ditoriale
E
gli scandali che hanno colpito il settore, dall’altra. E,
come se non bastasse, continuano a dover fare sacri-
fici con giornate di solidarietà ed esodi (volontari ed
incentivati, grazie all’azione del sindacato).
Forse però non sono i dipendenti i veri destinatari de-
gli effetti delle politiche di certi banchieri e dobbiamo
rassegnarci alle teorie della scuola di Chicago e, in
particolare, alla tesi di Milton Friedman secondo cui
“l’azienda, ha una e una sola responsabilità: sfrutta-
re le risorse, impegnandosi in attività mirate ad au-
mentare il profitto”
. Quindi, seppur nel rispetto del
dettato legislativo e abbandonando la nozione di etica
degli affari e delle relative carte importate dagli Stati
Uniti agli inizi degli anni Novanta, l’unico dovere di
chi gestisce un’impresa sarebbe, secondo questo
enunciato, quella di remunerare gli azionisti. Tuttavia,
anche da questa angolazione, i compensi dei banchieri
non sembrano proprio nella corretta messa a fuoco.
Come sappiamo, molti azionisti del settore bancario
si leccano le ferite e alcuni dei più noti crolli hanno
schiacciato anche tanti investimenti degli stessi di-
pendenti del comparto e delle loro famiglie. Tra le
principali ragioni di questo indebolimento del settore
c’è il credito deteriorato. Tuttavia, il 70% dei finan-
ziamenti non ripagati da famiglie e imprese, si riferi-
sce a crediti superiori a 500 mila euro e imputabili a
circa il 2,6% dei clienti “in difficoltà” degli istituti. Si
tratta, quindi, di finanziamenti erogati, molto spesso,
dagli stessi consigli di amministrazioni capitanati da
alcuni dei banchieri super pagati.
Cui prodest?
la nota
abbreviazione del passo della Medea di Seneca, che
ha trovato molti sbocchi anche nei processi giudiziari,
non può che rimbalzarci nella gola e la risposta pro-
vocare un imbarazzante silenzio nell’aula degli impu-
tati. A chi giova pagare degli stipendi così alti a quei
banchieri che hanno dimostrato di non essere in grado
di inventare un nuovo modo di fare banca (dalla Fabi
più volte dettagliatamente proposto) o che, in alcuni
casi, sono addirittura i principali responsabili dei pro-
blemi?
Nell’era del bail in, non solo occorrerebbe mettere ma-
no alla questione delle super retribuzioni, ma sarebbe
anche utile introdurre conseguenze serie per quei ban-
chieri che non si comportano correttamente. Da
quest’anno in Gran Bretagna è in vigore la legge sulla
responsabilità diretta dei manager, e chi di loro cau-
serà il fallimento di una banca rischia fino a sette anni
di prigione e una sanzione pecuniaria illimitata. In Is-
landa erano già corsi ai ripari dal crack del 2008 e
alla fine del 2015, 26 banchieri erano già stati con-
dannati ad un totale di 74 anni di carcere. Da noi, in-
vece, si continuano a confondere i ruoli e quelli su cui
vengono scaricate le maggiori responsabilità e le con-
seguenze sono spesso i lavoratori del comparto.
Forse, sarebbe il caso che la politica e l’opinione pub-
blica non lasciassero soli i bancari in questa lotta di
civiltà e si impegnassero a definire limiti, controlli e
sanzioni sull’operato di chi gestisce il settore; altri-
menti finisce che chi rimane schiacciato da questo
strano processo in corso è soltanto il povero Josef K.
del noto romanzo di Kafka che, come saprete, era un
bancario e non era un banchiere.
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4
Editoriale
A CHI GIOVA PAGARE DEGLI
STIPENDI COSÌ ALTI A QUEI
BANCHIERI CHE HANNO
DIMOSTRATO DI NON ESSERE
IN GRADO DI INVENTARE UN
NUOVO MODO DI FARE BANCA?