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iaggi

V

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Viaggi

per il bestiame e da una decina d’anni si chiama soia.

Bisogna alimentare milione di cinesi che mangiano so-

ia e alla fine sarà il mercato (transgenico) della soia ad

uccidere il territorio amazzonico.

Oggi l’Amazzonia ha soprattutto bisogno di militanti,

di persone che la amino e combattano per lei. L’Amaz-

zonia non rappresenta soltanto una preoccupazione.

Rappresenta anche una verità molto grande, la cer-

tezza che siamo arrivati tardi a capire che quell’enor-

me territorio, fra i più fragili della terra, potrebbe spa-

rire per sempre.

Il modo migliore per conservare quella che resta del-

l’Amazzonia è dichiararla “Parco nazionale dell’uma-

nità”, trasformarla in bene collettivo. In modo che

nessuno vada più a farci del turismo, salvo all’interno

degli spazi previsti. Sicuramente l’Amazzonia non è

un paradiso per il turismo, forse lo è per i viaggiatori,

dato ideologico in quel modo di essere, è un imperativo

naturale. La loro vita ha bisogno di una specifica ar-

monia con l’ambiente. Ma cosa accade oggi? Il contatto

con la natura del consumo è sempre più forte, l’incon-

tro con l’uomo occidentale o occidentalizzato diventa

inesorabile, traumatico, inarrestabile. Il grande sforzo

è lavorare per rendere questo inesorabile incontro me-

no traumatico possibile per garantire il rispetto delle

loro culture. Nessuno conosce la foresta meglio degli

indios che ci abitano e che ogni giorno vedono sparire

un pezzo di quel mondo verde di cui sono l’anima. Ep-

pure nessuno li ha mai presi in considerazione.

L’Amazzonia è sempre stata in pericolo, alcuni si sono

preoccupati per la foresta, ma pochi per la gente che ci

vive. Da questo punto di vista, l’Amazzonia è un tut-

t’uno: foresta, acqua, etnie. Ieri il pericolo si chiamava

caucciù, si chiamava oro; oggi si chiama legno, terra