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news fabi anno X – venerdì 3 luglio 2009

 

rassegna stampa quotidiana riservata alle strutture

 

a cura di Bruno Pastorelli

Se riscontrate anomalie, nei collegamenti comunicatelo a: b.pastorelli@fabi.it, grazie.

 

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Così disse

 

Sommario

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 1

Il personaggio Si è spento all’età di 86 anni. La carriera in Piazza Cordusio e la passione per le auto veloci - Addio a Rondelli, il banchiere indipendente che guidò la svolta privata del Credit - Geronzi: un amico vero. Dagli scontri con la politica alla scelta del delfino, Profumo. 1

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 2

Allo sportello Le nuove norme prevedono per le commissioni un limite dello 0,5% - Faissola va all’attacco: no ai tetti anti-mercato - Dopo il decreto sul massimo scoperto. Conte: le banche hanno aggirato le regole. 2

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 2

Assemblea Ania La proposta di Scajola. Cerchiai: sì, ma dipende dalle garanzie dello Stato - Un prestito-infrastrutture dalle assicurazioni 2

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 3

Le classifiche di Thomson - Mediobanca prima per volumi, Intesa per numero di operazioni 3

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 3

La disoccupazione record piega le Borse - Senza lavoro in crescita negli Usa e in Europa. Italia, il deficit del primo trimestre al 9,3% del Pil 3

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 3

Vademecum Le misure del decreto - 7 - Le compensazioni tra crediti e cartelle. 3

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 4

Trichet: «Ripresa nel 2010 E adesso le banche siano più responsabili» Gli Usa: ancora mesi per uscire dalla crisi 4

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 4

Accordo Ue-Bei - Arriva il microcredito per chi perde il posto. 4

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 4

Il viaggio Il presidente della Repubblica popolare alla vigilia della sua missione in Italia - Hu Jintao: «La Cina vuole un’Europa forte e appoggia la riforma del sistema finanziario» «Un rapporto strategico con l’Ue basato sullo spirito di uguaglianza e il mutuo rispetto». 4

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 5

L’andamento dei rapporti tra Cina e Italia. 5

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 7

Lettera sul lavoro Pressione fiscale ridotta come incentivo all’occupazione - «Donne più tardi in pensione ma meno tasse». 7

 

CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009. 7

SEGNALI DI RIPRESA E NECESSITÀ DI VIGILANZA - Banche, non abbassare la guardia sulle regole. 7

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 8

Deficit al 9,3%, mai così da dieci anni - Dato trimestrale record. La Camera frena il governo: niente collegati, manca il Dpef - Il Pd: i dati sono allarmanti e il governo non può limitarsi a fare spallucce. 8

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 8

L´Economist - "Non accettare la crisi economica è il vero scandalo dell´Italia" 8

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 9

La nuova ondata di disoccupati non è più quella dei precari, ora tocca ai figli del baby boom - Antonio, a casa dopo 20 anni di posto fisso "Ho perso il futuro senza avere colpe" …. 9

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 10

Disoccupazione "storica" in Eurolandia e Stati Uniti - Toccata quota 9,5%, allarme di Obama. Borse a picco - La Bce: si rischia una nuova emergenza lavoro, ma nel 2010 arriverà la ripresa. 10

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 10

Pechino prepara lo shopping italiano - Missione di 300 aziende cinesi: nel mirino auto, energia e ambiente. Il nodo protezionismo - Prevale l´attività d´investimento per l´acquisizione di nuove tecnologie e capacità produttive. 10

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 11

Rc auto, nuovi aumenti in arrivo "Il settore non è in equilibrio" 11

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 11

IL DIFFICILE FUTURO DEI SENZA LAVORO. 11

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 11

E Carrefour abbandona il Mezzogiorno - Chiusure a Bari e Roma. Woolworth, 10 mila posti a rischio in Germania - Il gruppo francese della grande distribuzione punta a tagliare costi per 4,5 miliardi 11

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 12

La scomparsa dell´ex presidente e amministratore delegato di Unicredit. Aveva 85 anni - Rondelli, banchiere d´altri tempi combattè il credito "pietrificato" A metà anni ´90 lanciò l´Opa sul Rolo e affidò la gestione della banca a Profumo. 12

 

LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009. 12

Usa, class action contro la BofA e l´Italia è al palo. 12

 

MFNumero 129  pag. 2 del 3/7/2009. 13

Pechino detassa chi utilizza gli yuan. 13

 

MFNumero 129  pag. 2 del 3/7/2009. 13

Intanto Trichet si mette alla finestra - la bce lascia i tassi all'1% in eurolandia. niente misure straordinarie. 13

 

MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009. 13

Il governo ribussa agli assicuratori - il ministro scajola chiede di usare parte dei 450 mld di riserve per le opere pubbliche - La prima richiesta di sostegno c'era stata già lo scorso anno, ma tutto era caduto nel vuoto. Ora si riparte guardando al modello francese. E si riapre anche il capitolo polizze calamità. 13

 

MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009. 14

Isvap, stress test potenziato e nuove soglie. 14

 

MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009. 14

Stima Ania, nel 2009 premi in salita del 5%.. 14

 

MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009. 14

Eurizon Vita, Casu pronto a lasciare il timone. 15

 

MFNumero 129  pag. 6 del 3/7/2009. 15

Abi, no ai vincoli sul massimo scoperto. 15

 

MFNumero 129  pag. 6 del 3/7/2009. 15

Maastricht è sempre più un'utopia - istat, conti pubblici in sofferenza. nel primo trimestre il rapporto deficit/pil sale al 9,3% - Crolla il saldo primario, negativo per 16,8 miliardi. Le entrate totali si riducono del 2,8% mentre le uscite crescono del 4,6%. Secondo gli analisti la situazione non è drammatica: valori analoghi a quelli del 2005. 15

 

MFNumero 129  pag. 8 del 3/7/2009. 15

Brava Ania, ora pensa anche ai consumatori 15

 

MFNumero 129  pag. 8 del 3/7/2009. 16

Dall'ingegneria finanziaria a quella patrimoniale. 16

 

MFNumero 129  pag. 9 del 3/7/2009. 17

Solo in Italia è in vigore un sistema duale anche per i licenziamenti 17

 

MFNumero 129  pag. 9 del 3/7/2009. 17

L'eredità di Rondelli, banchiere galantuomo che s'inventò Unicredit 17

 

MFNumero 129  pag. 17 del 3/7/2009. 19

M&C al 48% della tedesca Treofan - management&capitali converte i bond second lien e partecipa all'aumento di capitale - Goldman Sachs scende al 10%. Secondo azionista con il 25% è ora il fondo Usa Ebf La società italiana regista dell'operazione. 19

 

MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009. 19

Italease, opa continua C'è tempo fino al 15 - prorogati i termini per aderire all'offerta del banco. 19

 

MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009. 19

Perissinotto, passi avanti sul patto con Agricole. 19

 

MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009. 20

Il fondo di Unicredit batte Champion. 20

 

MFNumero 129  pag. 20 del 3/7/2009. 20

Sui fondi on-line è tornata a crescere la fiducia. 20

 

MFNumero 129  pag. 20 del 3/7/2009. 20

Mediobanca al top dei volumi m&a - la merchant ha seguito operazioni per oltre 19 mld. banca imi prima per numero di deal - Nel primo semestre transazioni in calo del 40% a livello mondiale. Resistono pharma e materiali. Il ruolo degli Stati 20

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 21

Patto Scajola-Ania per lo sviluppo «Ma il ministro riscriva le regole». 21

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 21

Per Moody’s l’outlook sul sistema bancario italiano resta negativo. 21

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 21

Banca Leonardo dà la carica a Dmt 21

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 22

Scompare Lucio Rondelli, protagonista dell’evoluzione delle banche italiane. 22

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 22

Poste, Standard&Poor’s conferma rating A/A-1 Con prospettive stabili 22

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 22

Unipol, emessi bond senior triennali per 175 milioni 22

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 22

Fortis Bank Nederland rimborsa 34 miliardi di finanziamenti 22

 

da Finanza&Mercati del 03-07-2009. 22

Oracle, secondo produttore di software al mondo, si preparerebbe a licenziare 1.000 dipendenti in ... 22

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 22

L’allarme-occupazione mette paura alle Borse. 22

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 23

Trichet striglia le banche: «Prestate più soldi». 23

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 23

La recessione colpisce i conti: deficit al 9,3%.. 23

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 24

Rc auto, tariffe ancora in calo Proposta la polizza terremoti 24

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 24

Detassati investimenti per 20 miliardi 24

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 24

Fusioni e acquisizioni Banca Imi e Mediobanca sono regine in Italia. 24

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 25

Il caso Il Banco Popolare riapre l’Opa Italease e cade del 5,3%.. 25

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 25

Ponzellini: «Le banche devono fare un bagno di umiltà». 25

 

IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009. 25

Benzina Sciopero confermato: distributori chiusi l’8 e il 9 luglio. 25

 

 

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Il personaggio Si è spento all’età di 86 anni. La carriera in Piazza Cordusio e la passione per le auto veloci - Addio a Rondelli, il banchiere indipendente che guidò la svolta privata del Credit - Geronzi: un amico vero. Dagli scontri con la politica alla scelta del delfino, Profumo

MILANO — Ha interpretato la rivolu­zione in banca in almeno tre modi: ritor­nando al Credit privato dopo essere stato «cacciato» dal Credit pubblico; avviando la grande stagione delle aggregazioni in banca con la scalata al Rolo; chiamando al timone dell’istituto un 'giovanotto' nem­meno quarantenne allora pressoché sco­nosciuto, Alessandro Profumo. Lucio Ron­delli è morto ieri a 86 anni e non desta sor­presa che la famiglia abbia fatto sapere di voler mantenere il lutto in forma stretta­mente privata: lui, bolognese, non ha mai cercato riparo in un carattere chiuso, ma ha conservato la riservatezza del banchie­re e dai riflettori è fuggito sempre (o me­glio, quando possibile) a gran velocità. Preferibilmente a bordo di auto velocissi­me, verso le quali nutriva una vera passio­ne.

Anche solo le ragioni che hanno deter­minato il suo «esilio» nel ’90 ne definisco­no lo spirito di innovatore: da alfiere della finanza laica, anche se pubblica, voleva ag­gregare (con spirito pionieristico nella 'fo­resta pietrificata' di quegli anni) la Bna, la banca di Giovanni Auletta Armenise. Ma il conte era andreottiano e andreottiano era pure Franco Nobili, che da poco aveva so­stituito Romano Prodi all’Iri. Così, dopo al­cune riunioni fra Andreotti, Forlani, Gava e Cirino Pomicino, la sorte di Rondelli è decisa: fuori, a 65 anni per «raggiunti limi­ti di età».

Un addio dopo 21 anni di banca. Per­ché, come ricorda Gianni Zandano, dall’83 al ’98 numero uno del San Paolo e artefice della sua privatizzazione, Rondelli «è stato uno che ha fatto la gavetta, era un indipen­dente, non un professorino....». Sì, dopo una laurea in scienze economiche a Bolo­gna lui avrebbe preferito la carriera diplo­matica, ma le cose sono andate diversa­mente e nel ’47 è entrato in banca. Nella quale ha percorso l’intera carriera finché, 45enne e quindi per l’epoca un enfant pro­dige, nel ’69 viene nominato amministra­tore delegato, con il sostegno del fondato­re di Mediobanca, Enrico Cuccia.

Dopo l’uscita «secondo statuto» Rondel­li avrebbe potuto dedicarsi a tempo pieno alle sue passioni, come la vela, la musica e le auto sportive, e in parte l’ha fatto. Ma all’esilio preferisce qualche incarico (co­me Arca) e soprattutto l’ingresso nel comi­tato privatizzazioni istituito nel ’93 da Car­lo Azeglio Ciampi: una task force che indi­rizzerà l’addio allo Stato Padrone in Italia presieduta da Mario Draghi e alla quale partecipano Rondelli, Piergaetano Mar­chetti, Ariberto Mignoli, Ottavio Salamo­ne e Francesco Giavazzi. Poi, quando il Cre­dit viene privatizzato, i soci lo chiamano: il 18 aprile ’94 rientra da presidente in Piaz­za Cordusio. In breve tempo fa le mosse decisive. Nell’ottobre ’94 lancia l’Opa sul Credito Romagnolo, operazione chiusa nel febbraio 2005 dopo il ritiro della con­trocordata Cariplo Imi Carisbo e Reale Mu­tua. Quattro mesi più tardi nasce il terzo gruppo bancario italiano con la fusione de­cisa dal board che, nella stessa riunione, nomina direttore generale Profumo, il gio­vane banchiere ex McKinsey che Rondelli ha pescato un anno prima dal gruppo Ras. È l’inizio di un «binomio felice», e non solo per l’altezza di entrambi (con i suoi 1,98 Rondelli batte Profumo per soli tre centimetri), bensì perché si assegnano ter­ritori definiti. Così, da quando nel ’97 il «ragazzo» diventa amministratore delega­to, il presidente è il ministro degli esteri, colui che tratta e smussa con i soci-fonda­zioni e le autorità, mentre il banker ristrut­tura e pensa alle ulteriori aggregazioni e alla crescita. Però il tandem non dura a lungo. Nel ’99 Rondelli lancia l’Opa su Co­mit mentre il San Paolo si dirige su Banca Roma. Ma Fazio blocca e Cuccia è contra­rio. Nel 2001 infine Rondelli decide di la­sciare in anticipo, dopo che i soci di Uni­credit si sono divisi sulle nomine in Me­diobanca. Paolo Biasi di Cariverona propo­ne alla presidenza dell’istituto Francesco Cesarini, mentre Rondelli sostiene la can­didatura di Berardino Libonati, presentata da Cesare Geronzi, il banchiere oggi presi­dente di Mediobanca che ricorda così Ron­delli: «Un banchiere vero, di grande spes­sore umano e professionale, un vero ami­co ». Alla fine Cingano viene confermato, ma Unicredit decide che nel patto di Piaz­zetta Cuccia Biasi sostituisca Rondelli. E a quel punto la comunità finanziaria intrave­de in Piazza Cordusio l’addio del presiden­te. Che si dimette. Sostituito da Cesarini.

Inizia l’ultima stagione di Rondelli. Con l’ultimo ruolo operativo in banca Italease. Ne denuncia il crac e lo definisce una vi­cenda malavitosa, ma non sarà l’ultima uscita pubblica. Nell’intervista più recente traccia un bilancio della sua vita professio­nale. A suo modo: «Avrei voluto fare il di­plomatico. Ma certo non mi è andata ma­le ». Sergio Bocconi

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Allo sportello Le nuove norme prevedono per le commissioni un limite dello 0,5% - Faissola va all’attacco: no ai tetti anti-mercato - Dopo il decreto sul massimo scoperto. Conte: le banche hanno aggirato le regole

MILANO - L’Abi torna in campo con il governo. Dopo aver chiesto l’altro ieri chiari­menti in merito all’attività dei Prefetti per funzionamento del­l’Osservatorio sul credito, il presidente dell’Associazione, Corrado Faissola, è intervenu­to ieri nella questione sul mas­simo scoperto. Durante un’au­dizione davanti alla Commis­sione Finanze della Camera, Faissola ha detto che «la defini­zione per legge del livello di un prezzo costituisce una misura antitetica alla logica del merca­to e al dispiegarsi della concor­renza fra operatori che su quel mercato sono attivi».

L'articolo 2 prevede, in parti­colare, che la commissione di massimo scoperto non possa comunque superare lo 0,5% per trimestre dell'importo dell' affidamento, pena la nullità del patto di remunerazione. «Noi siamo sempre nettamente con­trari a interventi legislativi che definiscono prezzi attinenti al­la nostra attività - ha aggiunto Faissola - . Se può considerarsi ragionevole il varo di disposi­zioni che presidino il terreno della trasparenza in modo più puntuale di quanto non già re­golato in via generale, appare singolare, e in definitiva non positivo per la stessa clientela, l'imposizione per legge di limi­ti quantitativi massimi a corri­spettivi liberamente pattuiti per servizi resi».

I nuovi vincoli potrebbero andare a intaccare i conti degli istituti che sono ancora alle pre­se con la coda delle crisi finan­ziaria. «Al momento - ha con­cluso Faissola - è presto per de­lineare le ripercussioni delle nuove misure sui bilanci e non ci sono nemmeno stime sull' impatto del primo decreto. Ma la mia impressione è che ci fos­se già prima una bella legnata e non è che ora cambi molto».

A difesa dell’azione del go­verno è intervenuto il presiden­te della Commissione Finanze, Gianfranco Conte (Pdl): «Le nuove norme sulle commissio­ni bancarie sono una diretta conseguenza dell’atteggiamen­to delle banche, che a fronte di una norma deliberata dal Parla­mento hanno cercato vie traver­se per applicare lo stesso una commissione » . Fausta Chiesa

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Assemblea Ania La proposta di Scajola. Cerchiai: sì, ma dipende dalle garanzie dello Stato - Un prestito-infrastrutture dalle assicurazioni

ROMA — Destinare una parte delle «ingen­ti riserve finanziarie (450 miliardi) al finanzia­mento di progetti di sviluppo e al potenzia­mento delle infrastrutture». È l’appello lancia­to dal ministro dello Sviluppo, Claudio Scajo­la, alle imprese assicurative riunite ieri nell’as­semblea annuale associativa dell’Ania, guida­ta da Fabio Cerchiai.

Il ministro ha rivendicato al governo il varo di misure «tempestive anticrisi» a sostegno del settore, nonché il ritorno alle polizze po­liennali, «che non è un regalo ma la correzio­ne di una norma sbagliata». Dopo aver annun­ciato l’interesse del governo a un’assicurazio­ne contro i rischi catastrofali, Scajola ha solle­citato «un più attivo coinvolgimento» delle compagnie «nelle strategie per superare l’at­tuale, difficile congiuntura economica». Il rife­rimento del ministro è a un provvedimento, varato dal governo francese nella Finanziaria 2005, che accordava ai consumatori vantaggi fiscali se avessero acquistato strumenti finan­ziari, anche assicurativi, a condizione che que­sti investissero la raccolta al 30% in azioni, al 10% in fondi pubblici (per l’innovazione e Pmi) e al 5% in azioni non quotate.

Cerchiai ha espresso «piena apertura» a Scajola, aggiungendo tuttavia «che il ministro ha sicuramente ben presente che i nostri inve­stimenti devono rispondere ai criteri di conve­nienza, liquidità e salvaguardia degli assicura­ti ». In sostanza il presidente di Ania ha mostra­to una maggior propensione all’ipotesi di nuo­vi prodotti assicurativi con una simile vocazio­ne, lasciando intendere che sarebbe molto più difficile intervenire su quelli già esistenti.

Nell’illustrare lo stato del settore, Cerchiai ha detto che non ci sono stati casi di crisi aziendale né richieste di aiuti pubblici. Una cu­riosità: il totale dei crediti vantati dalle compa­gnie italiane verso la Lehman Brothers, l’istitu­to finanziario fallito negli Usa, è di circa 2,7 miliardi di euro, lo 0,5% del totale degli attivi. Tali compagnie hanno offerto ai risparmiato­ri, cui fa capo l’80% dei prodotti, titoli alterna­tivi o conservazione del valore nominale del capitale investito. Il presidente dell’Isvap (isti­tuto di vigilanza), Giancarlo Giannini, ha an­nunciato uno stress test sul settore.

Cerchiai ha affermato che «i risultati finan­ziari hanno risentito inevitabilmente della cri­si ma la gestione industriale si è mantenuta ancora positiva sia pure in presenza di preoc­cupanti segnali di peggioramento» dell’Rc au­to ». Qui il conto economico, per la prima vol­ta dal 2001, è risultato in perdita «seppur lie­ve ». Insomma se non si riuscirà a intervenire «incisivamente» sui costi dei sinistri e di ge­stione, saranno le tariffe a risentirne. Una du­ra critica alle liberalizzazioni dell’ex ministro Bersani, le «lenzuolate», è venuta sia da Scajo­la che da Cerchiai, che ha auspicato un tavolo per «correggere le norme sbagliate».

Intanto nel ramo vita i primi 4 mesi dell’an­no hanno visto un aumento della produzione di oltre il 25% sull’anno precedente. La previ­sione per tutti i rami nel 2009 è di un aumen­to della raccolta del 5,4%, a fronte di una dimi­nuzione del 7,1% stimata per il 2008. Antonella Baccaro

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Le classifiche di Thomson - Mediobanca prima per volumi, Intesa per numero di operazioni

Fusioni e acquisizioni in frenata nei primi sei mesi dell’anno sia a livello mondiale (-40,2% a 941 miliardi di dollari le operazioni annunciate nel periodo; -57,6% a 7,9 miliardi le commissioni incassate), sia in Italia (-57,5% a 30 miliardi). Nel nostro Paese, Mediobanca è in testa alla classifica per controvalore, secondo le rilevazioni sul settore M&A (merger and acquisitions) di Thomson Reuters, inseguita da una pattuglia di gruppi stranieri molto attivi in Italia. Intesa Sanpaolo è prima per numero di operazioni completate nel semestre. Piazzetta Cuccia conta 17 transazioni come advisor per 18,4 miliardi di dollari (-57,4%) annunciate nei primi sei mesi del 2009 e nello stesso periodo ne ha realizzate 13, Intesa Sanpaolo (attraverso Banca Imi) è 12esima (-79%) con 16 deal (per 3,3 miliardi). Intesa, che ha realizzato il maggior numero di operazioni nel semestre, si avvia a guadagnare posizioni nel terzo trimestre quando potrà esibire la maxi-operazione, già chiusa, Enel-Acciona

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

La disoccupazione record piega le Borse - Senza lavoro in crescita negli Usa e in Europa. Italia, il deficit del primo trimestre al 9,3% del Pil

ROMA — Dopo la speranza che il peggio fosse alle spalle, la crisi economica presenta il vol­to peggiore, quello della disoc­cupazione. Negli Usa e in Eu­ropa vola al 9,5%. A giugno gli Stati Uniti hanno perso 476 mila posti di lavoro, 120 mila più delle stime degli analisti. Si tratta del record negativo degli ultimi 25 an­ni. Così Eurolandia ha eli­minato 273 mila occupati facendo balzare a 15 milio­ni i senza lavoro. Sono nu­meri choc che hanno «pro­fondamente deluso e preoc­cupato » il presidente america­no Barack Obama e trasformato i mercati in una Waterloo finan­ziaria. Wall Street ha accusato un ribasso di oltre il 2% mentre l’Europa (indice Dj) ha perso il 2,55% bruciando in una giorna­ta 102,5 miliardi di euro. Il gio­vedì nero delle Borse ha visto Milano arretrare del 2,65%, Francoforte del 3,81%, Parigi del 3,13%, Londra del 2,45%.

Se l’Italia è stata colpita me­no degli altri sul fronte disoccu­pazione (7,4% a marzo) la crisi si è però scaricata sui conti pub­blici. Secondo l’Istat il rapporto deficit-Pil nel primo trimestre dell’anno ha raggiunto quota 9,3%, il peggior dato degli ulti­mi dieci anni. L’anno scorso era al 5,7%. È vero che, fisiologica­mente, nei primi mesi dell’anno aumentano le spese e calano le entrate, ma resta la forza del da­to che dovrebbe rientrare en­tro il tasso annuo del 5% pre­visto dalle principali stime. Così, a cascata, il primo tri­mestre mostra il saldo primario (indebitamen­to al netto degli interes­si passivi) negativo per 16 miliardi di euro con una inci­denza del 4,6% sul Pil rispetto al meno 0,8% dello stesso periodo dell’anno scorso. In calo anche le entrate fiscali del 2,8% (ten­denziale 2,9%) dovuto all’effet­to combinato di una diminuzio­ne delle imposte dirette (-4,6%) di quelle indirette (-4,9%), dei contributi sociali (-0,1%) e della crescita delle altre entrate cor­renti (+ 0,9%).

Una boccata d’ossigeno sui conti pubblici è arrivata dal de­creto anticrisi approvato vener­dì dal governo che, secondo la relazione tecnica del Tesoro alle­gata al testo trasmesso alla Ca­mera, dovrebbe migliorare di quasi 1,4 miliardi di euro il sal­do netto da finanziare nel trien­nio 2009-2011 con un effetto sul fabbisogno dello stesso im­porto. Dalla relazione è emerso inoltre che la stretta sulle com­pensazioni Iva porterà un bene­ficio per le casse dello Stato di 1 miliardo di euro (entro il 2011) mentre un altro miliardo arriva dall’imposta del 6% sulle plusva­lenze sull'oro. Salta invece la norma che in una prima versio­ne del testo prevedeva la rein­troduzione della possibilità di pensionare d’ufficio i dipenden­ti della pubblica amministrazio­ne che avessero maturato i 40 anni di anzianità contributiva.

Come aveva anticipato il se­gretario generale dell’Ocse An­gel Gurria appena dieci giorni fa, la disoccupazione nei Paesi più industrializzati del mondo e quindi quelli più colpiti dalla crisi innescata dai titoli tossici, è la vera piaga da combattere. Il rischio è che aumenti ancora di più il crollo dei consumi inne­scando un pericoloso effetto va­langa. Purtroppo dalle stime nessuna buona notizia: il porta­voce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha indicato che secondo gli esperti dell'amministrazione il tasso di disoccupazione Usa salirà oltre quota 10% nell'arco dei prossimi due-tre mesi.

I 40 anni di contributi Per gli statali salta l’uscita automatica dopo 40 anni di contributi. Roberto Bagnoli

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Vademecum Le misure del decreto - 7 - Le compensazioni tra crediti e cartelle

Rimborsi fiscali e cartelle esattoriali non viaggeranno più su binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. Ma fi­nalmente troveranno uno sbocco co­mune: le tasche dei contribuenti.

Arriva finalmente in stazione un tre­no partito ancora nel 2006: il decreto legge 262 aveva, infatti, stabilito la pos­sibilità di compensare i crediti tributa­ri con le somme iscritte a ruolo da par­te dell’Agenzia delle entrate. In pratica l'opportunità di sfruttare un rimborso Irpef, ad esempio, per far fronte a una cartella, si spera non pazza.

Ora, due anni dopo, la procedura è stata messa finalmente in moto. I pri­mi a beneficiarne saranno circa 170.000 contribuenti, tutte persone fisi­che, per un importo di 100 milioni. Fa­cendo un rapido calcolo si tratta in me­dia di 600 euro che invece di essere spe­si saranno risparmiati. Nella presunzio­ne, abbastanza ovvia, che le cartelle so­no in genere più veloci dei rimborsi.

È una delle tante novità del Fisco d’estate. Che si accompagna ad altre in­novazioni apportate dal decreto anticri­si sempre sul fronte delle compensazio­ni, cioè la possibilità di pareggiare debi­ti e crediti verso il Fisco. Uno dei frutti migliori del processo di semplificazio­ne avviato a metà degli anni novanta, poi in parte interrotto. Tentiamo un bi­lancio delle varie misure.

Rimborsi. Il contribuente che ha chiesto un rimborso al Fisco, ed è stato contemporaneamente iscritto a ruolo, riceverà nelle prossime settimane una comunicazione da parte dell'ente inca­ricato della riscossione con cui, in buo­na sostanza, viene proposta la compen­sazione, ovvero uno scambio tra le somme che sta aspettando e quelle che dovrebbe pagare per qualche infrazio­ne commessa. Ci sono 60 giorni di tem­po per accettare.

Dire sì è la soluzione più convenien­te perché tanto prima o poi la cartella arriverà. Inoltre l’accettazione blocca ogni azione esecutiva da parte del­l’agente della riscossione. Rifiutare non conviene perché comporta, oltre­tutto, il pagamento da parte del contri­buente degli oneri della procedura. Una norma che appare abbastanza stra­na. La spesa dovrebbe essere a carico dello Stato.

Tutto bene? In apparenza sì, ma con un piccolo neo. Negli ultimi anni le car­telle pazze non si sono sprecate e, quin­di, c’è il rischio di scambiare un credito buono con un debito cattivo. Si spera, quindi, che l’invio della comunicazio­ne avvenga dopo un’attenta verifica. La compensazione tra rimborsi e cartelle dovrebbe poi riguardare ogni tipo di somma iscrivibile a ruolo.

Dalla procedura sono esclusi i rim­borsi del 730. E non possono benefi­ciarne gli eredi di contribuenti decedu­ti né chi ha scelto la rateizzazione.

Iva. Il decreto anticrisi ha rallentato la procedura di compensazione dei cre­diti Iva superiori ai 10.000 euro. Il credi­to potrà essere utilizzato solo dopo la presentazione della dichiarazione. In pratica i tempi si allungano. La denun­cia annuale, però, potrà essere presen­tata separatamente da Unico, in antici­po rispetto a oggi, in modo da non pe­nalizzare eccessivamente i contribuen­ti. Inoltre sarà necessario farsi apporre il visto di conformità da un commercia­lista o da un consulente del lavoro.

Tetto. Dal 2010, se le finanze pubbli­che lo permetteranno, sarà innalzato da 500.000 a 700.000 euro il tetto dei crediti che si potranno utilizzare in compensazione. Massimo Fracaro

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Trichet: «Ripresa nel 2010 E adesso le banche siano più responsabili» Gli Usa: ancora mesi per uscire dalla crisi

FRANCOFORTE - Per il se­condo mese consecutivo la Ban­ca centrale europea ha lasciato invariato all’1% il costo del de­naro di Eurolandia, giudicando­lo «appropriato». Un segnale, questo, colto dai mercati come anticipatore di tassi di interes­se costanti per i prossimi mesi. Tuttavia, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha lasciato aperta la porta a eventuali tagli («non abbiamo detto che que­sto è il livello più basso dei sag­gi di interesse») se la situazio­ne dovesse peggiorare ancora. Anche ieri, il banchiere centrale francese ha visto provenire dal­l’economia indicazioni che se­condo la Bce riflettono una atte­nuazione della crisi. Alla quale dovrebbe succedere prima una stabilizzazione. Poi, solo fra un anno, a metà del 2010, arriverà una «graduale ripresa», sulla scia delle significative misure di stimolo varate in tutte le maggiori economie, che «do­vrebbero sostenere la crescita globale, inclusa quella del­l’area­ euro». Le previsioni re­stano però sotto la spada di Da­mocle di «effetti avversi ritar­danti », come l’aumento della di­soccupazione - salita in maggio al 9,5% in Eurolandia, e all’8,7% nella Ue, il dato peggiore da die­ci anni - il cui impatto potrebbe far peggiorare le aspettative, e quindi i consumi e gli investi­menti. Da qui la cautela nel to­no di Trichet, colta dai mercati in modo negativo. E il dato sul­l’occupazione negli Stati Uniti ­balzata al 9,5% in giugno - ha fatto fare previsioni grigie al presidente Barack Obama che ha detto: «Ci vorranno ancora mesi per uscire dalla crisi».

Il numero uno della Bce ci ha tenuto a rassicurare i mercati che l’inflazione, scesa a livelli negativi (-0,1%), era largamen­te attesa, ed è legata a «fattori temporanei». Per i prossimi me­si è previsto un «ritorno a valo­ri positivi», che tuttavia reste­ranno deboli anche l’anno pros­simo.

Anche per questo, e di fronte a una crescita anemica per tutto il 2010, Trichet ha esor­tato i governi a tornare a pensa­re al risanamento dei bilanci pubblici a partire dal 2011, per non minare la fiducia dei merca­ti. Nel frattempo, Trichet ha spiegato che anche la Bce ha im­postato tutte le manovre, anche quelle straordinarie di conces­sione illimitata di liquidità alle banche (l’ultima, di settimana scorsa, pari a 442 miliardi di eu­ro), in base a una «exit strategy facile». Ciò permetterà un dre­naggio della liquidità in linea con gli obiettivi di controllo del­l’inflazione. Nel frattempo, la Bce ha fornito dettagli su un al­tro provvedimento straordina­rio, l’acquisto di 60 miliardi di «covered bonds», sul mercato primario e secondario, che parti­rà dal 6 di luglio. Ora, secondo Trichet, «spetta alle banche as­sumersi piena responsabilità nell’assicurare il credito» all’eco­nomia, e trarre vantaggio delle diverse possibilità offerte per rafforzare i loro bilanci, in parti­colare «tramite aumenti di capi­tale » . Marika de Feo

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Accordo Ue-Bei - Arriva il microcredito per chi perde il posto

Fornire microcrediti a piccole imprese e a chi ha perso il posto di lavoro e vuole avviare un'attività in proprio. È l'iniziativa lanciata dalla Commissione europea per contribuire ad arginare la disoccupazione in Europa. La dotazione iniziale di 100 milioni di euro dovrebbe aumentare a più di 500 con l’intervento della Bei, la Banca europea degli investimenti.

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Il viaggio Il presidente della Repubblica popolare alla vigilia della sua missione in Italia - Hu Jintao: «La Cina vuole un’Europa forte e appoggia la riforma del sistema finanziario» «Un rapporto strategico con l’Ue basato sullo spirito di uguaglianza e il mutuo rispetto»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - PECHINO — Dieci anni dopo Jiang Zemin, domenica 5 tocca al presidente cinese Hu Jintao imbarcarsi per Roma in una visita di Stato su invito dell’omologo Giorgio Napolitano. Con la Repubblica popolare ormai cooptata fra i protagonisti del palcoscenico mondiale, dall’8 al 10 Hu parteciperà al G8+5 dell’Aquila. E’ una formula che va incontro alle aspettative di Pechino che ritiene, come ha ricordato ancora ieri il vice ministro degli Esteri He Yafei, «la struttura del G8 non equilibrata». Hu, che ha risposto per iscritto ad alcune delle domande del Corriere, è anche segretario del Partito comunista e capo della Commissione militare: nella giornata di lunedì 6, oltre che Napolitano, incontrerà il premier Silvio Berlusconi e i presidenti delle Camere.

Pur con una parentesi «turistica» (Venezia, Firenze, Pisa), sarà un viaggio dal forte connotato economico perché coincide con una missione d’acquisto di 300 imprenditori cinesi che cercheranno opportunità d’investimento o chiuderanno contratti già avviati; la delegazione proseguirà poi per Svezia, Finlandia e Portogallo (a Lisbona, dopo il G8, Hu sarà in visita di Stato). Nei primi 5 mesi del 2009 la Cina è l’unico mercato in cui l’Italia sia in crescita. E se dal 2001, anno dell’ingresso della Cina nel Wto, l’interscambio è passato da 7,8 miliardi di dollari ai 28,3 del 2008, il maggio scorso ha segnato un +19% nelle esportazioni sul 2008. Roma e Pechino sigleranno diversi accordi circa economici e commerciali e di cooperazione in numerosi settori, tra cui turismo e rapporti culturali.

«Da quest’ultimo punto di vista — chiosa l’ambasciatore Riccardo Sessa — Italia e Cina assumono lo status di vere e proprie superpotenze culturali». M.D.C. di MARCO DEL CORONA

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

L’andamento dei rapporti tra Cina e Italia

«Cina e Italia sono due Paesi di civiltà antica, i buoni contatti tra i due popoli risalgono a tempi remoti. Nei 39 anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche i rapporti bilaterali hanno superato le prove rappresentate dai mutamenti del­lo scenario internazionale, conoscendo continui progressi. Soprattutto nel 2004, quando Cina e Italia hanno stabili­to il Partenariato strategico globale, i contatti istituzionali ad alto livello tra le due parti si sono intensificati, scambi e cooperazioni in ogni settore si sono ra­pidamente allargati, con strette consul­tazioni sul piano internazionale. Il Comi­tato governativo Italia-Cina ha svolto un importante ruolo nel pianificare e coordinare i rapporti bilaterali. Da ricor­dare, in particolar modo, che negli ulti­mi anni la cooperazione bilaterale è sta­ta fruttuosa e ha portato benefici consi­stenti ai due popoli. L’Italia è il quinto partner commerciale e il terzo Paese di provenienza d’investimento per la Cina nella Ue. Nonostante la scossa della cri­si finanziaria internazionale, l’inter­scambio commerciale bilaterale del 2008 ammontava a più di 38 miliardi di dollari (quasi 27 miliardi di euro, ndr) e gli investimenti reciproci tra i due Paesi sono sempre più dinamici. Nel 2008 tra le due parti è stata firmata la Dichiara­zione congiunta sulle Cooperazioni nel campo scientifico e tecnologico, i relati­vi meccanismi di intesa hanno funziona­to bene, incentivando le collaborazioni in materia. La cooperazione sulla tutela ambientale è esemplare, si sono ottenu­ti buoni risultati nell’adempimento del­le convenzioni internazionali, nella pro­mozione del risparmio energetico e del­la riduzione delle emissioni, ed è stato sostenuto l’impegno di Pechino per un’Olimpiade 'verde'… Gli scambi cul­turali sono stati vari e ricchi, l’amicizia ormai è radicata nel cuore dei nostri po­poli. L’anno scorso la Cina ha organizza­to un festival culturale cinese in Italia molto applaudito dal pubblico.

Gli italiani sono molto abili nell’inte­grare antico e moderno. Lo splendore della civiltà romana e del Rinascimento ha influenzato a lungo e profondamen­te l’umanità. Oggi l’Italia, con la sua eco­nomia avanzata, svolge ruoli importan­ti negli affari regionali e internazionali. Tra Italia e Cina esiste un vasto orizzon­te di cooperazione in ogni settore. L’an­no prossimo avremo il 40° anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra Roma e Pechino: vogliamo cogliere quell’occasione e impegnarci con la par­te italiana, partendo dalla situazione ge­nerale dei rapporti bilaterali, per raffor­zare la fiducia politica reciproca, intensi­ficare gli scambi, approfondire concreta­mente le cooperazioni e promuovere lo sviluppo economico sociale dei nostri Paesi. Vogliamo anche intensificare le cooperazioni negli affari internazionali, affrontare le sfide globali rappresentate soprattutto dalla crisi finanziaria e crea­re un futuro ancora migliore per i rap­porti tra Cina e Italia».

La crisi finanziaria: le misure prese dalla Cina e i risultati ottenuti

«Affrontare la crisi finanziaria è una sfida comune per l’intera Comunità in­ternazionale. Bisogna che tutti i Paesi collaborino: solo così si riuscirà a supe­rare le difficoltà del momento. Sotto questo profilo, la Cina s’è impegnata po­sitivamente e costruttivamente, con mi­sure che si riflettono principalmente in diversi aspetti.

Primo: la Cina ha mantenuto uno svi­luppo economico stabile e relativamen­te veloce. Dopo l’avvio della crisi, il go­verno cinese ha adottato tempestiva­mente una politica finanziaria attiva e una politica monetaria moderatamente flessibile e ha lanciato un pacchetto di progetti mirati ad aumentare la doman­da interna e incentivare lo sviluppo sta­bile e relativamente veloce della pro­pria economia. Attualmente tali misure hanno influito positivamente sulla per­formance economica della Cina e la con­giuntura economica, in generale, tende a stabilizzarsi. Con un miliardo e 300 milioni di abitanti, se la Cina riuscisse a realizzare gli obiettivi mirati ad assicu­rare la crescita economica, a migliorare il tenore di vita dei cittadini e a salva­guardare la stabilità sociale, ebbene, sa­rebbe già di per sé un contributo rile­vante sul piano internazionale contro la crisi finanziaria.

Secondo: la Cina ha partecipato posi­tivamente alle due sessioni del G20 e l’ha spinto a ottenere risultati positivi per ripristinare la fiducia nel mercato. La Cina lavorerà assieme ai Paesi inte­ressati per far sì che il G8+5 dell’Aquila contribuisca a incoraggiare la comunità internazionale perché fronteggi unita la crisi finanziaria, accelerando la ripresa economica mondiale.

Terzo punto: la Cina ha partecipato at­tivamente alle varie forme di collabora­zione internazionale per contrastare l’impatto della crisi. Nonostante le gran­di difficoltà, Pechino ha mantenuto un tasso stabile di cambio della propria moneta. La Cina ha aderito attivamente ai progetti per sostenere le istituzioni fi­nanziarie internazionali, ha appoggiato anche il finanziamento delle banche di sviluppo regionali, con l’obiettivo di raf­forzare la cooperazione finanziaria, indi­spensabile sia per il commercio multila­terale sia per quello regionale e bilatera­le. La Cina ha stipulato accordi bilatera­li per scambi di valute con Paesi e regio­ni per 650 miliardi di renminbi (circa 67 miliardi di euro, ndr ). Pechino con­tribuisce alla costituzione di una riser­va regionale di valute nel quadro della formula Asean + Cina, Giappone e Co­rea del Sud (l’Asean riunisce i 10 Paesi del Sudest asiatico, ndr ). La Cina ha or­ganizzato più volte missioni d’acquisto all’estero e promette esplicitamente di aumentare gli aiuti verso i Paesi africa­ni e di cancellare o ridurre i loro debiti. La Cina promuove lo sviluppo sano e stabile del commercio internazionale, favorisce i negoziati di Doha del Wto per ottenere quanto prima risultati com­pleti ed equilibrati.

Quarto: la Cina promuove il rafforza­mento delle organizzazioni finanziarie internazionali e chiede di intensificare la supervisione dei mercati finanziari. La Cina è favorevole all’aumento delle risorse del Fondo monetario internazio­nale, della Banca mondiale e degli altri organismi finanziari internazionali, che esorta ad ampliare il diritto di parola e la rappresentanza dei Paesi in via di svi­luppo. Chiede poi di incrementare il mo­nitoraggio sulle politiche macroecono­miche delle economie le cui divise van­no a costituire le riserve valutarie».

Le relazioni, oggi, tra Cina ed Europa

«Quest’anno, con l’impegno comune delle due parti, le relazioni sino-euro­pee hanno superato le difficoltà e le vi­cissitudini precedenti e sono tornate nel binario normale di uno sviluppo complessivo. Nella prima metà del 2009 i contatti istituzionali di alto livello tra Cina ed Europa sono stati frequenti, il dialogo e le consultazioni sotto diverse forme sono stati gradualmente appro­fonditi e la cooperazione in ogni settore è stata fruttuosa. Poco tempo fa, si è te­nuto con successo l’11° Vertice tra Euro­pa e Cina che ha portato nuove energie per uno sviluppo sano e stabile dei rap­porti sino-europei. Sin dall’inizio, Pechi­no ha attribuito grande importanza ai rapporti con l’Ue e la considera come una delle priorità nella sua politica este­ra. La Cina sostiene il processo d’inte­grazione dell’Ue e accoglie con soddisfa­zione il suo ruolo sempre più utile e rile­vante negli affari internazionali. Le rela­zioni bilaterali sino-europee, sane e sta­bili, hanno riflettuto gli scambi sinceri di due grandi e antiche civiltà, che testi­moniano i mutui benefici ottenuti dal maggior Paese in via di sviluppo e dal più grande raggruppamento di Paesi avanzati: ciò corrisponde non solo alla corrente della storia, ma sta anche negli interessi dei popoli.

Attualmente, sullo scenario interna­zionale si assiste a profondi cambiamen­ti senza precedenti. Lo sviluppo del mul­tipolarismo e la globalizzazione econo­mica tendono ad approfondirsi, l’inter­dipendenza tra gli Stati è sempre più stretta. Nel frattempo, le questioni co­me la sicurezza alimentare, la sicurezza delle risorse energetiche, la sicurezza della salute pubblica sono sempre più sentite. Il terrorismo, il narcotraffico e la criminalità organizzata transnaziona­le sono sempre più sfrenati. E la pirate­ria è più feroce che mai. Soprattutto la crisi finanziaria sta ancora diffondendo­si e aggravandosi: il suo impatto sul­l’economia reale mondiale è sempre più evidente. La congiuntura economi­co- finanziaria globale preoccupa anco­ra. In questo contesto, la Cina e l’Europa devono continuare a sviluppare il Parte­nariato strategico complessivo perché tale rapporto sta assumendo sempre più valore a livello mondiale. Con spiri­to di uguaglianza, mutuo vantaggio e mutuo rispetto, Pechino e l’Europa de­vono trattare tra loro nel segno di una lungimirante visione strategica e adat­tarsi al mutamento dei tempi. Vogliamo approfondire le intese, coltivare vantag­gi reciproci e realizzare una 'win-win si­tuation', uno scenario in cui vincano en­trambe le parti. L’Italia è uno dei membri più impor­tanti dell’Ue che sostiene da lungo tem­po l’amicizia sino-europea. Siamo desi­derosi di impegnarci assieme ai Paesi dell’Ue, Italia compresa, per promuove­re lo sviluppo costante, sano e stabile del Partenariato strategico complessi­vo sino-europeo, con il fine di benefi­ciare i popoli cinese e europei e di con­tribuire alla pace, alla stabilità e allo svi­luppo mondiali».

Il nuovo contesto internazionale e il ruolo che svolgerà la Repubblica popolare sulla scena mondiale

«Essendo un membro responsabile della Comunità internazionale, la Cina segue con fermezza la strada dello svi­luppo pacifico, adottando con determi­nazione la strategia di apertura e di mu­tuo vantaggio. La Cina desidera svilup­pare intese e amicizia con tutti i Paesi del mondo sotto i cinque principi della coesistenza pacifica e vuole dedicarsi al­la promozione di un mondo armonioso che goda di pace durevole e di comune prosperità. Il mio Paese è determinato a salvaguardare la pace e la stabilità del mondo, propone di risolvere le questio­ni scottanti internazionali tramite nego­ziati diplomatici. La Cina promuove po­sitivamente la collaborazione nel campo della sicurezza internazionale e regiona­le, partecipa alla cooperazione per la non-proliferazione e si oppone a ogni forma di terrorismo. La Cina ha aderito alle missioni di pace dell’Onu ed è la na­zione che ha inviato il maggior numero di caschi blu tra i membri del Consiglio di sicurezza.

Pechino è determinata a promuovere lo sviluppo comune, partecipa attiva­mente nelle sedi internazionali per fron­teggiare la crisi finanziaria, persegue in­cessantemente l’Obiettivo di sviluppo per il Millennio dell’Onu. Nonostante la difficile situazione dovuta alla crisi, la Ci­na ha cancellato o ridotto i debiti di deci­ne e decine Paesi sottosviluppati. Entro il limite delle nostre capacità, continue­remo a fornire aiuti ai Paesi in via di svi­luppo per sostenerli. Con lo sviluppo del nostro Paese, vogliamo promuovere anche quello su scala regionale e mon­diale. La Cina è determinata a impegnar­si in collaborazioni mirate a fronteggia­re le sfide globali. Sono sempre più nu­merose le sfide sullo scenario mondiale, vedi i cambiamenti climatici, la sicurez­za alimentare, la sicurezza energetica, la salute pubblica. In tutti questi campi, la Cina desidera lavorare con i Paesi del mondo. Per quanto riguarda i cambia­menti climatici, la Cina adempie attenta­mente agli obblighi internazionali sanci­ti dalla Unfccc (la convenzione Onu sul cambiamento climatico) e il Protocollo di Kyoto. Nel frattempo, la Cina ha ap­provato e adottato un Piano nazionale per affrontare i cambiamenti climatici che riflette l’atteggiamento serio e atten­to di Pechino sul tema. Circa la sicurezza alimentare, poi, con solo il 9% del suolo coltivabile del mondo abbiamo sostenu­to il 20% della popolazione del pianeta che, di per sé, è già un grande contribu­to alla sicurezza alimentare mondiale.

La Cina promuove la riforma sul siste­ma finanziario internazionale. Esortia­mo le parti ad attuare le decisioni prese durante i G20 di Washington e di Lon­dra. Come ho già detto, vogliamo raffor­zare i controlli sui mercati finanziari e promuovere la riforma sul sistema finan­ziario internazionale e, appunto, incre­mentare la rappresentanza e il diritto di parola dei Paesi in via di sviluppo. E’ no­stro desiderio promuovere l’ordine fi­nanziario internazionale a orientarsi con linee di imparzialità, ragionevolez­za, tolleranza, gradualità. La Cina, ripe­to, desidera che i negoziati di Doha giun­gano a risultati completi ed equilibrati. E Pechino si impegnerà per migliorare le condizioni del commercio e degli inve­stimenti internazionali, per opporsi a ogni forma di protezionismo».

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

Lettera sul lavoro Pressione fiscale ridotta come incentivo all’occupazione - «Donne più tardi in pensione ma meno tasse»

di PIETRO ICHINO

Caro direttore, nel 1969 la Corte Costituzionale italia­na spiegò con queste parole per­ché riteneva giusto che le don­ne andassero in pensione prima degli uomini: «Rientra fra i pote­ri del legislatore anche quello di limitare nel tempo il periodo in cui la donna venga distratta dal­le cure familiari e di consentire che, giunta ad una certa età, es­sa torni ad accudire esclusiva­mente la famiglia».

Una sentenza del novembre scorso del­la Corte di Giustizia europea ha condan­nato invece l’Italia a rimuovere questa dif­ferenza di trattamento, almeno nel setto­re dell’impiego pubblico. E, poiché l’Ita­lia non se ne è data per intesa, ora la Commissione europea ha aperto una pro­cedura di infrazione, che potrebbe co­starci molto cara se non ci affretteremo a ottemperare.

Molti ancora oggi, a destra come a sini­stra, non si rassegnano a questo obbligo comunitario; ma le parole della Corte Co­stituzionale di quaranta anni fa oggi sba­lorditive, eppure limpidissime nel chiari­re la vera logica della differenziazione so­pravvissuta fino a oggi dovrebbero indur­ci a parificare al più presto i limiti di età per la pensione anche nel settore priva­to. È indispensabile per rompere il circo­lo vizioso della discriminazione che ali­menta se stessa: «Poiché tu donna hai sopportato una parte maggiore del lavo­ro informale di cura familiare, in cambio ti mandiamo in pensione prima; poiché ti mandiamo in pensione prima, non la­mentarti se ti riserviamo più il lavoro do­mestico che il lavoro professionale». Ac­cade così che, a parità di popolazione con la Gran Bretagna, in Italia ci siano 4 milioni di donne in meno nel mercato del lavoro.

Resta l’obiezione: le donne perdono il «risarcimento» della possibilità di pen­sione anticipata, ma la discriminazione ai loro danni, in azienda come in casa, re­sta quella di prima. È vero. E questo è il motivo per cui tutte le risorse che si ri­sparmiano con la parificazione graduale delle età pensionistiche, ma anche molte di più, dovranno essere «restituite» alle donne, con misure vigorose di promozio­ne della parità effettiva. In questo spirito è stata presentata recentemente da tre donne che conoscono bene il problema, Marina Piazza, Anna Maria Ponzellini e Anna Soru, una proposta interessante: scambiare l’innalzamento dell’età pensio­nabile con il riconoscimento ai fini previ­denziali dei periodi dedicati alla cura fa­miliare. Come? Per esempio, estendendo la tutela per la maternità (compresa la contribuzione figurativa) a tutte le madri, anche se non impegnate in un rapporto di lavoro; ma anche assicurando a ogni coppia di genitori dei congrui periodi di congedo (con contribuzione figurativa e indennità pari al 60% della retribuzione), ulteriori rispetto a quelli già oggi disponi­bili e proporzionati al numero dei figli.

Il problema è che dei congedi parenta­li godono molto di più le donne degli uo­mini, anche perché le mogli guadagnano mediamente meno dei rispettivi mariti: è più conveniente, quindi, che in fami­glia il reddito di lavoro parzialmente sa­crificato sia quello femminile. Si corre co­sì di nuovo il rischio che l’incremento della protezione alimenti il circolo vizio­so a danno del tasso di occupazione fem­minile, oggi in Italia innaturalmente bas­so.

Un modo per uscirne è questo: una de­tassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, come «azione positiva» fina­lizzata a produrre quell’aumento drastico dell’occupazione regolare delle donne che l’Unione Europea ci chiede e finora non siamo stati capaci di realizzare. Oggi su uno stipendio mensile di mille euro gravano 110 euro di imposta. Ridurre quei 110 euro a 10 per le retribuzioni delle don­ne costerebbe allo Stato circa 4 miliardi l’anno: è, lira più lira meno, quello che è costata l’abolizione dell’Ici sulle case dei più ricchi, disposta dal governo all’inizio di questa legislatura. In parte, comunque, questa misura si ripaghe­rebbe da sola, per effetto dell’allargamento della ba­se produttiva: domanda e offerta di lavoro femmini­le sono infatti molto più elastiche rispetto al lavo­ro maschile, quindi ri­sponderebbero bene al­l’incentivo. E quando in fa­miglia ci sarà un reddito tassato di più e uno tassa­to di meno, sarà più facile che a essere sacrificato parzialmente con la richie­sta di congedo parentale sia quello tassato di più. Per la copertura finanzia­ria di questa misura fisca­le basterebbe il 5 per cento dei 70 miliar­di che lo Stato spende ogni anno per l’equilibrio del bilancio pensionistico. Ne varrebbe davvero la pena.

In un convegno svoltosi nei giorni scorsi a Milano il deputato della maggio­ranza Giuliano Cazzola si è detto disponi­bile per un’iniziativa di questo genere. Se anche i ministri Tremonti e Sacconi lo fossero, una iniziativa bipartisan di que­sto genere potrebbe, nel giro di pochi an­ni, cambiare faccia al mercato del lavoro italiano.

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CORRIERE DELLA SERA venerdì 3 luglio 2009

SEGNALI DI RIPRESA E NECESSITÀ DI VIGILANZA - Banche, non abbassare la guardia sulle regole

di SALVATORE BRAGANTINI

Sono passati due anni dall’inizio della crisi e le banche hanno già ingoiato aiuti pubblici per migliaia di miliar­di: bisogna definire in fretta le nuove rego­le e l’architettura della vigilanza, prima che passi la paura e il santo sia gabbato. Il 17 giugno gli Usa han definito la nuova vi­gilanza, che resta sì balcanizzata ma raffor­za la Fed. In Congresso sarà dura per Oba­ma: i Big della finanza, ringalluzziti dal so­stegno pubblico, daranno battaglia, so­prattutto per continuare a trattare fuori dai mercati regolamentati — e quindi con grandi utili — i famigerati Credit Default Swap.

Le linee della vigilanza nella Ue sono sta­te fissate il 19 giugno dal Consiglio euro­peo, in base alle proposte del Gruppo de Larosière ( Corriere del 2 marzo scorso). Va detto che il disegno istituzionale non è tutto. Esso è cruciale, specie in un’entità complessa come la Ue, ma avranno alme­no altrettanto peso le nuove regole, sulle quali il Financial Stability Board (presiedu­to da Mario Draghi) sta costruendo il con­senso di chi dovrà recepirle e applicarle.

Il sistema de Larosière è un compromes­so, grigio ma realistico, fra le esigenze di sorveglianza sopranazionale e le gelosie degli Stati membri; lo schema approvato dal Consiglio europeo è un ulteriore com­promesso al ribasso, che lascia molte om­bre, e qualche speranza. Gordon Brown ha avuto la sua libbra di carne; il Regno Unito, che finge di voler uscire ma non può farlo, getta sabbia nell’ingranaggio della Ue. È grave che salti — per protegge­re la City — la competenza delle autorità europee sul post trading (compensazione e regolamento delle operazioni in titoli). È questa infatti un’area naturaliter soprana­zionale; i costi delle operazioni fra un Pae­se e l’altro nella Ue sono troppo alti.

Ancor più serio è il danno derivante dal­l’aver statuito il principio — a prima vista ovvio — che le decisioni delle Autorità eu­ropee non devono comportare obblighi a carico del bilancio degli Stati membri. Cer­to, in passato era pacifico che la vigilanza su una banca spettasse allo Stato in cui ha sede, cui tocca l’eventuale salvataggio. L’emergere dei gruppi cross border ha cambiato le cose, e per tener conto del mu­tato quadro de Larosière propone non so­lo il rafforzamento dei collegi internazio­nali di supervisori, ma soprattutto di con­sentire alle Autorità europee di assumere, in casi determinati, decisioni vincolanti per quelle nazionali.

Timorosa dell’attentato alle sue compe­tenze, però, Londra ha fatto barriera. I dan­ni prodotti dalle grandi banche della pic­cola Islanda sul suo territorio l’hanno co­stretta a sopportare i costi di un’insolven­za forestiera. La lezione che Londra ne ha tratto è che serve meno Europa, e bisogna modificare il passaporto europeo, in base al quale una banca autorizzata da uno Sta­to membro può operare negli altri. È un peccato che il governo abbia ignorato il pa­rere della sua Autorità nazionale, la Fsa, che in un recente rapporto mostra invece una velata preferenza per imboccare, sia pur a velocità moderata, la strada di più Europa.

Donde viene, allora, la speranza? Dal fat­to che siamo alfine giunti a Rodi, e qui sal­tare bisogna. Il mondo è cambiato troppo per lasciare tutto come prima, o peggio tornare indietro; anche Londra dovrà ab­bozzare. La sopravvivenza del mercato uni­co postula la vigilanza integrata sulla stabi­lità dei grandi gruppi Ue. Perderemo tem­po, ma con i collegi internazionali di de Larosière e le regole uniformi ( single rule­book) per tutta la Ue chieste da Bini Sma­ghi della Bce (e prima da Padoa-Schioppa) intanto progrediremo un po’. In base alla decisione del Consiglio, inoltre, i Comitati di settore — per banche, assicurazioni e mercati finanziari — si trasformeranno in Autorità europee indipendenti, sovraordi­nate a quelle nazionali e in grado di impor­re loro (bilanci nazionali a parte) decisio­ni vincolanti. Vanno infatti superate le ti­midezze dei regolatori nazionali, spesso soggetti ad influenze improprie.

Mentre cresce l’attesa messianica della mitica legge planetaria — a giorni la come­ta del Global Legal Standard illuminerà il cielo sopra Coppito, e anche i miscredenti vedranno — speriamo che il Financial Sta­bility Board segua una linea che la lezione della crisi pare rendere ovvia. Come gesto­ri di un’infrastruttura essenziale — il siste­ma dei pagamenti — e tramite della fidu­cia, le banche godono di protezione pub­blica; vanno perciò scoraggiate, con tutte le leve regolamentari, dall’operare nel ra­mo scommesse, se non nei limiti minimi in cui ciò sia necessario a servire i clienti. Le scommesse si fanno altrove, dai Casinò agli hedge fund: non a spese del pubblico. Errare è umano, perseverare è folle: evitia­mo che l’incentivo perverso a scommette­re si impadronisca ancora dei banchieri, appena la paura si muterà in speranza.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

Deficit al 9,3%, mai così da dieci anni - Dato trimestrale record. La Camera frena il governo: niente collegati, manca il Dpef - Il Pd: i dati sono allarmanti e il governo non può limitarsi a fare spallucce

ROBERTO PETRINI

ROMA - La crisi affossa i conti pubblici. I dati del primo trimestre dell´anno indicano che il rapporto deficit-Pil è schizzato a quota 9,3 per cento, il risultato peggiore da un decennio. I primi tre mesi sono normalmente piuttosto pesanti per i conti pubblici, tuttavia nello stesso periodo del 2008 il deficit si era arrestato al 5,7 per cento e l´anno si era chiuso al 2,7 per cento. Quest´anno, per effetto dello tsunami finanziario, le cose stanno andando molto peggio: lo stesso governo stima un deficit-Pil al 4,6 per cento ma l´imminente Dpef dovrebbe portare questo livello vicino al 5 per cento.

La situazione italiana è aggravata, sul fronte dei conti pubblici, da un calo delle entrate pari al 2,8 per cento e una rincorsa delle spese aumentate in termini tendenziali del 4,6 per cento. Il quadro non migliora se si prendono le cifre dell´intero primo semestre dell´anno: il fabbisogno dello Stato è raddoppiato in dodici mesi come ha indicato il Tesoro mercoledì.

«Il deficit pubblico fa comprendere come si possa e si debba puntare su riforme di rilancio a costo zero per l´erario», ha commentato Fabio Pammolli, direttore del centro economici studi Cerm. Per Marina Sereni (Pd) i dati sonno «allarmanti» e il governo «non deve fare spallucce». Mentre Megale della Cgil sottolinea come il governo spenda «poco e male» e la Cisl chiede politiche anticicliche.

Intanto il decreto anticrisi, che vale 1,8 miliardi (missioni militari comprese), comincia il suo cammino in Parlamento tra le polemiche: l´esame inizierà alla Camera martedì prossimo e il governo ha annunciato che il provvedimento deve essere considerato un collegato alla Finanziaria 2010. Questa intenzione è stata subito stoppata dal presidente dell´assemblea di Montecitorio, Gianfranco Fini: i collegati alla Finanziaria, sottolinea una nota, devono essere indicati nel Dpef che a sua volta deve essere approvato con un risoluzione parlamentare. Poiché il Dpef non è ancora stato presentato, il decreto non può essere considerato «collegato» alla Finanziaria.

Oltre al richiamo di Fini al rispetto del percorso parlamentare ieri la relazione tecnica al decreto ha fornito nuove cifre sul provvedimento anticrisi. La Tremonti-ter avrà il valore di 4,3 miliardi nel periodo 2009-2011 mentre lo slittamento di 4 mesi delle missioni internazionali di pace costerà 510 milioni: su questo ultimo punto c´è da registrare un severo commento della parlamentare Pd, Rosa Calipari che, polemizzando con il ministro della Difesa La Russa, ha denunciato lo «svilimento ad organo consultivo» delle commissioni parlamentari.

Retromarcia del governo, invece, sulla rottamazione dei dirigenti: il testo del decreto legge anti-crisi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ha eliminato per la dirigenza del pubblico impiego e quindi anche per quella medica e veterinaria, la norma che mandava in pensione i diri-genti con 40 anni di anzianità contributiva a discrezione dell´azienda.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

L´Economist - "Non accettare la crisi economica è il vero scandalo dell´Italia"

«La nozione che l´Italia, che ha alle spalle 20 anni di ´under performance´, eviterà l´intero impatto della recessione è fantasiosa». Lo afferma l´Economist che, nel numero in edicola oggi, dedica un articolo all´Italia alle prese con la preparazione del prossimo G8. «Il padrone di casa del summit, Silvio Berlusconi - scrive il periodico britannico - si trova ad affrontare molti scandali sensazionalistici in casa. Ma il più grande dovrebbe essere il suo rifiuto di accettare la portata delle difficoltà economiche dell´Italia».

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

La nuova ondata di disoccupati non è più quella dei precari, ora tocca ai figli del baby boom - Antonio, a casa dopo 20 anni di posto fisso "Ho perso il futuro senza avere colpe" …

ROBERTO MANIA

dal nostro inviato - cinisello balsamo (Milano) - «Mi chiamo Antonio, ho quarantadue anni, vivo a Cinisello Balsamo, sono disoccupato». Disoccupato, senza lavoro, senza più fabbrica. A casa, dopo vent´anni di contratto a tempo indeterminato, posto fisso e nessuna precarietà. La storia di Antonio Narciso da Bitonto, provincia di Bari, è la storia di una nuova generazione di lavoratori a rischio, né vecchi né giovani. Lavoratori garantiti fino al crollo della Lehman Brothers.

Ora sono entrati nelle tabelle dei disoccupati dell´Istat e di Eurostat, e hanno cambiato prospettiva. La loro vicenda sta diventando complementare al racconto di Aldo Nove nel suo "Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese". Quello era il romanzo dei lavoratori flessibili, malpagati, senza futuro. Una generazione diventata matura nell´incertezza e che ora sta passando direttamente dalla precarietà alla disoccupazione. Questo, invece, è l´inizio della storia di una nuova ondata di disoccupati, figli degli anni del baby boom. Che stanno al nord, nella fasce ancora industriali, nelle grandi e medie imprese, nelle province del "voto calloso" conquistato, salvo con rare eccezioni, dalla Lega, nelle aree fortemente sindacalizzate. Sono i disoccupati che, appunto, cominciano ad apparire nei radar delle indagini statistiche. Con le contraddizioni e i bizantinismi del nostro sistema di ammortizzatori sociali. Perché molti - proprio come Antonio - sono in cassa integrazione straordinaria a zero ore. Formalmente avrebbero un posto di lavoro. Eppure la fabbrica ha chiuso i battenti, trasferito le produzioni in un altro posto, incentivato con un bonus l´esodo dei suoi operai. Per ora sono ancora disoccupati di serie A, ma la zona retrocessione, anche per loro, è solo a un passo. Perché, certo, gli oltre 200 mila nuovi disoccupati del primo trimestre dell´anno sono soprattutto precari ai quali non è stato rinnovato il contratto, ma poi c´è anche un pezzo di lavoro industriale che si sta frantumando. Sempre nei primi tre mesi del 2009 l´occupazione è calata dell´1,6 per cento nell´industria, dello 0,4 per cento nelle regioni del nord. E il terziario non assorbe più questa emorragia. Probabilmente siamo solo all´inizio perché l´andamento della disoccupazione si muove in ritardo rispetto al Pil. Vale la pena ricordare che la recessione dei primi anni Novanta registrò un calo del Pil intorno all´1,2 per cento, con un crollo dell´occupazione vicino al 5 per cento. Questa recessione è quattro/cinque volte più grave.

Da Milano a Cinisello Balsamo, passando per Sesto San Giovanni, i capannoni industriali non ci sono più da tempo. Breda, Falck, Magneti Marelli, Pirelli sono nomi che appartengono a un´altra epoca milanese. E la crisi sta falcidiando gli ultimi bastioni industriali. Secondo le elaborazioni della Fiom, la Lombardia si è accaparrata quasi il 26 per cento del totale delle ore di cassa integrazione tra i metalmeccanici. A Milano oltre 20 mila lavoratori sono in cassa integrazione. Le domande sono cresciute del 200 per cento. In autunno la Confapi prevede la chiusura del 10 per cento delle piccole imprese milanesi e l´avvio della mobilità per 8-10 mila lavoratori.

Antonio Narciso abita da sempre a Cinisello anche se la sua azienda, la "Carlo Colombo", stabilimento storico nei semilavorati di rame molto presente sui mercati europei e con clienti importati da Enel a Pirelli, sta (va) ad Agrate Brianza. Il suo ultimo giorno di lavoro è stato il 22 dicembre del 2008. Ma già da luglio di un anno fa si era capito che le cose si stavano mettendo male: crollo della domanda e del fatturato ( - 30/40 per cento), aumento dei costi. Terapia: spostare tutte le produzioni, macchinari compresi, nell´altro impianto di Pizzighettone, provincia di Cremona. E cassa integrazione straordinaria per gli ottanta operai. Fine dei turni per il ciclo continuo. Quei turni di sabato, domenica, di notte che davano reddito, oltre la media della categoria, fino a 1.700 e passa euro al mese, per un quinto livello. La cigs arriva a 870 euro al mese anche se l´incentivo all´uscita non è male: 24 mila euro distribuiti in dodici mesi. Ma finiranno. E poi?

Alla "Carlo Colombo" aveva lavorato anche il padre di Antonio Narciso per 35 anni, dall´arrivo a Milano, fino alla pensione. Lì anche diversi suoi parenti. Storie di immigrazione di un´altra Italia. «Per questo - dice - è stato più difficile accettare l´idea che fosse finita. Ricominciare non è bello». Ecco, ricominciare. Perché l´Italia, il paese della staticità sociale tanto che Antonio fa l´operaio come il padre, non è adatto alle ripartenze. «Ai primi segnali di crisi - racconta - mi sono iscritto alle agenzie private per il collocamento. Ho inviato il curriculum qua e là, da settembre a gennaio. Poi mi è passata la voglia. Sono andato a parlare con i padroni con cui avevo già lavorato. La risposta è sempre stata la stessa: "Siamo messi male anche noi. Dobbiamo mandare via la gente". E nessuno mi ha mai chiamato». E Antonio, ancora quattro anni di mutuo da pagare, una compagna disoccupata («fa qualche ora») con un figlio a carico, ha capito che il suo futuro non sarà più tra le tute blu. La trafilatura del rame non sarà più il suo lavoro. Si cambia. Forse. Antonio si è iscritto a un corso di formazione della Regione per diventare infermiere nelle case di cura che assistono gli anziani. Servizi alla persona contro la manifattura. «Ci sarà sempre meno lavoro nell´industria», sostiene. Da metalmeccanico, l´élite della classe operaia, all´informalità delle cure agli anziani. Senza sindacato e con meno tutele. Antonio l´ha messo in conto. «Si ricomincia dal passato», dice. Tra i suoi colleghi è l´unico che si è iscritto a un corso. Gli altri si comportano come i classici cassintegrati: aspettano, illusi, che qualcosa accada. Scommettono sul fatto che chi assume un cassintegrato paga meno perché ha lo sconto fiscale e contributivo. Già, ma chi assume? Hanno fatto di recente un´assemblea alla Cgil di Monza per fare il punto, e nessun´altro sta cercando così un nuovo posto. Non vanno più alla "Carlo Colombo". «Ci fa incazzare. Era la nostra seconda casa. Paghiamo una crisi di cui non abbiamo responsabilità». E questa diventa anche la chiave che pare sollevare i nuovi disoccupati. Essere in tanti fa perdere meno l´identità sociale. «Vergognarmi? E perché? Non sono certo l´unico, qui. E non è colpa nostra. Mi preoccupa l´età perché non sono più un giovane».

Antonio è tornato a scuola. Tutti i giorni dalle 18 alle 22, fino al prossimo mese di aprile. Previsti anche i tirocini nelle cliniche. In classe sono quasi una trentina. E la metà è composta da lavoratori stranieri, rumeni soprattutto.

«È la prima volta che sto a casa. Ho sempre fatto qualcosa. Faccio il casalingo, i mestieri, stiro, lavo, la spesa». È la disoccupazione. «Parola che non si può pronunciare a cuor leggero - hanno scritto una ventina di anni fa Aris Accornero e Fabrizio Carmignani, nel loro "I paradossi della disoccupazione" - . Si deve anzi pronunciare con la dovuta computazione: è un male sociale vergognoso soprattutto per le società sviluppate».

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

Disoccupazione "storica" in Eurolandia e Stati Uniti - Toccata quota 9,5%, allarme di Obama. Borse a picco - La Bce: si rischia una nuova emergenza lavoro, ma nel 2010 arriverà la ripresa

GIOVANNI PARENTE

ROMA - L´inversione di tendenza non è ancora all´orizzonte. Negli Stati Uniti e in Europa si continuano a perdere occupati. Le ultime cifre diffuse ieri hanno fatto segnare risultati record. Dati negativi che hanno trascinato in ribasso tutte le principali Borse europee, in scia a Wall Street, con oltre 100 miliardi di euro bruciati in Europa. Le imprese americane, secondo i dati pubblicati dal dipartimento del Lavoro, hanno tagliato 467mila posti di lavoro a giugno: un valore superiore a quello previsto. Il tasso di disoccupazione ha toccato quota 9,5% che rappresenta il valore più alto registrato dall´agosto del 1983. E il presidente Barack Obama ha ammesso che «ci vorranno ancora mesi» per uscire dalla crisi. Se si tiene conto, infatti, di coloro che hanno smesso di cercare lavoro a tempo pieno e hanno accettato un part time la disoccupazione sarebbe addirittura al 16,5%. Gli economisti prevedevano, invece, in 363mila il numero dei nuovi senza lavoro il mese scorso e un aumento della disoccupazione al 9,6%

Non va meglio in Europa. Sempre ieri, infatti, Eurostat ha diffuso le rilevazioni sul mese di maggio. Anche nei Paesi che compongono l´area euro il tasso di disoccupazione è stato del 9,5% (ad aprile era del 9,3%), quando nello stesso mese di un anno fa era al 7,4%. Allargando il raggio all´Unione a 27, la percentuale si è attestata all´8,9% a maggio 2009 a fronte dell´8,7% di aprile e del 6,8% di dodici mesi prima. I valori registrati a maggio rappresentano la cifra più elevata nella zona euro da maggio 1999 e nell´Unione a 27 dal giugno 2005. L´ufficio europeo di statistica stima in 21,4 milioni il numero di disoccupati dell´Ue, di cui circa 15 milioni nell´eurozona. Con 5 milioni di posti persi nel confronto con maggio 2008. Tra gli Stati membri, i tassi di disoccupazione più elevati sono in Spagna (18,7%), Lettonia (16,3%) e in Estonia (15,6%). Sull´Italia, Eurostat registra un 7,4% relativo al primo trimestre dell´anno. Per Cesare Damiano, responsabile Lavoro del Pd, «le avvisaglie di una autunno estremamente pesante, per quanto riguarda la tenuta dell´occupazione, ci sono tutte».

I possibili spiragli dovrebbero iniziare a intravedersi a partire dal prossimo anno. «Una progressiva ripresa è attesa per la metà del 2010 con tassi di crescita trimestrali positivi» ha ribadito il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Mentre nei prossimi mesi potrebbe verificarsi «un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro». Intanto, il doppio colpo dei dati statunitensi ed europei sulla disoccupazione ha pesato sui mercati azionari. Piazza Affari ha lasciato sul terreno il 2,65%, mentre la maglia nera è andata Francoforte (-3,81%).

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

Pechino prepara lo shopping italiano - Missione di 300 aziende cinesi: nel mirino auto, energia e ambiente. Il nodo protezionismo - Prevale l´attività d´investimento per l´acquisizione di nuove tecnologie e capacità produttive

FEDERICO RAMPINI

dal nostro corrispondente - PECHINO - Dietro il presidente Hu Jintao invitato al G-8, arriva "lo sbarco dei trecento": è la delegazione di imprenditori cinesi che da lunedì perlustrerà l´Italia a caccia di opportunità d´investimento. A guidarla è il ministro del Commercio, Chen Deming, che ha rivelato l´ampio elenco di settori a cui guarda l´industria della Repubblica Popolare: «Il manifatturiero dall´auto al tessile; l´agroalimentare; l´energia; le tecnologie verdi per la protezione dell´ambiente». Il ministro per ora non ha fornito cifre sull´entità degli investimenti previsti. Le analoghe missioni in altri paesi europei dall´inizio dell´anno (Germania, Inghilterra, Spagna, Svizzera), hanno già realizzato 15 miliardi di dollari di acquisizioni e investimenti diretti. A differenza di quanto accadeva in passato, quando le delegazioni cinesi miravano ad accordi commerciali, ora prevale l´attività d´investimento, mirata soprattutto all´acquisizione di nuove tecnologie e capacità produttive all´estero. E´ un´evoluzione che si rispecchia nel boom degli investimenti esteri diretti compiuti dalla Cina: si è passati da 2,7 miliardi di dollari nel 2003 a 52,2 miliardi l´anno scorso. La spedizione cinese dei prossimi giorni visiterà anche Svezia, Finlandia e Portogallo, ma il ministro ha detto che «in Italia ci sarà la delegazione di imprese cinesi più numerosa». E´ un progresso - almeno nelle intenzioni - rispetto al passato, quando il nostro paese non fu tra le mète predilette degli investitori cinesi.

Quanto la visita dei 300 imprenditori si tradurrà in affari concreti, resta da verificare. Al momento è evidente soprattutto l´intenzione di inviare un messaggio politico. «Anche se abbiamo i nostri problemi interni - è il messaggio dei dirigenti di Pechino - siamo disponibili a contribuire alla ripresa dell´economia europea, per contrastare il protezionismo». A lungo l´Italia fu considerata uno dei paesi più ostili alla penetrazione cinese. Acqua passata, al ministero del Commercio di Pechino ora chiudono le polemiche con una citazione leninista: «A volte bisogna fare un passo indietro per farne due in avanti».

Il momento in cui cade questa visita è cruciale. Potenzialmente, la Repubblica Popolare riveste i panni di un salvatore. Mentre in Europa e negli Stati Uniti imperversa la recessione, la Cina ne è rimasta indenne. Ieri il Fondo monetario internazionale ha previsto una crescita del 7,5% del Pil cinese nel 2009, destinata ad accelerare all´8,5% l´anno prossimo. Dunque il "decoupling" o sganciamento c´è stato davvero: la recessione globale non ha contagiato il gigante asiatico, che si è limitato a subìre un rallentamento nella sua crescita. L´exploit cinese non è dovuto solo alla massiccia mobilitazione di spesa pubblica. I consumi nella Repubblica Popolare l´anno scorso sono cresciuti del 15%, con punte del 47% nel mercato dell´auto. Anche depurando il dato dall´impatto della maxi-manovra di investimenti statali (585 miliardi di dollari), resta un aumento netto del 9% nei consumi delle famiglie. Questi dati fanno sperare che la Cina possa diventare la prossima locomotiva della ripresa globale, in una fase in cui i consumatori americani sono in ritirata. Pechino punta a capitalizzare politicamente questo nuovo ruolo, presentandosi come un partner costruttivo e benefico per l´Occidente. La promessa sarà mantenuta? Le imprese europee che operano sul mercato cinese hanno dei dubbi. L´ultima indagine compiuta dalla Camera di commercio europea in Cina fra i propri associati, esprime un verdetto critico. Solo il 22% delle aziende europee presenti a Pechino ritengono che la Cina stia mantenendo gli impegni presi con l´Organizzazione del commercio mondiale. Anche qui si avverte un ripiegamento protezionista, dall´inizio della crisi internazionale. Se il Congresso di Washington ha inserito la clausola "Buy American" nella sua manovra di sostegno alla crescita, Pechino istruisce tutti i rami dell´amministrazione pubblica perché favoriscano le imprese nazionali nelle gare d´appalto, e applichino la regola "comprare cinese".

Hu Jintao al G8 non intende però lasciarsi mettere sul banco degli imputati. Applicando la massima secondo cui la miglior difesa è l´attacco, i leader cinesi arrivano al summit dell´Aquila dopo un crescendo di critiche contro il ruolo degli Stati Uniti nella crisi. La banca centrale di Pechino ribadisce l´esigenza di ridimensionare il dominio del dollaro, e costruire una "nuova valuta di riserva globale", per arrivare a un sistema monetario internazionale più equilibrato. Europei e americani possono controbattere che il renminbi contribuisce ai macro-squilibri mondiali: il Fondo monetario ieri ha confermato che la moneta cinese è artificialmente sottovalutata, quindi offre un vantaggio competitivo alle esportazioni made in China. Per il ministro del Commercio la parità tra euro e renminbi deve restare fuori dall´agenda della visita in Italia: "Discuterne non rientra negli scopi della nostra missione".

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

Rc auto, nuovi aumenti in arrivo "Il settore non è in equilibrio"

LUCIO CILLIS

ROMA - All´assemblea dell´Ania il presidente Fabio Cerchiai traccia il profilo del mondo assicurativo. La raccolta 2008 è in rosso del 7,2%, per una perdita di quasi 2 miliardi di euro. Se nel complesso il settore dovrebbe ritrovare la crescita nel 2009, di pari passo potrebbero tornare caldi i listini della Rc auto. La frenata dei prezzi (un -3,6% contestato dai consumatori), non è stata accompagnata da una riduzione dei costi: nel 2008 su 100 euro di premi incassati le imprese ne hanno spesi 101. Inoltre la frequenza dei sinistri è più alta rispetto agli altri Paesi europei: è del 40% più elevata della Germania e il doppio della Francia. «Il risultato - spiega Cerchiai - è che il settore delle polizze auto non è più in equilibrio». E quindi, «se non si riuscirà ad intervenire sui costi la tendenza alla progressiva riduzione dei prezzi è destinata ad interrompersi».

Cerchiai, con il sostegno del ministro dello Sviluppo Claudio Scajola, punta poi l´indice sulle "lenzuolate" volute due anni fa dall´allora ministro Pierluigi Bersani: «Le liberalizzazioni hanno avuto effetti dirompenti, distorsivi e negativi». E resta alta l´attenzione contro il fenomeno delle frodi che si potrebbero combattere, «con l´attivazione di efficienti banche dati e di indagini preventive».

Infine, imprese e governo sono pronte a ragionare su polizze che assicurino i cittadini in caso di catastrofi naturali e terremoti come quello che ha colpito l´Abruzzo.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

IL DIFFICILE FUTURO DEI SENZA LAVORO

GIUSEPPE TURANI

Si complica la crisi in Europa. A maggio i disoccupati sono saliti al 9,5 per cento dal 9,3 per cento di aprile. E, secondo le previsioni dell´Ocse, non diminuirà. Anzi: nel 2010 (cioè l´anno prossimo) i senza lavoro in Europa dovrebbero arrivare al 12 per cento. Ma in Spagna e in Irlanda siamo già al 18,7 e all´11,7 per cento. E riassorbire tutti questi disoccupati non sarà tanto facile e rapido. Proprio ieri il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, ha spostato in avanti il momento della ripresa dell´economia dell´area euro. Fino a poco tempo fa la svolta era fissata a metà del 2009, ma adesso a quella data siamo arrivati e Trichet ha spostato la svolta avanti di un anno, a metà del 2010. D´altra parte l´Ocse aveva stimato per l´Europa un Pil in discesa del 4,8 per cento quest´anno e una sostanziale stagnazione per il 2010.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

E Carrefour abbandona il Mezzogiorno - Chiusure a Bari e Roma. Woolworth, 10 mila posti a rischio in Germania - Il gruppo francese della grande distribuzione punta a tagliare costi per 4,5 miliardi

GIAMPIERO MARTINOTTI

dal nostro corrispondente - parigi - Il gruppo della grande distribuzione Carrefour avvia una politica di tagli severi e abbandona l´Italia meridionale, mentre i grandi magazzini Woolworth in Germania finiscono in stato fallimentare e 9.700 persone rischiano di perdere il posto di lavoro: sulle due sponde del Reno la crisi non risparmia la grande distribuzione. Certo, i guai non sono gli stessi, ma la recessione comunque li aggrava, tanto che giganti che si consideravano solidissimi mostrano inquietanti segni di debolezza. Basti ricordare il tracollo di Arcandor, uno dei più conosciuti gruppi tedeschi del settore, proprietario, tra l´altro, del marchio berlinese KaDeWe.

Il tribunale di Francoforte ha avviato la procedura di insolvenza per Woolworth, provocata dalla scarsissima liquidità e dall´indebitamento. Appena tre mesi fa il curatore fallimentare, Ottmar Hermann, aveva parlato di «buone possibilità» di sopravvivenza per la catena, in cui lavorano quasi in 10mila, di cui due terzi con contratti part time o precari. Ora, invece, le prospettive sembrano molto meno rosee.

Diversa la situazione di Carrefour. Qui il problema è piuttosto la stagnazione della crescita. Esiste un problema strutturale, come la disaffezione dei consumatori per gli ipermercati, e uno specifico del marchio, considerato troppo caro dai clienti e con un´immagine commerciale un po´ confusa. Il nuovo amministratore delegato, Lars Olofsson, ha così deciso di rivedere radicalmente la strategia del gruppo. Caposaldo del suo piano sarà il taglio dei costi: 4,5 miliardi di euro entro fine 2012. Saranno ottenuti grazie alla razionalizzazione delle insegne, la revisione degli stock, la riforma della logistica. In questo piano rientra anche il ridimensionamento del gruppo in Italia: due centri, a Roma e Bari, sono già stati chiusi, quattro magazzini in Puglia stanno per essere venduti, mentre si cerca una soluzione per altri sette, tutti situati al Sud. Carrefour intende quindi concentrasi sulle regioni settentrionali, dove possiede 57 magazzini, ma non è esclusa qualche chiusura. Il gruppo potrebbe anche diminuire i suoi punti di vendita in Belgio. Quanto alla Francia, la società cambierà radicalmente la sua presenza nei centri città: i primi risultati di un Carrefour City aperto nella capitale sarebbero particolarmente incoraggianti.

Il manager svedese intende insomma dare una scossa al gruppo, anche se non vuole passare per un rivoluzionario: «Si tratta di una trasformazione e non di una rottura. Non si cambiano la cultura di un´azienda e il suo modo di funzionamento in una notte». Ma Olofsson ha messo sotto pressione il gruppo dirigente e ha fissato due obiettivi: una crescita delle vendite superiore a quella dei concorrenti e un miglioramento dei margini di guadagno. Per il momento, non si parla di riduzioni del personale per accompagnare il piano di ristrutturazione e di rilancio voluto dal nuovo amministratore delegato.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

La scomparsa dell´ex presidente e amministratore delegato di Unicredit. Aveva 85 anni - Rondelli, banchiere d´altri tempi combattè il credito "pietrificato" A metà anni ´90 lanciò l´Opa sul Rolo e affidò la gestione della banca a Profumo

GIOVANNI PONS

MILANO - Scompare all´età di 85 anni Lucio Rondelli, uno dei banchieri che più hanno contribuito al rinnovamento del sistema creditizio italiano. Era nato nel 1924 a Bologna e a soli 23 anni aveva cominciato come impiegato al Credito Italiano, la banca che lo ha reso protagonista di alterne vicende della finanza italiana fino al definitivo addio avvenuto nel 2001. La carriera, tutta interna alla banca, è stata inizialmente velocissima: già nel 1969, a soli 45 anni, Rondelli era diventato amministratore delegato, carica che ha mantenuto per sette mandati consecutivi fino allo scadere dei 66 anni. Nella lunga contrapposizione tra banchieri laici e cattolici che ha caratterizzato gran parte degli anni ´70 e ´80 Rondelli apparteneva alla prima categoria e dal vertice della banca di Piazza Cordusio ha sempre sfidato i cugini di Piazza della Scala, la Comit dei banchieri illuminati e internazionali lasciata in eredità da Raffaele Mattioli.

Uomo di notevole spessore culturale, definito un gentiluomo dall´establishment milanese, alla fine degli anni ´80 si era messo in testa di rilevare la dissestata Banca Nazionale dell´Agricoltura del conte Giovanni Auletta Armenise con il consenso tacito della Banca d´Italia e di Enrico Cuccia. Ma i legami politici di Auletta impedirono l´operazione e costarono a Rondelli la poltrona ad opera del presidente andreottiano dell´Iri Franco Nobili. La rivincita arriva cinque anni più tardi, quando l´appena privatizzato Credito Italiano lo chiamò alla presidenza. È da qui che riesce a imprimere una scossa senza precedenti alla "foresta pietrificata" del credito come l´aveva definita Giuliano Amato. Lanciando l´Opa sul Credito Romagnolo inaugurò l´epoca delle acquisizioni bancarie fatte sul mercato invece che nei salotti. E quando Roberto Gavazzi dell´Allianz gli presentò un giovane manager che si era formato alla Mc Kinsey, Alessandro Profumo, gli consegnò le chiavi gestionali della banca. Due mosse dirompenti per quegli anni ma che alla fine degli anni ´90 si infransero sull´immobilismo imposto dall´ex governatore Antonio Fazio.

L´Unicredito Italiano riuscì comunque a inglobare le Casse di Risparmio di Torino e di Verona e a cominciare la sua crescita sui mercati esteri che oggi l´hanno portata ai vertici europei, mentre Cuccia tentava disperatamente di costruire un approdo sicuro per la Comit. In fondo il grande merito di Rondelli è stato proprio questo: quello di essere riuscito a invertire, nel tempo, il pronostico che vedeva Piazza Scala un gradino sopra Piazza Cordusio. Con l´amarezza finale della presidenza Italease il cui dissesto non è riuscito a impedire pur avendolo toccato con mano e denunciato in varie occasioni.

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LA REPUBBLICA venerdì 3 luglio 2009

Usa, class action contro la BofA e l´Italia è al palo

roma - Il ministro dello Sviluppo, Scajola, ha detto ieri che l´Italia ha bisogno di «riforme vere» e «non di lenzuolate», assestando così l´ultima picconata al piano di liberalizzazioni del suo predecessore, Bersani. E´ curioso che Scajola nell´attaccare quelle riforme usi le medesime ragioni dell´ex ministro del Pd, prefigurando cioè interventi «concreti nell´interesse dei consumatori». Sta di fatto, però, che al momento le uniche misure varate dalla maggioranza di centrodestra hanno disarticolato più che implementato le normative pro-concorrenza. Dalle polizze alle farmacie. Così, succede che nello stesso giorno delle parole di Scajola, dagli Usa arrivi la notizia del decollo della class action contro la fusione BofA-Merrill Lynch: un qualcosa di chimerico per i risparmiatori italiani dopo l´ennesimo freno deciso in Parlamento all´azione collettiva made in Italy.

Marco Patucchi

[LA SFORTUNA DEI "NEET"]

LONDRA – Si chiamano "Neet", acronimo di "Not in Education, Employment or Training", e sono i giovani britannici frai 16 e i 24 anni che si trovano nella poco piacevole condizione di non essere a scuola, non avere un lavoro e non stare nemmeno facendo una qualche forma di apprendistato. Questa sfortunata gioventù è cresciuta durante la recessione a un livello allarmante: i "neets" sono diventati un milione di persone, il numero più alto da quando nel 2005 la Local Government Association (Lga, l´associazione dei poteri locali britannici) ha cominciato a contarli. All´inizio del 2009 erano 935 mila, un notevole incremento rispetto agli 810 mila del gennaio 2008, e la previsione è che entro la fine dell´estate saranno appunto all´incirca 1 milione. L´associazione dà la colpa, oltre che alla recessione, ad agenzie governative inefficienti e al cattivo coordinamento. Enrico Franceschini

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MFNumero 129  pag. 2 del 3/7/2009

Pechino detassa chi utilizza gli yuan

Lo yuan sfida ancora il dollaro. Ieri la Banca popolare cinese ha pubblicato un documento in cui incoraggia le banche a offrire servizi per l'utilizzo della moneta nazionale, anziché biglietto verde Usa, per le transazioni di import-export. L'invito sarà accompagnato dall'introduzione di agevolazioni fiscali per gli esportatori in yuan. All'interno della Cina le transazioni potranno essere realizzate a Shangai e in quattro città nella regione industrializzata del Guandong. Fuori dai confini cinesi il servizio sarà disponibile a Hong Kong, Macao e nei Paesi aderenti alla Association of south est asian nations, ossia, Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam. Sempre ieri il viceministro degli Esteri He Yafei ha dichiarato che la Cina «spera» che al G8 della prossima settimana a L'Aquila si discuta di una nuova valuta globale, che possa affiancarsi al dollaro. Il ministero del Commercio intanto ieri ha reso noto che gli scambi commerciali nel mese di giugno sono diminuiti rispetto allo stesso mese del 2008, ma meno che nei due mesi precedenti quando il calo era stato del 20%. Infine, sono circolate indiscrezioni circa la volontà del governo cinese di privatizzare in parte la linea ferroviaria Shanghai-Pechino, attraverso una ipo che potrebbe essere lanciata entro metà 2010 e raccogliere intorno ai 5 miliardi di dollari.

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MFNumero 129  pag. 2 del 3/7/2009

Intanto Trichet si mette alla finestra - la bce lascia i tassi all'1% in eurolandia. niente misure straordinarie

Di Marcello Bussi

La Bce ieri ha lasciato i tassi all'1%, come si aspettavano pressoché tutti gli economisti. E il presidente Jean-Claude Trichet, dopo avere dichiarato che l'attuale livello del costo del denaro è «appropriato», ha sottolineato che «non abbiamo deciso che sia il più basso possibile». Se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente, quindi, l'opzione di un ulteriore taglio del costo del denaro resta sul tavolo. Ma la sensazione è che l'istituto di Francoforte sia in posizione attendista, forse anche perché paralizzato dalle diverse opinioni all'interno del comitato direttivo, nonostante Trichet abbia proclamato che la decisione di ieri è stata presa «all'unanimità». «La Bce», secondo Howard Archer, capo-economista di Ihs Global Insight, «è evidentemente convinta di potersi permettere di stare ferma nel breve termine per monitorare l'impatto delle sue mosse». Tra queste figura l'acquisto di 60 miliardi di euro in covered bond denominati in euro, piano che è stato dettagliato ieri. Al riguardo Trichet ha messo in chiaro che la Bce «non prevede altre misure o operazioni non convenzionali». Le operazioni di acquisto cominceranno lunedì e l'istituto di Francoforte rileverà circa l'8% del totale di 60 miliardi del programma, mentre il rimanente verrà acquistato dalle singole banche centrali nazionali. Trichet ha sottolineato che questi acquisti verranno decisi «caso per caso» e che il piano procederà in maniera graduale, tenendo conto delle condizioni di mercato e delle esigenze di politica monetaria del sistema». Le emissioni acquistate avranno di regola il rating minimo di AA, o equivalente, da parte di almeno una delle principali agenzie di rating con scadenze dai 3 ai 10 anni. Trichet si è anche detto «felice» dei risultati dell'operazione di finanziamento a 12 mesi condotta la scorsa settimana, che ha immesso sul mercato oltre 422 miliardi di euro.

Sulle prospettive macroeconomiche, il presidente della Bce ha dichiarato che l'inflazione è scesa a livelli negativi, ma questa circostanza viene ritenuta passeggera, mentre dall'attività economica continuano a giungere indicazioni che riflettono un'attenuazione della crisi, a cui nei mesi a venire dovrebbe seguire prima una stabilizzazione, poi, a metà 2010, una «graduale ripresa». Trichet ha tuttavia ammonito che nei prossimi mesi assisteremo a un «deterioramento» del mercato del lavoro in Eurolandia, cosa che potrebbe avere «effetti avversi ritardanti» della ripresa. Non a caso proprio ieri è stato annunciato che in Eurolandia il tasso di disoccupazione è salito a maggio al 9,5%, ai massimi dal 1999. Il numero uno della Bce è poi tornato a richiamare le banche «alla loro piena responsabilità nell'assicurare credito» all'economia, invitandole allo stesso tempo a «trarre pieno vantaggio delle diverse possibilità offerte per rafforzare i loro bilanci e patrimonializzazioni, in particolare tramite aumenti di capitale». E se la Bce ritiene di avere fatto tutto il possibile e che per ora è bene stare fermi a guardare gli effetti delle sue mosse, ha invece chiesto ai governi di preparare strategie di uscita «ambiziose» dalla fase di peggioramento dei conti pubblici, determinata dalle misure per contrastare la crisi economica, che «andranno avviate assieme alla ripresa o comunque non oltre il 2011». Trichet ha quindi sottolineato che «nei Paesi in cui il deficit pubblico o la ratio del debito pubblico sono elevati, l'aggiustamento strutturale annuale dovrebbe raggiungere almeno l'1% del pil». Allo stesso tempo, il banchiere centrale ha spronato a portare avanti riforme strutturali per rafforzare il potenziale di crescita dell'economia. In particolare intervenendo sui mercati di beni e servizi e sul mercato del lavoro, dove serve «più mobilità». «È necessario intensificare gli sforzi per rafforzare la crescita potenziale di Eurolandia», ha concluso. «È cruciale accelerare la messa in atto delle riforme strutturali». (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009

Il governo ribussa agli assicuratori - il ministro scajola chiede di usare parte dei 450 mld di riserve per le opere pubbliche - La prima richiesta di sostegno c'era stata già lo scorso anno, ma tutto era caduto nel vuoto. Ora si riparte guardando al modello francese. E si riapre anche il capitolo polizze calamità

Di Anna Messia

Il governo chiama il settore assicurativo a sostegno dello sviluppo e del potenziamento delle infrastrutture dell'Italia. E in cambio promette l'addio alle lenzuolate del precedente esecutivo, e l'avvio di un periodo di regole certe e stabili. La richiesta di un ruolo più attivo degli assicuratori in una congiuntura economica difficile è arrivata in particolare dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, intervenuto ieri alla relazione annuale dell'Ania, l'associazione delle compagnie di assicurazione. E il modello di riferimento da utilizzare anche in Italia, secondo Scajola, potrebbe essere quello francese, dove le compagnie di assicurazione hanno creato polizze ad hoc, agevolate dal punto di vista fiscale, che investono parte dei loro patrimonio in un fondo governativo indirizzato allo sviluppo delle infrastrutture. «Il patrimonio consistente del sistema assicurativo italiano, che ammonta a 450 miliardi di euro, potrebbe contribuire anche in piccolissima parte al sostegno di investimenti in infrastrutture e piccole e medie imprese. Si potrebbe seguire a questo scopo il recente esempio francese», ha chiarito Scajola, «con agevolazioni per i prodotti assicurativi che prevedono finanziamenti in favore di innovazione e piccole e medie imprese». E rivolgendosi agli assicuratori presenti durante la relazione ha aggiunto: «So che avete analizzato con attenzione questo modello e penso che valga la pena approfondirlo insieme». La discussione sembra quindi già avviata e l'argomento del sostegno alle opere pubbliche, che in realtà non è nuovo (già lo scorso anno, sempre in occasione dell'assemblea Ania, il governo fece una proposta simile), sembra essere al centro di un confronto aperto. «Nulla in contrario a indirizzare parte degli investimenti in nuovi prodotti correlati allo sviluppo», ha commentato il presidente dell'Ania, Fabio Cerchiai, ma ha ricordato: «Il ministro sicuramente ha presente che i nostri investimenti devono rispondere a criteri di convenienza, liquidità e salvaguardia dei nostri clienti. Con le riserve degli assicurati non possiamo fare project finance». C'è quindi bisogno di fare chiarezza su quali possano essere gli strumenti utilizzabili dalle compagnie per sostenere lo sviluppo del Paese. E in ogni caso bisognerà cambiare le regole visto che oggi una compagnia intenzionata a investire in una spa che si occupasse di grandi opere pubbliche non potrebbe impiegare più del 5% degli attivi a copertura delle proprie riserve tecniche Danni e Vita. E anche se il veicolo utilizzato fosse uno o più fondi di private equity il limite per l'investimento in un solo strumento sarebbe pari al 1% delle riserve per il singolo fondo, fino a un massimo complessivo del 5%. L'occasione per cambiare le regole potrebbe essere il nuovo regolamento attivi che l'Isvap dovrà emanare entro fine anno (in ossequio al Codice delle assicurazioni). Ma anche l'istituto guidato da Giancarlo Giannini vorrà ovviamente garanzie che si tratti di investimenti liquidi, sicuri e redditivi.

Confronto publico-privato. In ogni caso il governo sembra voler avviare un dialogo a tutto tondo con il settore assicurativo. «Servono regole certe e stabili e non lenzuolate», ha detto Scajola, «Con questo obiettivo nel ddl sviluppo abbiamo introdotto una nuova disciplina per i contratti di durata pluriennale (modifiche richieste più volte dall'Ania, ndr). Non si tratta di un regalo alle assicurazioni», ha chiarito, ma della correzione di una norma (leggi Bersani, ndr) sbagliata». E un altro terreno di dialogo potrebbero essere le polizze catastrofali, su cui nei mesi scorsi, dopo il terremoto in Abruzzo, c'è stato un intenso confronto. Le bozze preparate dai vari soggetti interessati erano però molto diverse, e non si è arrivati a nessun accordo. Ora la trattativa potrebbe quindi ripartire «Se ben disegnata un'assicurazione per il rischio da catastrofi non è una tassa ma un incentivo ai comportamenti virtuosi di cittadini e amministrazioni», ha aggiunto anche il ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta presente all'assemblea. Parole condivise da Cerchiai che però al governo chiede altri interventi: cancellare l'obbligo di plurimandato imposto alle compagnie dalle leggi Bersani, rivedere il bonus-malus e rimuovere il divieto per i fondi pensione negoziali di investire nelle polizze tradizionali. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009

Isvap, stress test potenziato e nuove soglie

L'Isvap ha avviato uno stress test sulle compagnie assicurative con l'obiettivo di «saggiare la tenuta del mercato dal punto di vista finanziario a fronte di ipotizzati persistenti scenari negativi» e di analizzare «i fattori di vulnerabilità in relazione agli andamenti tecnici vita e danni delle imprese». Lo ha annunciato ieri il presidente dell'istituto, Giancarlo Giannini, nel suo intervento all'assemblea dell'Ania. Lo stress test, ha aggiunto Giannini, si aggiunge «alle ordinarie verifiche mensili sull'andamento di premi, riscatti e investimenti». Ieri intanto l'istituto ha anche diffuso, in un secondo giro di pubblica consultazione, il regolamento sulla trasparenza dei prodotti assicurativi, sia vita sia danni. E ha anche modifica le regole per le comunicazioni degli assetti proprietari delle compagnie di assicurazione. La soglia partecipativa minima oltre la quale sarà obbligatorio chiedere il preventivo via libera dell'Isvap è stata innalzata dal 5 al 10% (in questo intervallo basterà una semplice comunicazione). Ma anche i tempi di risposta sono stati accorciati: prima l'Isvap aveva 120 giorni di tempo per rispondere, e il silenzio era sinonimo di rifiuto. Ora il limite sarà di 60 giorni e varrà il silenzio-assenso. Ma in compenso, per il computo delle soglie, assumono rilevanza le eventuali pattuizioni tra i soggetti interessati a rilevare partecipazioni in compagnie di assicurazione.

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MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009

Stima Ania, nel 2009 premi in salita del 5%

La raccolta premi complessiva del settore assicurativo italiano nel 2009 salirà del 5,4% rispetto al dato del 2008, che si è chiuso con un calo della raccolta del 7,2%, superiore al -7% del 2007. Le previsioni arrivano dall'Ania che si attende la ripresa in particolare del ramo vita, che dovrà fare da traino: «Nel complesso la raccolta premi del lavoro diretto italiano dovrebbe tornare a crescere nel 2009 rispetto all'anno passato: il volume della raccolta premi», affermano dall'associazione, «dovrebbe raggiungere i 97 miliardi, con un aumento del 5,4% rispetto ai premi del 2008 e con un'incidenza sul Pil del 6,5%, in aumento rispetto al 5,9% del 2008». Secondo l'associazione guidata da Fabio Cerchiai, «la difficile congiuntura economica frenerà la domanda di assicurazione danni. I premi di questo settore potrebbero diminuire rispetto al 2008 (-0,8%)», mentre al contrario «l'aumento della propensione al risparmio e una ricomposizione dei flussi di investimento delle famiglie potrebbe far aumentare la raccolta vita, che potrebbe chiudere l'anno con un +10% sul 2008».

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MFNumero 129  pag. 5 del 3/7/2009

Eurizon Vita, Casu pronto a lasciare il timone

Una poltrona per due. Il riassetto in atto nel polo assicurativo di Intesa Sanpaolo rischia di provocare dimissioni eccellenti. La concentrazione in un'unica compagnia di assicurazione delle quattro società del gruppo (Sanpaolo Vita, Eurizon Vita, Centrovita e Sud Polo Vita) avrà certamente l'effetto di concentrare l'attività (8 miliardi di premi) e tagliare i costi. Ma anche di ridurre le poltrone di comando. E la scelta dell'amministratore delegato dell'istituto, Corrado Passera, di designare al vertice della nuova compagnia Erik Stattin (suo fedelissimo anche ai tempi dell'esperienza alle Poste) potrebbe provocare le dimissioni di Marco Casu, ex direttore generale di Alleanza poi chiamato da Mario Greco (ora in Zurich) per guidare Eurizon Vita quando Sanpaolo (prima della fusione con Intesa) voleva quotare il suo polo del risparmio e delle polizze. Progetto, quest'ultimo, abbandonato dopo l'integrazione con Intesa. Casu, secondo quanto risulta a Mf-Milano Finanza, non avrebbe ancora lasciato la direzione generale di Eurizon Vita anche se voci insistenti danno per imminente una sua decisione.

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MFNumero 129  pag. 6 del 3/7/2009

Abi, no ai vincoli sul massimo scoperto

Per l'Abi le norme del decreto anti crisi sul massimo scoperto sono antitetiche «alle logiche di mercato». Lo ha affermato il presidente Corrado Faissola in commissione finanze della Camera. Il decreto, sulla scia dell'abolizione delle commissioni di massimo scoperto, ha posto un tetto dello 0,5% a trimestre sulle commissioni di affidamento. L'Associazione si è quindi detta «nettamente contraria agli interventi legislativi che definiscono i prezzi delle attività bancarie». Per il numero uno di palazzo Altieri, è ancora troppo presto per valutare l'impatto della norma sui bilanci. «Non ci sono previsioni ufficiali», ha spiegato Faissola, sottolineando come a suo avviso la norma potrebbe rappresentare «una legnata sui conti delle banche». Non si è fatta attendere la replica della maggioranza: per il presidente della commissione finanze, Gianfranco Conte, l'introduzione del tetto sulle commissioni «è la diretta conseguenza dell'atteggiamento delle banche».

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MFNumero 129  pag. 6 del 3/7/2009

Maastricht è sempre più un'utopia - istat, conti pubblici in sofferenza. nel primo trimestre il rapporto deficit/pil sale al 9,3% - Crolla il saldo primario, negativo per 16,8 miliardi. Le entrate totali si riducono del 2,8% mentre le uscite crescono del 4,6%. Secondo gli analisti la situazione non è drammatica: valori analoghi a quelli del 2005

Di Carmine Sarno

Primo trimestre di passione per le casse dello Stato italiano. Rispetto all'analogo periodo dello scorso anno, il rapporto deficit/pil cresce fino a superare il 9% (mai così male dal '99) e il saldo primario sprofonda. Male anche l'andamento delle entrate a fronte di un incremento delle uscite. Secondo gli analisti si tratta di uno scenario strettamente legato alla fase congiunturale, analogo a quello che stanno scontando Paesi come Francia e Germania. Analizzando il conto economico delle amministrazioni pubbliche, ha spiegato l'Istat, nel primo trimestre 2009 l'indebitamento netto in rapporto al pil è stato pari al 9,3% un dato notevolmente superiore a quello dei primi tre mesi del 2008, quando si era registrato un rapporto al 5,7%. In sofferenza anche il saldo corrente (risparmio) e quello primario (indebitamento al netto degli interessi passivi). Il primo è negativo per quasi 22 miliardi, un valore doppio a quello di un anno fa (11,2 miliardi). Andamento ancora più preoccupante per il saldo primario, che passa da -3,3 miliardi a oltre -16,8 miliardi. In termini di pil, hanno spiegato dall'Istituto nazionale di statistica, l'incidenza passa dallo 0,8% al 4,6%. Le entrate totali lasciano per strada quasi il tre punti percentuali (-2,8%) su base tendenziale: segnano forti decrementi le imposte dirette e indirette. Per quanto riguarda le uscite, il flusso cresce del 4,6% rispetto ai primi tre mesi del 2008.

«Quando si leggono questi dati non si deve mai dimenticare che il pil nel primo trimestre è caduto del 6%, questa è la componente preponderante che bisogna considerare», spiega a MF-Milano Finanza, Paolo Onofri di Prometeia. Del resto, sottolinea l'economista, i dati del primo trimestre tendono a essere sempre i più negativi: «Nello stesso periodo del 2005 il deficit/pil arrivò all'8,3% e l'economia non era in crisi come adesso». In Europa, precisa Onofri, «sistemi economici simili a quello italiano si trovano nelle stesse condizioni, senza voler andare a scomodare il Regno Unito, dove il deficit è al 12% del pil». Secondo Fedele De Novellis, partner di Ref, «la situazione dei conti pubblici italiani non è allo sbando come molti vogliono far credere». Inoltre, aggiunge De Novellis, il valore non va letto su base assoluta ma si deve «valutare complessivamente con il contesto; appena l'economia si sarà messa nuovamente in moto, le entrate miglioreranno con un conseguente beneficio per i conti pubblici».

Anche dal Cerm tendono a buttare acqua sul fuoco. «I dati del primo trimestre sono sempre grezzi e mai destagionalizzati, di fatto dal 2001 si registrano valori di gran lunga più elevati rispetto al resto dell'anno» argomenta il direttore Fabio Pammolli. In questa fase, infatti, gravano soprattutto gli impegni di spesa «e anche quest'anno gli impegni si sono accumulati tra gennaio e marzo». Secondo Pammolli, inoltre, lo scenario fotografato dall'Istat «giustifica la decisione dell'esecutivo di non voler far leva sul deficit spending, altrimenti oggi ci troveremmo in condizioni ben peggiori». Mai come adesso, è la convinzione dell'esponente del Cerm, «si deve far capire che è finita la ricreazione sul lato della lotta all'evasione fiscale, mentre per quanto riguarda le uscite vanno eliminate quelle a pioggia». (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 8 del 3/7/2009

Brava Ania, ora pensa anche ai consumatori

Di Angelo De Mattia

Non è solo una relazione di richieste - al governo, al legislatore, alle parti sociali - quella limpida, sintetica, presentata ieri dal presidente dell'Associazione delle imprese assicuratrici (Ania), Fabio Cerchiai. C'è, nel rapporto, soddisfazione per il modo in cui le imprese assicurative hanno operato avendo «contribuito a ridurre la volatilità dei mercati e sostenuto il finanziamento del debito pubblico» e per aver mantenuto gli impegni assunti nei confronti degli assicurati senza aver avuto bisogno di aiuti pubblici. Il sistema assicurativo, in passato considerato troppo prudente come quello bancario, si è dimostrato, secondo l'Ania, «più sano e meglio attrezzato per garantire lo sviluppo nel medio e lungo termine». D'altro canto, un'associazione di imprese non può non caratterizzare con il timbro degli interessi di categoria anche i temi strategici e la visione sull'evoluzione del sistema. Ciò, nel caso specifico, accade quando la relazione fa riferimento a un sistema di welfare che si fondi su di un'ampia collaborazione tra pubblico e privato e che veda un ruolo importante dell'assicurazione o quando auspica le liberalizzazioni, aggiungendo, però, l'espressione «quelle vere», tutta da interpretare, anche a non volere essere sospettosi di trovarsi difronte a una tesi pro domo sua.

Il punto di partenza dell'analisi di Cerchiai, dopo alcune considerazioni condivisibili sulla crisi finanziaria, è che la «poca assicurazione», che caratterizza il nostro Paese, rende le famiglie più vulnerabili e indebolisce l'economia nella competitività internazionale. Di qui il passaggio all'ormai consueto punctum dolens della previdenza e all'esternazione di forti dubbi sulla sostenibilità del modello di finanziamento pubblico. Di qui, anche, la necessità di sviluppare la previdenza complementare, realizzando un mercato libero e competitivo dell'offerta di previdenza, ma pure la rappresentazione dell'esigenza di sviluppare la sanità integrativa, di adottare misure per proteggere la non autosufficienza ecc. Non manca la trattazione dei problemi dell'assicurazione rc auto che, per l'Ania, vanno dal costo crescente dei sinistri e dalla critica alle norme dirigistiche in materia di bonus-malus alla necessità di superare le carenze nella sicurezza stradale, di rafforzare la prevenzione, di combattere le frodi anche con l'istituzione di adeguate banche-dati, eccetera. Cerchiai affronta questioni vere. Esse, al fondo, richiamano la necessità - tuttavia non rappresentata dalla relazione - di porre mano finalmente alle riforme di struttura, di cui si ha bisogno non certo perché esse potranno aprire spazi alle imprese di assicurazione, ma perché sono richieste dagli interessi del Paese. Soprattutto, per reagire alla crisi di queste riforme ora si avrebbe particolare bisogno, anche perché sarebbe così agevolata la possibilità di più incisivi impulsi alla domanda aggregata. Se poi l'attuazione degli interventi strutturali - che tuttora si tarda a riavviare - aprirà nuovi spazi agli intermediari finanziari e alle imprese assicuratrici, queste dovranno ben meritarsi la conseguente maggiore operatività nel settore con un deciso sviluppo della concorrenza, con un più forte impulso alla trasparenza e alla correttezza negoziale, nonché all'equilibrio dei rapporti tra imprese e clientela: insomma, con il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia delle prestazioni. Le note difficoltà del Welfare e i nodi strutturali che da tempo stringono l'economia italiana aprono spazi a una diversa forma di rapporti pubblico-privato. Ma questa opportunità non dovrà essere intesa dal privato come una sorta di mors tua, vita mea. All'opposto, dovrà essere colto come più favorevole contesto per una piena disponibilità e determinazione a competere, nell'interesse dei cittadini, dei consumatori. Sarebbe stato importante che l'Ania avesse dedicato a questi ultimi un maggiore spazio nella relazione, proprio per dimostrare con i fatti di aver capito che i loro interessi e le loro aspettative - quando corrette - non sono in contraddizione con i fini dell'impresa assicuratrice, con un suo sano sviluppo, con un'adeguata remunerazione della proprietà, la crisi avendo dimostrato che l'obiettivo esclusivo di creare valore per gli azionisti è stata una delle cause, interpretato in maniera del tutto fuorviante, della tempesta perfetta che ancora non può dirsi cessata. Del pari, sarebbe stata interessante una trattazione dei rapporti tra finanza, credito e assicurazioni, soprattutto per valorizzare i nuovi orizzonti che il settore si propone, anche attraverso la federazione Ania-Abi.

Proprio nel quadro di un'auspicabile maggiore apertura del mondo assicurativo alle esigenze della società civile, non dovrebbe acquistare centralità - come forse, al di là delle intenzioni del relatore, sembra acquistare nel rapporto - la questione della norma sul divieto del mandato agenziale in esclusiva promossa, a suo tempo, nel quadro delle lenzuolate di Bersani che l'Ania oggi vorrebbe in ogni modo superare. Le argomentazioni addotte, anche in chiave comparativistica, non sono improprie. Tuttavia, il mercato italiano, per le sue peculiarità, ha bisogno di una spinta come quella del plurimandato, che potrà essere valutata, per i suoi effetti concorrenziali e di miglioramento della posizione degli utenti, solo dopo un adeguato lasso di tempo. Del resto, l'Antitrust ha ricordato che non è detto che i mandati non esclusivi riducano i margini delle imprese. Anzi, vi è la possibilità che si allarghi il mercato, specie nel ramo vita, e non si verifichi l'asimmetrico andamento delle tariffe bonus-malus. Infine, nulla dice la relazione, che si complimenta con il governo per avere ristabilito la facoltà di sottoscrivere polizze anche poliennali, sulla governance e sul funzionamento delle imprese assicuratrici. Ma pretendere una tale estensione della relazione sarebbe, forse, eccessivo. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 8 del 3/7/2009

Dall'ingegneria finanziaria a quella patrimoniale

Di Ernesto Prinzi*

La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sta modificando in maniera selettiva la maggior parte degli assetti dei mercati finanziari, inclusi i modelli commerciali della maggior parte degli operatori. Inoltre, la percezione dei rischi finanziari da parte degli investitori e le riallocazioni dei loro portafogli stanno attivando nuove modalità di approccio e di attuazione dell'attività di gestione del risparmio. Occorre inoltre considerare come, negli ultimi tempi, abbia trovato spazio, a tutti i livelli, un atteggiamento negativo, o quanto meno molto critico, nei confronti dell'ingegneria finanziaria, ritenuta responsabile, a torto o a ragione, di avere snaturato i mercati con strumenti sempre più complessi e sempre meno trasparenti, dai mutui sub-prime ai titoli tossici. L'attenzione degli investitori, soprattutto di fascia alta, si è quindi spostata dalla ricerca esasperata della performance a un diverso mix di performance e protezione. Inoltre, le strutture di grandi dimensioni non sono più percepite come sinonimo assoluto di efficienza e solidità. Valori come indipendenza e assenza di conflitti di interesse, a cui l'investitore è ora molto più attento che in passato, sono infatti più facili da trovarsi presso operatori di nicchia o specializzati. Ciò ha portato alla riscoperta di una categoria di professionisti, da sempre coesistente ma distinta rispetto agli ingegneri finanziari: si tratta dei wealth advisors (ingegneri patrimoniali), sulla cui attività in questo momento c'è molta attenzione ma anche confusione.

Facciamo un po' di chiarezza al riguardo: in comune ingegneria finanziaria e ingegneria patrimoniale hanno un'approfondita conoscenza dei meccanismi finanziari e della normativa internazionale, ma si differenziano notevolmente per le finalità: se gli ingegneri finanziari mettono a frutto la loro competenza creando prodotti e strumenti finanziari volti a massimizzare, o comunque a sfruttare, i benefici di performance offerti dai mercati, dal canto loro gli ingegneri patrimoniali concentrano invece la loro attenzione sulla protezione del patrimonio, sia con riguardo ai vari rischi che possono verificarsi sia con riguardo alle possibili distorsioni di funzionamento del patrimonio stesso. Le due sfere di attività, ingegneria finanziaria e ingegneria patrimoniale, sono sempre esistite e sempre coesisteranno, soprattutto con riferimento alle esigenze della clientela più abbiente, ma quello che è cambiato a seguito della crisi del 2008 è il livello di attenzione. Ora l'interesse si è spostato sulla seconda, in quanto l'ingegneria patrimoniale si realizza ed è percepita come un approccio d'insieme verso le problematiche della clientela privata di fascia elevata, in tema di conservazione e ottimizzazione del patrimonio, principalmente ma non solo con riguardo al passaggio intergenerazionale della ricchezza familiare. In sintesi, l'ingegneria patrimoniale svolge quindi un effetto rassicurante in quanto il suo obiettivo è quello di razionalizzare, soprattutto nel medio-lungo termine, la struttura del patrimonio familiare nella sua interezza, anche in un'ottica di pianificazione fiscale e successoria. (riproduzione riservata) * Direttore Responsabile di Wealth Advisory di Farad Investment Advisor

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MFNumero 129  pag. 9 del 3/7/2009

Solo in Italia è in vigore un sistema duale anche per i licenziamenti

Di Edoardo Narduzzi

Lo scorso novembre, in piena crisi di Wall Street, Citigroup fece l'annuncio shock di voler licenziare altri 53 mila dipendenti dopo il taglio di 23 mila unità già effettuato. Da quando è iniziata la crisi molti gruppi hanno agito sui costi. Ubs ha ridotto di 8.700 unità il suo personale, GM di 10 mila, Air France di 2.500, Microsoft di 5 mila unità. Perfino Google si è vista costretta a mandare a casa 200 lavoratori. La recessione è talmente profonda che non lascia troppi spazi di manovra: il taglio dei costi deve essere trasversale e interessare tutte le forme contrattuali che legano i vari stakeholders a un'impresa. Così la crisi è anche un'occasione unica per ridefinire l'organizzazione produttiva e accelerare la migrazione verso nuovi equilibri aziendali. E in Italia, che cosa accade? Ovviamente l'Italia è un'altra storia. È duale in tutto, tra Nord e Sud, tra lavoratori anziani protetti in tutto e giovani precari a tempo pieno, e non poteva non esserlo anche nell'aggiustamento innescato dal peggiore ciclo negativo degli ultimi ottant'anni. Quello che sta accadendo nella struttura dei costi delle grande imprese italiane è la fotografia di un paese atipico e scarsamente allineato alle caratteristiche del capitalismo contemporaneo. Taluni contratti, con i connessi costi, sono intoccabili, altri subiscono tutto l'onere dell'aggiustamento da crisi. Qualche dato. Unicredit, primo gruppo creditizio per presenza all'estero, quest'anno dovrebbe ridurre con modalità top-down di 700 unità i propri dipendenti, mentre Intesa Sanpaolo non ha annunciato nulla al riguardo e Mps se ne guarda bene dal farlo. Ovviamente, difendere il lavoro è cosa buona e giusta, molto meno è creare un sistema che assicura il lavoro solo di alcuni o, peggio, di pochi e rende flessibili e precari, perché esposti alla globalizzazione, tutti gli altri contratti.

Quello che sta accadendo in Italia, e che si tradurrà in autunno nelle cifre di un forte malessere sociale, è un impossibile aggiustamento duale a una recessione da meno 5% del pil, cioè profondissima. Ci si illude che si possa fare tutto lavorando sui contratti degli stakeholders flessibili: giovani a progetto, fornitori di beni e servizi, prestatori di capitali che oggi scontano una remunerazione ben inferiore alla stagione pre crisi. Questo aggiustamento verticale anziché orizzontale, come avviene nel resto del mondo, ha due grandi problemi. In primis, scarica quasi tutto l'onere della riorganizzazione produttiva, che è necessitata, su una parte dei titolari dei contratti verso l'impresa. Trattandosi di imprese chiamate a competere in rete, questa strategia obbligata è ancora più deleteria perché favorisce la fuga dei migliori contratti flessibili verso altre organizzazioni produttive. In pratica, innesca una selezione avversa, per l'impresa che decide procedere in questo modo, di taluni contratti a elevato valore aggiunto. Così facendo, le aziende italiane offrono il massimo della protezione a taluni contratti e si accollano il massimo dei rischi su altri. Come sia ripartito il valore aggiunto tra i due insiemi è però ignoto ai manager e agli amministratori che prendono le decisioni che, dovendo comunque ridurre i costi operativi annuali, lo fanno agendo sull'unica leva a disposizione. Risultato: le imprese italiane sono più lente delle concorrenti estere a riorganizzarsi e giocano la partita su un paniere di contratti non ottimale. Per dirla con le parole del Nobel Ronald Coase, è come se l'economia italiana avesse creato degli elevati costi transattivi, cioè delle barriere protettive, solo per una parte dei contratti di impresa e così facendo produce delle imprese meno competitive. Il secondo problema è legato al meccanismo di aggiustamento lungo la filiera dei contratti soggetti a flessibilizzazione da crisi. Tale filiera viene percorsa dallo stesso meccanismo duale di aggiustamento fino a quando non incontra imprese piccole che possono agire con maggiore libertà. Il mancato intervento a monte, nella grande azienda, si traduce a valle in tanti fallimenti o licenziamenti di imprese dell'indotto, più o meno prossime al grande cliente. Come? Nella maniera più semplice del mondo perché lungo questa filiera si scarica l'intero costo della crisi in termini di minor opportunità e di minori prezzi pagati dall'offerta. Se Generali non licenzia nessuno, ma deve ottenere il risultato obiettivo in termini di minori costi gestionali annui aggregati, altro non le resta da fare che falciare a doppia cifra i costi dei contratti flessibili. Il problema è che questo meccanismo italico di aggiustamento alla crisi è inefficiente e ingiusto e condanna tutti a una minor competitività sistemica. Durante una recessione tutti dovrebbero sopportare rischi analoghi e subire evoluzioni simili nei meccanismi produttivi. In Italia, invece, si preferisce procedere nella ricerca del nuovo equilibrio attraverso formule duali: alcuni protetti, altri esposti ai rischi del mercato e alle sfide del cambiamento. Ovviamente usciremo tardi e male anche dalla recessione in corso. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 9 del 3/7/2009

L'eredità di Rondelli, banchiere galantuomo che s'inventò Unicredit

Di Fabrizio Massaro

Il giudizio pressoché unanime, nella comunità finanziaria, è che con Lucio Rondelli se n'è andato uno fra i più capaci e stimati banchieri della sua generazione, quella dei Cuccia, dei Cingano, degli Arcuti. Il grande dominus del Credit per oltre trent'anni, dai tempi dell'Iri e delle tre Bin fino alla privatizzazione e poi ancora durante l'espansione con l'opa sul Rolo e l'acquisizione delle varie casse che hanno dato vita al cuore italiano dell'attuale Unicredit, è scomparso ieri a Milano all'età di 85 anni, dopo una breve malattia.

Aveva passato l'intera vita professionale dentro il Credito Italiano, in cui era entrato subito dopo la laurea in economia, in attesa del concorso in diplomazia. «E invece ci sono rimasto per mezzo secolo», amava ricordare nelle occasioni pubbliche. Della banca era diventato amministratore delegato nel 1969, a soli 45 anni (era nato il 17 maggio 1924 a Bologna), gestendola in maniera piuttosto autonoma, pur essendo di proprietà dell'Iri. E in questo ruolo di amministratore delegato, un rapporto stretto lo ebbe con Enrico Cuccia, della cui Mediobanca era pur sempre uno dei principali azionisti e finanziatori. Il prestigio conquistato negli anni divenne assoluto: basti pensare che nel 1987 la commissione per la scelta del presidente dell'Abi era composta soltanto da lui.

«È stato secondo me il miglior banchiere della sua generazione, certamente fra i migliori, dotato di notevole professionalità e anche di un passo da innovatore nella sua epoca, oltre che uomo di grande dirittura morale», lo ricorda Paolo Gualtieri, ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Cattolica di Milano. «A lui si deve per esempio la prima opa bancaria, quella del Credit sul Credito Romagnolo. Anche nella finanza Rondelli è stato sempre attento ai nuovi prodotti che si affacciavano sul mercato. Era un'avanguardia». La prima mossa clamorosa in quello che ancora non si definiva «risiko bancario» la compì nel 1989, quando tentò la conquista della Banca nazionale dell'agricoltura. Un'operazione benedetta dal governatore della Banca d'Italia dell'epoca, Carlo Azeglio Ciampi, ma che incontrò l'opposizione del governo dominato dal triumvirato Craxi-Andreotti-Forlani (il Caf) cui si era rivolto per chiedere aiuto il principale azionista della Bna, il conte Giovanni Auletta Armenise. Lo scontro fu pesantissimo e la sconfitta costrinse Rondelli a lasciare la banca. Ma, com'era nel suo stile, senza sbattere la porta.

La lontananza da Piazza Cordusio non durò a lungo. Dopo aver pilotato dall'esterno la prima privatizzazione bancaria della storia italiana, appunto quella del Credito Italiano, nel 1994 tornò alla presidenza della banca da poco privatizzata, al cui vertice rimase per quasi due mandati consecutivi, per lasciare in anticipo nel dicembre del 2000, sostituito da Francesco Cesarini, per contrasti con gli azionisti, a cominciare dal presidente della Fondazione Cariverona, Paolo Biasi, e con lo stesso amministratore delegato Alessandro Profumo nella battaglia sul rinnovo delle cariche di presidente e ad di Mediobanca, dopo la scomparsa di Cuccia.

In quei sei anni vennero gettate le basi per la costruzione di quello che ora è Unicredit, una delle principali banche europee. Una strategia di espansione che partì appunto dall'opa sul Rolo. Un'operazione di mercato, la prima, la cui bontà Rondelli rivendicò sempre, anche per l'intero sistema bancario. Quella mossa fu una sorta di prova generale della possibilità di una contesa del mercato per gli istituti. «Quando il Credito italiano lanciò l'opa sul Credito romagnolo si ebbe la contro-opa di Cariplo, Carisbo e Imi. Si rilanciò dopo la contro-opa e ci si portò a casa quella che in gergo si dice ”la preda”», ricordò in un'intervista del 2005 a Milano Finanza, per sottolineare, durante le guerre bancarie su Bnl e Antonveneta, la normalità della contesa in un mercato sano. «Ognuno si fa i suoi conti. Noi ci facemmo i nostri e rilanciammo. Qualcuno pensò che avevamo esagerato. Chiudemmo il primo bilancio con un utile di 194 miliardi lire, e dopo cinque anni eravamo a 1.100 miliardi: quindi avevamo visto il potenziale della banca e abbiamo dato al nostro investimento un ritorno adeguato». Da lì seguirono le aggregazioni, in poco tempo, di Banca Crt, Cassamarca, Banca Bergamo, Cariverona. In contemporanea, l'attività di talent scout l'aveva portato a individuare un giovane manager emergente: Alessandro Profumo, all'epoca in Ras, che venne portato in Piazza Cordusio (di cui divenne ad nel 1997) grazie ai buoni uffici presso Rondelli del plenipotenziario dell'Allianz per l'Italia, Roberto Gavazzi, anch'egli come Rondelli molto vicino a Mediobanca.

Il progetto di aggregazione del Credit avrebbe dovuto concludersi con il grande matrimonio con la sorella ex Bin, la Comit. E nel 1999 venne tentato il grande colpo: un'offerta pubblica di scambio lanciata sulla banca milanese, contemporaneamente all'altra clamorosa ops lanciata dal San Paolo di Torino sulla Banca di Roma. Un autentico terremoto per il sistema italiano, che però venne fermato dal governatore Antonio Fazio, in quanto le due offerte vennero considerate ostili e in ogni caso realizzate senza rispettare il vincolo dell'informativa preventiva a Palazzo Koch. Ricorda oggi Angelo De Mattia, all'epoca segretario particolare di Fazio: «Rondelli è stato un grande banchiere di quella generazione che hanno saputo guardare non solo agli interessi aziendali ma anche alla promozione dello sviluppo economico generale. Ha sempre avuto una visione di sistema, e nei confronti delle autorità monetarie, anche quando le decisioni non erano favorevoli all'azienda governata, ha mostrato sempre una profonda lealtà istituzionale. Anche nell'occasione dell'opa respinta fu di una correttezza ferrea, mai una parola di critica per chi dirigeva allora la Banca d'Italia». Allora non disse niente, ma qualche anno dopo, sia pure sobriamente, si sfogò: «Il mio rimpianto più grande è stato il tentativo mancato di costituire un grande polo bancario con la Comit», affermò in un'intervista del 2003, mentre rivendicava «la decisione di puntare sull'aggregazione di importanti banche locali e la svolta nel management con l'assunzione del giovane Alessandro Profumo».

Gli ultimi due anni li ha vissuti con tristezza, a causa della vicenda Italease, di cui era stato nominato presidente nel 2005, al momento della quotazione. Ma gli affari sporchi dell'amministratore delegato Massimo Faenza e i buchi da centinaia di milioni di euro hanno travolto tutto il cda, rimosso nell'estate del 2007 dal governatore Mario Draghi. Una decisione tecnica che però Rondelli, che si è sempre considerato vittima delle truffe organizzate da Faenza e dai suoi uomini, ha subito come un'onta e come una sua responsabilità. Tanto da influire, probabilmente, sul suo stato di salute. A tutti ripeteva che quella storia l'aveva profondamente segnato a livello psicologico. «Era stato tanto amareggiato. Era una persona integerrima e dalle elevatissime capacità, colpito in maniera assolutamente ingiusta al termine della sua carriera», ricorda Enrico Ronzo, direttore generale della Popolare di Puglia e Basilicata, che da consigliere di Italease ha condiviso con Rondelli tutta quella vicenda e la difficile scoperta, passo dopo passo, del gioco sporco dei derivati esotici. Ma il giudizio complessivo non era intaccato, gli ripetevano tutti: «Questa vicenda rappresenta una parte minimale della storia di quest'uomo», è il commento finale di De Mattia. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 17 del 3/7/2009

M&C al 48% della tedesca Treofan - management&capitali converte i bond second lien e partecipa all'aumento di capitale - Goldman Sachs scende al 10%. Secondo azionista con il 25% è ora il fondo Usa Ebf La società italiana regista dell'operazione

Di Stefania Peveraro

Management&Capitali sarà primo azionista di Treofan, il gruppo tedesco leader mondiale nella produzione di film di polipropilene che ha anche un'anima italiana, visto che è il risultato della fusione di una serie di aziende del settore, compresa Moplefan spa, ex Montedison. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, infatti, gli uomini dell'investment company quotata a Piazza Affari, e in prima linea il director Giovanni Canetta, dopo mesi di lavoro sono riusciti a quadrare il cerchio e a condurre in porto un accordo tra gli azionisti, i creditori senior e il 96% degli obbligazionisti. L'intesa, che deve essere ancora formalizzata con il voto dell'assemblea dei bondholder, il cui esito però è appunto già scontato, comporterà la totale conversione in equity dei 170 milioni di euro di bond di tipo second lien a scadenza 2013 e cedola 11%, la contestuale iniezione di nuovo equity per 10 milioni per finanziare la ristrutturazione operativa della società e l'estensione della maturity del senior debt di 80 milioni da parte di Goldman Sachs. Nel dettaglio, prima dell'aumento di capitale, ai vecchi azionisti andrà il 7% della società, mentre agli obbligazionisti andrà circa il 72%. Così M&C, che in più tranche aveva acquisito bond Treofan per 77,6 milioni di euro di nominale per un investimento di circa 49,6 milioni, li convertirà in equity e parteciperà all'aumento di capitale con un ulteriore investimento di 4 milioni, con il risultato di arrivare a controllare il 48% del nuovo gruppo.

Il secondo azionista sarà il fondo Usa Ebf, che dopo la conversione dei suoi bond e l'aumento di capitale arriverà al 25%. Goldman Sachs, invece, che controllava il gruppo al 70%, scenderà post aumento a circa il 10%. Goldman a fine 2006 aveva salvato l'azienda, mettendosi a capo di un consorzio di banche e fondi hedge che avevano acquisito i crediti mezzanini del gruppo, e li aveva poi convertiti nel 92% del capitale, mentre gli altri azionisti Dor Chemical e Bain capital si erano diluiti, rispettivamente, al 5% e al 3%. Non solo. Goldman a inizio 2008 era subentrata all'intera linea di credito revolving senior da 80 milioni.

Giovanni Canetta assumerà il ruolo di presidente del consiglio di sorveglianza, mentre l'amministratore delegato di M&C, Corrado Ariaudo, e l'associate, Fabio Parpajola, entreranno nel consiglio che sarà completato dai rappresentanti dei maggiori obbligazionisti e dei senior lender. Confermato il management in carica, ossia il ceo Carlo Ranucci e il cfo Wolfgang Posner. Nei primi nove mesi del 2008 (ultimi dati disponibili) Treofan ha fatturato 382,7 milioni di euro con un ebitda aggiustato di 23,8 milioni contro un fatturato complessivo del 2007 di 483 milioni e un ebitda di 28,9 milioni. Il debito netto, che a fine settembre era di 212 milioni, con la conversione del bond, calerà a poco più di 40 milioni . (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009

Italease, opa continua C'è tempo fino al 15 - prorogati i termini per aderire all'offerta del banco

Di Fabrizio Massaro

Si riaprono i termini per aderire all'opa del Banco Popolare su Italease. Come già anticipato ieri da MF-Milano Finanza, l'istituto veronese guidato da Pierfrancesco Saviotti, non avendo raggiunto il 90% del capitale della banca del leasing previsto per considerare l'offerta, ha deciso di prorogare il termine dell'opa stessa. Lo ha comunicato ieri l'istituto dopo il conteggio ufficiale delle azioni conferite. La finestra temporale aperta è di cinque giorni di borsa, dal 9 al 15 luglio, sempre al prezzo di 1,50 euro per azione. L'obiettivo di Saviotti è convincere i soci minori, ritardatari o riottosi alla valorizzazione di 1,50 euro, ad aderire, in modo da evitare inevitabili allungamenti dei tempi del piano di riorganizzazione della banca del leasing, con la programmata divisione in bad bank e good bank.

All'opa chiusa mercoledì sono state apportate 90.479.182 azioni di Banca Italease (pari al 77,55% delle azioni oggetto dell'offerta) che sommate a quelle già in mano alla banca, portano il Banco Popolare risulta avere complessivamente l'84,447% del capitale di Italease. Dopo la proroga non ci sarà più spazio per ulteriori posizioni attendiste. Il Banco ha infatti reso nota ieri «la propria intenzione di rinunciare alla condizione di efficacia dell'offerta».

Chi non aderirà all'opa, insomma, resterà socio e sarà chiamato a contribuire al maxi-aumento di capitale che servirà alla riorganizzazione dell'istituto, con la divisione in una bad bank con asset problematici per 5 miliardi e in una good bank con il leasing performing e asset per 5,9 miliardi. La ricapitalizzazione dovrebbe essere, secondo fonti finanziarie, attorno a 1 miliardo di euro: con in mano già l'84% del capitale, il Banco Popolare ha il controllo pieno dell'assemblea straordinaria, e di conseguenza non ci saranno sorprese.

Ieri in borsa il titolo Italease ha chiuso in rialzo del 2,54% a 1,49 euro, comunque sotto la soglia d'opa, mentre il Banco Popolare ha ceduto il 5,32% a 5,16 euro allineandosi alle perdite dell'intero comparto a Milano. La mossa della riapertura dei termini era data per scontata dal mercato. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009

Perissinotto, passi avanti sul patto con Agricole

Di Manuel Follis

Sono stati fatti «grossi passi» in avanti nella direzione auspicata dall'Antitrust per quel che riguarda il patto tra Crédit Agricole e Generali sul 10,89% Intesa Sanpaolo. Lo ha detto ieri l'amministratore delegato del Leone, Giovanni Perissinotto, a margine dell'assemblea dell'Ania. Il manager, pur parlando di passi in avanti ha però specificato che in ogni caso poi «spetterà all'autorità giudicare». L'Antitrust ha aperto una procedura di inottemperanza nei confronti di Intesa Sanpaolo perché l'accordo di consultazione tra Agricole e Generali va contro la prescrizione secondo cui i francesi non devono essere coinvolti nella governance della banca ed hanno un impegno a diminuire la loro quota. L'ultima versione del patto, presentata pochi giorni fa, è stata sensibilmente modificata proprio per ottenere l'approvazione da parte dell'Agcm. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 19 del 3/7/2009

Il fondo di Unicredit batte Champion

Di Stefania Peveraro

Si è chiuso con la vittoria del fondo Obiettivo Impresa l'arbitrato su Champion Europe, la società produttrice di abbigliamento sportivo controllata al 70% da Sauro Mambrini e partecipata all'11,6% dal fondo chiuso quotato gestito da S+R investimenti e gestioni sgr (gruppo Unicredit) e al 6% da Rolo impresa, l'altro private equity di S+R che era controparte nell'arbitrato. Per la sgr è una vittoria importante perché obbliga Mambrini a onorare l'opzione di vendita concessa al fondo e quindi a riacquistare la quota di Champion in portafoglio a Obiettivo impresa per 14,5 milioni, più gli interessi legali di tre anni (1,1 milioni), contro i 5 milioni iscritti a bilancio. Al netto delle commissioni il fondo ha così fruttato ai sottoscrittori 1,3 volte il capitale investito dal 1996, cioè 35 milioni. Il fondo è ora in scadenza e a breve verrà formalizzato l'ultimo disinvestimento, quello da Gts. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 20 del 3/7/2009

Sui fondi on-line è tornata a crescere la fiducia

Di Alberto Bolis

Un ottimista al giorno

Domanda. Quali sono i motivi per essere ottimisti?

Risposta. Dopo un periodo effettivamente critico, da inizio anno abbiamo registrato un incremento della raccolta di circa il 30%.

D. A che cosa sono legati i segnali la ripresa?

R. Soprattutto all'arrivo di nuovi utenti e quindi alla ripartenza dinamica dell'acquisto di fondi comuni on-line, grazie alla maggiore fiducia verso questo strumento che consente di trovare il prodotto adatto senza spese.

D. La crisi come si è abbattuta su Fundstore?

R. L'impatto è avvenuto in due modi. Da un lato la nostra raccolta ha risentito molto della brusca frenata del mercato. Dall'altro c'è stata una spinta nei confronti dei risparmiatori ad abbandonare i fondi comuni a favore di altri strumenti finanziari.

D. Come procede il business?

R. Da un paio di mesi notiamo un rinnovato interesse soprattutto da parte dei piccoli risparmiatori. È senza dubbio un business in crescita.

D. Prospettive per il futuro?

R. Sono fiducioso perché il mercato dei fondi comuni non è affatto tramontato, i clienti sul web sono sempre più numerosi e le piazze finanziarie non dovrebbero subire particolari scosse. (riproduzione riservata)

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MFNumero 129  pag. 20 del 3/7/2009

Mediobanca al top dei volumi m&a - la merchant ha seguito operazioni per oltre 19 mld. banca imi prima per numero di deal - Nel primo semestre transazioni in calo del 40% a livello mondiale. Resistono pharma e materiali. Il ruolo degli Stati

Di Silvia Rossi

Mediobanca resta l'advisor leader per volumi nell'attività di merger&acquisition in Italia. Nel primo semestre Piazzetta Cuccia, che ha fornito consulenza in operazioni completate per oltre 19 miliardi di dollari, ha preceduto Lazard (seconda con 18,5 miliardi) e JP Morgan (16,7 miliardi). Mediobanca è in testa anche nella classifica Thomson Reuters delle operazioni annunciate in Italia, seguita da JP Morgan e Goldman Sachs. Se si guarda invece alla classifica per numero di operazioni, pubblicata ieri da MF-Milano Finanza, in testa c'è Banca Imi (Intesa Sanpaolo), advisor in 16 operazioni (17 se si include Enel-Acciona, non ancora registrata).

I dati semestrali di Thomson Reuters hanno certificato la pesante flessione di fusioni e acquisizioni a livello mondiale. I volumi si sono ridotti del 40% a 941 miliardi di dollari, il livello più basso dalla prima metà del 2004. La crisi si è fatta sentire soprattutto negli Usa (-49% a 289 miliardi) e in Europa (-43% a 310 miliardi). Più contenuti i ribassi in Asia (-28%) e nell'area Africa-Medioriente (-3%). In calo anche fusioni e acquisizioni transfrontaliere (-55%), che costituiscono quasi un terzo del controvalore dei deal.

I settori a livello globale che hanno resistito meglio sono il medicale-farmaceutico e quello dei materiali, gli unici a mostrare un incremento dell'attività m&a. Le maggiori quattro operazioni annunciate sono in questi due comparti: nel farmaceutico Pfizer-Wyeth (64 miliardi) e Merck-ScheringPlough (46 miliardi), mentre nei materiali BhpBilliton-RioTinto (58 miliardi) e Xstrata-AngloAmerican. Si è difeso anche il settore energetico con le operazioni Suncor-PetroCanada, Rwe-Essent e Vattenfall-Nuon. Oltre ovviamente a Enel-Endesa, che è l'unica rilevante operazione in cui sia coinvolta una società italiana.

Tra gli operatori, Thomson Reuters ha registrato il calo degli accordi con private equity (-79%), che hanno inciso per meno del 4% delle transazioni totali. A dimostrazione delle eccezionali condizioni del mercato, i veri protagonisti dell'm&a sono stati i governi, che hanno investito 197 miliardi, ovvero il 21% dei volumi complessivi: cifre così alte in passato non erano mai state raggiunte. Il più attivo è stato il governo britannico guidato da Gordon Brown: le operazioni su Lloyds e Rbs sono al quinto e sesto posto per dimensioni, con una spesa complessiva di oltre 41 miliardi per le casse del Regno Unito. Gli interventi statali hanno rappresentato la grande maggioranza delle operazioni nel settore finanziario: l'unica operazione significativa realizzata da privati è stata quella di BlackRock su Barclays Global Investors (per 13,3 miliardi). Il nuovo scenario finanziario ha influenzato non soltanto i volumi, ma anche il prezzo di mercato delle società. Il rapporto tra enterprise value ed ebitda si è mantenuto in Europa attorno a un multiplo di 10: all'inizio del 2007, nella fase di boom dell'm&a, era stato sfiorato il valore di 14, poi sceso sia nel primo trimestre 2008 (13,6) che nel secondo (11,6).

Per il momento non ci sono segnali di ripresa delle attività. Se si suddividono i dati semestrali in due periodi, contrario si registra un'ulteriore flessione nel secondo trimestre, seppur lieve. Il crollo delle operazioni globali si è riflesso nei minori profitti per gli advisor che hanno intascato commissioni totali per quasi 8 miliardi di dollari: un ammontare inferiore del 58% rispetto a un anno prima. La crisi non ha scalfito la leadership delle banche d'affari americane, almeno nel settore della consulenza finanziaria: per le operazioni completate, leader mondiale è stata Citi, seguita da Goldman Sachs e Morgan Stanley; per le operazioni annunciate, Goldman ha preceduto Morgan Stanley e JP Morgan. (riproduzione riservata)

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Patto Scajola-Ania per lo sviluppo «Ma il ministro riscriva le regole»

Le compagnie assicurative sono pronte a mettere un gettone miliardario sul piatto dello sviluppo, ma chiedono al governo un impegno a riscrivere le norme sulle liberalizzazioni messe a punto da Pierluigi Bersani. Questo il senso del confronto di ieri tra il presidente dell’Ania, Fabio Cerchiai, e il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione delle imprese assicurative. «Credo sia arrivato il momento di un vostro maggiore, più attivo coinvolgimento nelle strategie per superare la difficile congiuntura economica», ha detto Scajola rivolgendosi ai vertici dei grandi gruppi assicurativi. Un contributo, ha spiegato il ministro, che gli assicuratori potrebbero fornire «orientando una parte delle loro riserve al finanziamento di progetti di sviluppo e al potenziamento della dotazione infrastrutturale del Paese». In sostanza, si riprenderebbe un modello già adottato in Francia, con agevolazioni fiscali per i prodotti assicurativi che prevedano finanziamenti in favore delle imprese. L’invito è stato raccolto da Cerchiai: «Diamo ampia apertura a indirizzare parte degli investimenti in nuovi prodotti correlati allo sviluppo» ha detto il presidente dell’Ania, ricordando che in ogni caso «gli investimenti devono rispondere a criteri di convenienza, liquidità e salvaguardia dei clienti». Ma la partita, particolarmente rilevante visto che le riserve complessive delle compagnie ammontano a 450 miliardi, non è a costo zero. L’Ania ha chiesto infatti al ministro di mettere mano alle disposizioni in materia di clausole bonus/malus nell’Rc auto e al cosiddetto plurimandato (il divieto di esclusiva nei rapporti di agenzia). I provvedimenti varati dall’ex ministro Bersani, «sono risultati dirompenti, distorsivi e negativi per le imprese assicuratrici», ha detto Cerchiai. Il presidente ha poi lanciato un segnale positivo sul 2009, annunciando che la raccolta premi dovrebbe tornare a crescere del 5,4% raggiungendo i 97 miliardi. Sempre ieri, intanto, l’Isvap ha confermato l’avvio di stress test per le compagnie e l’innalzamento «dal 5 al 10% della soglia partecipativa minima soggetta agli obblighi autorizzativi, nonché dell’assoggettamento ad autorizzazione delle acquisizioni che consentono l’esercizio di un’influenza notevole sulla gestione, indipendentemente dalla quota di partecipazione».

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Per Moody’s l’outlook sul sistema bancario italiano resta negativo

Resta negativo per Moody’s l’outlook sul credito del sistema bancario italiano nei prossimi 12-18 mesi. Così l’agenzia internazionale, (che due giorni fa ha concluso il riesame del rating di 22 istituti bancari italiani, tagliando il giudizio di 12 realtà sulla forza finanziaria o sui depositi a lungo termine) ha confermanto ieri per il sistema il giudizio dello scorso maggio, quando aveva abbassato l’outlook da stabile a negativo a causa dell’impatto dell’indebolimento dell’economia sulla qualità degli attivi e la redditività delle banche. Quello italiano è stato l’ultimo tra i grandi sistemi europei «a ricevere una prospettiva negativa nell’attuale crisi, avendo dimostrato una maggiore elasticità rispetto agli altri nel 2008, grazie alla minore esposizione in attività finanziarie e titoli tossici», ha spiegato Henry MacNevin, vicepresidente senior di Moody’s e responsabile per la valutazione delle banche nazionali. Tuttavia, poiché la crisi, iniziata due anni fa, si sta propagando al resto dell’economia, «la qualità degli asset e la redditività delle banche italiane si stanno deteriorando e Moody’s prevede che i fondamentali finanziari saranno intaccati nel 2009 e 2010», ha aggiunto MacNevin. Secondo l’agenzia, i rating sulla forza finanziaria del settore saranno posti sotto ulteriore pressione, benché l’effetto sui rating sui depositi sarà probabilmente meno severo, grazie all’atteso e comprovato supporto del sistema. A differenza di altri Paesi europei, per Moody’s l’Italia non dovrebbe ricorrere a forti misure d’intervento governativo sulle banche, a meno che non si verifichi uno scenario peggiore delle aspettative. In conclusione, «il sistema bancario (italiano, ndr) è entrato nella crisi con una posizione patrimoniale modesta - si legge nella nota - ma, dopotutto, e nonostante l’outlook negativo, rimane uno dei meno colpiti dell’Unione Europea».

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Banca Leonardo dà la carica a Dmt 

Grandi manovre a Piazza Affari su Dmt. Nella giornata di ieri il titolo, che è stato sospeso più volte al rialzo e dopo essere balzato del 12,5% è retrocesso, ha chiuso comunque in terreno positivo a 8,5 euro (+6,07%), in controtendenza rispetto al mercato. Forti gli scambi, con il 3,14% del capitale passato di mano. Proprio ieri Banca Leonardo ha alzato il giudizio sul titolo da «underweight» a «buy» mantenendo il tg a 10,6 euro. Sulla decisione degli analisti ha influito in particolare il sostanzioso downside dell’ultimo mese (-19%), che rende il titolo appetibile. Banca Leonardo prevede, per il 2009, un mol di 28 milioni di euro (in crescita rispetto ai 19,5 milioni del 2008), interamente riconducibile alla divisione «Tower» (la divisione «System», considerata non strategica dal gruppo, è infatti valutata a zero) e una riduzione dell’indebitamento a 138 milioni (rispetto ai 146 mln di fine anno). Sul fronte covenant (a inizio anno il titolo era stato oggetto di forti vendite da parte delle banche creditrici che lo avevano in pegno), il rischio di spezzare quelli che fanno capo a Tower è ormai basso, visto che il rapporto debt/ebitda è pari al 4,4%, ben lontano dunque dal 6% stabilito dagli accordi con le banche. Questi accordi prevedono inoltre un rimborso annuale di 20 milioni di euro fino al 2013 (nel 2014 saranno 65 milioni), a fronte di un ebitda stimata nel 2009 di 28 milioni di euro. Quanto a «System», la divisione che fino a qualche mese fa l’ad Alessandro Falciai non nascondeva di voler vendere (-9,7 mln l’ebit nel 2008), dopo un primo contratto pluriennale con Mediaset (e che ha determinato un sensibile miglioramento dei conti nel primo trimestre), secondo gli analisti continuerà a beneficiare del passaggio al digitale terrestre.

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Scompare Lucio Rondelli, protagonista dell’evoluzione delle banche italiane

È morto ieri mattina il banchiere Lucio Rondelli, ex presidente di Unicredit e di Banca Italease. Nato a Bologna nel 1924 e nominato Cavaliere del lavoro nel 1986, Rondelli ha ricoperto diversi incarichi nel mondo bancario. Con Rondelli scompare uno dei protagonisti dell’evoluzione del sistema bancario italiano. Entrato nel Credito Italiano nel 1947, nel 1969 (a soli 45 anni) è diventato ad del gruppo e poi di Unicredit, diventando successivamente presidente fino al 2001. Inoltre è stato vicepresidente e membro del comitato esecutivo di Mediobanca, consigliere della Ras e vicepresidente e membro del comitato esecutivo dell’Abi. Dal 2005 al 2007 il suo ultimo incarico operativo è stato quello di presidente di Banca Italease, dove denunciò il crack della banca come «vicenda malavitosa» posta in essere da «personaggi che hanno utilizzato certi strumenti di lavoro della società non nell’interesse della medesima».

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Poste, Standard&Poor’s conferma rating A/A-1 Con prospettive stabili

S&P ha confermato per Poste Italiane il rating A/A-1 con outlook stabile. Lo ha reso noto la stessa società aggiungendo che S&P giudica «modesto» il rischio finanziario e valuta positivamente l’ebitda del 2008. «Non nego - ha detto l’ad Massimo Sarmi - la mia soddisfazione alla notizia che arriva in un momento così delicato per l’economia internazionale. Gli ottimi risultati di redditività, la consapevolezza che dove c’è un ufficio postale ci sono valore aggiunto e servizi innovativi altrimenti non presenti, confermano che Poste Italiane è una realtà che cresce socialmente e responsabilmente».

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Unipol, emessi bond senior triennali per 175 milioni

Unipol Gruppo Finanziario (Ugf) ha emesso un prestito obbligazionario di tipo senior dell’importo nominale di 175 mln e durata triennale, al tasso fisso del 5,25% annuo. L’emissione è stata interamente collocata e sottoscritta alla pari mediante private placement. Tra gli istituzionali che hanno sottoscritto il bond spiccano le controllanti Finsoe (70 mln) e Holmo (68,6 mln). In merito all’Opa sul bond Ugf 5,66%, scadenza 2023, «fino al 2 luglio 2009 (ieri, ndr) non ci sono state adesioni», ha detto Ugf in una nota. Le adesioni potranno pervenire fino alle ore 17 del 9 luglio.

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Fortis Bank Nederland rimborsa 34 miliardi di finanziamenti

Il ministero olandese delle Finanze ha comunicato che Fortis Bank Nederland ha riborsato anticipatamente, rispetto alla scadenza di fine anno, 34 miliardi di euro di prestiti a breve assicuratigli dall’esecutivo. Il governo olandese nell’ottobre scorso aveva rilevato le attività olandesi di Fortis, e la sua partecipazione in Abn Amro, in un’operazione da 16,8 miliardi. Grazie al rimborso, il governo olandese si attende un debito pubblico 2009 inferiore rispetto a quello 2008, che era aumentato a 346 miliardi. L’Olanda lo scorso anno aveva attivato un piano di prestiti garantiti per le banche da 200 miliardi di euro. Fortis Bank Nederland ha partecipato al programma pubblico per vendere 15,5 miliardi di bond garantiti. L’obiettivo del governo resta la fusione di Fortis Bank Nederland e la divisione olandese di Abn Amro in una nuova entità a partire dal 2011.

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da Finanza&Mercati del 03-07-2009

Oracle, secondo produttore di software al mondo, si preparerebbe a licenziare 1.000 dipendenti in ...

Oracle, secondo produttore di software al mondo, si preparerebbe a licenziare 1.000 dipendenti in Europa. È quanto riporta la Confédération Française Démocratique du Travail (Cfdt, organizzazione sindacale francese). Nella sola Francia rischiano il posto 250 addetti (pari al 16% del totale). Oracle «prevede una crescita decisamente inferiore rispetto alla precedenti stime», ha sottolineato la Cfdt. Il colosso Usa indicherebbe il taglio occupazionale come unica strada percorribile per «conservare il margine operativo e permettere a Oracle di continuare a operare in una strategia di lungo periodo». Oracle lo scorso 31 maggio aveva una forza lavoro globale di 86.000 addetti.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

L’allarme-occupazione mette paura alle Borse

di Rodolfo Parietti

Circa 36 milioni di disoccupati sparsi tra l’Europa e gli Stati Uniti, a conferma di come i colpi di coda della crisi si stiano scaricando sul mercato del lavoro. Emorragia di posti ormai cronica, da una sponda all’altra dell’Atlantico, segno del ritardo con cui le misure di sostegno dei governi si trasferiscono sull’occupazione. Bisognerà aspettare, forzatamente. Ma le cifre rimbalzate ieri dal Vecchio continente e dagli Usa fino ai monitor delle sale operative non potevano certo essere ignorate dalle Borse, costrette a cancellare i progressi di mercoledì a colpi di ribassi anche superiori al 3%.

Tanto atteso quanto temuto, il verdetto è arrivato sotto forma di un tasso di disoccupazione salito nella euro-zona in maggio al 9,5% (9,3% in aprile), un livello mai raggiunto dalla nascita della moneta unica, e dal 9,4% di maggio al 9,5% di giugno (massimo dal 1983) anche negli Usa, dove sono stati persi altri 467mila posti di lavoro. Dall’avvio della recessione (dicembre 2007), l’America ha visto evaporare oltre sei milioni di posti e i jobless sfiorano ormai i 15 milioni. «Sono profondamente deluso e preoccupato», è stato il commento del presidente Obama. «Siamo nella peggiore recessione dalla Grande Depressione. Ci vorranno ancora mesi per uscirne», ha aggiunto.

L’elemento forse meno rassicurante è la progressione dei disoccupati nel giro di un anno: nel maggio 2008, nell’Europa a 16 i senza impiego erano pari al 7,4% della popolazione attiva. Lo scatto in avanti di due punti percentuali ha determinato gli oltre 15 milioni di persone a spasso oggi nella sola Eurolandia, contro gli oltre 21 milioni della Comunità europea (disoccupazione all’8,9%).

Sono cifre che giocano a sfavore della ripresa economica, considerata la stretta correlazione tra mercato del lavoro (quando c’è) e consumi. A maggior ragione in un Paese come gli Usa in cui le spese private contribuiscono per due terzi al Pil. La recovery è collocata da quasi tutti i governi e dai maggiori organismi internazionali nel 2010. Ma come ripartirà l’economia mondiale? Quasi certamente con il freno a mano tirato. Il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, non ha esitato ieri a parlare di un ulteriore «deterioramento» occupazionale nei prossimi mesi e di una ripresa frenata, appunto, dall’alto numero di senza lavoro.

Le parole di Trichet hanno aggiunto benzina ai ribassi dei listini europei, dove infatti la capitalizzazione è “dimagrita“ di 102 miliardi. Svanito l’effetto positivo provocato l’altroieri dall’annuncio del governo tedesco della creazione di una bad bank, i mercati sono finiti in apnea: Francoforte è stata la peggiore (-3,81%), seguita da Parigi (-3,13), Milano (-2,65%) e Londra (-2,45%). Nessuna reazione alla notizia che l’Unione europea ha deciso di lanciare uno strumento di microfinanziamento, per un valore di 100 milioni (elevabili a mezzo miliardo), con lo scopo di aiutare i disoccupati ad avviare piccole imprese.

Anche Wall Street ha chiuso l’ultima seduta della settimana (oggi è la Festa dell’Indipendenza) muovendo a ritroso sia le lancette del Dow Jones (-2,5%), sia quelle del Nasdaq (-2,7%). «La Borsa - spiegava un analista - si è mossa al rialzo negli ultimi mesi, nella convizione che i piani di stimolo stessero funzionando. Ma ora c’è delusione, non sembra che gli stimoli abbiano creato nuovi posti». Ci sarà ancora da lavorare.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Trichet striglia le banche: «Prestate più soldi»

di Redazione

Banche, così non va. Nella polemica sulla scarsa erogazione di credito che vede da tempo contrapposte le banche alle imprese, interviene Jean-Claude Trichet. In trasferta a Lussemburgo, dove ieri la Bce ha tenuto il periodico direttivo extra-sede lasciando invariati i tassi all’1%, il presidente dell’Eurotower non è andato troppo per il sottile nel giudicare l’operato del mondo del credito: «Il flusso dei prestiti bancari alle imprese e alle famiglie - ha ammonito - è rimasto limitato. Le banche facciano la loro parte» nel sostenere l’economia.

Il richiamo del banchiere francese giunge a circa una settimana di distanza dalla maxi-asta da 442 miliardi di euro con cui l’istituto di Francoforte ha garantito al sistema liquidità fino a fine anno. Un motivo in più per spronare le banche, accusate anche di essere troppo caute nel rafforzamento della base patrimoniale, ad allargare i cordoni della borsa. Le cifre, d’altra parte, sembrano dare ragione alla Bce: i prestiti al settore privato sono calati in maggio all’1,8%, il livello più basso dall’inizio del terzo stadio dell’Unione economica e monetaria. Insomma, pur tenendo conto della bassa domanda, è come se l’impasse generata dal credit crunch, con le banche riluttanti a concedere fiducia a chi chiedeva denaro, non fosse mai stata superata.

Questo fenomeno di restringimento del credito rischia, ovviamente, di avere ripercussioni sui tempi della ripresa, peraltro prevista debole e collocata non prima della seconda metà del 2010. Anche se Trichet ha ribadito ancora una volta che l’1% non rappresenta il plafond per i tassi, giudicati comunque «appropriati», le possibilità di un ulteriore ritocco verso il basso si vanno via via restringendo e sono ormai legate a un deterioramento del ciclo oggi non preventivabile.

Nè sono in programma ulteriori misure non convenzionali dopo l’operazione d’acquisto di covered bond per 60 miliardi, al via lunedì prossimo, con cui si intende incoraggiare le banche ad accelerare gli impieghi e a rivitalizzare un comparto duramente colpito dalla crisi. Con scadenza fra i tre e i 10 anni, queste obbligazioni sono garantite da una serie di asset come mutui ipotecari, che restano in portafoglio al cedente; verranno acquistate, direttamente sul mercato primario e secondario e in «modo graduale», soprattutto dalle singole banche centrali dell’eurozona, mentre alla Bce sarà riservato l’8% dell’intera emissione. Il valore minimo delle obbligazioni sarà pari a 500 milioni tranne che in «situazioni speciali» nelle quali è previsto che il bond possa essere «non inferiore a 100 milioni».

Con l’operazione bond, la Bce chiude il cerchio delle azioni anti-crisi. «Una volta che la condizione macroeconomica migliorerà - ha avvisato Trichet - la Bce assicura che le misure straordinarie di questo periodo saranno ritirate velocemente». Ora la palla passa appunto alle banche, e ai governi, invitati fin d’ora a studiare le opportune exit strategy e a impegnarsi per consolidare i bilanci pubblici a partire dal 2011. Per i Paesi a elevato debito e disavanzo, come l’Italia, la correzione del deficit dovrà essere almeno dell’1% del Pil ogni anno.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

La recessione colpisce i conti: deficit al 9,3%

di Gian Battista Bozzo

RomaIl peggior primo trimestre del decennio sul fronte dei conti pubblici passa agli archivi dell’Istat con un numero da brivido: il deficit è infatti arrivato al 9,3% del Pil contro il 5,7% dei primi tre mesi dell’anno scorso. Sono diminuite le entrate fiscali ed aumentate le spese. Del resto, il raddoppio del fabbisogno statale certificato ieri dal Tesoro va nella stessa direzione. L’unica voce positiva è il calo degli interessi sul debito pubblico, grazie al forte ribasso dei tassi d’interesse.

Il rapporto diretto fra crisi dell’economia reale e andamento dei conti è dimostrato proprio dalle entrate, che in cifra assoluta sono diminuite del 2,8% rispetto al primo trimestre del 2008, ma che nel contempo aumentano la loro incidenza rispetto al Pil: così la pressione fiscale passa dal 39,8% al 39,9%. Nel contempo le uscite totali sono aumentate del 4,6% (3,9% la spesa corrente), con un picco del 7% per le uscite per gli stipendi del pubblico impiego a causa del rinnovo contrattuale per i dipendenti dei ministeri, della scuola, degli enti pubblici non economici. Il saldo primario, che misura il saldo al netto della spesa per il servizio del debito, è risultato negativo del 4,6% contro lo 0,8% del primo trimestre 2008.

C’è da rilevare che, almeno, sono aumentate del 15,3% le spese per gli investimenti. Per le infrastrutture, spiega il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il problema non è rappresentato dai soldi, quanto dai blocchi, «l’eccesso di diritto paralizzante». Secondo Tremonti, la richiesta continua di finanziamenti è un alibi. «Se hai i soldi - osserva il ministro intervenendo al convegno di “Italiadecide” - spendili, perché chiedendone di più fai un doppio danno: non fai l’opera e sottrai risorse all’economia». Quindi «meno vincoli, più libertà» è la soluzione.

Storicamente, il primo trimestre è sempre il peggiore dell’anno. Non appare perciò compromesso l’obiettivo del governo di contenere il deficit intorno al 5% del Pil. Secondo gli economisti del Cerm, a questo punto il bilancio pubblico dovrebbe rimanere «congelato» per due anni, o almeno fino alla ripresa dell’economia che dovrebbe giungere a metà del 2010, puntando nel frattempo a riforme a costo zero per l’erario: apertura alla concorrenza dei mercati, decentramento della contrattazione, riqualificazione della spesa per il welfare. A sua volta, la Cisl suggerisce al governo di agire, evitando allarmismi, per il rilancio dello sviluppo e la lotta all’evasione fiscale.

A questo punto si avvicina a grandi passi la decisione sullo scudo fiscale, il rientro oneroso dei capitali detenuti nei paradisi fiscali che potrebbe portare molti miliardi di euro nelle casse dello Stato. Al ministero dell’Economia si stanno studiando gli ultimi dettagli. Si pensa a un’aliquota unica fra il 5 e il 7,5%. La misura potrebbe essere inserita, con un emendamento, nel decreto anticrisi; e il termine per il rientro dei capitali dovrebbe essere quello del 31 dicembre.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Rc auto, tariffe ancora in calo Proposta la polizza terremoti

di Redazione

Il 2009 si prepara ad essere un anno in crescita per il mercato assicurativo, dopo due esercizi consecutivi negativi: la raccolta premi dovrebbe infatti crescere del 5,4%. Dovrebbe però restare negativa la raccolta premi dell’Rc Auto: una diminuzione tra l’1% e il 2%, collegata anche ad una flessione dei prezzi medi delle polizze che negli ultimi 4 anni sono scesi dell’8,3%, secondo i dati forniti dall’Ania, l’associazione che raduna le compagnie di assicurazione. Sul comparto arriva però l’ultima revisione delle liberalizzazioni Bersani con la possibilità di reintrodurre le polizze pluriennali: il presidente dell’Ania, Fabio Cerchiai, «manifesta apprezzamento» per questa novità e chiede di mettere mano anche alle disposizioni in materia di clausole bonus/malus nella Rc Auto e al divieto di esclusiva nei rapporti di agenzia. «Il nostro Paese ha bisogno di un mercato libero, non di lenzuolate», sostiene il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, che chiede alle compagnie un «maggiore coinvolgimento» per superare la difficile congiuntura economica: l’idea sarebbe quella di orientare parte delle cospicue riserve del settore, circa 450 miliardi, al finanziamento di progetti di sviluppo e infrastrutturali. Mentre il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, vuole approfondire il tema dell’assicurazione contro i danni delle catastrofi, rilanciata dall’Ania: «Se ben disegnata non è una tassa ma un incentivo ai comportamenti virtuosi dei cittadini e delle amministrazioni».

Dal canto loro Federconsumatori e Adusbef contestano l’Ania e parlano di «aumenti consistenti» in particolare «per le già elevatissime polizze per i diciottenni, in media del 4-5%, con punte del 15-16%».

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Detassati investimenti per 20 miliardi

di Redazione

La detassazione del 50% degli utili d’impresa reinvestiti costerà alle casse statali 4,3 miliardi di euro in tre anni di minori introiti fiscali, ma l’intera manovra approvata venerdì scorso dal Consiglio dei ministri avrà effetti positivi sui saldi di finanza pubblica, che nel triennio 2009-2011 migliorano complessivamente di 1,4 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’indebitamento netto - cioè il deficit - la differenza tra il totale delle entrate e quello delle spese è uguale a zero. Dunque il decreto dovrebbe avere un effetto positivo per l’economia - si stima in 20,5 miliardi il volume di investimenti che potranno beneficiare della detassazione - senza gravare sui conti pubblici.

Insoddisfatta invece l’Abi: per il presidente Corrado Faissola, le norme sul massimo scoperto si muovono in direzione «anti mercato». Il decreto prevede che possa essere utilizzata subito (cioè a partire dalla scadenza del 6 luglio prossimo) la modalità di pagamento rateale anche per il versamento dell’Iva da adeguamento agli studi di settore. La «stretta» sulle compensazioni Iva potrebbe valere a fine 2011 maggiori entrate per un miliardo, mentre sul fronte delle spese i rimborsi ad azionisti e obbligazionisti Alitalia costeranno 230 milioni, anche se gli oneri sono spostati al 2010. Per le missioni di pace all’estero, il decreto stanzia 410 milioni fino al 31 ottobre, mentre per l’operazione «Città sicure» arrivano 67,2 milioni nel 2009-2010. Tutte queste cifre sono contenute nella relazione tecnica che accompagna il provvedimento. In prospettiva, lo Stato potrebbe addirittura risparmiare grazie alla norma che accelera i pagamenti delle Pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende creditrici. Infatti, la misura «potrebbe avere a regime riflessi positivi per lo stesso bilancio pubblico - si legge nella relazione - nella misura in cui la concorrenza e la riduzione degli oneri finanziari sopportati dalle imprese potrà spingere le stesse a praticare migliori condizioni di prezzo».

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Fusioni e acquisizioni Banca Imi e Mediobanca sono regine in Italia

di Redazione

Nei primi sei mesi del 2009 Banca Imi e Mediobanca si attestano al primo posto nelle classifiche di Thomson Financial sulle operazioni di M&A realizzate in Italia: Banca Imi ha il record per numero di transazioni, Mediobanca per controvalore. É quanto emerge dalle graduatorie redatte dal brand finanziario inglese, dalle quali si rileva che la banca guidata da Gaetano Micciché ha seguito 16 operazioni con un controvalore di 3,35 miliardi di dollari, mentre Piazzetta Cuccia ha svolto il ruolo di advisor in 13 operazioni per un controvalore di 19,15 miliardi.

Banca Imi si posiziona al 12º posto nella classifica per controvalore, ma sarebbe al terzo comprendendo l’accordo Enel-Acciona concluso nei giorni scorsi e contabilizzato da Thomson Financial nel 3º trimestre. Il solo «deal» Enel-Acciona vale 13.469,98 milioni di dollari.

Mediobanca mantiene la prima posizione nella classifica dei controvalori rispetto al primo semestre del 2008 con 19,15 miliardi (53,9 nel primo semestre 2008), precedendo nella top ten Lazard con 18,5 miliardi (16ma nel 2008 con 6,3 miliardi), Jp Morgan con 16,74 miliardi, Credit Suisse, Goldman Sachs, Citi, Deutsche Bank, Santander, Bofa-Merril Lynch, Bnp Paribas e Calyon, mentre Banca Leonardo si posiziona al 13º posto con 1,6 miliardi, sempre di dollari (meno 93,1%), di operazioni seguite. Per quanto riguarda il numero dei deal, Banca Imi è seguita dalla stessa Mediobanca con 13, da Rothschild con 10, Kpmg con 9 e da Lazard con 8. Fusioni e acquisizioni risultano in frenata nei primi sei mesi dell’anno sia a livello mondiale (meno 40,2% a 941 miliardi di dollari), sia in Italia (meno 57,5% a 30 miliardi).

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Il caso Il Banco Popolare riapre l’Opa Italease e cade del 5,3%

di Redazione

Secondo tempo per l’Opa Italease: il Banco Popolare riapre il periodo d’adesione all’offerta sulle azioni della banca specializzata in leasing. Si potrà consegnare i titoli di Italease alla controllante ancora dal 9 al 15 luglio. La decisione è giunta dopo aver valutato i risultati dell’Opa che si è chiusa il primo luglio, e che ha portato il Banco Popolare a detenere l’84,44% di Italease. Il prezzo d’offerta resta fermo a 1,5 euro. La Borsa ha penalizzato fortemente il titolo dell’istituto veronese, che ha chiuso la seduta di ieri in calo del 5,32%, a 6,16 euro. Rimangiandosi buona parte del rialzo di martedì e mercoledì (+8,3% in due sedute). A deludere gli investitori soprattutto il fatto che le adesioni all’Opa non sono state sufficienti a portare il Banco Popolare sopra il 90% di Italease. L’obiettivo della popolare veronese è il delisting della controllata.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Nasce a Milano il big italiano dei fondi immobiliari

di Redazione

Prende ufficialmente il via l’attività di Hines Italia Sgr, la società che si occuperà della gestione del fondo immobiliare «Porta Nuova Garibaldi» da 950 milioni di euro, cui è stato conferito uno dei tre progetti (il «Garibaldi Repubblica») per la riqualificazione delle aree milanesi di Porta Garibaldi e Porta Nuova. Si tratta del maggior fondo di sviluppo italiano, riservato ad investitori istituzionali, tra i cui sottoscrittori figurano diversi fondi pensione americani e canadesi e il gruppo Fondiaria-Sai. L’operazione conta su finanziamento bancario da oltre 760 milioni , concesso in maniera paritetica da Intesa Sanpaolo, Bpm e Mps. Il progetto copre circa 89mila metri quadri e prevede investimenti complessivi per 2,5 miliardi. Il completamento è previsto nel 2012.

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Ponzellini: «Le banche devono fare un bagno di umiltà»

di Redazione

Le banche «devono fare un profondo bagno di umiltà e ristabilire un rapporto di fiducia con le imprese». Ad ammetterlo è stato il presidente di Bpm, Massimo Ponzellini che, in un convegno della Cisl-Fiba Lombardia, si è detto convinto che siamo in una fase di stretta del credito: «Il credit crunch esiste perché mentre le banche prestavano i soldi ai vari Zaleski e Zunino gli altri imprenditori hanno perso fiducia e coraggio». Ponzellini ha, poi, commentato l’avanzata età anagrafica delle classe dirigente del Paese: «Io sono vecchio e il presidente delle Generali Bernheim ha più di ottanta anni. La classe politica e imprenditoriale è vecchia e ci mangiamo i giovani, che purtroppo non comandano».

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IL GIORNALE venerdì 3 luglio 2009

Benzina Sciopero confermato: distributori chiusi l’8 e il 9 luglio

di Redazione

Distributori chiusi per le giornate dell’8 e del 9 luglio, a causa di uno sciopero proclamato dai sindacati dei gestori per il rinnovo del contratto di categoria. Gli impianti resteranno chiusi sulla rete stradale dalle 19.30 di martedì 7 luglio fino alle 7 del 10. Diversi gli orari per la rete autostradale: chiusura dalle 22 del 7 e riapertura alla stessa ora del 9 luglio. In Sicilia, lo sciopero inizierà con 24 ore di anticipo. È esclusa la provincia dell’Aquila. «L’industria petrolifera sta scaricando sulla rete e soprattutto sulla categoria tutte le contraddizioni del sistema, facendo concorrenza, sui propri stessi impianti ai propri stessi gestori», spiegano le tre federazioni, Faib, Fegica e Figisc in una nota congiunta. Allo stesso tempo, prosegue la nota, «non solo gli impegni assunti dal governo oltre un anno fa per mettere mano alle regole del settore sono rimasti lettera morta, ma sono venute meno alcune tutele e sono stati imposti nuovi oneri alle gestioni».

 

-Arthur Bloch-

La citazione più preziosa è quella di cui non riesci a trovare la fonte.

 

 

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