume della raccolta premi», affermano
dall'associazione, «dovrebbe raggiungere i 97 miliardi, con un aumento del
5,4% rispetto ai premi del 2008 e con un'incidenza sul Pil del 6,5%, in
aumento rispetto al 5,9% del 2008». Secondo l'associazione guidata da Fabio
Cerchiai, «la difficile congiuntura economica frenerà la domanda di
assicurazione danni. I premi di questo settore potrebbero diminuire rispetto
al 2008 (-0,8%)», mentre al contrario «l'aumento della propensione al risparmio
e una ricomposizione dei flussi di investimento delle famiglie potrebbe far
aumentare la raccolta vita, che potrebbe chiudere l'anno con un +10% sul
2008».
Return
Una poltrona per due. Il riassetto in
atto nel polo assicurativo di Intesa Sanpaolo rischia di provocare dimissioni
eccellenti. La concentrazione in un'unica compagnia di assicurazione delle
quattro società del gruppo (Sanpaolo Vita, Eurizon Vita, Centrovita e Sud Polo
Vita) avrà certamente l'effetto di concentrare l'attività (8 miliardi di
premi) e tagliare i costi. Ma anche di ridurre le poltrone di comando. E la
scelta dell'amministratore delegato dell'istituto, Corrado Passera, di
designare al vertice della nuova compagnia Erik Stattin (suo fedelissimo
anche ai tempi dell'esperienza alle Poste) potrebbe provocare le dimissioni
di Marco Casu, ex direttore generale di Alleanza poi chiamato da Mario Greco
(ora in Zurich) per guidare Eurizon Vita quando Sanpaolo (prima della fusione
con Intesa) voleva quotare il suo polo del risparmio e delle polizze.
Progetto, quest'ultimo, abbandonato dopo l'integrazione con Intesa. Casu,
secondo quanto risulta a Mf-Milano Finanza, non avrebbe ancora lasciato la
direzione generale di Eurizon Vita anche se voci insistenti danno per
imminente una sua decisione.
Return
Per l'Abi le norme del decreto anti crisi
sul massimo scoperto sono antitetiche «alle logiche di mercato». Lo ha
affermato il presidente Corrado Faissola in commissione finanze della Camera.
Il decreto, sulla scia dell'abolizione delle commissioni di massimo scoperto,
ha posto un tetto dello 0,5% a trimestre sulle commissioni di affidamento.
L'Associazione si è quindi detta «nettamente contraria agli interventi
legislativi che definiscono i prezzi delle attività bancarie». Per il numero
uno di palazzo Altieri, è ancora troppo presto per valutare l'impatto della
norma sui bilanci. «Non ci sono previsioni ufficiali», ha spiegato Faissola,
sottolineando come a suo avviso la norma potrebbe rappresentare «una legnata
sui conti delle banche». Non si è fatta attendere la replica della
maggioranza: per il presidente della commissione finanze, Gianfranco Conte,
l'introduzione del tetto sulle commissioni «è la diretta conseguenza
dell'atteggiamento delle banche».
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Di Carmine Sarno
Primo trimestre di passione per le casse
dello Stato italiano. Rispetto all'analogo periodo dello scorso anno, il
rapporto deficit/pil cresce fino a superare il 9% (mai così male dal '99) e
il saldo primario sprofonda. Male anche l'andamento delle entrate a fronte di
un incremento delle uscite. Secondo gli analisti si tratta di uno scenario
strettamente legato alla fase congiunturale, analogo a quello che stanno
scontando Paesi come Francia e Germania. Analizzando il conto economico delle
amministrazioni pubbliche, ha spiegato l'Istat, nel primo trimestre 2009
l'indebitamento netto in rapporto al pil è stato pari al 9,3% un dato
notevolmente superiore a quello dei primi tre mesi del 2008, quando si era
registrato un rapporto al 5,7%. In sofferenza anche il saldo corrente
(risparmio) e quello primario (indebitamento al netto degli interessi
passivi). Il primo è negativo per quasi 22 miliardi, un valore doppio a
quello di un anno fa (11,2 miliardi). Andamento ancora più preoccupante per
il saldo primario, che passa da -3,3 miliardi a oltre -16,8 miliardi. In
termini di pil, hanno spiegato dall'Istituto nazionale di statistica,
l'incidenza passa dallo 0,8% al 4,6%. Le entrate totali lasciano per strada
quasi il tre punti percentuali (-2,8%) su base tendenziale: segnano forti
decrementi le imposte dirette e indirette. Per quanto riguarda le uscite, il
flusso cresce del 4,6% rispetto ai primi tre mesi del 2008.
«Quando si leggono questi dati non si
deve mai dimenticare che il pil nel primo trimestre è caduto del 6%, questa è
la componente preponderante che bisogna considerare», spiega a MF-Milano
Finanza, Paolo Onofri di Prometeia. Del resto, sottolinea l'economista, i
dati del primo trimestre tendono a essere sempre i più negativi: «Nello
stesso periodo del 2005 il deficit/pil arrivò all'8,3% e l'economia non era
in crisi come adesso». In Europa, precisa Onofri, «sistemi economici simili a
quello italiano si trovano nelle stesse condizioni, senza voler andare a
scomodare il Regno Unito, dove il deficit è al 12% del pil». Secondo Fedele
De Novellis, partner di Ref, «la situazione dei conti pubblici italiani non è
allo sbando come molti vogliono far credere». Inoltre, aggiunge De Novellis,
il valore non va letto su base assoluta ma si deve «valutare complessivamente
con il contesto; appena l'economia si sarà messa nuovamente in moto, le
entrate miglioreranno con un conseguente beneficio per i conti pubblici».
Anche dal Cerm tendono a buttare acqua
sul fuoco. «I dati del primo trimestre sono sempre grezzi e mai
destagionalizzati, di fatto dal 2001 si registrano valori di gran lunga più
elevati rispetto al resto dell'anno» argomenta il direttore Fabio Pammolli.
In questa fase, infatti, gravano soprattutto gli impegni di spesa «e anche
quest'anno gli impegni si sono accumulati tra gennaio e marzo». Secondo
Pammolli, inoltre, lo scenario fotografato dall'Istat «giustifica la
decisione dell'esecutivo di non voler far leva sul deficit spending,
altrimenti oggi ci troveremmo in condizioni ben peggiori». Mai come adesso, è
la convinzione dell'esponente del Cerm, «si deve far capire che è finita la
ricreazione sul lato della lotta all'evasione fiscale, mentre per quanto
riguarda le uscite vanno eliminate quelle a pioggia». (riproduzione
riservata)
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Di Angelo De Mattia
Non è solo una relazione di richieste -
al governo, al legislatore, alle parti sociali - quella limpida, sintetica,
presentata ieri dal presidente dell'Associazione delle imprese assicuratrici
(Ania), Fabio Cerchiai. C'è, nel rapporto, soddisfazione per il modo in cui
le imprese assicurative hanno operato avendo «contribuito a ridurre la
volatilità dei mercati e sostenuto il finanziamento del debito pubblico» e
per aver mantenuto gli impegni assunti nei confronti degli assicurati senza
aver avuto bisogno di aiuti pubblici. Il sistema assicurativo, in passato
considerato troppo prudente come quello bancario, si è dimostrato, secondo
l'Ania, «più sano e meglio attrezzato per garantire lo sviluppo nel medio e
lungo termine». D'altro canto, un'associazione di imprese non può non
caratterizzare con il timbro degli interessi di categoria anche i temi
strategici e la visione sull'evoluzione del sistema. Ciò, nel caso specifico,
accade quando la relazione fa riferimento a un sistema di welfare che si
fondi su di un'ampia collaborazione tra pubblico e privato e che veda un
ruolo importante dell'assicurazione o quando auspica le liberalizzazioni,
aggiungendo, però, l'espressione «quelle vere», tutta da interpretare, anche
a non volere essere sospettosi di trovarsi difronte a una tesi pro domo sua.
Il punto di partenza dell'analisi di
Cerchiai, dopo alcune considerazioni condivisibili sulla crisi finanziaria, è
che la «poca assicurazione», che caratterizza il nostro Paese, rende le
famiglie più vulnerabili e indebolisce l'economia nella competitività
internazionale. Di qui il passaggio all'ormai consueto punctum dolens della
previdenza e all'esternazione di forti dubbi sulla sostenibilità del modello
di finanziamento pubblico. Di qui, anche, la necessità di sviluppare la
previdenza complementare, realizzando un mercato libero e competitivo
dell'offerta di previdenza, ma pure la rappresentazione dell'esigenza di
sviluppare la sanità integrativa, di adottare misure per proteggere la non
autosufficienza ecc. Non manca la trattazione dei problemi dell'assicurazione
rc auto che, per l'Ania, vanno dal costo crescente dei sinistri e dalla
critica alle norme dirigistiche in materia di bonus-malus alla necessità di
superare le carenze nella sicurezza stradale, di rafforzare la prevenzione,
di combattere le frodi anche con l'istituzione di adeguate banche-dati,
eccetera. Cerchiai affronta questioni vere. Esse, al fondo, richiamano la
necessità - tuttavia non rappresentata dalla relazione - di porre mano
finalmente alle riforme di struttura, di cui si ha bisogno non certo perché
esse potranno aprire spazi alle imprese di assicurazione, ma perché sono
richieste dagli interessi del Paese. Soprattutto, per reagire alla crisi di queste
riforme ora si avrebbe particolare bisogno, anche perché sarebbe così
agevolata la possibilità di più incisivi impulsi alla domanda aggregata. Se
poi l'attuazione degli interventi strutturali - che tuttora si tarda a
riavviare - aprirà nuovi spazi agli intermediari finanziari e alle imprese
assicuratrici, queste dovranno ben meritarsi la conseguente maggiore
operatività nel settore con un deciso sviluppo della concorrenza, con un più
forte impulso alla trasparenza e alla correttezza negoziale, nonché all'equilibrio
dei rapporti tra imprese e clientela: insomma, con il miglioramento
dell'efficienza e dell'efficacia delle prestazioni. Le note difficoltà del
Welfare e i nodi strutturali che da tempo stringono l'economia italiana
aprono spazi a una diversa forma di rapporti pubblico-privato. Ma questa
opportunità non dovrà essere intesa dal privato come una sorta di mors tua,
vita mea. All'opposto, dovrà essere colto come più favorevole contesto per
una piena disponibilità e determinazione a competere, nell'interesse dei
cittadini, dei consumatori. Sarebbe stato importante che l'Ania avesse
dedicato a questi ultimi un maggiore spazio nella relazione, proprio per
dimostrare con i fatti di aver capito che i loro interessi e le loro
aspettative - quando corrette - non sono in contraddizione con i fini
dell'impresa assicuratrice, con un suo sano sviluppo, con un'adeguata
remunerazione della proprietà, la crisi avendo dimostrato che l'obiettivo
esclusivo di creare valore per gli azionisti è stata una delle cause, interpretato
in maniera del tutto fuorviante, della tempesta perfetta che ancora non può
dirsi cessata. Del pari, sarebbe stata interessante una trattazione dei
rapporti tra finanza, credito e assicurazioni, soprattutto per valorizzare i
nuovi orizzonti che il settore si propone, anche attraverso la federazione
Ania-Abi.
Proprio nel quadro di un'auspicabile
maggiore apertura del mondo assicurativo alle esigenze della società civile,
non dovrebbe acquistare centralità - come forse, al di là delle intenzioni del
relatore, sembra acquistare nel rapporto - la questione della norma sul
divieto del mandato agenziale in esclusiva promossa, a suo tempo, nel quadro
delle lenzuolate di Bersani che l'Ania oggi vorrebbe in ogni modo superare.
Le argomentazioni addotte, anche in chiave comparativistica, non sono
improprie. Tuttavia, il mercato italiano, per le sue peculiarità, ha bisogno
di una spinta come quella del plurimandato, che potrà essere valutata, per i
suoi effetti concorrenziali e di miglioramento della posizione degli utenti,
solo dopo un adeguato lasso di tempo. Del resto, l'Antitrust ha ricordato che
non è detto che i mandati non esclusivi riducano i margini delle imprese.
Anzi, vi è la possibilità che si allarghi il mercato, specie nel ramo vita, e
non si verifichi l'asimmetrico andamento delle tariffe bonus-malus. Infine,
nulla dice la relazione, che si complimenta con il governo per avere
ristabilito la facoltà di sottoscrivere polizze anche poliennali, sulla
governance e sul funzionamento delle imprese assicuratrici. Ma pretendere una
tale estensione della relazione sarebbe, forse, eccessivo. (riproduzione
riservata)
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Di Ernesto Prinzi*
La crisi finanziaria iniziata nel 2007
sta modificando in maniera selettiva la maggior parte degli assetti dei
mercati finanziari, inclusi i modelli commerciali della maggior parte degli
operatori. Inoltre, la percezione dei rischi finanziari da parte degli
investitori e le riallocazioni dei loro portafogli stanno attivando nuove
modalità di approccio e di attuazione dell'attività di gestione del
risparmio. Occorre inoltre considerare come, negli ultimi tempi, abbia
trovato spazio, a tutti i livelli, un atteggiamento negativo, o quanto meno molto
critico, nei confronti dell'ingegneria finanziaria, ritenuta responsabile, a
torto o a ragione, di avere snaturato i mercati con strumenti sempre più
complessi e sempre meno trasparenti, dai mutui sub-prime ai titoli tossici.
L'attenzione degli investitori, soprattutto di fascia alta, si è quindi
spostata dalla ricerca esasperata della performance a un diverso mix di
performance e protezione. Inoltre, le strutture di grandi dimensioni non sono
più percepite come sinonimo assoluto di efficienza e solidità. Valori come
indipendenza e assenza di conflitti di interesse, a cui l'investitore è ora
molto più attento che in passato, sono infatti più facili da trovarsi presso
operatori di nicchia o specializzati. Ciò ha portato alla riscoperta di una
categoria di professionisti, da sempre coesistente ma distinta rispetto agli
ingegneri finanziari: si tratta dei wealth advisors (ingegneri patrimoniali),
sulla cui attività in questo momento c'è molta attenzione ma anche
confusione.
Facciamo un po' di chiarezza al riguardo:
in comune ingegneria finanziaria e ingegneria patrimoniale hanno
un'approfondita conoscenza dei meccanismi finanziari e della normativa
internazionale, ma si differenziano notevolmente per le finalità: se gli
ingegneri finanziari mettono a frutto la loro competenza creando prodotti e
strumenti finanziari volti a massimizzare, o comunque a sfruttare, i benefici
di performance offerti dai mercati, dal canto loro gli ingegneri patrimoniali
concentrano invece la loro attenzione sulla protezione del patrimonio, sia
con riguardo ai vari rischi che possono verificarsi sia con riguardo alle
possibili distorsioni di funzionamento del patrimonio stesso. Le due sfere di
attività, ingegneria finanziaria e ingegneria patrimoniale, sono sempre
esistite e sempre coesisteranno, soprattutto con riferimento alle esigenze
della clientela più abbiente, ma quello che è cambiato a seguito della crisi
del 2008 è il livello di attenzione. Ora l'interesse si è spostato sulla
seconda, in quanto l'ingegneria patrimoniale si realizza ed è percepita come
un approccio d'insieme verso le problematiche della clientela privata di
fascia elevata, in tema di conservazione e ottimizzazione del patrimonio,
principalmente ma non solo con riguardo al passaggio intergenerazionale della
ricchezza familiare. In sintesi, l'ingegneria patrimoniale svolge quindi un
effetto rassicurante in quanto il suo obiettivo è quello di razionalizzare,
soprattutto nel medio-lungo termine, la struttura del patrimonio familiare
nella sua interezza, anche in un'ottica di pianificazione fiscale e
successoria. (riproduzione riservata) * Direttore Responsabile di Wealth
Advisory di Farad Investment Advisor
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Di Edoardo Narduzzi
Lo scorso novembre, in piena crisi di
Wall Street, Citigroup fece l'annuncio shock di voler licenziare altri 53
mila dipendenti dopo il taglio di 23 mila unità già effettuato. Da quando è
iniziata la crisi molti gruppi hanno agito sui costi. Ubs ha ridotto di 8.700
unità il suo personale, GM di 10 mila, Air France di 2.500, Microsoft di 5
mila unità. Perfino Google si è vista costretta a mandare a casa 200
lavoratori. La recessione è talmente profonda che non lascia troppi spazi di
manovra: il taglio dei costi deve essere trasversale e interessare tutte le
forme contrattuali che legano i vari stakeholders a un'impresa. Così la crisi
è anche un'occasione unica per ridefinire l'organizzazione produttiva e
accelerare la migrazione verso nuovi equilibri aziendali. E in Italia, che
cosa accade? Ovviamente l'Italia è un'altra storia. È duale in tutto, tra
Nord e Sud, tra lavoratori anziani protetti in tutto e giovani precari a
tempo pieno, e non poteva non esserlo anche nell'aggiustamento innescato dal
peggiore ciclo negativo degli ultimi ottant'anni. Quello che sta accadendo
nella struttura dei costi delle grande imprese italiane è la fotografia di un
paese atipico e scarsamente allineato alle caratteristiche del capitalismo
contemporaneo. Taluni contratti, con i connessi costi, sono intoccabili,
altri subiscono tutto l'onere dell'aggiustamento da crisi. Qualche dato.
Unicredit, primo gruppo creditizio per presenza all'estero, quest'anno
dovrebbe ridurre con modalità top-down di 700 unità i propri dipendenti,
mentre Intesa Sanpaolo non ha annunciato nulla al riguardo e Mps se ne guarda
bene dal farlo. Ovviamente, difendere il lavoro è cosa buona e giusta, molto
meno è creare un sistema che assicura il lavoro solo di alcuni o, peggio, di
pochi e rende flessibili e precari, perché esposti alla globalizzazione,
tutti gli altri contratti.
Quello che sta accadendo in Italia, e che
si tradurrà in autunno nelle cifre di un forte malessere sociale, è un
impossibile aggiustamento duale a una recessione da meno 5% del pil, cioè
profondissima. Ci si illude che si possa fare tutto lavorando sui contratti
degli stakeholders flessibili: giovani a progetto, fornitori di beni e
servizi, prestatori di capitali che oggi scontano una remunerazione ben
inferiore alla stagione pre crisi. Questo aggiustamento verticale anziché
orizzontale, come avviene nel resto del mondo, ha due grandi problemi. In
primis, scarica quasi tutto l'onere della riorganizzazione produttiva, che è
necessitata, su una parte dei titolari dei contratti verso l'impresa.
Trattandosi di imprese chiamate a competere in rete, questa strategia
obbligata è ancora più deleteria perché favorisce la fuga dei migliori
contratti flessibili verso altre organizzazioni produttive. In pratica,
innesca una selezione avversa, per l'impresa che decide procedere in questo
modo, di taluni contratti a elevato valore aggiunto. Così facendo, le aziende
italiane offrono il massimo della protezione a taluni contratti e si
accollano il massimo dei rischi su altri. Come sia ripartito il valore
aggiunto tra i due insiemi è però ignoto ai manager e agli amministratori che
prendono le decisioni che, dovendo comunque ridurre i costi operativi
annuali, lo fanno agendo sull'unica leva a disposizione. Risultato: le
imprese italiane sono più lente delle concorrenti estere a riorganizzarsi e
giocano la partita su un paniere di contratti non ottimale. Per dirla con le
parole del Nobel Ronald Coase, è come se l'economia italiana avesse creato
degli elevati costi transattivi, cioè delle barriere protettive, solo per una
parte dei contratti di impresa e così facendo produce delle imprese meno
competitive. Il secondo problema è legato al meccanismo di aggiustamento
lungo la filiera dei contratti soggetti a flessibilizzazione da crisi. Tale filiera
viene percorsa dallo stesso meccanismo duale di aggiustamento fino a quando
non incontra imprese piccole che possono agire con maggiore libertà. Il
mancato intervento a monte, nella grande azienda, si traduce a valle in tanti
fallimenti o licenziamenti di imprese dell'indotto, più o meno prossime al
grande cliente. Come? Nella maniera più semplice del mondo perché lungo
questa filiera si scarica l'intero costo della crisi in termini di minor
opportunità e di minori prezzi pagati dall'offerta. Se Generali non licenzia
nessuno, ma deve ottenere il risultato obiettivo in termini di minori costi
gestionali annui aggregati, altro non le resta da fare che falciare a doppia
cifra i costi dei contratti flessibili. Il problema è che questo meccanismo
italico di aggiustamento alla crisi è inefficiente e ingiusto e condanna
tutti a una minor competitività sistemica. Durante una recessione tutti
dovrebbero sopportare rischi analoghi e subire evoluzioni simili nei
meccanismi produttivi. In Italia, invece, si preferisce procedere nella
ricerca del nuovo equilibrio attraverso formule duali: alcuni protetti, altri
esposti ai rischi del mercato e alle sfide del cambiamento. Ovviamente
usciremo tardi e male anche dalla recessione in corso. (riproduzione
riservata)
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Di Fabrizio Massaro
Il giudizio pressoché unanime, nella
comunità finanziaria, è che con Lucio Rondelli se n'è andato uno fra i più
capaci e stimati banchieri della sua generazione, quella dei Cuccia, dei
Cingano, degli Arcuti. Il grande dominus del Credit per oltre trent'anni, dai
tempi dell'Iri e delle tre Bin fino alla privatizzazione e poi ancora durante
l'espansione con l'opa sul Rolo e l'acquisizione delle varie casse che hanno
dato vita al cuore italiano dell'attuale Unicredit, è scomparso ieri a Milano
all'età di 85 anni, dopo una breve malattia.
Aveva passato l'intera vita professionale
dentro il Credito Italiano, in cui era entrato subito dopo la laurea in
economia, in attesa del concorso in diplomazia. «E invece ci sono rimasto per
mezzo secolo», amava ricordare nelle occasioni pubbliche. Della banca era
diventato amministratore delegato nel 1969, a soli 45 anni (era nato il 17
maggio 1924 a Bologna), gestendola in maniera piuttosto autonoma, pur essendo
di proprietà dell'Iri. E in questo ruolo di amministratore delegato, un
rapporto stretto lo ebbe con Enrico Cuccia, della cui Mediobanca era pur
sempre uno dei principali azionisti e finanziatori. Il prestigio conquistato
negli anni divenne assoluto: basti pensare che nel 1987 la commissione per la
scelta del presidente dell'Abi era composta soltanto da lui.
«È stato secondo me il miglior banchiere
della sua generazione, certamente fra i migliori, dotato di notevole
professionalità e anche di un passo da innovatore nella sua epoca, oltre che
uomo di grande dirittura morale», lo ricorda Paolo Gualtieri, ordinario di
Economia degli intermediari finanziari alla Cattolica di Milano. «A lui si
deve per esempio la prima opa bancaria, quella del Credit sul Credito
Romagnolo. Anche nella finanza Rondelli è stato sempre attento ai nuovi
prodotti che si affacciavano sul mercato. Era un'avanguardia». La prima mossa
clamorosa in quello che ancora non si definiva «risiko bancario» la compì nel
1989, quando tentò la conquista della Banca nazionale dell'agricoltura.
Un'operazione benedetta dal governatore della Banca d'Italia dell'epoca,
Carlo Azeglio Ciampi, ma che incontrò l'opposizione del governo dominato dal
triumvirato Craxi-Andreotti-Forlani (il Caf) cui si era rivolto per chiedere
aiuto il principale azionista della Bna, il conte Giovanni Auletta Armenise.
Lo scontro fu pesantissimo e la sconfitta costrinse Rondelli a lasciare la
banca. Ma, com'era nel suo stile, senza sbattere la porta.
La lontananza da Piazza Cordusio non durò
a lungo. Dopo aver pilotato dall'esterno la prima privatizzazione bancaria
della storia italiana, appunto quella del Credito Italiano, nel 1994 tornò
alla presidenza della banca da poco privatizzata, al cui vertice rimase per
quasi due mandati consecutivi, per lasciare in anticipo nel dicembre del
2000, sostituito da Francesco Cesarini, per contrasti con gli azionisti, a
cominciare dal presidente della Fondazione Cariverona, Paolo Biasi, e con lo
stesso amministratore delegato Alessandro Profumo nella battaglia sul rinnovo
delle cariche di presidente e ad di Mediobanca, dopo la scomparsa di Cuccia.
In quei sei anni vennero gettate le basi
per la costruzione di quello che ora è Unicredit, una delle principali banche
europee. Una strategia di espansione che partì appunto dall'opa sul Rolo.
Un'operazione di mercato, la prima, la cui bontà Rondelli rivendicò sempre,
anche per l'intero sistema bancario. Quella mossa fu una sorta di prova generale
della possibilità di una contesa del mercato per gli istituti. «Quando il
Credito italiano lanciò l'opa sul Credito romagnolo si ebbe la contro-opa di
Cariplo, Carisbo e Imi. Si rilanciò dopo la contro-opa e ci si portò a casa
quella che in gergo si dice ”la preda”», ricordò in un'intervista del 2005 a
Milano Finanza, per sottolineare, durante le guerre bancarie su Bnl e
Antonveneta, la normalità della contesa in un mercato sano. «Ognuno si fa i
suoi conti. Noi ci facemmo i nostri e rilanciammo. Qualcuno pensò che avevamo
esagerato. Chiudemmo il primo bilancio con un utile di 194 miliardi lire, e
dopo cinque anni eravamo a 1.100 miliardi: quindi avevamo visto il potenziale
della banca e abbiamo dato al nostro investimento un ritorno adeguato». Da lì
seguirono le aggregazioni, in poco tempo, di Banca Crt, Cassamarca, Banca
Bergamo, Cariverona. In contemporanea, l'attività di talent scout l'aveva
portato a individuare un giovane manager emergente: Alessandro Profumo,
all'epoca in Ras, che venne portato in Piazza Cordusio (di cui divenne ad nel
1997) grazie ai buoni uffici presso Rondelli del plenipotenziario
dell'Allianz per l'Italia, Roberto Gavazzi, anch'egli come Rondelli molto
vicino a Mediobanca.
Il progetto di aggregazione del Credit
avrebbe dovuto concludersi con il grande matrimonio con la sorella ex Bin, la
Comit. E nel 1999 venne tentato il grande colpo: un'offerta pubblica di
scambio lanciata sulla banca milanese, contemporaneamente all'altra clamorosa
ops lanciata dal San Paolo di Torino sulla Banca di Roma. Un autentico
terremoto per il sistema italiano, che però venne fermato dal governatore
Antonio Fazio, in quanto le due offerte vennero considerate ostili e in ogni
caso realizzate senza rispettare il vincolo dell'informativa preventiva a
Palazzo Koch. Ricorda oggi Angelo De Mattia, all'epoca segretario particolare
di Fazio: «Rondelli è stato un grande banchiere di quella generazione che
hanno saputo guardare non solo agli interessi aziendali ma anche alla
promozione dello sviluppo economico generale. Ha sempre avuto una visione di
sistema, e nei confronti delle autorità monetarie, anche quando le decisioni
non erano favorevoli all'azienda governata, ha mostrato sempre una profonda
lealtà istituzionale. Anche nell'occasione dell'opa respinta fu di una
correttezza ferrea, mai una parola di critica per chi dirigeva allora la
Banca d'Italia». Allora non disse niente, ma qualche anno dopo, sia pure
sobriamente, si sfogò: «Il mio rimpianto più grande è stato il tentativo
mancato di costituire un grande polo bancario con la Comit», affermò in
un'intervista del 2003, mentre rivendicava «la decisione di puntare
sull'aggregazione di importanti banche locali e la svolta nel management con
l'assunzione del giovane Alessandro Profumo».
Gli ultimi due anni li ha vissuti con
tristezza, a causa della vicenda Italease, di cui era stato nominato
presidente nel 2005, al momento della quotazione. Ma gli affari sporchi
dell'amministratore delegato Massimo Faenza e i buchi da centinaia di milioni
di euro hanno travolto tutto il cda, rimosso nell'estate del 2007 dal
governatore Mario Draghi. Una decisione tecnica che però Rondelli, che si è
sempre considerato vittima delle truffe organizzate da Faenza e dai suoi
uomini, ha subito come un'onta e come una sua responsabilità. Tanto da
influire, probabilmente, sul suo stato di salute. A tutti ripeteva che quella
storia l'aveva profondamente segnato a livello psicologico. «Era stato tanto
amareggiato. Era una persona integerrima e dalle elevatissime capacità,
colpito in maniera assolutamente ingiusta al termine della sua carriera»,
ricorda Enrico Ronzo, direttore generale della Popolare di Puglia e
Basilicata, che da consigliere di Italease ha condiviso con Rondelli tutta
quella vicenda e la difficile scoperta, passo dopo passo, del gioco sporco
dei derivati esotici. Ma il giudizio complessivo non era intaccato, gli
ripetevano tutti: «Questa vicenda rappresenta una parte minimale della storia
di quest'uomo», è il commento finale di De Mattia. (riproduzione riservata)
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Di Stefania Peveraro
Management&Capitali sarà primo
azionista di Treofan, il gruppo tedesco leader mondiale nella produzione di
film di polipropilene che ha anche un'anima italiana, visto che è il
risultato della fusione di una serie di aziende del settore, compresa
Moplefan spa, ex Montedison. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza,
infatti, gli uomini dell'investment company quotata a Piazza Affari, e in
prima linea il director Giovanni Canetta, dopo mesi di lavoro sono riusciti a
quadrare il cerchio e a condurre in porto un accordo tra gli azionisti, i
creditori senior e il 96% degli obbligazionisti. L'intesa, che deve essere
ancora formalizzata con il voto dell'assemblea dei bondholder, il cui esito
però è appunto già scontato, comporterà la totale conversione in equity dei
170 milioni di euro di bond di tipo second lien a scadenza 2013 e cedola 11%,
la contestuale iniezione di nuovo equity per 10 milioni per finanziare la
ristrutturazione operativa della società e l'estensione della maturity del
senior debt di 80 milioni da parte di Goldman Sachs. Nel dettaglio, prima
dell'aumento di capitale, ai vecchi azionisti andrà il 7% della società,
mentre agli obbligazionisti andrà circa il 72%. Così M&C, che in più
tranche aveva acquisito bond Treofan per 77,6 milioni di euro di nominale per
un investimento di circa 49,6 milioni, li convertirà in equity e parteciperà
all'aumento di capitale con un ulteriore investimento di 4 milioni, con il
risultato di arrivare a controllare il 48% del nuovo gruppo.
Il secondo azionista sarà il fondo Usa
Ebf, che dopo la conversione dei suoi bond e l'aumento di capitale arriverà
al 25%. Goldman Sachs, invece, che controllava il gruppo al 70%, scenderà
post aumento a circa il 10%. Goldman a fine 2006 aveva salvato l'azienda,
mettendosi a capo di un consorzio di banche e fondi hedge che avevano
acquisito i crediti mezzanini del gruppo, e li aveva poi convertiti nel 92%
del capitale, mentre gli altri azionisti Dor Chemical e Bain capital si erano
diluiti, rispettivamente, al 5% e al 3%. Non solo. Goldman a inizio 2008 era
subentrata all'intera linea di credito revolving senior da 80 milioni.
Giovanni Canetta assumerà il ruolo di
presidente del consiglio di sorveglianza, mentre l'amministratore delegato di
M&C, Corrado Ariaudo, e l'associate, Fabio Parpajola, entreranno nel
consiglio che sarà completato dai rappresentanti dei maggiori obbligazionisti
e dei senior lender. Confermato il management in carica, ossia il ceo Carlo
Ranucci e il cfo Wolfgang Posner. Nei primi nove mesi del 2008 (ultimi dati
disponibili) Treofan ha fatturato 382,7 milioni di euro con un ebitda
aggiustato di 23,8 milioni contro un fatturato complessivo del 2007 di 483
milioni e un ebitda di 28,9 milioni. Il debito netto, che a fine settembre
era di 212 milioni, con la conversione del bond, calerà a poco più di 40
milioni . (riproduzione riservata)
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Di Fabrizio Massaro
Si riaprono i termini per aderire all'opa
del Banco Popolare su Italease. Come già anticipato ieri da MF-Milano
Finanza, l'istituto veronese guidato da Pierfrancesco Saviotti, non avendo
raggiunto il 90% del capitale della banca del leasing previsto per
considerare l'offerta, ha deciso di prorogare il termine dell'opa stessa. Lo
ha comunicato ieri l'istituto dopo il conteggio ufficiale delle azioni
conferite. La finestra temporale aperta è di cinque giorni di borsa, dal 9 al
15 luglio, sempre al prezzo di 1,50 euro per azione. L'obiettivo di Saviotti
è convincere i soci minori, ritardatari o riottosi alla valorizzazione di
1,50 euro, ad aderire, in modo da evitare inevitabili allungamenti dei tempi
del piano di riorganizzazione della banca del leasing, con la programmata
divisione in bad bank e good bank.
All'opa chiusa mercoledì sono state
apportate 90.479.182 azioni di Banca Italease (pari al 77,55% delle azioni
oggetto dell'offerta) che sommate a quelle già in mano alla banca, portano il
Banco Popolare risulta avere complessivamente l'84,447% del capitale di
Italease. Dopo la proroga non ci sarà più spazio per ulteriori posizioni
attendiste. Il Banco ha infatti reso nota ieri «la propria intenzione di
rinunciare alla condizione di efficacia dell'offerta».
Chi non aderirà all'opa, insomma, resterà
socio e sarà chiamato a contribuire al maxi-aumento di capitale che servirà
alla riorganizzazione dell'istituto, con la divisione in una bad bank con
asset problematici per 5 miliardi e in una good bank con il leasing
performing e asset per 5,9 miliardi. La ricapitalizzazione dovrebbe essere,
secondo fonti finanziarie, attorno a 1 miliardo di euro: con in mano già
l'84% del capitale, il Banco Popolare ha il controllo pieno dell'assemblea straordinaria,
e di conseguenza non ci saranno sorprese.
Ieri in borsa il titolo Italease ha
chiuso in rialzo del 2,54% a 1,49 euro, comunque sotto la soglia d'opa,
mentre il Banco Popolare ha ceduto il 5,32% a 5,16 euro allineandosi alle
perdite dell'intero comparto a Milano. La mossa della riapertura dei termini
era data per scontata dal mercato. (riproduzione riservata)
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Di Manuel Follis
Sono stati fatti «grossi passi» in avanti
nella direzione auspicata dall'Antitrust per quel che riguarda il patto tra
Crédit Agricole e Generali sul 10,89% Intesa Sanpaolo. Lo ha detto ieri
l'amministratore delegato del Leone, Giovanni Perissinotto, a margine
dell'assemblea dell'Ania. Il manager, pur parlando di passi in avanti ha però
specificato che in ogni caso poi «spetterà all'autorità giudicare».
L'Antitrust ha aperto una procedura di inottemperanza nei confronti di Intesa
Sanpaolo perché l'accordo di consultazione tra Agricole e Generali va contro
la prescrizione secondo cui i francesi non devono essere coinvolti nella
governance della banca ed hanno un impegno a diminuire la loro quota.
L'ultima versione del patto, presentata pochi giorni fa, è stata
sensibilmente modificata proprio per ottenere l'approvazione da parte
dell'Agcm. (riproduzione riservata)
Return
Di Stefania Peveraro
Si è chiuso con la vittoria del fondo
Obiettivo Impresa l'arbitrato su Champion Europe, la società produttrice di
abbigliamento sportivo controllata al 70% da Sauro Mambrini e partecipata
all'11,6% dal fondo chiuso quotato gestito da S+R investimenti e gestioni sgr
(gruppo Unicredit) e al 6% da Rolo impresa, l'altro private equity di S+R che
era controparte nell'arbitrato. Per la sgr è una vittoria importante perché
obbliga Mambrini a onorare l'opzione di vendita concessa al fondo e quindi a
riacquistare la quota di Champion in portafoglio a Obiettivo impresa per 14,5
milioni, più gli interessi legali di tre anni (1,1 milioni), contro i 5
milioni iscritti a bilancio. Al netto delle commissioni il fondo ha così
fruttato ai sottoscrittori 1,3 volte il capitale investito dal 1996, cioè 35
milioni. Il fondo è ora in scadenza e a breve verrà formalizzato l'ultimo
disinvestimento, quello da Gts. (riproduzione riservata)
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Di Alberto Bolis
Un ottimista al giorno
Domanda. Quali sono i motivi per essere
ottimisti?
Risposta. Dopo un periodo effettivamente
critico, da inizio anno abbiamo registrato un incremento della raccolta di
circa il 30%.
D. A che cosa sono legati i segnali la
ripresa?
R. Soprattutto all'arrivo di nuovi utenti
e quindi alla ripartenza dinamica dell'acquisto di fondi comuni on-line,
grazie alla maggiore fiducia verso questo strumento che consente di trovare
il prodotto adatto senza spese.
D. La crisi come si è abbattuta su
Fundstore?
R. L'impatto è avvenuto in due modi. Da
un lato la nostra raccolta ha risentito molto della brusca frenata del
mercato. Dall'altro c'è stata una spinta nei confronti dei risparmiatori ad
abbandonare i fondi comuni a favore di altri strumenti finanziari.
D. Come procede il business?
R. Da un paio di mesi notiamo un rinnovato
interesse soprattutto da parte dei piccoli risparmiatori. È senza dubbio un
business in crescita.
D. Prospettive per il futuro?
R. Sono fiducioso perché il mercato dei
fondi comuni non è affatto tramontato, i clienti sul web sono sempre più
numerosi e le piazze finanziarie non dovrebbero subire particolari scosse.
(riproduzione riservata)
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Di Silvia Rossi
Mediobanca resta l'advisor leader per
volumi nell'attività di merger&acquisition in Italia. Nel primo semestre
Piazzetta Cuccia, che ha fornito consulenza in operazioni completate per
oltre 19 miliardi di dollari, ha preceduto Lazard (seconda con 18,5 miliardi)
e JP Morgan (16,7 miliardi). Mediobanca è in testa anche nella classifica
Thomson Reuters delle operazioni annunciate in Italia, seguita da JP Morgan e
Goldman Sachs. Se si guarda invece alla classifica per numero di operazioni,
pubblicata ieri da MF-Milano Finanza, in testa c'è Banca Imi (Intesa
Sanpaolo), advisor in 16 operazioni (17 se si include Enel-Acciona, non ancora
registrata).
I dati semestrali di Thomson Reuters
hanno certificato la pesante flessione di fusioni e acquisizioni a livello
mondiale. I volumi si sono ridotti del 40% a 941 miliardi di dollari, il
livello più basso dalla prima metà del 2004. La crisi si è fatta sentire
soprattutto negli Usa (-49% a 289 miliardi) e in Europa (-43% a 310
miliardi). Più contenuti i ribassi in Asia (-28%) e nell'area
Africa-Medioriente (-3%). In calo anche fusioni e acquisizioni
transfrontaliere (-55%), che costituiscono quasi un terzo del controvalore
dei deal.
I settori a livello globale che hanno
resistito meglio sono il medicale-farmaceutico e quello dei materiali, gli
unici a mostrare un incremento dell'attività m&a. Le maggiori quattro
operazioni annunciate sono in questi due comparti: nel farmaceutico
Pfizer-Wyeth (64 miliardi) e Merck-ScheringPlough (46 miliardi), mentre nei
materiali BhpBilliton-RioTinto (58 miliardi) e Xstrata-AngloAmerican. Si è
difeso anche il settore energetico con le operazioni Suncor-PetroCanada,
Rwe-Essent e Vattenfall-Nuon. Oltre ovviamente a Enel-Endesa, che è l'unica
rilevante operazione in cui sia coinvolta una società italiana.
Tra gli operatori, Thomson Reuters ha
registrato il calo degli accordi con private equity (-79%), che hanno inciso
per meno del 4% delle transazioni totali. A dimostrazione delle eccezionali
condizioni del mercato, i veri protagonisti dell'm&a sono stati i
governi, che hanno investito 197 miliardi, ovvero il 21% dei volumi
complessivi: cifre così alte in passato non erano mai state raggiunte. Il più
attivo è stato il governo britannico guidato da Gordon Brown: le operazioni
su Lloyds e Rbs sono al quinto e sesto posto per dimensioni, con una spesa
complessiva di oltre 41 miliardi per le casse del Regno Unito. Gli interventi
statali hanno rappresentato la grande maggioranza delle operazioni nel
settore finanziario: l'unica operazione significativa realizzata da privati è
stata quella di BlackRock su Barclays Global Investors (per 13,3 miliardi).
Il nuovo scenario finanziario ha influenzato non soltanto i volumi, ma anche
il prezzo di mercato delle società. Il rapporto tra enterprise value ed
ebitda si è mantenuto in Europa attorno a un multiplo di 10: all'inizio del
2007, nella fase di boom dell'm&a, era stato sfiorato il valore di 14,
poi sceso sia nel primo trimestre 2008 (13,6) che nel secondo (11,6).
Per il momento non ci sono segnali di
ripresa delle attività. Se si suddividono i dati semestrali in due periodi,
contrario si registra un'ulteriore flessione nel secondo trimestre, seppur
lieve. Il crollo delle operazioni globali si è riflesso nei minori profitti
per gli advisor che hanno intascato commissioni totali per quasi 8 miliardi
di dollari: un ammontare inferiore del 58% rispetto a un anno prima. La crisi
non ha scalfito la leadership delle banche d'affari americane, almeno nel
settore della consulenza finanziaria: per le operazioni completate, leader
mondiale è stata Citi, seguita da Goldman Sachs e Morgan Stanley; per le
operazioni annunciate, Goldman ha preceduto Morgan Stanley e JP Morgan.
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Le compagnie assicurative sono pronte a
mettere un gettone miliardario sul piatto dello sviluppo, ma chiedono al
governo un impegno a riscrivere le norme sulle liberalizzazioni messe a punto
da Pierluigi Bersani. Questo il senso del confronto di ieri tra il presidente
dell’Ania, Fabio Cerchiai, e il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola,
nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione delle imprese
assicurative. «Credo sia arrivato il momento di un vostro maggiore, più
attivo coinvolgimento nelle strategie per superare la difficile congiuntura
economica», ha detto Scajola rivolgendosi ai vertici dei grandi gruppi
assicurativi. Un contributo, ha spiegato il ministro, che gli assicuratori
potrebbero fornire «orientando una parte delle loro riserve al finanziamento
di progetti di sviluppo e al potenziamento della dotazione infrastrutturale
del Paese». In sostanza, si riprenderebbe un modello già adottato in Francia,
con agevolazioni fiscali per i prodotti assicurativi che prevedano
finanziamenti in favore delle imprese. L’invito è stato raccolto da Cerchiai:
«Diamo ampia apertura a indirizzare parte degli investimenti in nuovi
prodotti correlati allo sviluppo» ha detto il presidente dell’Ania,
ricordando che in ogni caso «gli investimenti devono rispondere a criteri di
convenienza, liquidità e salvaguardia dei clienti». Ma la partita, particolarmente
rilevante visto che le riserve complessive delle compagnie ammontano a 450
miliardi, non è a costo zero. L’Ania ha chiesto infatti al ministro di
mettere mano alle disposizioni in materia di clausole bonus/malus nell’Rc
auto e al cosiddetto plurimandato (il divieto di esclusiva nei rapporti di
agenzia). I provvedimenti varati dall’ex ministro Bersani, «sono risultati
dirompenti, distorsivi e negativi per le imprese assicuratrici», ha detto
Cerchiai. Il presidente ha poi lanciato un segnale positivo sul 2009,
annunciando che la raccolta premi dovrebbe tornare a crescere del 5,4%
raggiungendo i 97 miliardi. Sempre ieri, intanto, l’Isvap ha confermato
l’avvio di stress test per le compagnie e l’innalzamento «dal 5 al 10% della
soglia partecipativa minima soggetta agli obblighi autorizzativi, nonché
dell’assoggettamento ad autorizzazione delle acquisizioni che consentono
l’esercizio di un’influenza notevole sulla gestione, indipendentemente dalla
quota di partecipazione».
Return
Resta negativo per Moody’s l’outlook sul
credito del sistema bancario italiano nei prossimi 12-18 mesi. Così l’agenzia
internazionale, (che due giorni fa ha concluso il riesame del rating di 22
istituti bancari italiani, tagliando il giudizio di 12 realtà sulla forza
finanziaria o sui depositi a lungo termine) ha confermanto ieri per il
sistema il giudizio dello scorso maggio, quando aveva abbassato l’outlook da
stabile a negativo a causa dell’impatto dell’indebolimento dell’economia
sulla qualità degli attivi e la redditività delle banche. Quello italiano è
stato l’ultimo tra i grandi sistemi europei «a ricevere una prospettiva
negativa nell’attuale crisi, avendo dimostrato una maggiore elasticità
rispetto agli altri nel 2008, grazie alla minore esposizione in attività
finanziarie e titoli tossici», ha spiegato Henry MacNevin, vicepresidente
senior di Moody’s e responsabile per la valutazione delle banche nazionali.
Tuttavia, poiché la crisi, iniziata due anni fa, si sta propagando al resto
dell’economia, «la qualità degli asset e la redditività delle banche italiane
si stanno deteriorando e Moody’s prevede che i fondamentali finanziari
saranno intaccati nel 2009 e 2010», ha aggiunto MacNevin. Secondo l’agenzia,
i rating sulla forza finanziaria del settore saranno posti sotto ulteriore
pressione, benché l’effetto sui rating sui depositi sarà probabilmente meno
severo, grazie all’atteso e comprovato supporto del sistema. A differenza di
altri Paesi europei, per Moody’s l’Italia non dovrebbe ricorrere a forti
misure d’intervento governativo sulle banche, a meno che non si verifichi uno
scenario peggiore delle aspettative. In conclusione, «il sistema bancario
(italiano, ndr) è entrato nella crisi con una posizione patrimoniale modesta
- si legge nella nota - ma, dopotutto, e nonostante l’outlook negativo,
rimane uno dei meno colpiti dell’Unione Europea».
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Grandi manovre a Piazza Affari su Dmt.
Nella giornata di ieri il titolo, che è stato sospeso più volte al rialzo e
dopo essere balzato del 12,5% è retrocesso, ha chiuso comunque in terreno
positivo a 8,5 euro (+6,07%), in controtendenza rispetto al mercato. Forti gli
scambi, con il 3,14% del capitale passato di mano. Proprio ieri Banca
Leonardo ha alzato il giudizio sul titolo da «underweight» a «buy» mantenendo
il tg a 10,6 euro. Sulla decisione degli analisti ha influito in particolare
il sostanzioso downside dell’ultimo mese (-19%), che rende il titolo
appetibile. Banca Leonardo prevede, per il 2009, un mol di 28 milioni di euro
(in crescita rispetto ai 19,5 milioni del 2008), interamente riconducibile
alla divisione «Tower» (la divisione «System», considerata non strategica dal
gruppo, è infatti valutata a zero) e una riduzione dell’indebitamento a 138
milioni (rispetto ai 146 mln di fine anno). Sul fronte covenant (a inizio
anno il titolo era stato oggetto di forti vendite da parte delle banche
creditrici che lo avevano in pegno), il rischio di spezzare quelli che fanno
capo a Tower è ormai basso, visto che il rapporto debt/ebitda è pari al 4,4%,
ben lontano dunque dal 6% stabilito dagli accordi con le banche. Questi
accordi prevedono inoltre un rimborso annuale di 20 milioni di euro fino al
2013 (nel 2014 saranno 65 milioni), a fronte di un ebitda stimata nel 2009 di
28 milioni di euro. Quanto a «System», la divisione che fino a qualche mese
fa l’ad Alessandro Falciai non nascondeva di voler vendere (-9,7 mln l’ebit
nel 2008), dopo un primo contratto pluriennale con Mediaset (e che ha
determinato un sensibile miglioramento dei conti nel primo trimestre),
secondo gli analisti continuerà a beneficiare del passaggio al digitale
terrestre.
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È morto ieri mattina il banchiere Lucio
Rondelli, ex presidente di Unicredit e di Banca Italease. Nato a Bologna nel
1924 e nominato Cavaliere del lavoro nel 1986, Rondelli ha ricoperto diversi
incarichi nel mondo bancario. Con Rondelli scompare uno dei protagonisti
dell’evoluzione del sistema bancario italiano. Entrato nel Credito Italiano
nel 1947, nel 1969 (a soli 45 anni) è diventato ad del gruppo e poi di
Unicredit, diventando successivamente presidente fino al 2001. Inoltre è
stato vicepresidente e membro del comitato esecutivo di Mediobanca,
consigliere della Ras e vicepresidente e membro del comitato esecutivo
dell’Abi. Dal 2005 al 2007 il suo ultimo incarico operativo è stato quello di
presidente di Banca Italease, dove denunciò il crack della banca come
«vicenda malavitosa» posta in essere da «personaggi che hanno utilizzato
certi strumenti di lavoro della società non nell’interesse della medesima».
Return
S&P ha confermato per Poste Italiane
il rating A/A-1 con outlook stabile. Lo ha reso noto la stessa società
aggiungendo che S&P giudica «modesto» il rischio finanziario e valuta
positivamente l’ebitda del 2008. «Non nego - ha detto l’ad Massimo Sarmi - la
mia soddisfazione alla notizia che arriva in un momento così delicato per
l’economia internazionale. Gli ottimi risultati di redditività, la
consapevolezza che dove c’è un ufficio postale ci sono valore aggiunto e
servizi innovativi altrimenti non presenti, confermano che Poste Italiane è
una realtà che cresce socialmente e responsabilmente».
Return
Unipol Gruppo Finanziario (Ugf) ha emesso
un prestito obbligazionario di tipo senior dell’importo nominale di 175 mln e
durata triennale, al tasso fisso del 5,25% annuo. L’emissione è stata
interamente collocata e sottoscritta alla pari mediante private placement.
Tra gli istituzionali che hanno sottoscritto il bond spiccano le controllanti
Finsoe (70 mln) e Holmo (68,6 mln). In merito all’Opa sul bond Ugf 5,66%,
scadenza 2023, «fino al 2 luglio 2009 (ieri, ndr) non ci sono state
adesioni», ha detto Ugf in una nota. Le adesioni potranno pervenire fino alle
ore 17 del 9 luglio.
Return
Il ministero olandese delle Finanze ha
comunicato che Fortis Bank Nederland ha riborsato anticipatamente, rispetto
alla scadenza di fine anno, 34 miliardi di euro di prestiti a breve
assicuratigli dall’esecutivo. Il governo olandese nell’ottobre scorso aveva
rilevato le attività olandesi di Fortis, e la sua partecipazione in Abn Amro,
in un’operazione da 16,8 miliardi. Grazie al rimborso, il governo olandese si
attende un debito pubblico 2009 inferiore rispetto a quello 2008, che era
aumentato a 346 miliardi. L’Olanda lo scorso anno aveva attivato un piano di
prestiti garantiti per le banche da 200 miliardi di euro. Fortis Bank
Nederland ha partecipato al programma pubblico per vendere 15,5 miliardi di
bond garantiti. L’obiettivo del governo resta la fusione di Fortis Bank
Nederland e la divisione olandese di Abn Amro in una nuova entità a partire
dal 2011.
Return
Oracle, secondo produttore di software al
mondo, si preparerebbe a licenziare 1.000 dipendenti in Europa. È quanto
riporta la Confédération Française Démocratique du Travail (Cfdt,
organizzazione sindacale francese). Nella sola Francia rischiano il posto 250
addetti (pari al 16% del totale). Oracle «prevede una crescita decisamente
inferiore rispetto alla precedenti stime», ha sottolineato la Cfdt. Il
colosso Usa indicherebbe il taglio occupazionale come unica strada
percorribile per «conservare il margine operativo e permettere a Oracle di
continuare a operare in una strategia di lungo periodo». Oracle lo scorso 31
maggio aveva una forza lavoro globale di 86.000 addetti.
Return
di Rodolfo Parietti
Circa 36 milioni di disoccupati sparsi
tra l’Europa e gli Stati Uniti, a conferma di come i colpi di coda della
crisi si stiano scaricando sul mercato del lavoro. Emorragia di posti ormai
cronica, da una sponda all’altra dell’Atlantico, segno del ritardo con cui le
misure di sostegno dei governi si trasferiscono sull’occupazione. Bisognerà
aspettare, forzatamente. Ma le cifre rimbalzate ieri dal Vecchio continente e
dagli Usa fino ai monitor delle sale operative non potevano certo essere
ignorate dalle Borse, costrette a cancellare i progressi di mercoledì a colpi
di ribassi anche superiori al 3%.
Tanto atteso quanto temuto, il verdetto è
arrivato sotto forma di un tasso di disoccupazione salito nella euro-zona in
maggio al 9,5% (9,3% in aprile), un livello mai raggiunto dalla nascita della
moneta unica, e dal 9,4% di maggio al 9,5% di giugno (massimo dal 1983) anche
negli Usa, dove sono stati persi altri 467mila posti di lavoro. Dall’avvio
della recessione (dicembre 2007), l’America ha visto evaporare oltre sei
milioni di posti e i jobless sfiorano ormai i 15 milioni. «Sono profondamente
deluso e preoccupato», è stato il commento del presidente Obama. «Siamo nella
peggiore recessione dalla Grande Depressione. Ci vorranno ancora mesi per
uscirne», ha aggiunto.
L’elemento forse meno rassicurante è la
progressione dei disoccupati nel giro di un anno: nel maggio 2008,
nell’Europa a 16 i senza impiego erano pari al 7,4% della popolazione attiva.
Lo scatto in avanti di due punti percentuali ha determinato gli oltre 15
milioni di persone a spasso oggi nella sola Eurolandia, contro gli oltre 21
milioni della Comunità europea (disoccupazione all’8,9%).
Sono cifre che giocano a sfavore della
ripresa economica, considerata la stretta correlazione tra mercato del lavoro
(quando c’è) e consumi. A maggior ragione in un Paese come gli Usa in cui le
spese private contribuiscono per due terzi al Pil. La recovery è collocata da
quasi tutti i governi e dai maggiori organismi internazionali nel 2010. Ma
come ripartirà l’economia mondiale? Quasi certamente con il freno a mano
tirato. Il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, non ha esitato ieri a
parlare di un ulteriore «deterioramento» occupazionale nei prossimi mesi e di
una ripresa frenata, appunto, dall’alto numero di senza lavoro.
Le parole di Trichet hanno aggiunto
benzina ai ribassi dei listini europei, dove infatti la capitalizzazione è
“dimagrita“ di 102 miliardi. Svanito l’effetto positivo provocato l’altroieri
dall’annuncio del governo tedesco della creazione di una bad bank, i mercati
sono finiti in apnea: Francoforte è stata la peggiore (-3,81%), seguita da
Parigi (-3,13), Milano (-2,65%) e Londra (-2,45%). Nessuna reazione alla
notizia che l’Unione europea ha deciso di lanciare uno strumento di
microfinanziamento, per un valore di 100 milioni (elevabili a mezzo
miliardo), con lo scopo di aiutare i disoccupati ad avviare piccole imprese.
Anche Wall Street ha chiuso l’ultima
seduta della settimana (oggi è la Festa dell’Indipendenza) muovendo a ritroso
sia le lancette del Dow Jones (-2,5%), sia quelle del Nasdaq (-2,7%). «La
Borsa - spiegava un analista - si è mossa al rialzo negli ultimi mesi, nella
convizione che i piani di stimolo stessero funzionando. Ma ora c’è delusione,
non sembra che gli stimoli abbiano creato nuovi posti». Ci sarà ancora da
lavorare.
Return
di Redazione
Banche, così non va. Nella polemica sulla
scarsa erogazione di credito che vede da tempo contrapposte le banche alle
imprese, interviene Jean-Claude Trichet. In trasferta a Lussemburgo, dove
ieri la Bce ha tenuto il periodico direttivo extra-sede lasciando invariati i
tassi all’1%, il presidente dell’Eurotower non è andato troppo per il sottile
nel giudicare l’operato del mondo del credito: «Il flusso dei prestiti
bancari alle imprese e alle famiglie - ha ammonito - è rimasto limitato. Le
banche facciano la loro parte» nel sostenere l’economia.
Il richiamo del banchiere francese giunge
a circa una settimana di distanza dalla maxi-asta da 442 miliardi di euro con
cui l’istituto di Francoforte ha garantito al sistema liquidità fino a fine
anno. Un motivo in più per spronare le banche, accusate anche di essere
troppo caute nel rafforzamento della base patrimoniale, ad allargare i
cordoni della borsa. Le cifre, d’altra parte, sembrano dare ragione alla Bce:
i prestiti al settore privato sono calati in maggio all’1,8%, il livello più
basso dall’inizio del terzo stadio dell’Unione economica e monetaria.
Insomma, pur tenendo conto della bassa domanda, è come se l’impasse generata
dal credit crunch, con le banche riluttanti a concedere fiducia a chi
chiedeva denaro, non fosse mai stata superata.
Questo fenomeno di restringimento del
credito rischia, ovviamente, di avere ripercussioni sui tempi della ripresa,
peraltro prevista debole e collocata non prima della seconda metà del 2010.
Anche se Trichet ha ribadito ancora una volta che l’1% non rappresenta il
plafond per i tassi, giudicati comunque «appropriati», le possibilità di un ulteriore
ritocco verso il basso si vanno via via restringendo e sono ormai legate a un
deterioramento del ciclo oggi non preventivabile.
Nè sono in programma ulteriori misure non
convenzionali dopo l’operazione d’acquisto di covered bond per 60 miliardi,
al via lunedì prossimo, con cui si intende incoraggiare le banche ad
accelerare gli impieghi e a rivitalizzare un comparto duramente colpito dalla
crisi. Con scadenza fra i tre e i 10 anni, queste obbligazioni sono garantite
da una serie di asset come mutui ipotecari, che restano in portafoglio al
cedente; verranno acquistate, direttamente sul mercato primario e secondario
e in «modo graduale», soprattutto dalle singole banche centrali
dell’eurozona, mentre alla Bce sarà riservato l’8% dell’intera emissione. Il
valore minimo delle obbligazioni sarà pari a 500 milioni tranne che in
«situazioni speciali» nelle quali è previsto che il bond possa essere «non
inferiore a 100 milioni».
Con l’operazione bond, la Bce chiude il
cerchio delle azioni anti-crisi. «Una volta che la condizione macroeconomica
migliorerà - ha avvisato Trichet - la Bce assicura che le misure
straordinarie di questo periodo saranno ritirate velocemente». Ora la palla
passa appunto alle banche, e ai governi, invitati fin d’ora a studiare le opportune
exit strategy e a impegnarsi per consolidare i bilanci pubblici a partire dal
2011. Per i Paesi a elevato debito e disavanzo, come l’Italia, la correzione
del deficit dovrà essere almeno dell’1% del Pil ogni anno.
Return
di Gian Battista Bozzo
RomaIl peggior primo trimestre del
decennio sul fronte dei conti pubblici passa agli archivi dell’Istat con un
numero da brivido: il deficit è infatti arrivato al 9,3% del Pil contro il 5,7%
dei primi tre mesi dell’anno scorso. Sono diminuite le entrate fiscali ed
aumentate le spese. Del resto, il raddoppio del fabbisogno statale
certificato ieri dal Tesoro va nella stessa direzione. L’unica voce positiva
è il calo degli interessi sul debito pubblico, grazie al forte ribasso dei
tassi d’interesse.
Il rapporto diretto fra crisi
dell’economia reale e andamento dei conti è dimostrato proprio dalle entrate,
che in cifra assoluta sono diminuite del 2,8% rispetto al primo trimestre del
2008, ma che nel contempo aumentano la loro incidenza rispetto al Pil: così
la pressione fiscale passa dal 39,8% al 39,9%. Nel contempo le uscite totali
sono aumentate del 4,6% (3,9% la spesa corrente), con un picco del 7% per le
uscite per gli stipendi del pubblico impiego a causa del rinnovo contrattuale
per i dipendenti dei ministeri, della scuola, degli enti pubblici non
economici. Il saldo primario, che misura il saldo al netto della spesa per il
servizio del debito, è risultato negativo del 4,6% contro lo 0,8% del primo
trimestre 2008.
C’è da rilevare che, almeno, sono
aumentate del 15,3% le spese per gli investimenti. Per le infrastrutture,
spiega il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il problema non è
rappresentato dai soldi, quanto dai blocchi, «l’eccesso di diritto
paralizzante». Secondo Tremonti, la richiesta continua di finanziamenti è un
alibi. «Se hai i soldi - osserva il ministro intervenendo al convegno di
“Italiadecide” - spendili, perché chiedendone di più fai un doppio danno: non
fai l’opera e sottrai risorse all’economia». Quindi «meno vincoli, più
libertà» è la soluzione.
Storicamente, il primo trimestre è sempre
il peggiore dell’anno. Non appare perciò compromesso l’obiettivo del governo
di contenere il deficit intorno al 5% del Pil. Secondo gli economisti del
Cerm, a questo punto il bilancio pubblico dovrebbe rimanere «congelato» per
due anni, o almeno fino alla ripresa dell’economia che dovrebbe giungere a
metà del 2010, puntando nel frattempo a riforme a costo zero per l’erario: apertura
alla concorrenza dei mercati, decentramento della contrattazione,
riqualificazione della spesa per il welfare. A sua volta, la Cisl suggerisce
al governo di agire, evitando allarmismi, per il rilancio dello sviluppo e la
lotta all’evasione fiscale.
A questo punto si avvicina a grandi passi
la decisione sullo scudo fiscale, il rientro oneroso dei capitali detenuti
nei paradisi fiscali che potrebbe portare molti miliardi di euro nelle casse
dello Stato. Al ministero dell’Economia si stanno studiando gli ultimi
dettagli. Si pensa a un’aliquota unica fra il 5 e il 7,5%. La misura potrebbe
essere inserita, con un emendamento, nel decreto anticrisi; e il termine per
il rientro dei capitali dovrebbe essere quello del 31 dicembre.
Return
di Redazione
Il 2009 si prepara ad essere un anno in
crescita per il mercato assicurativo, dopo due esercizi consecutivi negativi:
la raccolta premi dovrebbe infatti crescere del 5,4%. Dovrebbe però restare
negativa la raccolta premi dell’Rc Auto: una diminuzione tra l’1% e il 2%,
collegata anche ad una flessione dei prezzi medi delle polizze che negli
ultimi 4 anni sono scesi dell’8,3%, secondo i dati forniti dall’Ania,
l’associazione che raduna le compagnie di assicurazione. Sul comparto arriva
però l’ultima revisione delle liberalizzazioni Bersani con la possibilità di
reintrodurre le polizze pluriennali: il presidente dell’Ania, Fabio Cerchiai,
«manifesta apprezzamento» per questa novità e chiede di mettere mano anche
alle disposizioni in materia di clausole bonus/malus nella Rc Auto e al
divieto di esclusiva nei rapporti di agenzia. «Il nostro Paese ha bisogno di
un mercato libero, non di lenzuolate», sostiene il ministro dello Sviluppo,
Claudio Scajola, che chiede alle compagnie un «maggiore coinvolgimento» per
superare la difficile congiuntura economica: l’idea sarebbe quella di
orientare parte delle cospicue riserve del settore, circa 450 miliardi, al
finanziamento di progetti di sviluppo e infrastrutturali. Mentre il ministro
della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, vuole approfondire il tema
dell’assicurazione contro i danni delle catastrofi, rilanciata dall’Ania: «Se
ben disegnata non è una tassa ma un incentivo ai comportamenti virtuosi dei
cittadini e delle amministrazioni».
Dal canto loro Federconsumatori e Adusbef
contestano l’Ania e parlano di «aumenti consistenti» in particolare «per le
già elevatissime polizze per i diciottenni, in media del 4-5%, con punte del
15-16%».
Return
di Redazione
La detassazione del 50% degli utili
d’impresa reinvestiti costerà alle casse statali 4,3 miliardi di euro in tre
anni di minori introiti fiscali, ma l’intera manovra approvata venerdì scorso
dal Consiglio dei ministri avrà effetti positivi sui saldi di finanza
pubblica, che nel triennio 2009-2011 migliorano complessivamente di 1,4
miliardi di euro. Per quanto riguarda l’indebitamento netto - cioè il deficit
- la differenza tra il totale delle entrate e quello delle spese è uguale a
zero. Dunque il decreto dovrebbe avere un effetto positivo per l’economia -
si stima in 20,5 miliardi il volume di investimenti che potranno beneficiare
della detassazione - senza gravare sui conti pubblici.
Insoddisfatta invece l’Abi: per il
presidente Corrado Faissola, le norme sul massimo scoperto si muovono in
direzione «anti mercato». Il decreto prevede che possa essere utilizzata
subito (cioè a partire dalla scadenza del 6 luglio prossimo) la modalità di
pagamento rateale anche per il versamento dell’Iva da adeguamento agli studi
di settore. La «stretta» sulle compensazioni Iva potrebbe valere a fine 2011
maggiori entrate per un miliardo, mentre sul fronte delle spese i rimborsi ad
azionisti e obbligazionisti Alitalia costeranno 230 milioni, anche se gli
oneri sono spostati al 2010. Per le missioni di pace all’estero, il decreto
stanzia 410 milioni fino al 31 ottobre, mentre per l’operazione «Città
sicure» arrivano 67,2 milioni nel 2009-2010. Tutte queste cifre sono
contenute nella relazione tecnica che accompagna il provvedimento. In
prospettiva, lo Stato potrebbe addirittura risparmiare grazie alla norma che
accelera i pagamenti delle Pubbliche amministrazioni nei confronti delle
aziende creditrici. Infatti, la misura «potrebbe avere a regime riflessi
positivi per lo stesso bilancio pubblico - si legge nella relazione - nella
misura in cui la concorrenza e la riduzione degli oneri finanziari sopportati
dalle imprese potrà spingere le stesse a praticare migliori condizioni di
prezzo».
Return
di Redazione
Nei primi sei mesi del 2009 Banca Imi e
Mediobanca si attestano al primo posto nelle classifiche di Thomson Financial
sulle operazioni di M&A realizzate in Italia: Banca Imi ha il record per
numero di transazioni, Mediobanca per controvalore. É quanto emerge dalle
graduatorie redatte dal brand finanziario inglese, dalle quali si rileva che la
banca guidata da Gaetano Micciché ha seguito 16 operazioni con un
controvalore di 3,35 miliardi di dollari, mentre Piazzetta Cuccia ha svolto
il ruolo di advisor in 13 operazioni per un controvalore di 19,15 miliardi.
Banca Imi si posiziona al 12º posto nella
classifica per controvalore, ma sarebbe al terzo comprendendo l’accordo
Enel-Acciona concluso nei giorni scorsi e contabilizzato da Thomson Financial
nel 3º trimestre. Il solo «deal» Enel-Acciona vale 13.469,98 milioni di
dollari.
Mediobanca mantiene la prima posizione
nella classifica dei controvalori rispetto al primo semestre del 2008 con
19,15 miliardi (53,9 nel primo semestre 2008), precedendo nella top ten
Lazard con 18,5 miliardi (16ma nel 2008 con 6,3 miliardi), Jp Morgan con
16,74 miliardi, Credit Suisse, Goldman Sachs, Citi, Deutsche Bank, Santander,
Bofa-Merril Lynch, Bnp Paribas e Calyon, mentre Banca Leonardo si posiziona
al 13º posto con 1,6 miliardi, sempre di dollari (meno 93,1%), di operazioni
seguite. Per quanto riguarda il numero dei deal, Banca Imi è seguita dalla
stessa Mediobanca con 13, da Rothschild con 10, Kpmg con 9 e da Lazard con 8.
Fusioni e acquisizioni risultano in frenata nei primi sei mesi dell’anno sia
a livello mondiale (meno 40,2% a 941 miliardi di dollari), sia in Italia (meno
57,5% a 30 miliardi).
Return
di Redazione
Secondo tempo per l’Opa Italease: il
Banco Popolare riapre il periodo d’adesione all’offerta sulle azioni della
banca specializzata in leasing. Si potrà consegnare i titoli di Italease alla
controllante ancora dal 9 al 15 luglio. La decisione è giunta dopo aver
valutato i risultati dell’Opa che si è chiusa il primo luglio, e che ha
portato il Banco Popolare a detenere l’84,44% di Italease. Il prezzo
d’offerta resta fermo a 1,5 euro. La Borsa ha penalizzato fortemente il
titolo dell’istituto veronese, che ha chiuso la seduta di ieri in calo del
5,32%, a 6,16 euro. Rimangiandosi buona parte del rialzo di martedì e mercoledì
(+8,3% in due sedute). A deludere gli investitori soprattutto il fatto che le
adesioni all’Opa non sono state sufficienti a portare il Banco Popolare sopra
il 90% di Italease. L’obiettivo della popolare veronese è il delisting della
controllata.
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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009
Nasce a Milano il big italiano dei fondi
immobiliari
di Redazione
Prende ufficialmente il via l’attività di
Hines Italia Sgr, la società che si occuperà della gestione del fondo
immobiliare «Porta Nuova Garibaldi» da 950 milioni di euro, cui è stato
conferito uno dei tre progetti (il «Garibaldi Repubblica») per la
riqualificazione delle aree milanesi di Porta Garibaldi e Porta Nuova. Si
tratta del maggior fondo di sviluppo italiano, riservato ad investitori
istituzionali, tra i cui sottoscrittori figurano diversi fondi pensione
americani e canadesi e il gruppo Fondiaria-Sai. L’operazione conta su
finanziamento bancario da oltre 760 milioni , concesso in maniera paritetica
da Intesa Sanpaolo, Bpm e Mps. Il progetto copre circa 89mila metri quadri e
prevede investimenti complessivi per 2,5 miliardi. Il completamento è
previsto nel 2012.
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di Redazione
Le banche «devono fare un profondo bagno
di umiltà e ristabilire un rapporto di fiducia con le imprese». Ad ammetterlo
è stato il presidente di Bpm, Massimo Ponzellini che, in un convegno della
Cisl-Fiba Lombardia, si è detto convinto che siamo in una fase di stretta del
credito: «Il credit crunch esiste perché mentre le banche prestavano i soldi
ai vari Zaleski e Zunino gli altri imprenditori hanno perso fiducia e
coraggio». Ponzellini ha, poi, commentato l’avanzata età anagrafica delle
classe dirigente del Paese: «Io sono vecchio e il presidente delle Generali
Bernheim ha più di ottanta anni. La classe politica e imprenditoriale è
vecchia e ci mangiamo i giovani, che purtroppo non comandano».
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di Redazione
Distributori chiusi per le giornate
dell’8 e del 9 luglio, a causa di uno sciopero proclamato dai sindacati dei
gestori per il rinnovo del contratto di categoria. Gli impianti resteranno
chiusi sulla rete stradale dalle 19.30 di martedì 7 luglio fino alle 7 del
10. Diversi gli orari per la rete autostradale: chiusura dalle 22 del 7 e
riapertura alla stessa ora del 9 luglio. In Sicilia, lo sciopero inizierà con
24 ore di anticipo. È esclusa la provincia dell’Aquila. «L’industria
petrolifera sta scaricando sulla rete e soprattutto sulla categoria tutte le
contraddizioni del sistema, facendo concorrenza, sui propri stessi impianti
ai propri stessi gestori», spiegano le tre federazioni, Faib, Fegica e Figisc
in una nota congiunta. Allo stesso tempo, prosegue la nota, «non solo gli
impegni assunti dal governo oltre un anno fa per mettere mano alle regole del
settore sono rimasti lettera morta, ma sono venute meno alcune tutele e sono
stati imposti nuovi oneri alle gestioni».
-Arthur Bloch-
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